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La NBA è pronta alla nuova era delle scommesse sportive?
30 lug 2019
30 lug 2019
La lega di Adam Silver è determinata a legalizzare le scommesse e veder aumentare i propri ricavi, ma gli effetti collaterali potrebbero essere molto pericolosi.
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Nel marzo del 2009 il commissioner della NFL Roger Goodell scrisse una lettera, indirizzata al Governatore dello stato del Delaware Jake Markell, lamentandosi della volontà del politico di legalizzare le scommesse sulle partite di football nel proprio stato. «L’impatto negativo del gioco d’azzardo non può essere minimizzato all’interno di una comunità», sosteneva Goodell.In una testimonianza rilasciata al Congresso nel novembre del 2012, l’allora commissioner della MLB Bud Selig dichiarò che «dobbiamo combattere con tutte le forze per distruggere questo male, prima che esso distrugga il nostro sport». Anche qui, l’argomento in questione era la legalizzazione delle scommesse sportive.Quando nel marzo del 2011 l’allora Governatore dello stato del New Jersey, Chris Christie, propose ufficialmente di legalizzare le scommesse sportive nei casinò dello stato, l’ex commissioner della NBA David Stern ripeté per due volte di sentirsi «sconcertato e inorridito» dalla proposta di Christie.Fino a cinque anni fa era davvero difficile trovare qualcuno a favore della legalizzazione delle scommesse sportive all’interno delle leghe sportive americane. Oggi è impossibile il contrario. Con la decisione della Corte Suprema del maggio 2018, gli Stati Uniti hanno varato una nuova rotta per il proprio futuro: una rotta dove è consentito scommettere anche sugli eventi sportivi. Secondo una ricerca della compagnia di analisi di mercato Nielsen Company, già in questo momento le quattro leghe sportive americane (NBA, NFL, MLB, NHL) guadagno circa 4.23 miliardi di dollari l’anno dai ricavi prodotti dall’interazione con questa industria, in termini di introiti televisivi, pubblicitari, sponsor, vendita dei dati e del merchandising. E una volta che ogni stato sarà a norma, i guadagni dovrebbero salire fino a 400 miliardi di dollari all’anno, secondo la National Gambling Impact Study Commission. Una cifra talmente grande da far girare la testa ma forse anche adatta a spiegare il repentino cambiamento etico e ideologico. Ma come si è arrivati a questo punto? Provare a districare gli intrecci di questo tortuoso e complesso percorso può aiutarci a capire meglio quale sarà l’evoluzione dello sport americano, della NBA in particolare, e infine, anche della società in cui viviamo.Come siamo arrivati a questo puntoLa prima scintilla d’amore tra gli Stati Uniti e il gioco d’azzardo scoppiò nel 1931, quando lo stato del Nevada, nel tentativo di scongiurare l’imminente bancarotta, inaugurò il suo primo casinò. Non ci volle molto prima che Las Vegas iniziasse la sua ascesa vertiginosa, divenendo la mecca del delirio a stelle e strisce. Tra la fine degli anni ‘70 e la fine degli ’80 altri ne seguirono l’esempio, da Atlantic City (la Vegas della Est Coast) ai casinò indiani: realtà magari meno appariscenti, ma comunque in grado di amplificare ulteriormente la risonanza di un fenomeno che coinvolge sempre più persone. Quante? Secondo uno studio condotto nel 2004 dalla compagnia americana di analisi e consulenze Gallup Inc., almeno un terzo degli americani aveva messo piede in un casinò nel corso dell’ultimo anno e più della metà aveva giocato almeno una volta alla lotteria. Di questi, però, appena il 10% aveva scommesso su eventi sportivi. La spiegazione è molto semplice: anche volendo, non era consentito farlo. O meglio, non era consentito farlo ovunque.

Chris Christie, Governatore dello stato di New Jersey dal 2010 al 2018, è una della figure chiave per l’apertura alle scommesse legalizzate (Photo by Jeff Zelevansky/Getty Images).

