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Marco Vettoretti
NBA veste moda, parte prima
06 set 2017
06 set 2017
Nella Lega è arrivato il momento di rinnovare il guardaroba. Del tutto.
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Marco Vettoretti
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Nel mondo variopinto e in costante evoluzione delle uniformi sportive, la collezione Primavera/Estate 2017 verrà ricordata dai tifosi di pallacanestro come un cardine storico: il contratto di fornitura tecnica che dal 2006 legava la National Basketball Association ad adidas, infatti, è scaduto. E come ufficializzato già il 10 Giugno 2015, a rimpiazzare il brand di Herzogenaurach sarà il suo acerrimo rivale, vale a dire Nike.

 

La off-season in corso, pertanto, ha consentito a tutte e trenta le franchigie della Lega di mettere mano al guardaroba, spalancando le porte a una innumerevole serie di anticipazioni e presentazioni, annunciate prevalentemente per mezzo dei social media. In alcuni casi limitando le novità allo stretto necessario, in altri mettendo in mostra veri e propri restyling.

 

Alcune cose da sapere prima, per orientarsi tra le tantissime novità:

 

La genealogia dei loghi ha subito un riassestamento: quello che che in precedenza era considerato il logo primario, viene ora chiamato “Global Logo”. A questo, viene associata una “Primary Icon” ed, eventualmente, altre “Secondary Icon”;

 

Le differenti versioni delle uniformi, che con adidas venivano raggruppate sotto diverse coniugazioni della parola “jersey”, vengono ora chiamate “Edition”: la “Association Edition” sarà la classica uniforme bianca che nel corso degli anni ha rappresentato il comune denominatore delle franchigie NBA; la “Icon Edition”, invece, metterà in risalto il colore principale di ciascuna di loro. Tutte le uniformi presentate fino ad ora rientrano esclusivamente in queste due categorie;

 

Almeno altre due uniformi verranno presentate nel prossimi mesi da ciascuna squadra: una “Statement Edition” ispirata dagli atleti, e una “City Edition” che si rifà alle comunità locali. Otto di loro potranno anche contare su una quinta canotta, la “Classic Edition”, che andrà di fatto a rimpiazzare le vecchie Hardwood Classic;

 

Il modello utilizzato da Nike è unico per tutte e trenta le squadre, si chiama “Aeroswift” ed era già stato utilizzato come telaio per le recenti uniformi utilizzate da Team USA ai Giochi Olimpici di Rio 2016.

 


Lo scorso 31 maggio, senza alcun preavviso e a meno di ventiquattr’ore dalla prima palla a due delle Finals 2017, gli allora campioni in carica hanno colto tutti di sorpresa: con l’intera Lega che fissava nervosamente l’orologio in attesa del rematch contro i Golden State Warriors, i Cavaliers hanno smorzato la tensione presentando un set di loghi nuovo di zecca.

 



 

A partire dal prossimo ottobre, infatti, Cleveland vestirà una versione rivisitata del loro vecchio simbolo: via la palla a spicchi e spazio a un grande scudo nero, dove ampio risalto è riservato alla “C-Sword" e al rinnovato wordmark.

 



 

Il timing della presentazione non è stato del tutto casuale. Se il Global Logo e le altre icone sono elaborazioni piuttosto evidenti del marchio utilizzato in precedenza, l’introduzione prepotente del nero nello schema colori affonda le sue radici nelle Finals di dodici mesi prima. Quelle dell’ormai celebre “The Warriors blew a 3-1 lead”. È proprio con addosso la jersey nera con le maniche, infatti, che James e compagni hanno raccolto le due vittorie decisive in Gara-5 e Gara-7, stringendo con il nero un legame tanto indissolubile da indurli ad aggiungerlo ai già presenti vinaccia, oro e navy blue.

 


Un testimonial di una certa rilevanza.


 

Svelato il nuovo set di loghi e presentata la partnership con l’azienda di pneumatici Goodyear (fondata nella vicina Akron, una città che ha regalato un personaggio di un certo spessore alla franchigia), ai Cleveland Cavaliers non restava che alzare un ultimo sipario: quello che custodiva le canotte della stagione 2017-18.

 


Il risultato? Rivedibile.


 

Pur essendo composta da elementi che presi singolarmente non hanno grosse lacune, la visione d’insieme delle due edizioni presentate, Association e Icon, trasmette un senso di incompiutezza. Nulla di trascendentale, ma per una franchigia che ha sempre avuto uno tra i guardaroba più vari e completi della Lega le aspettative sono state parzialmente disattese.

