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La NBA è pronta alla nuova era delle scommesse sportive?
30 lug 2019
30 lug 2019
La lega di Adam Silver è determinata a legalizzare le scommesse e veder aumentare i propri ricavi, ma gli effetti collaterali potrebbero essere molto pericolosi.
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Nel marzo del 2009 il commissioner della NFL Roger Goodell scrisse una lettera, indirizzata al Governatore dello stato del Delaware Jake Markell, lamentandosi della volontà del politico di legalizzare le scommesse sulle partite di football nel proprio stato. «L’impatto negativo del gioco d’azzardo non può essere minimizzato all’interno di una comunità», sosteneva Goodell.

In una testimonianza rilasciata al Congresso nel novembre del 2012, l’allora commissioner della MLB Bud Selig dichiarò che «dobbiamo combattere con tutte le forze per distruggere questo male, prima che esso distrugga il nostro sport». Anche qui, l’argomento in questione era la legalizzazione delle scommesse sportive.

Quando nel marzo del 2011 l’allora Governatore dello stato del New Jersey, Chris Christie, propose ufficialmente di legalizzare le scommesse sportive nei casinò dello stato, l’ex commissioner della NBA David Stern ripeté per due volte di sentirsi «sconcertato e inorridito» dalla proposta di Christie.

Fino a cinque anni fa era davvero difficile trovare qualcuno a favore della legalizzazione delle scommesse sportive all’interno delle leghe sportive americane. Oggi è impossibile il contrario. Con la decisione della Corte Suprema del maggio 2018, gli Stati Uniti hanno varato una nuova rotta per il proprio futuro: una rotta dove è consentito scommettere anche sugli eventi sportivi. Secondo una ricerca della compagnia di analisi di mercato Nielsen Company, già in questo momento le quattro leghe sportive americane (NBA, NFL, MLB, NHL) guadagno circa 4.23 miliardi di dollari l’anno dai ricavi prodotti dall’interazione con questa industria, in termini di introiti televisivi, pubblicitari, sponsor, vendita dei dati e del merchandising. E una volta che ogni stato sarà a norma, i guadagni dovrebbero salire fino a 400 miliardi di dollari all’anno, secondo la National Gambling Impact Study Commission. Una cifra talmente grande da far girare la testa ma forse anche adatta a spiegare il repentino cambiamento etico e ideologico. Ma come si è arrivati a questo punto? Provare a districare gli intrecci di questo tortuoso e complesso percorso può aiutarci a capire meglio quale sarà l’evoluzione dello sport americano, della NBA in particolare, e infine, anche della società in cui viviamo.

Come siamo arrivati a questo punto

La prima scintilla d’amore tra gli Stati Uniti e il gioco d’azzardo scoppiò nel 1931, quando lo stato del Nevada, nel tentativo di scongiurare l’imminente bancarotta, inaugurò il suo primo casinò. Non ci volle molto prima che Las Vegas iniziasse la sua ascesa vertiginosa, divenendo la mecca del delirio a stelle e strisce. Tra la fine degli anni ‘70 e la fine degli ’80 altri ne seguirono l’esempio, da Atlantic City (la Vegas della Est Coast) ai casinò indiani: realtà magari meno appariscenti, ma comunque in grado di amplificare ulteriormente la risonanza di un fenomeno che coinvolge sempre più persone. Quante? Secondo uno studio condotto nel 2004 dalla compagnia americana di analisi e consulenze Gallup Inc., almeno un terzo degli americani aveva messo piede in un casinò nel corso dell’ultimo anno e più della metà aveva giocato almeno una volta alla lotteria. Di questi, però, appena il 10% aveva scommesso su eventi sportivi. La spiegazione è molto semplice: anche volendo, non era consentito farlo. O meglio, non era consentito farlo ovunque.

Chris Christie, Governatore dello stato di New Jersey dal 2010 al 2018, è una della figure chiave per l’apertura alle scommesse legalizzate (Photo by Jeff Zelevansky/Getty Images).

Solo quattro stati, infatti, erano riusciti a mantenere l’indipendenza dal Professional and Amateur Sports Protection Act (PASPA), un provvedimento emanato nel 1992 sotto la presidenza George H.W. Bush che vietava la regolarizzazione (e conseguente tassazione) delle scommesse sportive: Delaware, Montana, Oregon e ovviamente il Nevada, il primo a offrirle legalmente dal 1949, nonché l’unico in cui fosse possibile scommettere anche su una singola partita. Questo fino al successo della causa di Christie nel New Jersey.

Secondo l’ex Governatore del New Jersey, il PASPA andava abrogato in quanto violava il Decimo Emendamento della Costituzione Americana. La NCAA, affiancata dalle quattro leghe professionistiche, rispose nell’agosto del 2012 portando in tribunale la causa di Christie (caso Christie vs N.C.A.A.), ma col passare del tempo le posizioni di molti all’interno del mondo dello sport iniziarono a mutare, tanto che ben prima della storica decisione del 14 maggio il pensiero ideologico della NBA e delle altre leghe sportive era ben diverso, consce dell’opportunità economica che si andava configurando. La volontà della Corte Suprema di dare «piena libertà al Congresso nel regolare direttamente il processo o, in alternativa, di lasciare libero ogni stato di decidere per conto suo» non rappresenta, infatti, solo «una grande vittoria per tutti i milioni di americani che vogliono scommettere in sicurezza» come sostiene Geoff Freeman, Presidente e CEO della American Gambling Association (AGA), ma è anche una vittoria inestimabile per il matrimonio tra l’industria del gioco d’azzardo e gli sport statunitensi.

