Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Il ritorno del Grit & Grind
05 dic 2018
05 dic 2018
Come Marc Gasol e Mike Conley hanno ridato vita e speranza ai Memphis Grizzlies, con una grossa mano del rookie Jaren Jackson Jr.
(di)
(copertina)
Joe Murphy/Getty Images
(copertina) Joe Murphy/Getty Images
Dark mode
(ON)

I Memphis Grizzlies non dovrebbero essere dove li ritroviamo oggi. Solamente un anno fa la dirigenza aveva deciso di terminare bruscamente il rapporto con coach David Fizdale dopo che quest’ultimo era entrato in conflitto con Marc Gasol, arrendendosi alla tragicità della stagione e anticipando gli interventi chirurgici cui Mike Conley doveva sottoporsi. Decisioni che hanno riportato la squadra nei meandri del tanking, cosa che non la toccava da tempo immemore, dato che l’ultima volta aveva portato addirittura all’idea del trasferimento dell’intera franchigia - uno spauracchio che aleggia sopra Memphis ormai da anni.

I Grizzlies sono usciti dal tanking con la quarta scelta al Draft che si è trasformata in Jaren Jackson Jr., il più giovane giocatore della classe 2018 e quindi - si presumeva - un progetto a lungo termine. In estate sono arrivati rinforzi ben poco altisonanti: Kyle Anderson era reduce da una stagione da rincalzo di Kawhi Leonard a San Antonio; Garrett Temple una delle poche note positive dei Sacramento Kings; e Shelvin Mack era poco più di un journeyman. In pratica ci si chiedeva se i Grizzlies avrebbero iniziato a mettere sul mercato prima Conley o prima Gasol e iniziare la ricostruzione a pieno titolo. Anche la ricerca dell’allenatore si era subito fermata con la conferma di J.B. Bickerstaff, che precedentemente era uno dei vice di Fizdale.

Invece i risultati di questo primo quarto di stagione sono ancora dalla loro parte: Gasol e soci sono in piena corsa per i playoff ad Ovest (in cui tutte le squadre che non hanno un sole come simbolo sono iscritte) e assieme agli L.A. Clippers rappresentano la vera sorpresa di questo inizio stagione.

Come giocano i Grizzlies?

Guardare i Grizzlies, nonostante il loro record vincente, non è qualcosa di particolarmente entusiasmante. Il loro attacco è asfittico, non solo per una squadra vincente, ma proprio a tutto tondo: le soluzioni proposte a metà campo per il momento sfruttano il momento di grazia al tiro di Gasol (sopra al 40% da 3 in stagione) che quando riceve palla nel pop dopo un blocco apre leggermente le spaziature, che altrimenti restano sigillate.

Il loro quintetto formato da Conley, Gasol, MarShon Brooks, Kyle Anderson e Garrett Temple, ovvero quello usato non appena Jaren Jackson incorre nei suoi prevedibili problemi di falli, ha un necrotico rating offensivo da 93.8 punti segnati per 100 possessi. Vale a dire 10 punti segnati in meno di Suns e Kings, i due peggiori attacchi della passata stagione, o per chi ne ha un po’ più memoria, peggio dei Cleveland Cavaliers della stagione 2002-03 che vinsero 17 partite sperando di tankare per mettere le mani su LeBron James, dando carta libera a Ricky Davis di tirare tutto ciò che gli passasse per le mani.

La cosa sbalorditiva è che questo quintetto, come molti altri usati da Memphis in questa stagione, sebbene abbia un attacco rivoltante, ha comunque un Net Rating positivo, dato da una difesa comunque eccellente che concede agli avversari 93 punti per 100 possessi. Al momento i Grizzlies hanno la terza difesa della lega, un po’ anche aiutati dalla fortuna delle percentuali avversarie che sono andate peggio di quanto fosse prevedibile, ma soprattutto perché sono una squadra estremamente diligente in difesa senza davvero dei buchi difensivi in nessuna parte del roster.

I Grizzlies concedono forse troppi tiri vicino a canestro, sebbene siano estremamente abili a difenderli, ma negano in ogni modo possibile qualunque tiro dalla lunga distanza. Memphis è inoltre fenomenale a congelare il portatore di palla sulla linea laterale del campo (i singhiozzi che state sentendo sono quelli di Tom Thibodeau che si commuove per i suoi tempi che non sono ancora morti del tutto), mentre Jaren Jackson Jr. o Kyle Anderson con le loro braccia chilometriche vanno a presidiare le linee di passaggio, costringendo l’attacco avversario a ristagnare nel nulla.

Tutti i giocatori inoltre sono estremamente attenti nelle rotazioni difensive e sanno come coprire le spalle del compagno, come in un caleidoscopio dove le forme sembrano roteare e trasformarsi per apparire diverse. Come un giocatore esce per un recupero difensivo, immediatamente altri due si muovono per andare a scalare l’uno sul marcatore del compagno successivo, e il portatore del closeout innesca poi un’altra rotazione di scambi con gli altri per tornare a difendere in modo sensato con marcature adeguate senza concedere mismatch. La difesa di Memphis è una macchina dalle calibrazioni esemplari: certo, non si tratta di un prodotto facilmente vendibile dalle televisioni, ma se vi sforzate di cercare questo genere di bellezza una partita dei Grizzlies non vi può lasciare a bocca asciutta, come peraltro è tradizione della squadra nell’era Grit & Grind.