Solo quattro stati, infatti, erano riusciti a mantenere l’indipendenza dal Professional and Amateur Sports Protection Act (PASPA), un provvedimento emanato nel 1992 sotto la presidenza George H.W. Bush che vietava la regolarizzazione (e conseguente tassazione) delle scommesse sportive: Delaware, Montana, Oregon e ovviamente il Nevada, il primo a offrirle legalmente dal 1949, nonché l’unico in cui fosse possibile scommettere anche su una singola partita. Questo fino al successo della causa di Christie nel New Jersey.Secondo l’ex Governatore del New Jersey, il PASPA andava abrogato in quanto violava il Decimo Emendamento della Costituzione Americana. La NCAA, affiancata dalle quattro leghe professionistiche, rispose nell’agosto del 2012 portando in tribunale la causa di Christie (caso Christie vs N.C.A.A.),ma col passare del tempo le posizioni di molti all’interno del mondo dello sport iniziarono a mutare, tanto che ben prima della storica decisione del 14 maggio il pensiero ideologico della NBA e delle altre leghe sportive era ben diverso, consce dell’opportunità economica che si andava configurando. La volontà della Corte Suprema di dare «piena libertà al Congresso nel regolare direttamente il processo o, in alternativa, di lasciare libero ogni stato di decidere per conto suo» non rappresenta, infatti, solo «una grande vittoria per tutti i milioni di americani che vogliono scommettere in sicurezza» come sostiene Geoff Freeman, Presidente e CEO della American Gambling Association (AGA), ma è anche una vittoria inestimabile per il matrimonio tra l’industria del gioco d’azzardo e gli sport statunitensi.Secondo le stime della AGA, infatti, ogni anno negli Stati Uniti vengono scommessi illegalmente qualcosa come 150 miliardi di dollari e i soli libri contabili dello stato del Nevada parlano di un incasso annuo di circa cinque miliardi di dollari grazie alle scommesse sportive. Neanche un mese dopo l’abolizione del PASPA, altri sette stati si sono messi a norma, cifra che dovrebbe arrivare a tredici nel prossimo autunno: è probabile che nel giro di cinque anni almeno 35 statisu 51 saranno operativi. Nel suo primo anno di attività, il New Jersey (il primo stato assieme al Delaware a raggiungere la totale legalità) è già riuscito a superare i ricavi mensili del Nevada (318.9 milioni contro 317.4) e non è difficile capire perché i ricavi dovrebbero salire fino alle cifre ipotizzate dalla National Gambling Impact Study Commission una volta che anche gli stati più grossi si saranno messi a norma.Giochi di potereSe si è arrivati a un così drastico cambiamento ideologico da parte delle leghe sportive è grazie agli sforzi compiuti dalla NBA dopo l’insediamento di Adam Silver come nuovo commissioner. Silver, infatti, è ritenuto uno dei personaggi fondamentali nell’apertura alle scommesse sportive legalizzate: già cinque mesi prima della decisione della Corte Suprema, la NBA aveva chiesto formalmente che si arrivasse a un disegno di legge nazionale che regolasse questo procedimento. Dan Spillane, un avvocato della NBA, aveva dichiarato che «dopo un lungo studio della questione, è arrivato il momento di adoperare un approccio diverso, che dia la possibilità ai nostri appassionati di poter scommettere in sicurezza e nel rispetto dell’integrità del gioco».Unendo le forze con la Major League Baseball, l’altra lega sportiva che più di tutte (e da più tempo) spinge verso questa possibilità, la NBA ha fornito dichiarazioni ufficiali, mandato dirigenti a testimoniare al Congresso e assunto alcune delle migliori compagnie di lobby per fare pressione al fine di far passare una legge di tiratura nazionale. Nel giro di poco tempo tutte le leghe professionistiche (più NCAA e PGA Tour) ne hanno seguito l’esempio, enfatizzando come fosse giunto il momento di sedersi al tavolo della trattativa e discutere la propria fetta della gigantesca torta di proventi.Questo ha generato delle frizioni, come sempre quando si parla di così tanti soldi. La richiesta iniziale della NBA è stata del 1% su ogni tipo di scommessa sulle partite riguardanti la propria competizione, oltre alla possibilità di espandere il più possibile l’accesso anche ai dispositivi mobili e digitali. Una royalty fee ritenuta oltraggiosa dalla AGA che non crede sia “onesto” «far passare direttamente i soldi dalle tasche degli scommettitori a quelle di una lega dal valore di miliardi di dollari». Lo scorso aprile NBA e MLB hanno chiesto a Spectrum Gaming Group (un’altra compagnia di consulenze) di calcolare quanti profitti genererebbe una parcella del solo 0.25%: i dati di Spectrum parlano di ricavi tra i sette e i nove miliardi annui, contando solamente i (circa) 20 stati dove le scommesse sportive sono già state legalizzate. Lo studio, inoltre, mostra come una forte unità tra le leghe non solo potrebbe aiutare a velocizzare il processo di una legislazione, ma potrebbe aiutare a far passare anche la “giusta” legislazione.