Secondo le stime della AGA, infatti, ogni anno negli Stati Uniti vengono scommessi illegalmente qualcosa come 150 miliardi di dollari e i soli libri contabili dello stato del Nevada parlano di un incasso annuo di circa cinque miliardi di dollari grazie alle scommesse sportive. Neanche un mese dopo l’abolizione del PASPA, altri sette stati si sono messi a norma, cifra che dovrebbe arrivare a tredici nel prossimo autunno: è probabile che nel giro di cinque anni almeno 35 stati su 51 saranno operativi. Nel suo primo anno di attività, il New Jersey (il primo stato assieme al Delaware a raggiungere la totale legalità) è già riuscito a superare i ricavi mensili del Nevada (318.9 milioni contro 317.4) e non è difficile capire perché i ricavi dovrebbero salire fino alle cifre ipotizzate dalla National Gambling Impact Study Commission una volta che anche gli stati più grossi si saranno messi a norma.

Giochi di potere

Se si è arrivati a un così drastico cambiamento ideologico da parte delle leghe sportive è grazie agli sforzi compiuti dalla NBA dopo l’insediamento di Adam Silver come nuovo commissioner. Silver, infatti, è ritenuto uno dei personaggi fondamentali nell’apertura alle scommesse sportive legalizzate: già cinque mesi prima della decisione della Corte Suprema, la NBA aveva chiesto formalmente che si arrivasse a un disegno di legge nazionale che regolasse questo procedimento. Dan Spillane, un avvocato della NBA, aveva dichiarato che «dopo un lungo studio della questione, è arrivato il momento di adoperare un approccio diverso, che dia la possibilità ai nostri appassionati di poter scommettere in sicurezza e nel rispetto dell’integrità del gioco».

Unendo le forze con la Major League Baseball, l’altra lega sportiva che più di tutte (e da più tempo) spinge verso questa possibilità, la NBA ha fornito dichiarazioni ufficiali, mandato dirigenti a testimoniare al Congresso e assunto alcune delle migliori compagnie di lobby per fare pressione al fine di far passare una legge di tiratura nazionale. Nel giro di poco tempo tutte le leghe professionistiche (più NCAA e PGA Tour) ne hanno seguito l’esempio, enfatizzando come fosse giunto il momento di sedersi al tavolo della trattativa e discutere la propria fetta della gigantesca torta di proventi.

Questo ha generato delle frizioni, come sempre quando si parla di così tanti soldi.

La richiesta iniziale della NBA è stata del 1% su ogni tipo di scommessa sulle partite riguardanti la propria competizione, oltre alla possibilità di espandere il più possibile l’accesso anche ai dispositivi mobili e digitali. Una royalty fee ritenuta oltraggiosa dalla AGA che non crede sia “onesto” «far passare direttamente i soldi dalle tasche degli scommettitori a quelle di una lega dal valore di miliardi di dollari». Lo scorso aprile NBA e MLB hanno chiesto a Spectrum Gaming Group (un’altra compagnia di consulenze) di calcolare quanti profitti genererebbe una parcella del solo 0.25%: i dati di Spectrum parlano di ricavi tra i sette e i nove miliardi annui, contando solamente i (circa) 20 stati dove le scommesse sportive sono già state legalizzate. Lo studio, inoltre, mostra come una forte unità tra le leghe non solo potrebbe aiutare a velocizzare il processo di una legislazione, ma potrebbe aiutare a far passare anche la “giusta” legislazione.

A differenza del suo predecessore, Adam Silver si è sempre dimostrato molto disponibile verso l’apertura al gioco d’azzardo (Photo by Steve Freeman/NBAE via Getty Images).

Argomento importante sia per le leghe che soprattutto per gli stati in questione, visto che per molti di essi questa rappresenta un’occasione di guadagno imperdibile: la pioggia di milioni che si vedrebbero riversare nelle proprie casse farebbe davvero comodo. Oggi nessuna delle leggi esistenti prevede questo genere di royalty, ma non è detto che le cose non cambino nel prossimo futuro (il Missouri ci sta pensando e potrebbe essere il primo). Riuscire a inserirlo anche in un singolo disegno di legge rappresenterebbe una vittoria di grande valore, che potrebbe gettare le basi per una legge nazionale.

La trattativa per adesso si è arenata, ma solo pubblicamente. Se da una parte è vero che, come detto da Spillane nell’aprile del 2018, «non esisterebbero scommettitori senza di noi [inteso come NBA, ndr]», lo è altrettanto che prima o poi è certo che un accordo si troverà. Ci sono troppi soldi in ballo per non trovare dei compromessi che soddisfino tutti.

