Nell’ultimo decennio, poche figure hanno acceso il dibattito tra appassionati e addetti ai lavori NBA quanto Sam Hinkie. L’operato dell’ex General Manager dei Philadelphia 76ers tra il 2013 e il 2016, noto come The Process e chiusosi con modalità mai davvero chiarite, rappresenta un precedente poco gradito ai piani alti dell’Olympic Tower e un canovaccio che nessun front office ha deciso di adottare successivamente, almeno non in maniera così esplicita. Le squadre che negli ultimi cinque anni hanno avviato percorsi di rinnovamento sono molte, ma nessun dirigente ha avuto il coraggio, o l’imprudenza, di premere il pulsante rosso del tanking con risolutezza pari a quella di Hinkie. Questo fino all’autunno del 2020, quando a conclusione della bolla di Orlando un altro Sam, Presti, decideva di riportare in vita The Process. Anzi, come in ogni sequel che si rispetti, Presti decideva di alzare ulteriormente l’asticella.
Per dare senso e concretezza alle prospettive future dei Thunder è forse bene partire riassumendo quanto combinato da Presti nell’arco degli ultimi due anni. In sostanza, al di là dei giocatori di contorno e dei contratti utili a bilanciare l’aspetto economico dei singoli scambi, hanno lasciato Oklahoma City giocatori come Russell Westbrook, Paul George, Chris Paul, Al Horford e Kemba Walker (tutti All-Star pluridecorati), oltre a Dennis Schröder, Steven Adams, Kelly Oubre, Ricky Rubio, Danny Green e Austin Rivers (alcuni transitati nominalmente città senza nemmeno scendere dall’aereo). In cambio, Presti si è portato a casa undici prime scelte, tre possibilità di scambi al primo giro e dieci seconde scelte nei prossimi cinque anni, oltre a quelle saldamente nelle sue mani.
Si tratta di decisioni a dir poco audaci, articolazione pratica di un progetto di trasformazione radicale che, come ovvio, agisce all’interno del rigido perimetro di norme che regolano il mercato NBA ma che mette in discussione le logiche, e anche diversi codici di condotta morale, del mercato stesso. Parafrasando la nota massima di un grande protagonista del ‘900, la rivoluzione di Sam Presti non è un pranzo di gala: è un esperimento ambizioso, con parecchi strascichi sgradevoli, affrontato con spavalderia e senza guardare in faccia a nessuno. In meno di 24 mesi il GM dei Thunder ha potuto spingersi molto più in là rispetto a quanto aveva fatto Hinkie nel suo triennio a Philadelphia — forse per condizioni oggettive, probabilmente grazie a una congiuntura favorevole, certamente con il benestare della proprietà.
Un posto tranquillo
Non c’è dubbio che la modesta rilevanza mediatica di una piazza come Oklahoma City sia un elemento che gioca a favore del piano avviato da Presti. La pressione applicata dall’ambiente attorno ai Sixers, inteso come tifoseria e media locali e nazionali, ha contribuito a rendere ostica l’accettazione degli inevitabili alti e, soprattutto, bassi che The Process aveva generato. Fuori dai circoli dei veri appassionati NBA, invece, la pesante opera di destrutturazione in atto ai Thunder sta passando tutto sommato sotto silenzio, senza grandi polemiche o elementi di disturbo esterni. In sostanza, a differenza di quanto successo con Hinkie, a Oklahoma City nessuno sembra davvero voler disturbare il manovratore. Anche perché, elemento non secondario, il manovratore vanta precedenti di assoluta eccellenza nella gestione della squadra.
Quando Presti, poco prima del Draft 2007, viene nominato General Manager ha 29 anni e la franchigia che gli apre le porte della stanza dei bottoni si chiama ancora Seattle Supersonics. Il trasloco a Oklahoma City e il reclutamento, Draft dopo Draft, delle colonne portanti della squadra rappresentano le premesse che portano i Thunder a essere grandi protagonisti del decennio successivo. Negli anni ’10, in una conference iper-competitiva come la Western di quegli anni, solo San Antonio e Golden State hanno all’attivo più partite di playoff disputate. Complessivamente, nello stesso decennio solo gli Spurs hanno una percentuale di vittorie migliore di quella dei Thunder.
Lo spettacolo proposto al pubblico di casa e i risultati ottenuti in un così breve lasso di tempo, soprattutto se commisurati alle aspettative di quella che anagraficamente è la franchigia più giovane dell’NBA, sono eccellenti.