Nella NBA odierna, che sembra alle prese di un risorgimento degli attacchi, Memphis sta risultando vincente con uno dei peggiori dieci attacchi. Mentre il resto della lega sembra impegnato a schiacciare il pedale dell’acceleratore con più forza possibile, i Grizzlies sembrano andare alla metà della velocità degli altri, risultando ultimissimi con distacco per pace, con oltre 10 possessi in meno giocati a partita rispetto agli Atlanta Hawks che sono i leader di questa sorta di Rat Race con il pallone da basket. I tempi sono ovviamente cambiati per tutti: i Grizzlies stanno tentando e segnando più triple che nel resto della storia della loro franchigia, anche se sono comunque solamente nella media di questa NBA nell’uso e nella realizzazione dei tiri dalla distanza. Memphis sta giocando come se la squadra di cinque anni fa, quella di Zach Randolph e Tony Allen, non fosse mai invecchiata ma si fosse semplicemente adattata ai tempi moderni. Molti dei meriti vanno quindi a coach Bickerstaff, che è stato capace di mantenere ciò che di buono era stato fatto negli ultimi anni invece di avventurarsi in una rivoluzione non necessaria o seguire la moda del momento senza avere le risorse tecniche per farlo.

La ballata di Marc Gasol e Mike Conley

La stagione deludente dell’anno scorso fu senz’altro causata da uno stato di salute generale grossomodo catastrofico, ma i successi ottenuti finora non sono certo legati ad un miglioramento da questo punto di vista. Oltre a Chandler Parsons, che è in infermeria in maniera continuata e professionale dall’istante in cui ha firmato a 94 milioni un contratto quadriennale, anche Dillon Brooks e JaMychal Green, ovvero i due giocatori rivelazione delle passate due stagioni, sono rimasti fermi ai box per qualche periodo.

Perfino Omri Casspi si è iscritto al Darwin Award infortunandosi per aver effettuato una Shammgod.

Tuttavia è ben più importante lo stato di salute dei due giocatori franchigia dei Memphis Grizzlies: Mike Conley e Marc Gasol.

Nelle prime partite della stagione le cose per Conley sembravano improvvisamente molto più difficili del solito: il ritorno dall’infortunio era stato complicato da una forma fisica non più ottimale e da una vena realizzativa da ritrovare. Dopo le prime dieci gare le percentuali di Conley erano un gelido 36% dal campo e un tremendo 28% da tre punti, cifre assolutamente ingiustificate per un giocatore del suo status. Conley è comunque un giocatore estremamente intelligente e la sua difesa aiuta a sopperire nei periodi in cui la sua ispirazione offensiva sembra latitare. A differenza di molte altre stelle in avanti con gli anni, Conley riesce a ritagliarsi un ruolo da comprimario anche a partita in corso o per poche partite, mettendosi a servizio della squadra e concentrando i suoi sforzi nella propria metà campo.

Nelle ultime settimane tuttavia le gambe sembrano stare molto meglio: alcune accelerazioni in campo sembrano quelle dei bei tempi e anche le percentuali dal campo sono tornate a rifiorire. Nelle ultime dieci partite la point guard ex Ohio State viaggia a 24 punti e 8 assist di media con il 46% dal campo e il 39% da 3, cifre molto più simili alle sue corde che se mantenute potrebbero finalmente fargli guadagnare la prima convocazione all’All-Star Game o comunque giustificare il più grande contratto della storia con cui Memphis si è legata a lui. In sostanza, per far capire la differenza: Conley che scarica il pallone e si mette nella posizione migliore per aiutare i compagni è un ottimo giocatore; Conley che controlla il ritmo e in un secondo batte il marcatore andando al ferro con due palleggi è uno dei migliori feticci da League Pass.

La partita che ci ha restituito il Conley dei vecchi tempi è quella del 14 novembre, quando ha segnato 11 dei suoi 26 punti nel quarto periodo per sigillare una vittoria corsara sul campo dei Milwaukee Bucks. Poi è seguita la prestazione da 37 sul campo dei Brooklyn Nets.