Il crescente coinvolgimento della NBA

Prima di prendere il posto di David Stern, Silver è stato per quasi dieci anni a capo del Dipartimento di Produzione e Programmazione Video della NBA e nei suoi frequenti viaggi all’estero, soprattutto in Europa, ha potuto notare come il gioco d’azzardo rappresentasse «una possibilità di crescita piuttosto ovvia». La sua lettera al New York Times del novembre 2014 (pochi mesi dopo essere divenuto commissioner) è considerata da molti il turning-point decisivo per il coinvolgimento di tutte le altre leghe.

Una dichiarazione d’intenti che acquista ancora più valore nel momento in cui si considerano le tempistiche in cui è arrivata, ovvero il giorno dopo dell’ufficializzazione dell’accordo quadriennale con FanDuel, una piattaforma di giochi fantasy.

La NBA, stando alle parole di Silver, voleva iniziare a «giocare la partita dall’interno invece che dall’esterno», iniziando appunto una collaborazione che le permettesse di iniziare a prendere confidenza con le piattaforme digitali, il futuro di questa industria (per le leghe sportive) dal momento che può aiutare a diminuire il mercato nero delle scommesse e i pericoli di corruzione. Per registrarsi ai siti di FanDuel e DraftKings (l’altra grossa piattaforma fantasy presente negli Stati Uniti) è necessaria la carta di credito e questo aiuta a tracciare i flussi delle giocate.

Una delle tantissime ricevitorie Draftkings presenti nei casinò di Las Vegas e in New Jersey. Tra non molto, sale del genere, potrebbero venir costruite anche all’interno delle arene o degli stadi.

Entrambe le compagnie si basano su un concetto molto semplice: dare la possibilità agli iscritti di creare leghe di fantasports attraverso una piccola quota d’ingresso, dove ognuno è libero di costruire la propria squadra come crede, cambiando i giocatori di giorno in giorno: migliori sono le prestazioni del singolo giocatore, maggiore sarà il guadagno di chi ha “scommesso” su di lui. Nonostante nel 2015 il Procuratore Generale dello stato di New York, Eric Schneiderman, avesse trovato del marcio, la crescita di entrambe è stata poderosa nel corso degli ultimi cinque anni. Nel 2017 DraftKings, tramite la partnership con un casinò del New Jersey, è divenuta la piattaforma fantasy a offrire anche scommesse sportive digitali, ricevendo da allora dalle 45.000 alle 55.000 scommesse singole ogni giorno, come dichiarato da Jason Robins, Presidente Esecutivo della compagnia. E questo nonostante le scommesse online non siano state ancora legalizzate in gran parte della nazione.

Anche sul processo di digitalizzazione delle scommesse non mancano ovviamente le diatribe. Per quanto le leghe sportive spingano in questa direzione, i casinò non vedono di buon occhio la possibilità di poter giocare ovunque, anche al di fuori dalle proprie strutture. Il vero problema secondo Jeremy Kudon - uno dei principali lobbisti assunti da FanDuel e DraftKings - è che tutti sembrano volere «la fetta più grossa della torta, se non la torta stessa» e questo sta rallentando sia le trattative che il conseguente sviluppo.

Tuttavia la volontà della NBA e delle altre leghe è molto chiara e le pressioni della NBA sul Congresso derivano soprattutto da questo, dalla volontà di mostrare come «una legge federale permetterebbe di generare profitti talmente grandi da fare contenti tutti, indipendentemente da come la si pensi» come dichiarato in un’intervista a Bloomberg lo scorso aprile da Bryan Seeley, Vice Presidente della MLB. Anche per Kudon la ricetta sarebbe molto semplice: «Incoraggiare le persone a utilizzare queste piattaforme e dare agli stati una percentuale sulle giocate online: in poco tempo il mercato nero si estinguerebbe».

Ma la realtà è molto più complessa di così.

World Sports Exchange e la forza del mercato nero

Per quanto siano stati fatti passi in avanti significati, soprattutto dopo la decisione della Corte Suprema, il mercato nero continua ad avere un ruolo predominante nell’industria del gioco d’azzardo, soprattutto online. Se oggi esistono siti come FanDuel e DraftKings ― piuttosto che BetFair, Bet365, William Hill o quanti altri ve ne vengano in mente ― è grazie a World Sports Exchange (WSEX), universalmente riconosciuto come il padre delle scommesse digitali. La storia di WSEX è piuttosto lunga e incasinata da spiegare, piena di colpi di scena, personaggi assurdi e morti misteriose (il noto programma americano 60 Minutes gli ha dedicato una puntata, se vi interessa). Ma l’impatto che ha avuto sull’evoluzione del gioco d’azzardo è innegabile, con alcune visioni davvero pionieristiche ― ad esempio, WSEX è stato il primo a dare ai giocatori la possibilità di incassare una vincita ancora prima della fine della partita stessa.

