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Per i New Orleans Pelicans va sempre peggio
06 nov 2025
L'ennesima stagione nata male per la franchigia della Louisiana.
(articolo)
10 min
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IMAGO / AAP
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In un fantabasket di tipo dynasty a cui ho il piacere di partecipare ormai da quasi sei anni, è stato coniato un termine tecnico per quella tipologia di squadre che si ritrovano alla fine delle classifiche ma senza un particolare costrutto. La SDMCNT, acronimo di “squadra-di-mer**-che-non-tanka” è una squadra che suo malgrado si ritrova in posizione di tanking, per i meno esperti di NBA chi si trova volontariamente a fare schifo per una scelta al Draft buona, senza però aver programmato la sua stagione in questo senso.

Il 25 giugno 2025 i New Orleans Pelicans, guidati dal nuovo presidente Joe Dumars, hanno scambiato la propria prima scelta 2026 non protetta e la #23 del Draft 2025 per salire alla #13 e scegliere Derik Queen. Una scelta dettata dalla volontà di competere da subito, rinunciando alla scelta del prossimo anno per affiancare al rientrante Zion Williamson un centro dal buon potenziale e provare a prendersi, almeno, il play-in nella complessa Western Conference.

Le premesse erano quindi quelle di avere a New Orleans una squadra finalmente competitiva, ma già a novembre il sogno è naufragato. I Pelicans hanno iniziato la loro stagione con sei sconfitte consecutive (ora sono 2-6, grazie alla vittoria contro gli Hornets e Dallas senza Davis) che hanno lasciato pesanti ombre sul resto della stagione, sui cui incombe già la trade fatta per Queen, visto che tankare vuol dire sostanzialmente regalare una scelta migliore agli Hawks.

A rendere la situazione ancora più tragicomica è un’altra trade fatta da Dumars il 17 giugno, il giorno in cui gli Indiana Pacers e gli Oklahoma City Thunder erano in procinto di giocare Gara-5 delle NBA Finals. I Pelicans restituiscono la prima scelta 2026 a Indiana in cambio…della scelta #23 del Draft 2025 e i diritti di Mojave King, giocatore NBA degno di entrare nel reame di Freddy Gondola per il suo nome ai confini della realtà. Il resto è storia recente dell’NBA, con Tyrese Haliburton che si rompe dopo nove minuti di Gara-7 delle Finals il tendine d’Achille e Indiana, che con la sua prima scelta indietro, può serenamente programmare un anno di non competizione, lasciando andare Myles Turner.

Di certo i Pacers non sapevano che Haliburton si sarebbe rotto (né tantomeno avrebbero sperato in un risultato simile) ma la scelta ridata indietro dai Pelicans nemmeno una settimana prima del suo infortunio si è rivelata una vera e propria manna dal cielo, per una franchigia che ora può puntare ad affiancare (se la lottery arriderà) ad Haliburton uno dei tanti talenti di un draft molto ricco.

Ma su quali basi i Pelicans avevano costruito la stagione con l'obiettivo di arrivare almeno al play-in per giocarsi un posto ai playoff?

Innanzitutto non si può parlare dei New Orleans Pelicans 2025/26 senza parlare di Zion Williamson, il catalizzatore delle fortune, avverse e favorevoli, della franchigia della Louisiana negli ultimi anni. La prima scelta al Draft 2019 era arrivata sulla scia di chi, giustamente, lo reputava uno dei migliori prospetti degli ultimi anni di NBA, tanto che non è sbagliato definirlo uno dei giocatori di college più acclamati e soprattutto attesi della storia NBA, un po’ come era accaduto ad un’altra prima scelta dei Pelicans, Anthony Davis. E proprio AD, assente o in minuti limitati per via della richiesta di scambio espressa ad inizio 2019, aveva indirettamente causato l’arrivo di Zion a NOLA, con un record di 21-25 fino al suo “infortunio” e un disastroso 12-24 nel resto della stagione a mezzo servizio.

Sembra passata una vita, ma le partite di Zion al College erano un evento di rilevanza mondiale.

Zion arriva, si prende il terzo posto nelle votazioni per il rookie of the year nonostante un infortunio al menisco rimediato in preseason che lo limita a 24 partite, e l’anno dopo diventa un All-Star grazie a una stagione da 27 punti, 7 rimbalzi e 3 assist di media. Da quel momento Williamson ha giocato solo 219 partite in sei anni, per una media di 36 partite a stagione, saltandone 268. E i Pelicans chiaramente ne hanno risentito, raggiungendo i playoff soltanto nel 2023/24, con Zion finalmente sano e con 70 partite giocate, subendo un mesto 0-4 al primo turno dagli Oklahoma City Thunder, due squadre con traiettorie praticamente opposte per gestione sportiva e seguito.

Quest’estate ha attirato particolare attenzione il dimagrimento di Zion. Non è stato l'unico in NBA, ma il suo era sembrato particolarmente significativo: il peso eccessivo era uno dei problemi dell’ala grande dei Pelicans, sia per quanto riguarda le prestazioni che gli infortuni. Si è presentato invece visibilmente dimagrito ai media day e per molti è sembrato il segnale del possibile cambio di rotta per lui e quindi per i Pelicans. Se Zion è nella sua miglior forma, era l’idea, tutto il resto può aggiustarsi da sé.

E invece, come sempre quando si parla di New Orleans, non sta andando come pianificato. Certo, il campione statistico è estremamente piccolo, ma Williamson ha iniziato sì con 22 punti e 7 rimbalzi di media, ma anche con un orrido 48% dal campo e letteralmente nessuna tripla tentata, per un orrido 55% di true shooting percentage che parametrato sulla stagione intera renderebbe questa la sua peggiore di sempre. E per migliorare la situazione è arrivato anche l’ennesimo infortunio, uno stiramento di primo grado al tendine del ginocchio che rischia di tenerlo fuori da un minimo di dieci giorni fino a un mese.

Dare la colpa dell’inizio dei Pelicans e della loro situazione disastrosa, forse la peggiore della NBA attuale (anche se esistono i Sacramento Kings, SDMCNT nello spettro della competizione) a lui sarebbe però sbagliato. Questo perché esiste Joe Dumars, ex leggendaria guardia tiratrice dei Bad Boys Pistons e poi architetto di Detroit campione NBA nel 2004. Un curriculum abbastanza leggendario, ma 2004 rende abbastanza il conto di quanti anni siano passati, e già nel 2014 il suo addio ai Pistons sembrava essere arrivato con almeno 4 anni di ritardo, con in mezzo scelte dubbie come i contratti enormi dati a Ben Gordon e Charlie Villanueva, l’aver distrutto piano piano il core della squadra che ha vinto il titolo e soprattutto l’aver scelto Darko Milicic al Draft al posto di Carmelo Anthony, Chris Bosh e Dwyane Wade. In generale in un decennio da GM NBA il suo record nei draft e nella free agency è stato piuttosto negativo, oltre a non aver proposto o pensato una tipologia di basket analitico e moderno, basti pensare alla scelta di un lungo come Greg Monroe nel 2011, quando tutta l’NBA andava verso altre tipologie di lunghi.

Video educativo sul come i Detroit Pistons di Larry Brown, Billups, Hamilton e i due Wallace siano passati dalle stelle alle stalle.

Datato, con una reputazione negativa e senza lavoro da undici anni in NBA, ma quindi come ci è arrivato ai Pelicans? La risposta è piuttosto nebulosa. Dal 2015 infatti Dumars, nativo proprio della Louisiana, è nel giro dei New Orleans Saints, di proprietà della famiglia Benson (la stessa dei Pelicans) ed è molto vicino a Mickey Loomis, uomo di fiducia dei Benson e nella dirigenza Saints prima e Pelicans poi, tant’è che già nel 2015 si vociferava di Dumars come supervisore dell’allora GM dei Pelicans Dell Demps. Dal 2019 al 2022 Dumars è stato nel front office dei Sacramento Kings, già citati prima come esempio paragonabile ai Pelicans in negativo, e nel 2025 l’ex Pistons viene annunciato come nuovo presidente delle basketball operations, succedendo all’ex Cavaliers David Griffin, che aveva lasciato in dote una squadra da 21-61 l’anno prima. Il quarto peggior record assoluto, che nelle migliori tradizioni dei Pelicans ha fruttato la settima scelta, diventata poi il talentuoso playmaker Jeremiah Fears.