Il vero giocatore simbolo dei Thunder negli anni ’10, un periodo in cui i tifosi di OKC si sono divertiti parecchio.
Così come eccellente si dimostra la capacità di Presti di pescare al Draft, via obbligata verso il successo per un mercato minore come OKC, con Kevin Durant, Russell Westbrook e James Harden scelti in cima alla Lottery, ma anche Serge Ibaka, Steven Adams e più recentemente Lu Dort, privi del pedigree dei compagni più famosi ma poi rivelatisi fondamentali per le varie incarnazioni dei Thunder. Non solo: nel corso degli anni Presti dimostra anche di possedere la spregiudicatezza necessaria per andare all-in e assemblare il roster più competitivo possibile quando se ne presenta la possibilità, come negli scambi che coinvolgono Kendrick Perkins e, soprattutto, Paul George. Il curriculum di Presti è quindi l’inconfutabile dimostrazione della capacità di adattarsi sia alla fase attraversata dalla squadra (che si tratti di accompagnarla nel processo di crescita o di puntare al tutto e subito) sia alle esigenze economiche della proprietà, come nel caso della celeberrima cessione di Harden ai Rockets nel 2012, forse l’unica vera pecca nella carriera dirigenziale dell’ex Spurs.
L’addio più o meno volontario da parte di Durant prima e di Westbrook poi, oltre al mega-affare con i Clippers per George, generano la sensazione che si debba giocoforza voltare pagina. Necessità accettata di buon grado da tifosi e addetti ai lavori molto attaccati alla squadra ma meno esigenti rispetto a chi affolla tribune e sale stampa con molto più vissuto come, per l’appunto, Philadelphia.
La stagione culminata con la sconfitta al primo turno nei playoff disputati nella bolla di Orlando e caratterizzata dal rilancio di veterani come Paul e Gallinari, rallenta di poco il lungo effetto domino generato dagli addii di Durant e Westbrook. Addii che spingono Presti a premere con decisione il pulsante rosso di cui sopra.
Sam Presti diventa oggetto di discussione in prime time.
Un’elaborazione complessa
Per dare un senso della ricostruzione in atto, nessuno dei giocatori che avevano concluso la stagione 2018-19 in Oklahoma veste più la maglia dei Thunder. L’organico è stato stravolto nel giro di un paio di stagioni, impresa non semplice tenuto conto delle complicate strutture salariali in vigore in NBA. Con 22.9 anni di media, a OKC si ritrovano ora il roster più giovane della lega. Con queste premesse, pronosticare il futuro della franchigia significa immaginare un grafico con tre curve rappresentate dalla crescita dei singoli giocatori, da quella della squadra nel suo complesso e dalle scelte salariali che di volta in volta dovranno essere fatte. Il successo di questa complessa elaborazione si troverebbe nell’ipotetico punto d’incontro tra queste tre curve, a cui andrebbe poi affiancata un’ulteriore variabile rappresentata dal tesoretto di scelte a disposizione per i prossimi Draft.
Tra le squadre che nei prossimi anni dovranno cedere le loro scelte a OKC, solo Rockets e Pelicans appaiono avviati ad un periodo di difficoltà competitiva - anche se molto dipenderà dalla velocità di maturazione delle giovani stelle a disposizione – fattore che rende di fatto impossibile ipotizzare gli sviluppi che potrebbero interessare i Thunder a medio-lungo termine. Tanto vale, quindi, soffermarsi sulla squadra che affronterà la prossima stagione con premesse che non appaiono molto diverse da quelle che hanno segnato quella precedente.
Al centro del progetto ci sarà (o meglio: dovrebbe esserci) Shai Gilgeous Alexander. L’ex Clipper è il giocatore di maggior talento tra quelli a roster, ma il suo ultimo anno a OKC è stato quantomeno bizzarro. Prima SGA ha giocato solo 35 gare chiudendo la regular season con due mesi d’anticipo a causa di una fascite plantare che molti hanno percepito più che altro come scusa per avvalorare l’opera di tanking in atto e aumentare le chance alla lottery. Poi, nelle settimane che hanno seguito la chiusura delle Finals, la guardia canadese è stata coinvolta in diversi rumors di mercato, e se è azzardato affermare che Presti lo abbia offerto in giro per la lega nel tentativo di scalare posizioni al Draft, pare che accanto al nome di SGA il front office dei Thunder non avesse affatto appiccicato l’etichetta di intoccabile. Infine, a inizio agosto, la franchigia e il giocatore hanno raggiunto l’accordo in merito all’estensione contrattuale che legherà il ragazzo di Toronto ai Thunder fino al 2026 in cambio di 172 milioni di dollari complessivi. L’impressione è che Presti consideri SGA un giocatore su cui costruire il futuro della squadra ma non il pilastro, non il franchise player che a OKC sperano di pescare in un futuro non troppo lontano. E se sulla sua permanenza a lungo termine rimangono dei dubbi, sembra scontato che per la prossima stagione a SGA sarà chiesto di guidare i suoi e, anche in ottica della maturazione complessiva del gruppo, non gli verranno posti limiti all’utilizzo.
Tutto il repertorio di SGA in una sola partita.
L’altro elemento a cui presumibilmente verrà dato maggior spazio rispetto alla stagione passata è Aleksej Pokusevski, in arte Poku. Il talento nato a Belgrado è uno dei giocatori più intriganti e allo stesso tempo enigmatici della NBA: se si osservano le statistiche del suo esordio nella lega è arduo anche solo fantasticare che possa diventare un giocatore di rotazione, eppure se si osservano alcuni highlights collezionati durante l’annata da rookie è altrettanto arduo non intravedere delle enormi potenzialità. Vero e proprio weirdo cestistico, Poku assomiglia a una versione molto più grezza e fragile di prototipi fisici e tattici che stanno rivoluzionando il gioco come Nikola Jokic. E se il potenziale è decisamente più limitato rispetto a quello del recente MVP, le possibilità che l’ex Olympiacos diventi una pedina importante in una squadra ambiziosa sono reali. Molto passerà dall’irrobustimento fisico, ragion per cui i Thunder hanno deciso di non convocare Poku per la recente Summer League e di lasciarlo in sala pesi a lavorare su una struttura al momento improponibile a livello NBA - 2 metri e 13 centimetri per soli 86 chili - per la quantità e la durezza dei contatti del gioco praticato in campo.
Momenti di assoluto sollazzo per i puristi del gioco, cortesia di Poku.
L’idea di fondo per la stagione 2021-22 dei Thunder potrebbe quindi essere quella di sperimentare gli effetti della coesistenza tra SGA e Poku, duo che l’anno scorso ha condiviso sul parquet la miseria di 196 minuti totali. Un duo a cui, con ogni probabilità verrà affiancato Josh Giddey. L’australiano, per cui Presti ha speso la sesta scelta all’ultimo Draft, arriva a OKC con l’aura di passatore fuori dal comune e dalle risorse atletiche inesplorate (203 centimetri d’altezza e una crescita ancora in corso). La Summer League di Las Vegas, chiusa dopo 5 minuti della prima partita contro i Pistons a causa di un problema alla caviglia sinistra, non ha potuto fornire indicazioni attendibili circa la possibile traiettoria evolutiva del giocatore.
19 anni ancora da compiere (uno dei giocatori più giovani dell’intero lotto), l’ex Adelaide 36ers predilige il gioco in transizione e dimostra di saper gestire con efficacia le situazioni di pick and roll. Il resto del bagaglio offensivo, però, è tutto da costruire, per tacere della tenuta nella metà campo difensiva. Un po' come Pokuševksi, il ruolo di Giddey in campo e la sua adattabilità al contesto NBA rimangono da verificare. Nondimeno, Presti l’ha preferito a giocatori forse più pronti per il salto tra i professionisti come Barnes e Kuminga, a riprova del fatto che i Thunder non hanno alcuna fretta di cominciare a vincere un numero significativo di partite.
Tutto il resto è noia (o quasi)
Tra le speranze coltivate dai Thunder, poi, c’è quella di riuscire a far crescere in casa dei role player che possano costituire l’ossatura della squadra. Lu Dort, in questo senso, sembra l’unica certezza, mentre Darius Bazley e Theo Maledon appaiono i maggiori candidati a poter compiere un balzo in avanti e mostrare con più continuità doti fin qui intraviste solo a sprazzi. Come se non bastasse, nelle prossime due estati si prospetta per entrambi la possibilità di firmare una rookie extension sulla cui consistenza economica peserà non poco quanto dimostrato in questa versione dei Thunder, dove è logico pensare che troveranno parecchio spazio.
