Fanta-LeBron
Sei possibili destinazioni per il futuro di LeBron James.
LeBron ai San Antonio Spurs
Di Daniele V. Morrone
Non è neanche importante il come: se LeBron risponde di sì, un modo per farlo arrivare R.C. Buford lo trova sicuramente. Probabilmente bisognerebbe dire addio a Dejounte Murray, ad un contratto medio e ad uno pesante (Pau Gasol?). E a tante scelte per oliare il tutto. Ma non è importante: pensate invece a Gregg Popovich, LeBron James, Kawhi Leonard (che a quel punto rimarrebbe per vincere l’anello) e LaMarcus Aldridge insieme. Pensate all’ultimo ballo di Manu Ginobili e Tony Parker. Cosa può essere per quelle due stagioni tutti insieme, che laboratorio tattico può tirare fuori Pop da una situazione in cui per la prima volta da anni può avere tutte le armi giuste per affrontare alla pari gli Warriors.
In Finale di Conference pensate alla difesa di Leonard su Durant o di Danny Green su Curry. Dall’altra parte c’è LeBron sempre con almeno tre giocatori in grado di tirare da 3 sui suoi scarichi, di lasciargli sempre la strada per il canestro sgombro come piace a lui: nessuno meglio di Popovich può trovare il modo di metterlo nel sistema e nel contesto tecnico ideale. Poi c’è sempre Aldridge nella versione potenziata di Kevin Love e Ginobili come deus ex machina della second unit per farlo riposare in quei minuti fondamentali. Non serve che sia un matrimonio lungo: solo due stagioni per prendersi tutte le vendette possibili contro gli Warriors e farlo in una situazione in cui per la prima volta c’è totale rispetto tra James e il suo allenatore, non più una persona proposta a veicolare il suo messaggio in campo e ad occuparsi di minuzie. Viaggiare con sempre accanto altre leggende del gioco, in una squadra che ha un passato glorioso anche senza di lui; trovarsi David Robinson con cui scambiare opinioni, Tim Duncan a fargli compagnia in allenamento.
San Antonio non è una scelta per i soldi, quelli li guadagnerebbe comunque, ma solo ed esclusivamente per lo gloria. Per vincere ancora una volta togliendosi la soddisfazione di chiudere il cerchio con la squadra che ne ha battezzato l’entrata tra i grandi ormai più di 10 anni fa. Quando a fine serie Duncan l’ha preso da parte e abbracciandolo gli ha sussurrato all’orecchio: “Un giorno tutto questo sarà tuo”. Intendeva i San Antonio Spurs.
LeBron ai Boston Celtics
Di Ennio Terrasi Borghesan
Associare il nome di LeBron James a quello dei Boston Celtics, nell’imprecisato giorno di luglio in cui il nativo di Akron comunicherà al mondo la sua scelta, provocherebbe innanzitutto un problema logistico: avendo i Celtics ritirato i numeri 6 e 23, gli unici sin qui indossati da James nella sua carriera NBA, si renderebbe necessaria una nuova scelta, che simboleggerebbe ancor di più un nuovo inizio.
Unirsi ai rivali di sempre, poi, chiuderebbe un cerchio idealmente iniziato il 18 maggio del 2008: la data di Gara-7 delle semifinali della Eastern Conference, la data dell’ultima Gara-7 persa in carriera da LeBron James nei Playoff NBA. Quella notte, chiusa con un losing effort da 45 punti superato soltanto dalla straordinaria Gara-1 delle ultime Finals, fu l’inizio della fine della prima era di James ai Cavs: le serie perse contro i Magic l’anno dopo e contro gli stessi Celtics nel 2010 dopo misero la definitiva parola fine alla sua prima avventura ai Cavs (e anche delle sue sconfitte nelle serie della Eastern Conference).
L’ultima vittoria in casa Cavs della sua carriera?
Se la questione del numero potrebbe risolversi optando per il 9 (che, in verità, non gli portò benissimo all’Olimpiade di Atene 2004), il discorso relativo alla fattibilità dell’operazione potrebbe essere più complicato. Qualsiasi ragionamento deve partire dall’assunto che, per aumentare le possibilità di unirsi alla franchigia più vincente della storia NBA, LeBron dovrebbe esercitare la sua Player Option per facilitare così una trade simile a quella che ha portato nella scorsa stagione Chris Paul a Houston, o che porterebbe lo stesso James verso destinazioni come Houston o San Antonio.
Una trade del genere, in casa Celtics, dovrebbe essere incentrata quasi sicuramente su uno tra Gordon Hayward e Kyrie Irving: 29 GM NBA avrebbero probabilmente più di una remora a imbastire un’operazione del genere; come però dimostrato anche nella scorsa off-season, Danny Ainge è l’uno su trenta.
Il cinismo e la lungimiranza vista nella trade di Isaiah Thomas raggiungerebbe, in questo caso, nuove vette. È verosimile che l’opzione rappresentata da Hayward sia la più semplice, sia per compatibilità dei salari che per potenziale interesse dei Cavs nella contropartita (visto che già nel 2014 Cleveland aveva corteggiato a lungo Hayward prima di ricevere indicazioni dal Re per il suo ritorno a casa). Per quanto sarebbe incredibilmente suggestivo – e surreale – assistere a un ritorno in Ohio di Kyrie Irving in cambio di LeBron James in Massachusetts, è probabile che qualora la scelta dovesse ricadere sul prodotto di Duke l’approdo del Re in maglia verde avverrebbe tramite una trade con più di due squadre coinvolte: Bill Simmons, ad esempio, ha proposto l’idea di uno scambio che porterebbe Kyrie Irving ai New York Knicks.
Se la questione logistica è tutta da scoprire, il fit tecnico è probabilmente, pound for pound, il migliore possibile. I Boston Celtics, infatti, potrebbero offrire a LeBron James alcune delle migliori peculiarità di altre squadre in “ballo” nella corsa ai suoi servigi: un core giovane e di talento, con magari meno picchi verso l’alto rispetto a quello dei Philadelphia 76ers, ma di comprovata prospettiva, solidità e anche esperienza di partite di alto livello; un coaching staff e una dirigenza che per abilità e capacità tecniche non ha nulla da invidiare a quello dei San Antonio Spurs; una tradizione vincente e una situazione attuale che potrebbe garantire possibilità di vittoria del titolo, nell’immediato ma anche nel medio periodo, forse anche superiori a quelle degli Houston Rockets.
Rimanere nella Eastern Conference darebbe a James una situazione migliore – e con meno insidie – rispetto all’attuale, e pur se la presenza in città di cugini di altri sport indubbiamente più ingombranti per tradizione in confronto ai Cleveland Browns o ai Cleveland Indians, è fuor di dubbio che LeBron James da Akron, Ohio, sarebbe il nuovo Re sportivo del Northeast degli Stati Uniti d’America.
Le potenzialità di flessibilità futura dei Celtics, frutto del lavoro strepitoso messo in piedi negli ultimi anni da Danny Ainge, potrebbe essere la ciliegina sulla torta o il gran finale del pitch, quella slide in grado di far pendere definitivamente la bilancia a favore di Boston. Per una storia che sarebbe “like no other”: l’antieroe che, dopo aver spezzato i cuori per cinque volte nell’arco di otto stagioni, diventa l’eroe e il nuovo protagonista dell’ennesima Dinastia targata Boston Celtics.