Qualche nota positiva c’era stata nella disastrosa stagione 24/25, come Trey Murphy e l’ottimo difensore Herb Jones, ma il paradosso è che proprio a febbraio i Pelicans scambiano Brandon Ingram (da sei anni a NOLA) per una prima scelta, una mossa giusta e normale per una squadra che vorrebbe ricostruire. Eppure, secondo Dumars, i Pelicans nel 2025/26 saranno abbastanza competitivi da mitigare la perdita della prima scelta 2026. Gli elementi per cui crederci però sono sempre stati pochi anche a un occhio poco esperto, con il play Dejounte Murray che non tornerà prima del 2026 dall’infortunio al tendine d’Achille subito a febbraio, un giocatore sopra i due metri e dieci a roster (l’oscuro two-way Jordan Dickinson) e l’oggettiva carenza di talento.

L'idea, quindi, era puntare forte su una squadra che può contare su Zion, che è comunque una scommessa, Murphy e il mercuriale Jordan Poole, preso in estate per un CJ McCollum a fine corsa e Olynyk, e che non rappresenta esattamente il giocatore che (almeno da quando non è più a Golden State) vorresti come seconda o terza scelta offensiva per puntare ai playoff. Il tutto aggravato da un Ovest più competitivo che mai, in cui ci sono almeno dodici squadre che possono avere argomenti per potersi prendere un posto nei play-off o al play-in.

Il malcapitato Derik Queen da par suo si sta dimostrando un centro di talento, tanto da essere stato protagonista nell’unica vittoria, contro gli Charlotte Hornets, dei Pelicans, con dodici punti, otto rimbalzi, sette assist e quattro rubate in solo diciotto minuti, e la gran parte di questa produzione è arrivata nell’ultimo quarto. Queen sconterà il peso principale della pressione derivata da questa scelta di Dumars, che crede tantissimo nel ragazzo tanto da inondarlo (parole sue) di reels Instagram di Alperen Sengun e Domantas Sabonis. A testimonianza di come nell’idea dei Pelicans Queen sia quel centro playmaking hub ormai così richiesto e di moda nella lega, in cui dopo i successi di Sengun e soprattutto Jokic è partita la caccia. Senza la situazione paradossale in cui è stato forzato non ci sarebbe così tanta aspettativa su una tredicesima scelta al Draft, peraltro arrivata nel ruolo dove l’anno scorso aveva fatto vedere discrete cose un’altra scelta dei Pelicans, Yves Missi.

Sicuramente non è nemmeno corretto fare il funerale così presto ai Pelicans, ma tra le (poche) qualità già citate e la (soprattutto) competitiva Western Conference le possibilità di ripresa, almeno da arrivare a un record competitivo, sono molto basse. E già si susseguono le voci sulla panchina di Willie Green, ai Pelicans dal 2021 e che paradossalmente era stato salvato da un esonero certo proprio dall’arrivo di Dumars, mentre David Griffin l’avrebbe quasi sicuramente licenziato a fine stagione, se fosse rimasto. La cosa più grave però rischia di accadere fuori dal campo. L’NBA guarda ad un'espansione per far (ri)entrare Seattle e Las Vegas, ma come riportato da Chris Mannix di Sports Illustrated potrebbe anche avvenire tramite relocation di squadre già esistenti, e i sussurri più forti sono quelli per i Memphis Grizzlies e New Orleans Pelicans.

E se per Memphis sembra una faccenda complessa, nonostante il periodo poco fortunato, tra una fanbase molto affezionata e una cultura creata negli anni, anche con risultati sul campo, per i Pelicans sembra molto più semplice. Una squadra molto più simile a quella che proprio Memphis aveva sostituito, i Vancouver Grizzlies, tra un’affluenza al palazzetto costantemente tra le peggiori della NBA e un legame molto debole con New Orleans e la Louisiana.

Un tifoso Pelicans su X faceva notare come quest’anno i Pelicans non solo hanno smesso di ospitare un watch party per il Draft, o un’altra sottigliezza come la mancanza di slogan per la stagione, ma soprattutto non hanno annunciato neanche il calendario promozionale per questa stagione. Non sono cose che cambiano la vita di una franchigia, ma rendono bene l’idea dell’incuria e del menefreghismo nella gestione del rapporto con i tifosi, come se si stesse lasciando silenziosamente la barca affondare, forse in vista di una cessione societaria (di una franchigia storicamente “maledetta” da questo punto di vista) o peggio di una relocation. Come detto prima se a New Orleans lanciano la moneta scegliendo testa, uscirà croce, e certamente continuare a giocare con la fortuna sul filo sottile dell’incompetenza rischia di poter potenzialmente privare l’NBA di un mercato tanto interessante quanto sportivamente maledetto, almeno a livello cestistico.

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