Spazio che Ty Jerome e Tre Mann potrebbero invece ritagliarsi grazie alle caratteristiche di tiratori puri all’interno di un contesto che non prevede altri specialisti nelle soluzioni dalla lunga distanza. A giocatori con maggior esperienza come Kenrich Williams e Mike Muscala verrà chiesto di aiutare i molti esordienti nella gestione delle dinamiche di spogliatoio, mentre Derrick Favors, scaricato dai Jazz per meri motivi salariali, potrebbe sostare in Oklahoma giusto il tempo necessario a trovare un’altra squadra in cerca di un lungo affidabile nella metà campo difensiva. Il resto del roster, composto da figure di secondo piano come Gabriel Deck e Isaiah Roby e da protagonisti inattesi emersi dalla Summer League come Aaron Wiggins e Jeremiah Robinson-Earl, appare destinato a fare la spola con i Blue, la squadra di G-League affiliata.
L’esordio dei Thunder alla Summer League di Las Vegas.
E proprio dalla G-League arriva l’altra grande incognita della stagione dei Thunder. Mike Daigneault, promosso capo-allenatore la scorsa estate, ha infatti trascorso ben cinque stagioni alla guida degli Blue. Giudicare il suo lavoro fin qui è difficile, così come è difficile dire se l’abitudine, maturata nella lega di sviluppo, a lavorare con gruppi eterogenei di giocatori e in contesti in cui la competitività, intesa come necessità di provare a vincere ogni partita, non era la priorità rappresenti un vantaggio o meno per capire le sue qualità come allenatore.
Programmazione e fortuna
Se quello scritto da Sam Presti fosse un romanzo, o magari la sceneggiatura per una serie TV, invece che il piano di ricostruzione di una squadra, la stagione precedente e quella che si aprirà il prossimo ottobre potrebbe essere considerate alla stregua di un prologo. Uno spazio dedicato allo sviluppo, o forse sarebbe meglio dire alla ricerca, dei personaggi principali e alla definizione di un intreccio di fondo. Tuttavia, come insegnano nelle migliori scuole di scrittura, e come confermano i precedenti in ambito NBA già menzionati, il prologo, qualora tirato troppo per le lunghe, rischia di diventare controproducente per il prosieguo della trama.
Anche in una piazza relativamente tranquilla come Oklahoma City, d’altronde, esiste un limite alla pazienza riservata alla fase di pura sperimentazione in atto. A ben vedere, qualche segnale in controtendenza si è già manifestato con il buyout concesso a Kemba Walker, opzione rifuggita per altri veterani come Chris Paul e Al Horford, anche loro arrivati in città con contratti pesanti e in un momento di carriera non in linea con la tabella di marcia dei Thunder. La decisione di rescindere il sostanzioso contratto della guardia arrivata dai Celtics, infatti, se da una parte pesa sul conto economico della franchigia, dall’altra consente una maggiore linearità nelle rotazioni e libera Daigneault dall’aggravio di dover concedere minuti a giocatori da mettere in vetrina per possibili scambi. In questo modo, quindi, Presti sembra aver voluto imprimere una prima, seppur timida, accelerata al suo Process.
Al momento risulta comunque difficile immaginare come questi Thunder possano viaggiare oltre le 20 vittorie totali. E, in fondo, per almeno un’altra stagione questa prospettiva potrebbe essere sopportabile, pur con tutti i limiti e i rischi sopra descritti. Ciò che più importa a OKC, ora come ora, è racimolare il maggior numero di scelte ai prossimi Draft. Una preghiera, quella lanciata da Presti, che non è detto venga ascoltata dagli Dei del basket. L’ultimo tentativoha fornito indicazioni non proprio confortanti in questo senso, anche se rimane sottinteso che i Thunder ci riproveranno con la medesima convinzione la prossima primavera e poi, quasi certamente, ancora nel 2023, magari utilizzando il tesoretto di scelte accumulate per muoversi a piacere lungo l’ordine assegnato dalle palline della lottery e mettere le mani sui giocatori individuati come ideali per il progetto (come fatto per Pokuševski, Giddey e Mann) al di là del consensus dato a certi prospetti nelle Big Board che si trovano in giro per il web.
I premi in palio, da Chet Holmgren a Paolo Banchero, da Victor Wembanyama a Emoni Bates, dovrebbero valere il rischio. Un rischio, quello di protrarre troppo a lungo la fase di ricostruzione, che Presti appare in grado di assumersi. Escludendo i patriarcati di Miami e San Antonio, saldi al comando delle rispettive franchigie ormai da più di un quarto di secolo, il GM dei Thunder è infatti il dirigente che da più tempo mantiene il proprio posto di comando dell’intera NBA. Per superare in longevità maestri come Pat Riley e Gregg Popovich, però, Presti dovrà riuscire nell’impresa, tutt’altro che semplice, di portare a compimento la sua rivoluzione.