Per Gasol invece questa sembra la sua miglior stagione delle ultime cinque, almeno dal punto di vista fisico. Dopo una notevole riduzione del proprio peso corporeo l’ormai 33enne catalano sembra tornato quello che ha vinto il premio di Difensore dell’Anno nel 2013 , lavorando da primo terminale offensivo e da coordinatore difensivo sia nei quintetti più lunghi che, nella soluzione che sta rendendo maggiori dividendi, quando divide il campo con Conley e altre tre ali. La cosa che più di tutte ha inciso nel gioco dei Grizzlies, rendendo il loro attacco quantomeno presentabile, è un imprevedibile 44% da tre punti (che mitiga le percentuali non esaltanti nel resto del campo), cambiando completamente le spaziature in attacco. Gasol era già di per sé un creatore in punta favoloso, e vedere una difesa costretta ad uscire forte sul blocco per negargli il tiro apre nuove linee di passaggio che fino a ieri, semplicemente, non esistevano. Per Cleaning The Glass la differenza di Marc Gasol quando è in campo rispetto a quando riposa è quella di due squadre separate da 34 vittorie in stagione - la stessa, ad esempio, che l’anno scorso c’era tra gli Atlanta Hawks e i Golden State Warriors.

Tuttavia l’impatto di Gasol da solo non è sufficiente a garantire un successo di squadra, nonostante vederlo pilotare solo con la voce il posizionamento degli altri quattro giocatori in difesa sia una cosa che in NBA sanno fare solo una manciata di giocatori. Le fortune dei Grizzlies dipendono da quello che Gasol e Conley fanno in campo assieme: siamo ormai al decimo anno consecutivo in cui Memphis ha un Net Rating migliore degli avversari quando le loro due stelle sono in campo nello stesso momento: più tempo questi due riusciranno a stare in campo, maggiori saranno le possibilità di rivedere i playoff in Tennessee

Jaren Jackson che fa cose

Il frutto del tanking dei Memphis Grizzlies è il rookie uscito da Michigan State che si è fatto provare più pronto di quanto fosse normale aspettarsi. JJJ è un lungo moderno, con una apertura di braccia infinita, che non ha la minima esitazione a tirare in sospensione da dietro l’arco o cambiare sui piccoli per contenere le loro penetrazioni muovendosi agilmente in difesa.

La sola presenza di JJJ ha reso facile la vita a Gasol in attacco, dove il rookie è stato istruito a giocare a specchio rispetto al catalano, quasi come nella scena di Peter Pan che insegue la sua ombra. Se Gasol si posiziona in post basso, JJJ va a spaziare in punta o a portare il blocco a Conley; se Gasol va a giocare il pick and roll, è JJJ a sgusciare dalle retrovie per prendere la palla in post e segnare in maniera efficiente (sebbene le movenze siano ancora tutte da costruire). I risultati in sospensione non sono ancora sufficienti per gridare all’unicorno, ma le movenze sono fluide e sembra impossibile che le percentuali e l’efficacia del suo gioco non migliori nel corso della sua carriera.

Forse la miglior macchina di stoppate uscita dal Draft dai tempi di Anthony Davis.

La ciliegina sulla torta è stata la sua capacità di riuscire, come detto precedentemente, a contrastare i giocatori avversari sui cambi, rendendolo fin da subito in grado di difendere assieme a Marc invece che essere costretto a fargli da ricambio. I Grizzlies soffocano gli avversari concedendo a malapena 94 punti per 100 possessi quando JJJ e Gasol sono in campo assieme, e questi numeri uniti al loro record di squadra hanno di fatto catapultato JJJ al secondo posto virtuale nella lotta al Rookie dell’Anno alle spalle di Luka Doncic.

Non è comunque tutto oro quello che luccica: i minuti di JJJ, più che meritati per le sue prestazioni, sono stati giocoforza dovuti a causa del fatto che, al momento, è l’unico vero 4 presente a roster. La sua abilità in difesa si basa molto sulla sua verticalità e la capacità di stoppare qualsiasi cosa in qualunque lato del campo, ma la velocità di esecuzione e il tempismo sono completamente da resettare rispetto a quelli cui era abituato al college. Al momento i suoi momenti di dominio difensivo sono regolarmente interrotti dai periodi in cui commette fallo su qualunque cosa si muova, viaggiando a quasi 6 falli commessi per 36 minuti. I Grizzlies inoltre diventano improvvisamente degli orsacchiotti di peluche quando JJJ viene schierato da unico lungo in campo, anche se questi numeri sono influenzati dal fatto che molti di questi minuti sono anche quelli in cui Conley riposa. In ogni caso il potenziale di Jackson è innegabile e ci sono ottime possibilità che in futuro possa diventare il miglior lungo di questo Draft - e considerata la quantità di ottimi prospetti usciti quest’anno, non sembra un riconoscimento da poco.

La scalata di Memphis ai playoff non è comunque garantita per il resto della stagione: le percentuali degli avversari tenderanno a normalizzarsi e non è realistico che Garret Temple, Shelvin Mack e Marc Gasol siano improvvisamente la nuova versione dei Golden State Warriors quando tirano dalla lunga distanza. In ogni caso non ci sono posti garantiti per nessuno in questa Western Conference ultra competitiva, e sebbene Memphis non parta coi favori del pronostico, le carte in regola per continuare a sorprendere ci sono: a meno di crolli improvvisi, dovrebbero restare una delle squadre che si giocherà la post season fino a metà aprile.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura