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Marco D'Ottavi
Cosa pensare di Kyrie Irving ai Dallas Mavericks
07 feb 2023
07 feb 2023
Cosa aspettarsi dalla sua intesa con Luka Doncic.
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Marco D'Ottavi
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IMAGO / Icon Sportswire
(foto) IMAGO / Icon Sportswire
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Quando nella sera italiana di domenica 5 febbraio è uscita la notizia dello scambio che ha portato Kyrie Irving (e Markieff Morris) ai Dallas Mavericks in cambio di Spencer Dinwiddie, Dorian Finney-Smith, una prima scelta 2029 (non protetta) e diverse seconde scelte è stato difficile non sorprendersi. Irving aveva chiesto di essere scambiato neanche due giorni prima, dopo che già in estate era stato a lungo sul mercato. Se in estate, però, nessuna franchigia si era mossa a sufficienza per mettere in piedi uno scambio che soddisfacesse Brooklyn, a febbraio le cose sono evidentemente cambiate e per Brooklyn si è trattato di scegliere l'offerta più allettante. Dallas ha infatti dovuto battere la concorrenza dei Lakers (che erano considerati la destinazione più probabile, con LeBron che ha avuto una dura reazione quando ha saputo che Irving non sarebbe arrivato), Suns e Clippers per mettere insieme una coppia di guardie potenzialmente eccezionale. Doncic e Irving sono due giocatori di basket meravigliosi e la loro sola presenza in campo rende le partite dei Mavericks sicuramente più attraenti. Eppure c’è un rischio implicito nella mossa di Dallas: è raro vedere una squadra mettere insieme due “stelle” di questo livello, dove il più forte dei due è anche il più giovane, leader tecnico ed emotivo indiscusso della squadra, mentre l’altro è il veterano con una storia di cattivi rapporti con i più giovani (a Boston) e di cattivi rapporti con il resto del mondo in generale (a Brooklyn). Un rischio però fortemente voluto dal GM di Dallas Nico Harrison (che ha lavorato con Irving quando era alla Nike) e da Jason Kidd, tanto da inserire nello scambio il loro miglior difensore perimetrale Dorian Finney-Smith, il secondo miglior giocatore della squadra Spencer Dinwiddie (che stava avendo una stagione più che buona) e una prima scelta non protetta anche se lontana nel tempo. Non cedi un pacchetto del genere senza riflessioni a margine e senza aver parlato in maniera costruttiva con Irving.

Perché Dallas si è mossaIn ogni caso è interessante chiedersi perché Dallas abbia sentito l’urgenza di smuovere le acque della sua stagione in maniera così netta. Al momento la franchigia texana è quinta a ovest, in una classifica cortissima che vede un gruppone di dieci squadre distanziate da scarti minimi. Non una stagione negativa, quindi, ma è una stagione che sta mettendo in evidenza un evidente squilibrio: da una parte Luka Doncic, dall’altra tutti gli altri, che non avvicinano neppure lontanamente il suo talento offensivo. Lo sloveno in questa stagione ha un usage del 37.6%, appena dietro al solo Embiid in NBA. Nessuna squadra è tanto dipendente da un singolo giocatore e, quindi, paradossalmente, da tutti gli altri. Le partite in attacco di Dallas, infatti, possono essere divise in due gruppi: quelle contro le squadre che raddoppiano Doncic, e allora bisogna sperare che gli altri abbiano percentuali significative al tiro sui suoi scarichi, e quelle contro squadre che non raddoppiano Doncic, puntando sul fatto che nel finale di partita sarà troppo stanco per vincerla da solo. Gli altri giocatori del roster hanno molta difficoltà a crearsi un tiro per loro o per i compagni. Negli 11 minuti e spicci in cui Doncic siede in panchina lo scopo di Dallas è difendere il risultato, perché è certo che in attacco le cose saranno complicate (il suo ORPM, ovvero il differenziale reale in attacco tra quando è in campo Doncic e quando no, è di 7.26 su 100 possessi, il più alto della NBA dopo quello di Lillard).Eppure, nonostante tutto, nonostante la partenza di Brunson, nonostante Tim Hardaway Jr. non sia il 3&D che si pensava potesse essere, nonostante il secondo realizzatore della squadra sia Christian Wood, che fondamentalmente è in campo per finire i pick and roll con Doncic, nonostante Spencer Dinwiddie sia un buon giocatore ma non certo un fenomeno, l’attacco di Dallas è l’ottavo della Lega per offensive rating. Cioè fa meglio di ventidue altre squadre nonostante il livello medio offensivo non sia così alto e Kidd non è famoso per essere un allenatore che crea squadre capaci di segnare tanto.

I 60 punti segnati contro i Knicks.

Questo perché un attacco con Doncic è buono per destinazione, perché la sua capacità di vivisezionare una difesa avversaria e di punirla facendo la scelta giusta è già a livello dei migliori di sempre. Ma basta? In più occasioni in questa stagione Doncic ha lasciato intravedere forme più o meno evidenti di fastidio verso i compagni e la voce che volesse giocare con un’altra “stella” era sempre più insistente (anche se con Porzingis non è andata bene). La dirigenza di Dallas ha pensato, giustamente, che con lo stesso roster sarebbe stato difficile ottenere un risultato uguale o migliore alle finali di conference dello scorso anno e che quindi tanto valeva provare qualcosa di diverso, sia nella speranza di potersi infilare in un ovest senza padroni (l’infortunio di Curry, se serio, potrebbe ulteriormente aprire spazio alle sorprese) sia nel cercare di fare contento Luka Doncic, la cui permanenza a Dallas equivale a, più o meno, l’esistenza stessa della franchigia. Il fit tra i dueDallas ha scommesso quindi sulla capacità, quasi naturale, che hanno i giocatori come Doncic e Irving di trovare il loro ritmo, di far funzionare un attacco anche se sono due guardie che amano avere il pallone in mano. L’idea che “un pallone non basta” è abbastanza stantia nel basket contemporaneo e l’esperienza di Irving, Durant e Harden ne è una conferma (le cose a Brooklyn sono andate male non per litigi su chi dovesse avere il pallone in mano, al contrario nelle poche occasioni in cui hanno diviso il campo l’attacco filava meravigliosamente). Certo, nessuno catalizza i possessi come Doncic in NBA (lo sloveno tiene il pallone 9.8 minuti a partita, ben un minuto più di chiunque altro) e il suo rapporto con Brunson e Dinwiddie ha funzionato perché le gerarchie erano ben precise (ed accettate) e le due guardie avevano molto da guadagnare nel giocare in relazione con lo sloveno.Irving però ha un talento diverso dai due (più grande) e anche una personalità diversa. Lui e Doncic dovranno capire, nel corso della stagione regolare rimanente, come gestirsi e gestire l’attacco per funzionare al meglio ai playoff. Irving ha già diviso il campo con due compagni più forti, ma LeBron e Durant avevano bisogno di meno tocchi per essere incisivi, la loro efficienza era assoluta anche giocando lontano dalla palla. Con Doncic, per Irving, sarà un’esperienza diversa e sarà lui a doversi adattare. Certo, il suo arrivo permette a Kidd di abbassare l’usage dello sloveno, così da non ripetere quelle partite in cui nell’ultimo quarto era visibilmente spompato e inoltre l’allenatore di Dallas proverà a spalmarne i minuti in campo, così da avere almeno uno tra Doncic e Irving a guidare l’attacco per la maggior parte dei 48 minuti di una partita.

Nel caso voleste ripassare un po’ di quello che sa fare Irving, il cui declino nella considerazione di tutti ha più a che fare con quello che è fuori dal campo che non dentro.

È molto probabile che l’attacco di Dallas migliorerà. Irving in questa stagione sta segnando 27 punti di media, con un efficienza anche leggermente migliore del resto della sua carriera (solo un po’ meno preciso da 3 punti). Se l’aspetto più luminoso del suo gioco è nel modo fantasioso in cui sa finire al ferro, nel suo essere uno dei più dotati palleggiatori della NBA, è anche un tiratore piedi per terra di alto livello (quest’anno su 109 tiri in situazioni di spot up ha segnato col 60% di EFG) e chiunque sappia prendere un tiro con Doncic si trova bene. Inoltre Irving sa giocare lontano dalla palla, se ne ha voglia, e - soprattutto - può diventare letale nei giochi a due con Doncic anche da bloccante. Insomma, è facile immaginare che l’attacco di Dallas salirà di colpi, che la franchigia texana ha puntato prima di tutto a migliorare il suo pezzo forte, sperando che le cose non precipitino troppo in difesa. Perdere Dorian Finney-Smith è un brutto colpo in una squadra che già faticava in difesa (24° defensive rating). Josh Green dovrebbe prendere molti dei suoi minuti e, se in questa stagione ha mostrato miglioramenti evidenti (ieri notte, in assenza di Doncic, ha segnato 29 punti, massimo in carriera), non ha né l'esperienza né la taglia per difendere sul miglior giocatore avversario come faceva Finney-Smith. Se l’idea è quella di avere in campo, nei momenti che contano, Doncic, Irving e Wood in difesa saranno dolori. Provare a inserire Kleber nell’equazione non basterà di certo (anche se una small line up è forse la miglior ipotesi possibile al momento). Contro squadre che possono schierare Jokic e Murray, Sabonis e Fox, per non parlare di Clippers e Warriors, l’idea di “provare a fare un punto più dell’avversario” può funzionare? Lo scopriremo tra qualche mese, se non ci saranno problemi esterni a condizionare la stagione di Dallas. Il futuro per DallasQuella di Cuban sembra una prova. Senza l’ossessione di dover vincere già ora, ma con il bisogno di capire che squadra costruire intorno a Doncic per non perderlo in futuro, è sembrato sensato provare la strada Irving. La sua inaffidabilità è storica e nessuno può sapere se, da un momento all’altro, qualcosa andrà storto. In questa stagione il “momento Irving” sembra già passato - quando cioè con un tweet ha condiviso un documentario dalle teorie antisemite, rifiutando di toglierlo per giorni e venendo sospeso dai Nets. Non è detto però che non ne arrivino altri e qualcuno avrà già notato la convergenza tra gli interessi di Irving e quelli del Texas, paese conservatore per eccellenza e non certo avulso ai complotti (a Dallas è stato ucciso JFK, la matrice di tutti i complotti).