 





 


Il più discusso e (a quanto pare) apprezzato tra i restyling porta la firma dei Minnesota Timberwolves.

 




 

Alla base del nuovo corso, un logo e uno schema colori completamente rinnovati, con la figura del lupo che da frontale diventa laterale, rivolta verso l’alto e inserita all’interno dell’ennesima forma circolare introdotta negli ultimi anni. Al suo interno la Stella del Nord, posizionata all’apice di una palla a spicchi che fa da sfondo al logo, mentre lo script Minnesota Timberwolves circonda il tutto, utilizzando un font disegnato appositamente in occasione del rebranding.

 


Il video con cui è stato presentato il nuovo brand, con l’aiuto di Slug, Prof e POS.


 

Una curiosità: ciascuno dei cinque colori del nuovo schema è stato battezzato con un nome che fa diretto riferimento al feeling freddo e notturno della franchigia — Midnight Blue, Aurora Green, Frost White, Moonlight Grey e Lake Blue.

 


Approvate all’unanimità.


 

A dispetto dello scambio che li ha visti ottenere Jimmy Butler dai Chicago Bulls e delle firme tra gli altri di Taj Gibson e Jeff Teague, la ciliegina sulla torta della off-season dei Timberwolves sono indiscutibilmente le nuove uniformi.

 


Lettering, design, integrazione dello sponsor: non un passaggio a vuoto.


 

Le bande orizzontali sono un elemento grafico che è molto raro trovare nella Lega: solo Utah Jazz e Washington Wizards ne hanno fatto uso nella storia recente della NBA. Un dato che da solo, forse, basta a giustificare l’ondata di positiva freschezza che ha accolto le edizioni Association e Icon dei Minnesota Timberwolves.

 




 

Ad impreziosire ulteriormente il lavoro, due cose: la splendida integrazione con il marchio Fitbit, partner dei Timberwolves all’interno dei nuovi orizzonti commerciali concessi dalla NBA; e l’utilizzo delle bande orizzontali anche sulla parte inferiore dei calzoncini, dove si staglia il nuovo logo della franchigia. Il sigillo della nuova era dei Minnesota Timberwolves.

 


Un secondo restyling, ampiamente annunciato, è quello che ha visto i Portland Trail Blazers varare un nuovo set di loghi e un rinnovato corredo di uniformi.

 


La pinwheel, versione 6.0.


 

Caso forse unico nel panorama professionistico Nordamericano, i Portland Trail Blazers hanno, per la sesta volta, rivisitato il proprio stemma senza snaturarlo e senza rinunciare al suo elemento principale: l’inconfondibile girandola.

 

Gli aggiustamenti apportati al nuovo Global Logo vedono i due gruppi di linee legati tra loro alla base da un tratto volto a rappresentare il lavoro di squadra; le estremità esterne tornano ad essere piatte, come nel logo utilizzato negli anni Settanta, mentre il rosso viene riportato nella metà superiore della pinwheel, come nel logo utilizzato negli anni Novanta.

 



 

Un trio di icone è stato affiancato al nuovo stemma, con due rivisitazioni del logo principale e l’immancabile script “Rip City”.

 





 

Cambiamenti minimi anche per quanto riguarda le due uniformi presentate, Association e Edition, con la novità più rilevante rappresentata dal rinnovo del font utilizzato per le grandi scritte frontali. La classica banda tricolore posta in diagonale è stata ridimensionata, ma mantenuta, mentre il logo Rip City fa capolino al centro della cintura dei calzoncini.

 


Tutt’altro che felice, invece, è stata la riuscita del rebranding dei Detroit Pistons, venuto alla luce a un anno dalle prime indiscrezioni e dichiaratamente figlio della fusione tra il logo utilizzato fino alla scorsa stagione e quello storico degli anni Ottanta.

 



Un pezzo da questo, un pezzo da quello: tutto chiaro, no?

 

Con premesse di questo tipo, le due uniformi svelate successivamente non potevano cerco risollevare la media dell’intero lavoro — anzi, se possibile, sono state l’ulteriore conferma della povertà del lavoro.

 


Seriously?

 

Unica nota positiva: il logo secondario posizionato sul bordo inferiore dei pantaloncini, con D e P che si incrociano.

 

Indiana Pacers
Applausi scroscianti. La reazione al rebranding presentato dagli Indiana Pacers è stata istintiva, immediata e soprattutto meritatissima.

 


Voto all’hashtag: 10.

 

Il tutto con poche semplici mosse: la promozione del vecchio logo secondario a Global Logo e la contemporanea introduzione di due nuove icone. Qui, tramite una serie di linee diagonali e regolari, sono richiamati i caratteristici campi coltivati dell’Indiana, sui quali ogni giorno si proiettano i raggi del sole mattutino.

 




Un elemento che fa da filo conduttore all’intero restyling.

 



 

Seconda mossa: innovare e stupire. Sia Association che Icon Edition vedranno i Pacers sfoggiare uno script frontale unico nella NBA, con il nome della franchigia che andrà a formare un cerchio attorno al numero del giocatore.

 



 

Terza mossa e ciliegina sulla torta: il nuovo parquet del Bankers Life Fieldhouse, dove la maggior parte dei nuovi elementi presentati dai Pacers fanno la loro comparsa. Le cornrows sullo sfondo, la State Icon e la grande, inconfondibile P al centro.

 

Prima di servire: condire il tutto con un hashtag unico e ad effetto come #WeGrowBasketballHere.

 

E il resto della Lega?
Non è certo rimasto a guardare.

 



 

Gli Oklahoma City Thunder, per esempio, ci tengono terribilmente a rimanere la franchigia peggio vestita della Lega. Mandate in soffitta sia la alternate arancione che l’inguardabile canotta con il wordmark verticale, le speranze sono ora riposte nelle due uniformi che ancora non sono state svelate.

 

Atlanta Hawks, Los Angeles Clippers, Milwaukee Bucks, Philadelphia 76ers, Toronto Raptors, Sacramento Kings e Utah Jazz sono le sette franchigie che nel 2015 e nel 2016 hanno presentato dei restyling completi in tutto e per tutto. Da loro, pertanto, era lecito non attendersi grandi rivelazioni.

 

Le cose migliori le hanno messe in mostra i Bucks, la cui partnership con Harley Davidson — storica casa motociclistica di Milwaukee — è semplicemente perfetta.

 







 

I Sixers hanno apportato lievi ma significative modifiche alle loro già splendide uniformi: una nuova profondità conferita alle grandi scritte frontali e un nuovo motto sul bordo inferiore delle canotte: brotherly love.

 

Altra categoria a se stante è quella delle uniformi classiche, talmente inserite nella cultura di una franchigia da essere impossibili da cambiare.

 



 

Di questa non possono non far parte i Boston Celtics, cui va un plauso per la splendida integrazione con la patch di General Electric.

 





 





 



 

I Los Angeles Lakers, che ad oggi sono gli unici ad aver presentato TRE uniformi: una Association bianca, una Icon gialla e una Statement viola.

 




 

A dir poco dimenticabili, più per la totale mancanza di novità che per l’effettiva bontà del prodotto, le uniformi presentate da Brooklyn Nets, Dallas Mavericks, Houston Rockets, Memphis Grizzlies, New Orleans Pelicans, San Antonio Spurs e Washington Wizards.

 

Promossi i Suns, che hanno sorpreso piacevolmente nonostante il loro corredo di uniformi fosse stato rinnovato solo tre anni fa. Approfittando dei festeggiamenti per il loro cinquantesimo anni in NBA, a Phoenix hanno proseguito sulla strada del minimalismo, senza per questo trascurare la cura del dettaglio.

 



 

Deluse, infine, le aspettative riposte nelle nuove uniformi degli Charlotte Hornets e dei Denver Nuggets.

 






 

I primi, gli unici per ovvie ragioni a portare sulla spalla destra il logo di Jordan Brand invece del baffo Nike, si sono limitati ai minimi aggiustamenti resi necessari dal cambio di fornitore, confermando in blocco loghi e uniformi presentate nel 2014 sulle quali l’azienda di His Airness aveva già avuto ampio potere decisionale.

 






 

I Nuggets, invece, dopo aver fatto comparire la loro adorata canotta anni Novanta durante la presentazione della firma più importante della loro estate, hanno smorzato gli entusiasmi con una coppia di completi anonimi e ampiamente al di sotto delle loro possibilità.

 

Questo quanto successo fino ad ora: molto, ma non tutto, anzi. Il livello di allerta resta altissimo.

 

 

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