La sua ascesa negli Stati Uniti ha creato molte controversie. Dal momento che scommettere da telefono o da linea telefonica, quindi anche su Internet, è illegale dal 1961 (Interstate Wire Act) non è passato molto prima che qualcuno decidesse di intervenire. Nel 1998, dopo una battaglia giuridica durata due anni, un senatore dell’Arizona, Jon Kyl, riuscì a far condannare gran parte delle alte cariche della società e a far introdurre una specifica legislazione che vietasse qualsiasi forma di scommessa online o via telefono. La vittoria di Kyl, però, fu di poco conto, dal momento che ancora prima che Word Sports Exchange chiudesse i battenti nel 2013, centinaia di siti illegali erano nati e si apprestavano a controllare il mercato nero delle scommesse sportive. Ed è proprio grazie a queste società, quasi sempre offshore (la cui sede legale risiede in paesi come Lettonia e Costa Rica), se i numeri del gioco d’azzardo relativo alle scommesse sportive sono così impressionanti.

Per quanto il governo cerchi ciclicamente di intervenire, gli intrecci politici ed economici che gravitano attorno a questa economia sono davvero troppo difficili da districare; nodi nei quali capita anche che siano coinvolte le leghe stesse, seppur indirettamente. L’esempio migliore per capire è probabilmente quello di Bodog.com, un’altra agenzia di scommesse online creata nel 2000 da Calvin Ayre con sede in Lettonia (appunto). Se volete un po’ di contesto vi basti sapere che Ayre nel 2012 è stato condannato per diversi reati federali e dal 2014 al 2017 è stato una delle persone in cima alla lista dei ricercati dal Dipartimento della Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti.

Nel 2012 da una costola di Bodog.com nacque Bovada, un altro sito di scommesse online, che oggi è considerato il più grande e utilizzato in America. Bovada, per creare le proprie quote (soprattutto sulle scommesse definite in-game, ovvero nel corso di una partita) si avvale da anni dei dati forniti in tempo reale da Sportradar US, una filiale statunitense della stessa compagnia svizzera che da almeno quattro anni collabora con le principali leghe sportive americane, compresa la NBA. Perché è importante l’esempio di Bovada? Perché nonostante la ferrea volontà da parte della NBA di «dare solo agli operatori che operano in modo legale la possibilità di usufruire dei nostri dati» come dichiarato più volte in un’intervista rilasciata a Bloomberg da Scott Kaufman-Ross, Vice Presidente NBA per fantasy e gaming, il traffico di Bovada rimane ad oggi poco chiaro, con la società che è rimasta offshore (la sede legale è in Costa Rica) nonostante stia cercando di accordarsi con i parametri previsti dalle leggi per operare legalmente sul territorio americano.

https://twitter.com/OddsShark/status/1146750075563118594

Su Bovada si poteva perfino scommettere su quale giornalista avrebbe annunciato la firma di Kawhi Leonard.

Le zone d’ombra della guerra alla corruzione

Quella con Sportradar è soltanto una delle collaborazioni strette dalla NBA nel corso degli ultimi cinque anni (cioè da quando Silver è divenuto commissioner) con aziende che raccolgono e gestiscono dati in tempo reale.

Nel 2015, tramite l’unione con FanDuel, venne avviata una partnership con numberFire, una piccola azienda di analytics fondata da Nik Bonaddio (famoso negli Stati Uniti per aver vinto molti soldi a “Chi vuol essere milionario”) che ha un suo sito Internet dove poter scommettere. Accordi simili sono arrivati poi con Genius Sports Group, Perform (un’azienda londinese che tramite un app dal nome Watch & Bet consente anch’essa di scommettere) e, nel novembre del 2018, quella con Sportradar. Sempre nel 2015 si era parlato anche di BetCRIS, ma non si è mai arrivati a un accordo, probabilmente per via delle molteplici inchieste federali ai danni della compagnia offshore (la cui sede legale è talmente scontata che non vale neanche la pena scriverla).

La prima ad aver stipulato un accordo con la società svizzero-americana è stata la NFL, che nell’aprile del 2015 comprò una grossa parte delle azioni divenendo co-proprietaria, ma anche la NBA si serve dei suoi servizi da prima dell’ufficializzazione del contratto. L’importanza di compagnie come Sportradar è molto semplice da spiegare e ha tre principali motivazioni. La prima riguarda l’aspetto televisivo, su cui torneremo meglio più avanti. La seconda è quella tecnico-economica: con sempre più persone che scommettono, e considerate le tante opzioni di scommesse anche “live” (che si basano su eventi di una durata anche brevissima, ad esempio: “Chi vincerà il primo quarto?”), avere dati aggiornati e puntuali non solo garantisce agli scommettitori una visuale migliore della situazione, ma impedisce ai bookmakers di compiere meno sbagli possibile (e quindi di perdere troppi soldi).

Infine c’è l’aspetto etico, forse il più importante: con la legalizzazione delle scommesse sportive, aumenterà anche la probabilità di combine, corruzione e partite truccate?

L’arbitro NBA Tim Donaghy, divenuto famoso per aver ammesso di aver scommesso su alcune partite da lui arbitrate nel 2007. E' quello a sinistra. (Photo by Lisa Blumenfeld/Getty Images).

