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Redazione basket
NBA Preview 2015: Costruire per il futuro
21 ott 2015
21 ott 2015
Puntata 1 di 4 in vista della nuova stagione NBA: partiamo dalle squadre che guardano a questa annata pensando già alla prossima.
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Redazione basket
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I Sixers sono un caso unico nella NBA e forse in tutto lo sport professionistico mondiale: una squadra costruita non per vincere, non per sviluppare il proprio gioco, ma soltanto per accumulare talento grezzo,

dopo

, Draft dopo Draft: nessuna prospettiva a breve-medio termine, se non quella di raggiungere una “massa critica” abbastanza consistente da poter finalmente esplodere, trasformando il talento potenziale in vittorie sul parquet.

 

Un sistema che non piace a molti tifosi e soprattutto agli

, agli

e all’

, mentre affascina alcuni analisti, per la scientifica purezza del pensiero di Hinkie: i giocatori di esperienza vengono trasformati in scelte al Draft, le prime scelte vengono rapidamente valutate e quindi, se non mostrano potenzialità da superstar, messe sul mercato per arrivare ad altre scelte future. Con i giocatori scelti al secondo giro, invece, si guarda solo all’economia di scala, accumulandone il più possibile e firmandoli con contratti lunghi, ma garantiti solo per il primo anno.

 

È quindi necessario analizzare il roster e le prospettive dei Sixers non guardando all’amalgama e alla classifica, ma considerandolo per quello che è: un laboratorio di talento individuale, una incubatrice. In quest’ottica, non è più una stranezza l’aver investito la terza scelta assoluta su un centro puro come Jahlil Okafor, pur avendo già in quello stesso ruolo i due giocatori più talentuosi del roster—e a loro volta pregiate scelte di altissima lotteria negli anni precedenti—Nerlens Noel e Joel Embiid. Il riacutizzarsi dei

, sui quali potrebbe anche avere una

, data la “vaghezza” con cui ha affrontato la riabilitazione, libererà minuti per gli altri lunghi, ma la contemporanea presenza in campo di Noel e Okafor resta comunque difficile da giustificare tecnicamente.

 

Noel, affermatosi come giocatore già

nella metà campo difensiva (un

che però ha

ed è pienamente a suo agio a difendere lontano dal canestro), offensivamente è troppo “grezzo” per fare stabilmente il 4: il tocco è tutt’altro che morbido,

, i movimenti in post sono veloci, ma imprecisi.

 

https://youtu.be/OipFOWXacoQ

Però la combinazione in campo aperto non promette male.



 

Nel resto del roster gli spunti di interesse non sono molti: il principale è Robert Covington, la nota più lieta della scorsa stagione: un solido esterno “3 & D” che

per migliorare il suo gioco ed evolversi in un giocatore più completo. Il nuovo acquisto Nik Stauskas spera di poter ripartire da zero dopo una disastrosa stagione da rookie (32% al tiro da tre, chiara cartina di tornasole per uno con il suo pedigree di tiratore): dovrà dimostrare che i problemi del primo anno dipendevano dal contesto e non da lui.

 

Pronosticare gli altri membri della rotazione è quasi un esercizio di fantasia: sono (per ora) sicuri del posto a roster Furkan Aldemir, che si è ritagliato un dignitoso spazio come rimbalzista,

e gregario, ma deve riuscire a mettere in faretra almeno un accettabile tiro frontale; Jerami Grant e JaKarr Sampson, due specialisti difensivi molto rozzi, ma essenziali per lo stile difensivo iper-aggressivo di Brett Brown; Tony Wroten, classico talento “ignorante” che nelle altre 29 squadre faticherebbe a trovare un posto da dodicesimo uomo, ma che a Phila sarà la point guard titolare per mancanza di alternative, dopo che Ish Smith è stato lasciato partire nonostante la buona intesa sviluppata con Noel.

 

Carl Landry, al rientro da un infortunio al polso, in linea teorica e in una squadra “normale” sarebbe il perfetto e complementare veterano per Okafor e Noel, ma sarà probabilmente spedito altrove in cambio della classica seconda scelta. Per completare il roster si giocheranno un posto Richaun Holmes e Christian Wood tra i lunghi, Hollis Thompson, J.P. Tokoto e Jordan McRae tra gli esterni. Kendall Marshall e Isaiah Canaan, combo guard con pochissimo playmaking e tanta voglia di tirare da tre, sono al momento in netto vantaggio come seconda e terza PG su Pierre Jackson e sullo specialista difensivo Scottie Wilbekin.

 





 



Aldridge, Lopez, Matthews, Batum. Feticisti delle squadre in ricostruzione gioite, perché con ben quattro dei cinque titolari che non sono più a Portland, la squadra è in pieno

. I Blazers saranno sicuramente la squadra con il peggior record rispetto alla passata stagione (quando raggiunsero 51 vittorie) e si concentreranno solamente nello sviluppare i giocatori a disposizione, per capire chi nel medio termine affiancherà la stella Damian Lillard, fresco di estensione al massimo salariale. Avendo poi il vincolo del

approdo ai PO per mantenere la scelta (che altrimenti andrebbe a Denver), i Blazers non hanno veramente nessun incentivo per andare oltre lo sviluppo del materiale a disposizione e sperare in una buona/ottima posizione al Draft dell’anno prossimo.

 

Il GM della franchigia Neil Oshley, ospite del

, ha chiarito la strategia societaria dietro la ricostruzione: affiancare la stella della squadra a un nucleo di giocatori giovani o ancora non esplosi, che possa crescere sotto la sua guida (anche fuori dal campo) per poter dare il meglio nel giro di tre anni, quando praticamente tutti saranno nel picco della carriera.

 

Da qui la scelta di andare sul 25enne Al-Farouq Aminu e il 26enne Ed Davis e di scambiare Steve Blake per il 25enne Mason Plumlee—tre giocatori ancora con margine di miglioramento e più o meno coetanei di Lillard. Come praticamente coetaneo è C.J. McCollum, un giocatore su cui la dirigenza sta puntando tantissimo (sia in coppia con Lillard che come sua riserva) e che sembra veramente in procinto di esplodere.

 

https://youtu.be/tX78b1X5rL8?t=2m11s

Se questa deve essere la stagione dell’esplosione di McCollum, la preseason è stata sicuramente incoraggiante.



 

Dal punto di vista offensivo la presenza di McCollum libera Lillard dal tenere il pallone per tutta la durata dell’azione, ma i problemi più che altro sono nella metà campo difensiva. Non che il resto del roster brilli in difesa: certo, Aminu può togliere parecchie castagne dal fuoco (anche in aiuto) e Henderson è nella media dal questo punto di vista, ma tutti gli altri vanno dal progetto (Vonleh, Crabbe e Harkless) alla defezione (Leonard su tutti).

 

Il punto forte di coach Stotts rimane comunque l’attacco, e quello potrebbe rimanere di buon livello per una squadra che finirà tra le ultime cinque per record. Se tra gli esterni Harkless e Crabbe offrono alternative interessanti, il reparto lunghi è sicuramente quello dove Stotts dovrà impegnarsi di più per capire effettivamente il valore dei giocatori a disposizione a medio termine.

 

Per questa stagione i due titolari saranno Plumlee e Leonard, con Ed Davis e Vonleh a giocarsi i restanti minuti e Kaman da scongelare solo in caso di necessità o di vetrina per scambiarlo durante l’anno. Va detto che sarà una stagione fondamentale sia per Leonard—che oltre all’eccellente tiro deve ancora mostrare tutto il resto del repertorio in vista del contratto in scadenza—che per il 20enne Vonleh, che rimane ancora un oggetto misterioso dopo la prima stagione a Charlotte. Il futuro della squadra passerà anche dalla sua eventuale esplosione in tempi brevi.

 





 



Vorrei iniziare questo segmento sui Brooklyn Nets rivelando una True Story redazionale. Quando ho diviso le squadre per “fasce”, i Nets erano inseriti nella terza, quella delle pretendenti a un posto ai playoff. Una volta sottoposto il ranking ai miei collaboratori, invece, sono stati retrocessi a

squadra NBA, facendoli precipitare fino a qui. Ora: a livello puramente tecnico e “di nomi”, i Nets non meritano questa posizione, perché comunque, a differenza delle altre squadre qui presenti, hanno giocatori di esperienza che possono spostare qualcosa nella Eastern Conference, a partire da Brook Lopez e Joe Johnson. Oltretutto, nella scorsa stagione hanno comunque vinto 38 partite, staccando l’ultimo biglietto per i playoff grazie a una difesa da top-10 nel finale di stagione e costringendo gli Hawks a sudarsela fino a gara-6.

