Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
Jokic e Murray, la nuova miglior coppia della NBA
21 giu 2023
21 giu 2023
I loro giochi a due hanno dominato i playoff.
(copertina)
IMAGO / USA TODAY Network
(copertina) IMAGO / USA TODAY Network
Dark mode
(ON)

Mentre scorrevano le immagini di Nikola Jokic e Jamal Murray festanti nella piscina della Ball Arena di Denver, è calato definitivamente il sipario sulla stagione NBA 2022-23. Con un epilogo che a inizio anno sarebbe suonato sorprendente, ma che per quanto visto negli ultimi due mesi è parso quasi inevitabile: i Denver Nuggets hanno portato per la prima volta nella loro storia il Larry O’Brien Trophy in Colorado, completando in gara-5 contro Miami la schiacciante prova di forza offerta nell’arco dell’intera post-season.

Il dominio è testimoniato, prima di tutto, dai numeri. La squadra di coach Michael Malone ha perso complessivamente quattro partite in tutti i playoff, chiudendo con un 80% di vittorie che nel nuovo millennio si classifica dietro soltanto alle run dei Golden State Warriors nel 2017 (16-1) e dei Los Angeles Lakers nel 2001 (15-1). E se ai tempi erano l’ingiocabile superteam con Kevin Durant e il binomio Kobe-Shaq a strapazzare la lega - tra l’altro, in entrambi i casi è arrivato il repeat nell’anno successivo - questa volta in copertina ci sono proprio loro due, Jokic e Murray, la nuova miglior coppia della NBA.

Nella sua corsa al titolo, Denver ha avuto la fortuna di non vedere particolarmente stressati i propri limiti difensivi, per via delle caratteristiche offensive delle squadre che ha trovato sul proprio percorso (Wolves, Suns, Lakers e Heat); d’altra parte, però, è stato impressionante come i Nuggets abbiano reso vano ogni tentativo, e ne abbiamo visti tanti, di arginare il loro attacco. L’asse Murray-Jokic, in un contesto funzionale come quello allestito da coach Malone, si è dimostrato un rebus senza soluzione. Una versione moderna di Stockton-to-Malone, integrata con la telepatia dinamica di Steph Curry e Draymond Green, e con uno skillset combinato sostanzialmente senza limiti. Non sono bastati protettori del ferro e difensori come Anthony Davis e Bam Adebayo, né il genio e gli infiniti assi nella manica di Erik Spoelstra: sweep nelle finali di Conference, gentleman’s sweep per vincere l’anello, 10-1 nelle ultime undici partite considerando anche la fine della serie coi Suns e titoli di coda.

Del titolo dei Denver Nuggets ne abbiamo parlato anche in Air Vismara, il nostro podcast sul basket NBA.

E così, dopo due annate consecutive da MVP, nel 2023 il “Joker” ha ceduto il passo a Joel Embiid come miglior giocatore della stagione regolare, salvo poi prendersi tutte le fiches sul tavolo durante i playoff. MVP delle Western Conference Finals prima e delle NBA Finals poi, con i soliti record e numeri fuori scala: primo di sempre a guidare le classifiche totali per punti (600), rimbalzi (269) e assist (190), prima partita da 30-20-10 nella storia delle Finals (gara-3), e via dicendo con dati difficilmente ripetibili. Quelli a cui, a dirla tutta, il nativo di Sombor ci ha abituato da anni, e ora anche nel basket primaverile, ridimensionando tutto lo scetticismo sulla traslabilità del suo talento in questo contesto. Senza se e senza ma, la post-season ha restituito il suo nome come risposta alla domanda su chi sia l’alpha dog nella NBA di oggi.

Al suo fianco, Murray ha mostrato di essere ancora quel micidiale realizzatore che aveva incantato il mondo nella bolla tre anni fa. Anzi, è “ancora più maturo”, come ha spiegato Jokic: «L’infortunio lo ha rallentato, ma ha migliorato le sue letture». Il canadese ha brillantemente adattato il suo gioco ed esaltato la sua versatilità offensiva in base a quello che si è trovato di fronte, passando ad esempio dagli oltre 32 punti di media con i Lakers ai 50 assist nelle cinque gare contro gli Heat.

Due individualità straordinarie che giocano uno con l’altro - anzi, uno per l’altro, come ha puntualizzato coach Malone. Sono stati 73 in totale gli assist di Murray per Jokic nei playoff - soltanto uno in meno di Rondo-to-Garnett nel 2012, il dato più alto mai registrato - su un totale di 605 passaggi, ricambiati dal serbo con 698 passaggi e 45 assist. Numeri a cui si aggiunge, naturalmente, quell’infinità incalcolabile di possessi in cui la loro intesa, i loro movimenti e la combinazione delle loro qualità hanno creato vantaggi e tiri per chi li circondava.