Per tutte le leghe sportive americane l’integrità è «la pietra angolare su cui si fonda il gioco stesso» come ricordato da Silver in una lettera a USA Today, ed è importante «fare qualsiasi cosa pur di proteggerla». È soprattutto per questo se per anni c’è stata una chiusura così netta nei confronti del gioco d’azzardo, ed è sempre per questo che, nel chiedere una percentuale sulle scommesse, la NBA non utilizza il termine royalty bensì integrity fee. Una tassa di integrità, appunto, che permetta alle organizzazioni di prevenire e impedire futuri scandali.

Per quanto ne esistano meno rispetto alla realtà europea, anche gli sport americani hanno avuto a che fare con casi di corruzione: basti pensare ai Black Sox, o a Pete Rose, sempre nel baseball, fino al più recente caso di Tim Donaghy, l’arbitro NBA che confessò nel 2007 di aver scommesso su alcune partite arbitrate da lui. Per questo motivo la NBA e le altre leghe tengono talmente tanto a questi accordi che il Presidente Esecutivo di Sportradar, Carsten Koerl, è convinto che il valore dell’azienda (attualmente stimato intorno ai 2.4 miliardi di dollari) si quintuplicherà nel corso dei prossimi tre anni.

Tramite l’avvocato Spillane, la NBA ha fatto sapere di non volersi accontentare di un controllo in tempo reale dei dati e del flusso di denaro, ma di voler anche tenere molto basse le possibili vincite per alcune delle giocate nel corso delle partite (con ogni probabilità le più semplici); inoltre, la NBA sta cercando di «costruire una vera e propria rete che agisca da anti-virus nel caso qualcuno cercasse di forzare il sistema» come dichiarato a ESPN dal portavoce della NBA Michael Bass.

Ad oggi è difficile capire quanto la NBA, come le altre leghe, riusciranno a raggiungere i propri obiettivi: estirpare il mercato nero rischia di essere un’operazione dai tempi lunghissimi, e forse neanche realisticamente perseguibile. Intervistato da ESPN, Daniel Wallach, un avvocato della Florida specializzato in casi di gioco d’azzardo, sostiene che «riuscire a beneficiare sia dai proventi derivati dal mercato dei dati sia da quello delle scommesse, e al tempo stesso proteggere la propria integrità da possibili zone d’ombra o scandali si rivelerà un gioco di incastri per il quale quale sarà molto difficile trovare il giusto bilanciamento».

La rivoluzione sarà anche televisiva

Poter collaborare con aziende come Sportradar o piattaforme come DraftKings e FanDuel non fa gola solo alla NBA. Molte squadre della NFL e della MLB hanno accordi privati con i siti fantasy, mentre dall’ottobre 2015 anche Mark Cuban (proprietario dei Dallas Mavericks), Ted Leonsis (Washington Wizards) e Michael Jordan (Charlotte Hornets) possiedono quote di Sportradar. Proprio Leonsis, che tra l’altro possiede anche una parte di DraftKings, può esserci utile per capire quanto siano intrecciati i rapporti tra sport, business e gioco d’azzardo, anche perché è da anni uno dei personaggi cruciali nella campagna alla legalizzazione delle scommesse sportive. Grazie ai suoi viaggi nel Regno Unito, il proprietario degli Wizards e dei Capitals della NHL è stato uno dei primi a riconoscere il potenziale di quello che lui stesso definisce «un fenomeno di consumo, come Starbucks o DOMINO», che una volta regolato legalmente darà grossi benefici per tutti, «creando posti di lavoro e generando molte più tasse».

Lo scorso dicembre Washington, D.C. è diventata la prima giurisdizione degli Stati Uniti senza casinò sul proprio territorio a legalizzare le scommesse sportive e Leonis ha già fatto sapere di voler creare un’area all’interno della Capital One Arena (casa degli Wizards e dei Capitals) in cui i tifosi possono scommettere sulle partite già dalla prossima stagione ― affidandosi a un’agenzia esterna, per ovvi motivi di conflitti di interessi. Anche i Redskins della NFL dovrebbero essere pronti a offrire un servizio simile dall’inizio della prossima stagione e pure altre franchigie di altri stati ci stanno pensando ― tra cui i Cubs della MLB.

Nel corso dell’ultima stagione, la stazione televisiva NBC Sports Washington (di proprietà per un terzo dello stesso Leonsis) ha trasmesso otto partite degli Wizards in cui i tifosi potevano scommettere in tempo reale stando seduti davanti alla propria televisione grazie all'app Predict the Game. La prima è stata la partita casalinga contro i Milwaukee Bucks dello scorso 11 gennaio e i risultati sono stati talmente positivi (considerando anche che Giannis Antetokounmpo non era in campo quella sera) che nei prossimi anni molte più partite avranno cornici di questo genere.

Preparatevi a comprare dei televisori più grandi. Magari con i soldi che vincete scommettendo.