A Dallas sono fiduciosi che, almeno fino alla fine di questa stagione, Irving sarà un elemento ben inserito nella squadra, disposto a fare quello che serve per vincere, capace di relazionarsi con Doncic e gli altri compagni e non c’è niente che fa pensare che non sarà così. Ma possono essere lo stesso fiduciosi che in estate firmerà un nuovo contratto con loro? Irving non ha accettato l’estensione di due anni a 80 milioni di dollari perché vuole il massimo possibile per lui, ovvero un contratto di 4 anni per 198 milioni, quello che Brooklyn non gli ha concesso (e che ha portato alla rottura). Dallas ha qualche mese per valutare se Irving vale ancora quella cifra, soprattutto in relazione con Doncic. Per una franchigia che non è mai riuscita ad attirare stelle di prima grandezza se non a fine carriera (Kidd, che però aveva già giocato a Dallas a inizio carriera) o scegliendole al draft (Nowitzki, Doncic), trattenere Irving sarebbe sì un rischio, ma anche una possibilità. Irving ha 30 anni e, se integro (altro punto interrogativo) può garantire altri 4 anni su livelli simili agli attuali. Tuttavia con Irving queste certezze sono un castello di carta. Intuire le sue scelte è impossibile e non è detto che, al momento della firma, ne farà una controintuitiva, lasciando Dallas con un pugno di mosche in mano. A quel punto Doncic si troverebbe di nuovo da solo, con una squadra ancora più povera di talento e con uno spazio salariale che però è difficile da riempire. Attirare free-agent per il loro mercato è quasi impossibile e l’opzione più probabile sarebbe ripartire da zero, costruire intorno a Doncic una squadra fatta da lunghi che possono difendere al ferro ed esterni che sanno tirare da 3. Se basterà per trattenere lo sloveno è difficile dirlo. Doncic ha appena 23 anni ma le sue prestazioni dimostrano che è già pronto per guidare una squadra da titolo. Se Dallas non sarà in grado di dargliela, sarà lui a cercarla altrove.Ed è questa la speranza implicita dei Nets, che nello scambio hanno accettato una prima scelta di Dallas del 2029, ben consapevoli che il tempo passa e molte cose possono cambiare (due delle scelte che cedettero a Boston per prendere Garnett e Pierce sono poi diventate Tatum e Brown). Se Doncic non sarà a Dallas nel 2029, quella scelta diventa sicuramente intrigante. In ogni caso la volontà dei Nets di non scambiare Irving per soli asset futuribili, ma quella di ottenere in cambio due titolari come Dinwiddie e Finney-Smith, mostra la volontà di non smobilitare, di provare a trattenere Durant e dargli una squadra magari meno forte ma molto più solida (proprio quello che è mancato fin qui). Fino all’ultimo hanno provato a inserire Toronto nello scambio per arrivare a Fred Van Vleet (considerato un upgrade rispetto a Dinwiddie) e Pascal Siakam (forse inserendo Ben Simmons nello scambio, che però al momento non ha grande valore). Certo, questo scambio segna la fine del sogno di una delle più grandi squadre mai assemblate su carta. Ricostruire cosa è andato storto a Brooklyn è un compito più da romanziere che da giornalista. Durant, che ha già provato a farsi cedere in estate, è stranamente silenzioso. Le voci dicono che abbia accettato con serenità la partenza di Irving, ma nei prossimi quattro giorni tutto può succedere. Una sua cessione potrebbe cambiare totalmente lo scenario di questa stagione in NBA, ma intanto godiamoci quello che è davanti ai nostri occhi: Doncic e Irving insieme che cercano di fare canestro, comunque andrà a finire.

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