A differenza del suo predecessore, Adam Silver si è sempre dimostrato molto disponibile verso l’apertura al gioco d’azzardo (Photo by Steve Freeman/NBAE via Getty Images).

Argomento importante sia per le leghe che soprattutto per gli stati in questione, visto che per molti di essi questa rappresenta un’occasione di guadagno imperdibile: la pioggia di milioni che si vedrebbero riversare nelle proprie casse farebbe davvero comodo. Oggi nessuna delle leggi esistenti prevede questo genere di royalty, ma non è detto che le cose non cambino nel prossimo futuro (il Missouri ci sta pensando e potrebbe essere il primo). Riuscire a inserirlo anche in un singolo disegno di legge rappresenterebbe una vittoria di grande valore, che potrebbe gettare le basi per una legge nazionale.La trattativa per adesso si è arenata, ma solo pubblicamente. Se da una parte è vero che, come detto da Spillane nell’aprile del 2018, «non esisterebbero scommettitori senza di noi [inteso come NBA, ndr]», lo è altrettanto che prima o poi è certo che un accordo si troverà. Ci sono troppi soldi in ballo per non trovare dei compromessi che soddisfino tutti.Il crescente coinvolgimento della NBAPrima di prendere il posto di David Stern, Silver è stato per quasi dieci anni a capo del Dipartimento di Produzione e Programmazione Video della NBA e nei suoi frequenti viaggi all’estero, soprattutto in Europa, ha potuto notare come il gioco d’azzardo rappresentasse «una possibilità di crescita piuttosto ovvia». La sua lettera al New York Times del novembre 2014 (pochi mesi dopo essere divenuto commissioner) è considerata da molti il turning-point decisivo per il coinvolgimento di tutte le altre leghe.Una dichiarazione d’intenti che acquista ancora più valore nel momento in cui si considerano le tempistiche in cui è arrivata, ovvero il giorno dopo dell’ufficializzazione dell’accordoquadriennale con FanDuel, una piattaforma di giochi fantasy.La NBA, stando alle parole di Silver, voleva iniziare a «giocare la partita dall’interno invece che dall’esterno», iniziando appunto una collaborazione che le permettesse di iniziare a prendere confidenza con le piattaforme digitali, il futuro di questa industria (per le leghe sportive) dal momento che può aiutare a diminuire il mercato nero delle scommesse e i pericoli di corruzione. Per registrarsi ai siti di FanDuel e DraftKings (l’altra grossa piattaforma fantasy presente negli Stati Uniti) è necessaria la carta di credito e questo aiuta a tracciare i flussi delle giocate.

Una delle tantissime ricevitorie Draftkings presenti nei casinò di Las Vegas e in New Jersey. Tra non molto, sale del genere, potrebbero venir costruite anche all’interno delle arene o degli stadi.