Quando nell’ottobre del 2014 la NBA annunciò il nuovo accordo televisivo dal valore di 24 miliardi di dollari per nove anni (poi esteso fino al 2025) Leonsis, in qualità di Presidente della commissione della NBA che negoziò l’accordo, aveva già intuito che quello sarebbe stato un picco difficilmente superabile dall’industria dei media, a meno di trovare nuove fonti di guadagno. A suo modo di vedere la NBA doveva iniziare le ricerche per una «nuova pentola d’oro» da cui attingere in futuro: aprire al gioco d’azzardo legalizzato. Secondo uno studio condotto da Nielsen Sports e commissionato dalla AGA, uno spettatore che scommette è due volte più interessato di uno che non lo fa e questo finisce per aumentare i dati di ascolto o le visite ai siti e tutto il resto del circo mediatico. Con molte più persone disposte (e autorizzate) a scommettere sugli eventi sportivi, il mondo dei media è destinato a cambiare ― e lo sta già facendo, visto il plateau raggiunto di recente.

Solo negli ultimi dodici mesi sono nati Daily Wager (ESPN), Lock It In (Fox Sport 1), More Ways to Win (TVG/FanDuel) e altri programmi minori, sempre incentrati sulle scommesse. Trasmissioni pre e post-partite diversamente curate, articoli e approfondimenti sempre più mirati al betting, programmi e canali dedicati, strisce di testo all’interno delle partite con domande come “Chi segnerà il primo canestro del secondo quarto? Chi colpirà il primo home-run? Chi il primo field goal?” diventeranno punti fissi dei palinsesti editoriali. Qualsiasi cosa per rendere il più accattivante possibile l’offerta per lo scommettitore e aumentare i propri dati di ascolto.

Per quanto il mondo delle analytics sia considerato in espansione già in questo momento, il suo valore è destinato a crescere sempre di più. La NBA regala già ai propri consumatori la possibilità di guardare le partite con statistiche in tempo reale che compaiono in sovraimpressione, e perfino uno sport storicamente restio a progredire nel campo dell'analisi statistica come l’hockey sta pensando di introdurre un chip all’interno del puck per calcolare meglio le prestazioni dei giocatori. «Ricevo mail da lui (Leonsis, ndr) quasi ogni giorno: è un visionario per quanto riguarda le nostre possibilità future» sostiene il commissioner della NHL Gary Bettman.

Nel corso degli ultimi cinque anni la figura di Ted Leonsis si è espansa a macchia d’olio sopra la NBA e le altre leghe sportive americane (Photo by Ned Dishman/NBAE via Getty Images).

Ma i progetti di Leonsis non finiscono qui. Il suo interesse verso gli eSports (è membro di aXiomatic, un gruppo di investimento che controlla Team Liquid, una delle compagnie di gaming più famose al mondo) e i giochi virtuali va di pari passo con quello della NBA ― che, a proposito, ha annunciato l’introduzione di un proprio virtual game su cui poter scommettere (NBA Last 90) dalla prossima stagione. Da qualche anno sta anche pensando a come riportare in auge la Arena Football League, una lega di football americano a otto giocatori della quale possiede già due franchigie (su sei), che a suo modo di vedere è perfetta per sposarsi con gli introiti del gioco d’azzardo legalizzato. La sua importanza all’interno del binomio sport-scommesse diventa ogni giorno sempre più forte: la sua visione è quella di creare «un ecosistema in cui tutti possono beneficiare: proprietari, sponsor e giocatori», come lo definisce Peter Guber, co-proprietario sia dei Los Angeles Dodgers che dei Golden State Warriors, nonché membro di aXiomatic.

Sponsorizzazioni (e altri soldi)

L’ultima carta la NBA l’ha scoperta lo scorso settembre, annunciando di aver trovato un accordo con MGM, il gigante dei casinò di Las Vegas, diventando la prima lega sportiva americana con un’agenzia di scommesse come proprio gaming partner ufficiale. Le cifre dell’accordo sono relativamente basse, 25 milioni per tre anni (anche se non sono del tutto “veritiere” visto che grazie alle connessioni con agenzie come Sportradar, che forniscono i dati ai casinò, i guadagni indiretti poi saranno molto più grandi), ma ci permettono di chiudere il cerchio in maniera ottimale, dal momento che queste agenzie di scommesse tendono a re-investire molto nelle televisioni e nelle sponsorizzazioni.

Molte squadre hanno già accordi o proprietari che gestiscono e hanno quote in alcuni casinò (l’arena dei Phoenix Suns prende il nome dal Talking Stick Resort, un casinò dell’Arizona) quindi è evidente che i soldi, di fatto, arrivassero seppur indirettamente già in precedenza; ma sono destinate a incrementare ancora. La svolta definitiva potrebbe arrivare grazie alle sponsorship sulle canotte e anche in questo caso la NBA ha guardato ai “cugini” del Regno Unito, dove quasi due terzi delle squadre hanno già i nomi delle agenzie di scommesse stampate sulle maglie. Per capire quanto potrebbero produrre, in termini di guadagno, affiliazioni del genere possiamo prendere il caso di Bet365 come termine di paragone.