 

In estate sono partiti Deron Williams e Mason Plumlee, ok, ma il resto del roster è rimasto intatto e sono stati aggiunti il rookie Rondae Hollis-Jefferson (candidato a diventare uno dei migliori difensori perimetrali per gli anni a venire) e qualche addizione

come Shane Larkin, Thomas Robinson e pure Andrea Bargnani. Insomma, saranno peggiori, ma non

. Quindi perché i miei compagni di preview li hanno fatti finire qui? Semplice: perché sono la squadra più brutta, deprimente e fondamentalmente

della NBA.

 

Al Barclays Center, che pure sarebbe bellissimo, non va quasi nessuno—e quelli che ci vanno stanno mediamene zitti. Lo stile di gioco di coach Lionel Hollins è lento,

e poco fantasioso. Le due stelle, Johnson e Lopez, trasmettono il trasporto emotivo di un intervento dentistico. Il playmaker titolare sarà Jarrett Jack, il cui tiro principale è il già leggendario

, ribattezzato da Kirk Goldsberry come “

”. Di giocatori che ti fanno venire voglia di accendere il League Pass ce ne saranno forse un paio (a essere generosi).

 

E in questo castello di tristezza non entra nemmeno uno spiraglio di luce, visto che i Nets non avranno una scelta loro al Draft fino al

, avendo venduto il loro futuro ai Boston Celtics due anni fa per acquisire i corpi più-di-là-che-di-qua di Paul Pierce, Kevin Garnett e Jason Terry (che ovviamente ora non sono più in squadra). Una mossa che sembrava poco lungimirante già al tempo, e di cui iniziano a pagarne il prezzo già da questa stagione.

 





 



Esistono squadre che seppur senza alcuna velleità o obiettivo concreto danno la sensazione di essere tra quelle da seguire con più attenzione—solitamente in relazione alle prospettive future, ma non solo. E questo è decisamente il caso dei Minnesota Timberwolves.

 

Se andiamo a dare uno sguardo al roster dei T’Wolves assemblato in estate, la prima cosa che salta all’occhio è la grossa contrapposizione tra il

giovane, acerbo e arrembante e quello più maturo, esperto, in certi casi quasi vetusto, in quasi tutti i ruoli. Un confronto tra generazioni e mentalità a partire dalle due figure simbolo della squadra: Andrew Wiggins e Kevin Garnett. Il vecchio KG, tornato in quella che è stata casa sua nelle prime 12 stagioni della carriera, avrà il compito di essere la chioccia di questo gruppo, con particolari attenzioni verso la prima scelta assoluta Karl-Anthony Towns. Il giovane e silenzioso Andrew invece, reduce dal titolo di Rookie dell’Anno, dovrà fare un ulteriore passo avanti dopo una stagione in cui è stato forse iper-responsabilizzato precocemente, rispondendo però con ottime prestazioni a cui quest’anno cercherà di dare continuità.

 

https://youtu.be/70Gc2lK0Y8w

Si ricomincia da qui.



 

In generale i T’Wolves presentano comunque un roster che si presta a mille soluzioni dal punto di vista tattico proprio per la grande varietà di interpreti, ma che purtroppo è affidato a uno degli allenatori non tra i più capaci da questo punto di vista—Sam Mitchell, inizialmente al posto di Flip Saunders, impegnato a combattere un tumore diagnosticatogli quest’estate—e, soprattutto, ostaggio dei soliti dubbi riguardanti Ricky Rubio.

 

Lo spagnolo è uno dei giocatori più brillanti della Lega nel pick & roll, ma la sua scarsa abilità al tiro da fuori ne ha sempre limitato la pericolosità. E in una squadra dove non è l’unico ad avere questo tipo di problemi—forse solo Kevin Martin e il nuovo arrivato Nemanja Bjelica sono affidabili dalla lunga distanza all’interno del roster—e dove lo stile di gioco

con tanta esecuzione e molte situazioni di post-up (solo Memphis lo scorso anno lo utilizzavano più di loro) rischiano di renderlo un pesce fuor d’acqua. Per la precisione, un pesce fuor d’acqua da 55 milioni per i prossimi 4 anni. Per di più nel ruolo con più concorrenza della Lega. Non facile da spostare uno così.

 

Oltre ai già citati Wiggins e Towns, occhio anche alla stagione di Zach LaVine, lo scorso anno adattato da playmaker a causa degli infortuni e quest’anno guardia titolare fin dalla prima palla a due, e agli straordinari del trio Towns-Dieng-Garnett, che in difesa si vedranno arrivare attaccanti da tutte le parti. Una cosa è certa: è ancora lunga la strada che porta a quei playoff che mancano da 11 anni, ma finalmente quella presa sembra essere quella giusta.

 





 



Ogni tanto viene da chiedersi come si sarebbe

questa squadra negli ultimi anni se sul petto non ci fosse scritto “LAKERS”. Sarebbero stati presi giocatori come Lou Williams, Roy Hibbert e Brandon Bass (o Carlos Boozer prima di loro)? I vari Jordan Clarkson, D’Angelo Russell e Julius Randle avrebbero più tempo e spazio per crescere e sbagliare? Si accetterebbe con più serenità una stagione impostata per il tanking, visto che se la scelta al prossimo Draft rimarrà a L.A. solo se cadrà nelle prime tre?

 

Tutti quesiti senza risposta, dato che i Lakers vivono in un reame separato—tanto

, quanto

e

—rispetto al resto delle 29 franchigie, pur avendo dovuto fare i conti con il Mondo Reale nelle ultime, deludenti stagioni. Anche perché nessuno deve affrontare il possibile ultimo anno del giocatore-franchigia in Kobe Bryant (a parte San Antonio, ma loro non fanno testo).

 

Da un mero punto di vista sportivo, i Lakers avrebbero tutti gli interessi a organizzare una stagione di commiato al numero 24, un “

” lungo 82 partite, per poi dirsi addio a fine anno. La presenza di un giocatore come l’attuale Kobe—che usa tantissimi possessi con un’efficienza rivedibile, oltre a essere inaffidabile dal punto di vista fisico, visto che viene da tre stagioni chiuse anticipatamente da infortuni traumatici—rischia di essere un freno più che uno stimolo per lo sviluppo di Clarkson e soprattutto Russell, anche perché non è mai stato noto per essere di grande sostegno per i più giovani, anche se questi

.

 

Questione di ego, di (mancanza di) pazienza, e di prospettive: Bryant avrebbe voluto chiudere la sua carriera con un altro anello

, ma perfino lui deve essersi reso conto che non sarà possibile farlo e che i suoi Lakers devono muoversi in un’altra direzione, pensando più che altro al futuro. Ora resta da capire qual è il modo migliore per chiudere la loro straordinaria storia d’amore, perché una separazione brusca o in cattivi termini sarebbe un epilogo troppo amaro per uno dei giocatori più forti degli ultimi 20 anni di storia della NBA.

 

Però Jim Buss

che va tutto benissimo: «Siamo in anticipo sulla tabella di marcia, abbiamo svoltato esattamente come avevamo previsto. La prossima estate prendiamo un free agent e poi possiamo competere». Altrimenti nell’estate del 2017 se ne andrà. Decidete voi quale scenario è più allettante.

 





 



Finalmente, dopo tanto, troppo tempo, potremo assistere ai New York Knicks 1.0 del progetto di Phil Jackson. Sono solo quattro i giocatori rimasti in squadra rispetto all’inizio della scorsa stagione, e nel corso dell’estate la dirigenza ha pensato di ridare credibilità alla franchigia costruendo una squadra di

e di giovani (soprattutto nei due rookie Porzingis e Grant, oltre a Galloway) intorno a Carmelo Anthony. Una scelta che può essere condivisa o meno, ma che almeno porta la franchigia ad avere un progetto chiaro da seguire in modo pluriennale. Manna dal cielo per i tifosi di New York.

 

Per quanto riguarda il quintetto base, tre sono i titolari sicuri scelti da Fisher già in estate: ovviamente Melo, che dividerà i propri minuti tra gioco esterno e interno, poi Robin Lopez come centro e Afflalo come guardia. Melo torna dall’operazione al ginocchio e ha ormai scollinato i trenta, ma rimane l’unica stella della squadra in un roster sotto la media NBA in ogni ruolo eccetto il suo e quello di centro, dove ormai tutti sanno quel che è in grado di apportare Robin Lopez, nel bene e nel male.

 

Diverso è il discorso di Afflalo, un giocatore in caduta libera per quanto riguarda la produzione offensiva e soprattutto l’apporto difensivo: lo status e l’esperienza ne fanno quasi automaticamente il titolare, ma la squadra dovrebbe poter girare decisamente meglio quando al suo posto ci sarà Galloway, anche perché è l’unico giocatore a roster in grado di mettere pressione sulla palla. I due ruoli scoperti porteranno al ballottaggio tra gli esterni tra l’emergente rookie Jerian Grant e l’ormai mediocre José Calderón.

 

https://www.youtube.com/watch?v=qcIRB3JM64g

Grant è il miglior passatore della squadra e un sottovalutato atleta.



 

Per quanto riguarda i lunghi, Fisher sembra voler dare fiducia al rookie Kristaps Porzingis—che qui mi limito a nominare

, visto che ci sarebbero troppe cose da dire su questo talento, come la dieta estiva da

per iniziare a mettere su una massa adeguata al ruolo—, con l’idolo di casa, il tuttofare Kyle O’Quinn, come prima alternativa e l’incognita Derrick Williams come seconda quando non sarà l’ombra di Melo.

 

Non avendo a disposizione la prossima scelta al Draft e avendo l’imperativo di far tornare almeno un po’ di orgoglio ai tifosi, Fisher sarà “costretto” quest’anno ad allenare per vincere più partite possibili. E non potendo ancora definire il suo reale valore come coach, possiamo soltanto dire che, d’accordo con la dirigenza, la nuova versione sarà meno dogmatica per quanto riguarda l’attacco Triangolo e che quindi—posta la carta bianca per Melo quando lui sarà in possesso—ci sarà più libertà per provare transizioni veloci quando in campo ci saranno Galloway e Grant contemporaneamente.

 

A proposito del rookie: sembra fatto apposta per giocare in società con Porzingis, cosa che alimenta le speranze per un adattamento veloce del lettone. Il calendario iniziale è duro e la squadra ha ancora tanti difetti da correggere (come la difesa sui tiri da tre avversari, che mette i brividi), ma almeno le fondamenta per riportare i Knicks tra le squadre rispettabili della Lega sono state messe. O almeno si spera.

 





 



Giusto due anni fa i Nuggets chiusero la stagione regolare con il miglior record della storia della franchigia da quando sono affiliati alla NBA. Un 57-25 che sembrava essere solo il primo passo verso una vita agiata in cima alla Western Conference, ma che invece si è rivelata l’inizio di un inaspettato crollo: sconfitti al primo turno di quello stesso anno dalla versione embrionale degli Warriors che conosciamo, esonero di Karl a una settimana dalla partenza del GM Ujiri e arrivo in panchina di Brian Shaw, mai amato dai giocatori.

 

Di quella squadra sono rimasti solo Kenneth Faried, Wilson Chandler e Danilo Gallinari, e l’ultimo membro ad andarsene è stata la stella della squadra, Ty Lawson, in seguito all’ennesimo arresto per guida in stato di ebbrezza—di fatto dando il via alla ricostruzione dei nuovi Denver Nuggets.

 

Una ricostruzione che parte principalmente dalle due scelte più alte degli ultimi due Draft, il centrone bosniaco Jusuf Nurkic e il play congolese Emmanuel Mudiay—uno per il quale si scomodano già le parole “

dopo averlo visto in azione durante la Summer League e la preseason, nelle quali ha impressionato con il suo talento nel leggere le situazioni da pick & roll. Molto probabilmente sarà il play titolare con licenza di sbagliare, anche perché sarà il padawan del maestro jedi Jameer Nelson, pronto ad aiutarlo nella crescita.

 

https://youtu.be/HRoDF6gCTco

Intanto iniziamo a conoscerlo.