Entrambe le compagnie si basano su un concetto molto semplice: dare la possibilità agli iscritti di creare leghe di fantasports attraverso una piccola quota d’ingresso, dove ognuno è libero di costruire la propria squadra come crede, cambiando i giocatori di giorno in giorno: migliori sono le prestazioni del singolo giocatore, maggiore sarà il guadagno di chi ha “scommesso” su di lui. Nonostante nel 2015 il Procuratore Generale dello stato di New York, Eric Schneiderman, avesse trovato del marcio, la crescita di entrambe è stata poderosa nel corso degli ultimi cinque anni. Nel 2017 DraftKings, tramite la partnership con un casinò del New Jersey, è divenuta la piattaforma fantasy a offrire anche scommesse sportive digitali, ricevendo da allora dalle 45.000 alle 55.000 scommesse singole ogni giorno, come dichiarato da Jason Robins, Presidente Esecutivo della compagnia. E questo nonostante le scommesse online non siano state ancora legalizzate in gran parte della nazione.Anche sul processo di digitalizzazione delle scommesse non mancano ovviamente le diatribe. Per quanto le leghe sportive spingano in questa direzione, i casinò non vedono di buon occhio la possibilità di poter giocare ovunque, anche al di fuori dalle proprie strutture. Il vero problema secondo Jeremy Kudon - uno dei principali lobbisti assunti da FanDuel e DraftKings - è che tutti sembrano volere «la fetta più grossa della torta, se non la torta stessa» e questo sta rallentando sia le trattative che il conseguente sviluppo.Tuttavia la volontà della NBA e delle altre leghe è molto chiara e le pressioni della NBA sul Congresso derivano soprattutto da questo, dalla volontà di mostrare come «una legge federale permetterebbe di generare profitti talmente grandi da fare contenti tutti, indipendentemente da come la si pensi» come dichiarato in un’intervista a Bloomberg lo scorso aprile da Bryan Seeley, Vice Presidente della MLB. Anche per Kudon la ricetta sarebbe molto semplice: «Incoraggiare le persone a utilizzare queste piattaforme e dare agli stati una percentuale sulle giocate online: in poco tempo il mercato nero si estinguerebbe».Ma la realtà è molto più complessa di così.World Sports Exchange e la forza del mercato neroPer quanto siano stati fatti passi in avanti significati, soprattutto dopo la decisione della Corte Suprema, il mercato nero continua ad avere un ruolo predominante nell’industria del gioco d’azzardo, soprattutto online. Se oggi esistono siti come FanDuel e DraftKings ― piuttosto che BetFair, Bet365, William Hill o quanti altri ve ne vengano in mente ― è grazie a World Sports Exchange (WSEX), universalmente riconosciuto come il padre delle scommesse digitali. La storia di WSEX è piuttosto lunga e incasinata da spiegare, piena di colpi di scena, personaggi assurdi e morti misteriose (il noto programma americano 60 Minutes gli ha dedicato una puntata, se vi interessa). Ma l’impatto che ha avuto sull’evoluzione del gioco d’azzardo è innegabile, con alcune visioni davvero pionieristiche ― ad esempio, WSEX è stato il primo a dare ai giocatori la possibilità di incassare una vincita ancora prima della fine della partita stessa.La sua ascesa negli Stati Uniti ha creato molte controversie. Dal momento che scommettere da telefono o da linea telefonica, quindi anche su Internet, è illegale dal 1961 (Interstate Wire Act) non è passato molto prima che qualcuno decidesse di intervenire. Nel 1998, dopo una battaglia giuridica durata due anni, un senatore dell’Arizona, Jon Kyl, riuscì a far condannare gran parte delle alte cariche della società e a far introdurre una specifica legislazione che vietasse qualsiasi forma di scommessa online o via telefono. La vittoria di Kyl, però, fu di poco conto, dal momento che ancora prima che Word Sports Exchange chiudesse i battenti nel 2013, centinaia di siti illegali erano nati e si apprestavano a controllare il mercato nero delle scommesse sportive. Ed è proprio grazie a queste società, quasi sempre offshore (la cui sede legale risiede in paesi come Lettonia e Costa Rica), se i numeri del gioco d’azzardo relativo alle scommesse sportive sono così impressionanti.Per quanto il governo cerchi ciclicamente di intervenire, gli intrecci politici ed economici che gravitano attorno a questa economia sono davvero troppo difficili da districare; nodi nei quali capita anche che siano coinvolte le leghe stesse, seppur indirettamente. L’esempio migliore per capire è probabilmente quello di Bodog.com, un’altra agenzia di scommesse online creata nel 2000 da Calvin Ayre con sede in Lettonia (appunto). Se volete un po’ di contesto vi basti sapere che Ayre nel 2012 è stato condannato per diversi reati federali e dal 2014 al 2017 è stato una delle persone in cima alla lista dei ricercati dal Dipartimento della Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti.Nel 2012 da una costola di Bodog.com nacque Bovada, un altro sito di scommesse online, che oggi è considerato il più grande e utilizzato in America. Bovada, per creare le proprie quote (soprattutto sulle scommesse definite in-game, ovvero nel corso di una partita) si avvale da anni dei dati forniti in tempo reale da Sportradar US, una filiale statunitense della stessa compagnia svizzera che da almeno quattro anni collabora con le principali leghe sportive americane, compresa la NBA. Perché è importante l’esempio di Bovada? Perché nonostante la ferrea volontà da parte della NBA di «dare solo agli operatori che operano in modo legale la possibilità di usufruire dei nostri dati» come dichiarato più volte in un’intervista rilasciata a Bloomberg da Scott Kaufman-Ross, Vice Presidente NBA per fantasy e gaming, il traffico di Bovada rimane ad oggi poco chiaro, con la società che è rimasta offshore (la sede legale è in Costa Rica) nonostante stia cercando di accordarsi con i parametri previsti dalle leggi per operare legalmente sul territorio americano. https://twitter.com/OddsShark/status/1146750075563118594