Bet365 produce quasi tre miliardi di dollari di ricavi ogni anno nel Regno Unito, una zona con poco più di 66 milioni di abitanti. Di questi soldi, ne reinveste circa il 30% nello sport (tra sponsor, pubblicità, spazi televisivi ed editoriali). Cosa potrebbe fare potendo operare legalmente in tutti gli Stati Uniti, una nazione da oltre 320 milioni di abitanti? Anche qui, non c’è bisogno di prendere la calcolatrice per capire cosa significhi in termini di guadagno per la NBA ― Bet365 che, tra l’altro, nel caso dello Stoke City (attualmente militante nella serie B inglese) ha fornito i soldi anche per rimettere a nuovo lo stadio. Uno scenario che potrebbe interessare anche la NBA e le altre leghe nel prossimo futuro.

I clamorosi ricavi che potrebbero entrare dalle sponsorizzazioni sono una grande notizia anche per i giocatori, visto che ogni contratto firmato dalla lega finisce nei Basketball-Related Income (BRI) e dev’essere ripartito grossomodo a metà con loro. «Non possiamo permettere di essere tagliati fuori dal discorso» hanno dichiarato in una dichiarazione congiunta tutte e quattro le associazioni dei giocatori (NBAPA, NFLPA, MLBPA, NHLPA), sottolineando come fosse giunto il momento «di capire non solo i profitti ma anche i costi». A ognuno la sua parte, insomma.

L’Unione è stata abile nell’ inserire nell’ultimo contratto collettivo (firmato nel 2016) che anche i guadagni derivanti dalla possibile apertura alle scommesse sportive venissero spartiti con i giocatori attraverso il BRI e gli effetti, forse, si sono visti in questa stagione. Per quanto la NBA non abbia rilasciato alcun comunicato, infatti, non è difficile ipotizzare come l’incremento di sette milioni di dollari del Salary Cap rispetto alla stagione 2018 sia dovuto, in parte, anche ai maggiori profitti derivanti dalle scommesse legali.

Tony Clark, il Presidente dell’Associazione Giocatori della MLB, ha definito la decisione della Corte Suprema una «vittoria monumentale» ma è difficile capire quanto cambieranno realmente le cose in futuro. Le leghe vorrebbero evitare repentini aumenti del tetto salariale, soprattutto la NBA (ricordate cos’è successo nell’estate del 2016, vero?) e, inoltre, con l’attenzione rivolta sempre più a valorizzare i consumatori, anche le politiche sugli infortuni o i load-management (altro argomento di estrema attualità in NBA) diventano tema cruciale, con la NBA che cercherà di amplificare ulteriormente la propria trasparenza sulle condizioni dei giocatori, anche non a ridosso delle partite, per fornire quante più informazioni possibili ai propri fan-scommettitori.

Con le squadre sempre più attente a non rischiare la salute dei giocatori, riuscire ad avere dei report medici accurati sarà vitale per il binomio con le scommesse legali (Photo by Kevork Djansezian/Getty Images).

Quello che è certo è che anche per i giocatori si sta entrando in una nuova era, così come per le persone comuni. Perché, in definitiva, se la legalizzazione delle scommesse sportive arriverà davvero a produrre un giro d’affari del valore di 400 miliardi di dollari, lo si deve quasi esclusivamente al crescente interesse nei confronti di questo fenomeno da parte delle persone comuni. Ma il mondo del gioco d’azzardo è maturo abbastanza da tollerare questa espansione?

April Sadness

Parlando con alcuni economisti dello stato dell’Alabama, Jack Evans, un membro del Consiglio del District of Columbia, ha le idee molto chiare. «Volete risanare i debiti dello stato? Legalizzate le scommesse sportive e fate scommettere la gente su Alabama-Auburn. Una sola partita: farete miliardi!».

Quella di Evans è tutt’altro che una provocazione. Alabama-Auburn è una delle classiche della stagione di College Football, una religione in tanti stati del sud degli Stati Uniti. Più in generale, in tutti gli USA, gli sport universitari sono seguitissimi, e di conseguenza quelli su cui si scommette maggiormente. Prendiamo per esempio solamente l’ultimo Torneo NCAA di basket dello scorso marzo: stando a quanto dice l’AGA, circa 50 milioni di persone hanno piazzato almeno una scommessa, per un totale di 8.5 miliardi di ricavi netti. Rispetto all’ultima edizione del Super Bowl (l’altro evento sportivo che raccoglie il maggior numero di persone e scommesse) si tratta di un incremento di giocate del 40% (!) e questo nonostante i pochi stati dove si può già scommettere legalmente. Da dicembre a marzo, con tutte le finali delle stagioni di football e basket collegiale, il numero di scommettitori cresce sempre di più, con l’euforia che poi, una volta arrivato aprile, cala pericolosamente.