 

Un’altra novità importante è in panchina, dove Mike Malone, per anni uno dei migliori assistenti della Lega e conosciuto per le sue ferree convinzioni difensive, si troverà davanti una squadra che nella propria metà campo farà molta fatica per mancanza di interpreti, esperienza e tecnica. In compenso in attacco potrà contare sulla leadership di Danilo Gallinari, rientrato da EuroBasket rinvigorito dopo esser stato ai box per un anno e mezzo e fresco della firma del nuovo contratto che lo legherà ai Nuggets fino al 2018.

 

Il Gallo avrà un ruolo importante come principale opzione offensiva, anche se il suo impiego da 4 tattico rischia di diminuire drasticamente a causa dell’affollamento nel parco lunghi—un aspetto da non sottovalutare per un giocatore che a causa degli infortuni ha perso tanta della sua esplosività e mobilità.

 

Sarà interessante vedere anche come verranno gestite le rotazioni nel ruolo di guardia, con il mai-sopra-le-righe Randy Foye in pole position nonostante dietro scalpitino l’energico Will Barton e soprattutto Gary Harris, che dopo un’anonima stagione da rookie è atteso a un doveroso salto di qualità.

 

Non c’è da aspettarsi grandi cose da questi Nuggets, almeno quest’anno: hanno il potenziale per poter essere una mina vagante, magari sorprendendo qualche contender della Western Conference nel terribile Pepsi Center a 1.600 metri di altezza, ma le ambizioni finiscono lì. C’è di buono che la dirigenza sembra avere delineato un percorso preciso, e a giudicare da quanto visto nelle ultime due stagioni già questo è un segnale confortante.

 





 



Affidare un gruppo di giocatori giovani con pochissima o nessuna esperienza NBA a un capo allenatore possibilmente giovane con pochissima o nessuna esperienza NBA (in quel ruolo) è un progetto estremamente affascinante e di moda. Ma per ogni Spoelstra, Kerr, Budenholzer, Stevens o Blatt esiste un Jacque Vaughn che alla prima esperienza fallisce miseramente.

 

E può quindi succedere che un front office altrettanto giovane e innovativo come quello guidato dal 33enne General Manager Rob Hennigan decida che sì, chiudere il rapporto con Stan Van Gundy alla fine del precedente ciclo ha avuto un senso, ma in fondo in certe situazioni un sergente di ferro può essere l’ideale per dare la necessaria spinta a un processo che deve passare dalla fase di ricostruzione (completata con buoni risultati) a quella di crescita e di ricerca delle vittorie in campo.

 

Viva l’usato sicuro allora, e caloroso benvenuto a Scott Skiles… anzi, bentornato, dato che il nuovo allenatore dei Magic ha trascorso a Orlando la fase più importante della propria carriera da giocatore (5 stagioni a inizio anni ’90, chiuse con 13 punti e 7 assist di media a partita), agli albori della franchigia.

 

Skiles è uomo da missioni speciali: viene chiamato a guidare squadre in difficoltà e assicura in modo pressoché sistematico buoni risultati e una

a breve termine—prima di autodistruggersi iniziando a litigare con tutti i propri giocatori a partire dalla terza stagione e perdendo completamente il controllo dello spogliatoio... ma questa è un’altra storia.

 


La miglior giocata di tutta la preseason.



 

L’impressione però è che i Magic siano comunque ancora “

” dalla competitività necessaria per accedere ai playoff, soprattutto per colpa di un attacco a metà campo che senza tiratori naturali in quintetto fatica enormemente (27.esimo per efficienza nella scorsa stagione); per ora ci si accontenterà di divertirsi in contropiede,

, esplorare i margini di crescita della coppia di guardie formata da Elfrid Payton e Victor Oladipo, valutare la possibilità di far coesistere Tobias Harris e Nikola Vucevic in un contesto difensivo credibile, scoprire il talento folle e sfrontato del rookie Mario Hezonja e affidarsi a C.J. Watson, Evan Fournier e Channing Frye per garantire tiro da 3 e spazi di manovra al resto dei giocatori.

 

Ah e poi c’è Aaron Gordon. Che rischia di essere il più buono di tutti (se poi questo sia un bene o un male è un dettaglio non irrilevante) e che ai già noti

ha già aggiunto degli insospettabili, almeno a 20 anni appena compiuti,

, in Summer League e non solo.

.

 
 

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