Su Bovada si poteva perfino scommettere su quale giornalista avrebbe annunciato la firma di Kawhi Leonard.

Le zone d’ombra della guerra alla corruzioneQuella con Sportradar è soltanto una delle collaborazioni strette dalla NBA nel corso degli ultimi cinque anni (cioè da quando Silver è divenuto commissioner) con aziende che raccolgono e gestiscono dati in tempo reale.Nel 2015, tramite l’unione con FanDuel, venne avviata una partnership con numberFire, una piccola azienda di analytics fondata da Nik Bonaddio (famoso negli Stati Uniti per aver vinto molti soldi a “Chi vuol essere milionario”) che ha un suo sito Internet dove poter scommettere. Accordi simili sono arrivati poi con Genius Sports Group, Perform (un’azienda londinese che tramite un app dal nome Watch & Bet consente anch’essa di scommettere) e, nel novembre del 2018, quella con Sportradar. Sempre nel 2015 si era parlato anche di BetCRIS, ma non si è mai arrivati a un accordo, probabilmente per via delle molteplici inchieste federali ai danni della compagnia offshore (la cui sede legale è talmente scontata che non vale neanche la pena scriverla).La prima ad aver stipulato un accordo con la società svizzero-americana è stata la NFL, che nell’aprile del 2015 comprò una grossa parte delle azioni divenendo co-proprietaria, ma anche la NBA si serve dei suoi servizi da prima dell’ufficializzazione del contratto. L’importanza di compagnie come Sportradar è molto semplice da spiegare e ha tre principali motivazioni. La prima riguarda l’aspetto televisivo, su cui torneremo meglio più avanti. La seconda è quella tecnico-economica: con sempre più persone che scommettono, e considerate le tante opzioni di scommesse anche “live” (che si basano su eventi di una durata anche brevissima, ad esempio: “Chi vincerà il primo quarto?”), avere dati aggiornati e puntuali non solo garantisce agli scommettitori una visuale migliore della situazione, ma impedisce ai bookmakers di compiere meno sbagli possibile (e quindi di perdere troppi soldi).Infine c’è l’aspetto etico, forse il più importante: con la legalizzazione delle scommesse sportive, aumenterà anche la probabilità di combine, corruzione e partite truccate?

L’arbitro NBA Tim Donaghy, divenuto famoso per aver ammesso di aver scommesso su alcune partite da lui arbitrate nel 2007. E' quello a sinistra. (Photo by Lisa Blumenfeld/Getty Images).