«Molti pensano alla March Madness, ma a me preoccupa molto di più la April Sadness» dice a ESPN, Victor Ortiz, Direttore del Massachusetts Council on Compulsive Gamblers. Negli Stati Uniti giocare d’azzardo è una pratica sempre più comune e accettata socialmente ― «una grossa parte della nostra cultura» la definisce Sara Slane, Vice Presidente di AGA ― talmente grande che spesso non ci se ne rende neanche conto. «Le persone che compilano i bracket della propria chiesa non credono di star scommettendo, ma è proprio quello che fanno» afferma Ted Leonis. In molti stanno già iniziando a pensare a quanto saranno gravi gli effetti collaterali. Della serie: che scommettere crei dipendenza è talmente ovvio che non vale la pena ricordarlo, ma forse è bene farlo ugualmente.

«Stiamo andando incontro a un vulcano di problemi di questo tipo» ha dichiarato a USA Today il Direttore Esecutivo del Council for Compulsive Gambling, Arnie Wexler, sostenendo che «legalizzare le scommesse sportive farà avvicinare al gioco anche quelli che prima se ne disinteressavano perché riluttanti a convivere con l’illegalità della cosa». Howard Shaffer, Dottore e Professore ad Harvard nonché uno dei massimi esperti in materia negli Stati Uniti, intervistato da ESPN afferma che «molti di quelli che oggi sono vergini potrebbero presto diventare affetti da questa grave malattia». Ma la situazione è davvero così grave?

Secondo la North American Foundation for Gambling Addiction Help, circa il 2.6% degli americani soffre di dipendenza da gioco d’azzardo, una cifra che è rimasta piuttosto stabile negli ultimi venticinque anni (pur rimanendo sempre piuttosto grande). Nel 2019 si conta siano state piazzate tra le tre e le cinque milioni di giocate in più rispetto a dieci anni fa, ma negli ultimi cinque anni in stati come Nevada o Delaware (ovvero quelli in cui le scommesse sportive sono consentite da più tempo) solamente il 2% delle persone che hanno chiamato le linee d’aiuto è stato ritenuto gravemente malato. Un dato singolare, dal momento che, stando al National Council of Problem Gambling, soltanto l’1% dei giocatori compulsivi accetta di farsi curare. Che in molti evadano il problema? Alcuni studi condotti in Arizona e Iowa affermano che il 97% dei malati riesce a diminuire drasticamente se curato per tempo: forse sarebbe il caso di interessarsi al problema più da vicino e rifare i conti.

In tutto questo una cosa è certa: i costi amministrativi sono destinati a salire. Nel 2017 gli Stati Uniti spendevano circa 7 miliardi di dollari per problemi inerenti e relativi al gioco d’azzardo (health care, lotta alla criminalità e centri di recupero), una cifra «destinata a duplicarsi entro i prossimi cinque anni» secondo Keith Whyte, Direttore del National Council of Problem Gambling. Per tutta risposta, la AGA ha fatto sapere di voler stanziare 300 milioni di dollari destinati ai programmi di ricerca, alla prevenzione e alla cura dei malati da gioco d’azzardo. Cifra che andrà a sommarsi ai circa 71 milioni che ogni anno lo stato mette sul piatto per la creazione di linee telefoniche di aiuto, consulenze e campagne promozionali per il gioco responsabile. Ma è uno sforzo sufficiente? Anche se arrotondiamo parecchio in eccesso (diciamo sui 500 milioni) sarebbero comunque appena il 0,3% del totale dei ricavi generati nell’ultimo anno (150 miliardi), una cifra che per Whyte è «di gran lunga insufficiente».

In una società moderna in cui i giocatori professionisti vengono adorati come miti pagani e dove l’euforia del tutto-e-subito è un’arma molto pericolosa, occorre prendere il problema seriamente. Personaggi come Bill Krackomberg, Captain Jack o il leggendario Billy Walters ― un altro la cui vita assomiglia troppo a quella di un personaggio di un romanzo per essere vera ― sono visti come innovatori o pionieri o più semplicemente diventano celebrità, come nel caso di James Holzhauer e della sua storica striscia di successi a Jeopardy, il famoso programma americano di gioco a premi condotto da Alex Trebek.

Persino Bill Simmons, creatore di Grantland e The Ringer, nonché una delle persone più famose dell’editoria sportiva americana, non ha mai nascosto la sua passione per il gioco d’azzardo. Per quanto al giorno d’oggi il mestiere dello scommettitore professionista sia una professione sempre più difficile da praticare, siamo sicuri che questi personaggi rappresentino esempi positivi? Ovviamente non c’è niente di male nell’essere preparati, o intelligenti, o anche nell’avere tanti soldi e volerli spendere come uno crede: ma su una scala più ampia, quanto dannosa può essere un’epica di questo genere? E allo stesso tempo, siamo sicuri che tutto questo c’entri qualcosa con la legalizzazione delle scommesse sportive, una pratica che esiste da oltre 30 anni?

Di sicuro le leghe sportive devono prepararsi per quella che si prospetta come una nuova era globale, una nuova via che aprirà a un mondo di cui ancora conosciamo poco e del quale, per il momento, possiamo tracciare appena i confini. Siamo pronti per la più grande rivoluzione che lo sport americano abbia mai vissuto nella propria storia?

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