Per tutte le leghe sportive americane l’integrità è «la pietra angolare su cui si fonda il gioco stesso» come ricordato da Silver in una lettera a USA Today, ed è importante «fare qualsiasi cosa pur di proteggerla». È soprattutto per questo se per anni c’è stata una chiusura così netta nei confronti del gioco d’azzardo, ed è sempre per questo che, nel chiedere una percentuale sulle scommesse, la NBA non utilizza il termine royalty bensì integrity fee. Una tassa di integrità, appunto, che permetta alle organizzazioni di prevenire e impedire futuri scandali. Per quanto ne esistano meno rispetto alla realtà europea, anche gli sport americani hanno avuto a che fare con casi di corruzione: basti pensare ai Black Sox, o a Pete Rose, sempre nel baseball, fino al più recente caso di Tim Donaghy, l’arbitro NBA che confessò nel 2007 di aver scommesso su alcune partite arbitrate da lui. Per questo motivo la NBA e le altre leghe tengono talmente tanto a questi accordi che il Presidente Esecutivo di Sportradar, Carsten Koerl, è convinto che il valore dell’azienda (attualmente stimato intorno ai 2.4 miliardi di dollari) si quintuplicherà nel corso dei prossimi tre anni.Tramite l’avvocato Spillane, la NBA ha fatto sapere di non volersi accontentare di un controllo in tempo reale dei dati e del flusso di denaro, ma di voler anche tenere molto basse le possibili vincite per alcune delle giocate nel corso delle partite (con ogni probabilità le più semplici); inoltre, la NBA sta cercando di «costruire una vera e propria rete che agisca da anti-virus nel caso qualcuno cercasse di forzare il sistema» come dichiarato a ESPN dal portavoce della NBA Michael Bass. Ad oggi è difficile capire quanto la NBA, come le altre leghe, riusciranno a raggiungere i propri obiettivi: estirpare il mercato nero rischia di essere un’operazione dai tempi lunghissimi, e forse neanche realisticamente perseguibile. Intervistato da ESPN, Daniel Wallach, un avvocato della Florida specializzato in casi di gioco d’azzardo, sostiene che «riuscire a beneficiare sia dai proventi derivati dal mercato dei dati sia da quello delle scommesse, e al tempo stesso proteggere la propria integrità da possibili zone d’ombra o scandali si rivelerà un gioco di incastri per il quale quale sarà molto difficile trovare il giusto bilanciamento».La rivoluzione sarà anche televisivaPoter collaborare con aziende come Sportradar o piattaforme come DraftKings e FanDuel non fa gola solo alla NBA. Molte squadre della NFL e della MLB hanno accordi privati con i siti fantasy, mentre dall’ottobre 2015 anche Mark Cuban (proprietario dei Dallas Mavericks), Ted Leonsis (Washington Wizards) e Michael Jordan (Charlotte Hornets) possiedono quote di Sportradar. Proprio Leonsis, che tra l’altro possiede anche una parte di DraftKings, può esserci utile per capire quanto siano intrecciati i rapporti tra sport, business e gioco d’azzardo, anche perché è da anni uno dei personaggi cruciali nella campagna alla legalizzazione delle scommesse sportive. Grazie ai suoi viaggi nel Regno Unito, il proprietario degli Wizards e dei Capitals della NHL è stato uno dei primi a riconoscere il potenziale di quello che lui stesso definisce «un fenomeno di consumo, come Starbucks o DOMINO», che una volta regolato legalmente darà grossi benefici per tutti, «creando posti di lavoro e generando molte più tasse».Lo scorso dicembre Washington, D.C. è diventata la prima giurisdizione degli Stati Uniti senza casinò sul proprio territorio a legalizzare le scommesse sportive e Leonis ha già fatto sapere di voler creare un’area all’interno della Capital One Arena (casa degli Wizards e dei Capitals) in cui i tifosi possono scommettere sulle partite già dalla prossima stagione ― affidandosi a un’agenzia esterna, per ovvi motivi di conflitti di interessi. Anche i Redskins della NFL dovrebbero essere

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