Una questione di chimica

Prima di addentrarci nella tecnica e tattica, a rendere speciali le situazioni che coinvolgono Murray e Jokic è l’intesa che i due hanno sviluppato nel tempo. Quella “chimica” che spesso e volentieri, in altri contesti, è qualcosa di intangibile ad un primo sguardo, ma non per Nikola e Jamal. «Parliamo la stessa lingua in campo», ha raccontato il canadese, «leggiamo la partita e giochiamo uno per l’altro: è difficile da spiegare, ma non c’è nessun egoismo».

Potrà sembrargli difficile da spiegare, ma guardandoli in campo chiunque potrebbe intuire il lungo trascorso condiviso dai due, proprio come Steph e Draymond. «È una questione di fiducia, di sensazioni: questo è il modo migliore per descriverlo. Non si tratta di schemi, ma di aspettarsi l’uno cosa farà l’altro, di averne fiducia, di capire i momenti».

In più di 400 partite insieme la sinergia tra i due si è via via perfezionata in ogni componente: gli angoli e i tempi dei blocchi e dei tagli, la ricerca delle ricezioni e degli punti preferiti del campo, e una generale comprensione immediata delle intenzioni l’uno dell’altro.

In questo slow-mo pubblicato da Nick Kosmider di The Athletic un possesso di gara-1 delle Finals, in cui potreste trovare parecchi indizi dello skillset sconfinato dei due, ma anche della loro intesa (e del mal di testa che possono causare alle difese avversarie).

È iniziato tutto nel 2016, quando Murray (rookie) e Jokic (sophomore) hanno cominciato a sviluppare la loro connessione nella second unit di Denver. «Entravamo in campo ed eseguivamo dei semplici post-up o dai-e-vai, ma lo facevamo alla grande», spiega il canadese. «Nikola passava palloni a chi tagliava, anche sopra la testa, e piano piano abbiamo iniziato a sviluppare una chimica, a giocare sempre più uno per l’altro, capendo dove e quando volevamo la palla, le rispettive abitudini, i movimenti, i tempi… sono tutti dettagli che abbiamo costruito giocando insieme per sette anni».

È la reciproca conoscenza che consente con facilità, ad esempio, di trasformare quella che dovrebbe essere una ricezione in post per cominciare la partita (si tratta infatti del primo possesso delle Finals) in un blocco sulla palla per disinnescare subito il “fronting” della difesa di Miami. Anche per una squadra allenata benissimo come gli Heat è complicato farsi trovare pronta e con un posizionamento ideale in situazioni del genere.

Tutto ciò ha creato i presupposti per una perfetta complementarietà delle loro qualità offensive, che trova nel pick and roll l’applicazione più letale. Abbiamo visto chiaramente in questi playoff e soprattutto nella serie finale contro Miami - in cui, come sempre, il playbook si è ridotto all’osso e il pick and roll ne è stato il midollo - come i giochi a due sull’asse Murray-Jokic siano un rebus di difficile soluzione per le difese avversarie, a prescindere dal personale umano impiegato nel contenerle. Non solo per gli skillset delle due stelle dei Nuggets, ma anche per la capacità di improvvisazione dettata dall’IQ cestistico, dalla comprensione del gioco e dall’intesa che possiedono. È questa la (mal custodita) ricetta segreta del mix che ha fatto a pezzi una difesa dopo l’altra negli ultimi due mesi.

Una questione di tecnica

Nelle ultime settimane si sono viste tonnellate di attacchi dei Nuggets iniziare o terminare con un pick and roll, prevalentemente tra le loro due stelle, ma non soltanto. Secondo Synergy Sports, sono stati ben 319 i possessi in cui Murray ha agito come palleggiatore in situazioni del genere, da cui i Nuggets hanno ricavato 374 punti (1.172 per possesso, 87° percentile), tirando complessivamente con il 56.4% da due e il 45.9% da tre. Un bottino già consistente, soprattutto in relazione al volume, ma ancora più eccezionale - sia per efficienza (1.262 PPP), sia per percentuali al tiro (67.4% TS) - quando era Jokic ad agire da bloccante.

Nel solo terzo atto contro gli Heat, la partita che ha orientato la serie, i due hanno giocato insieme 32 pick and roll e 13 hand-off, e alla fine si sono ritrovati con una tripla doppia da oltre 30 punti ciascuno: qualcosa di mai visto nella storia delle Finals, nonché «la loro miglior partita insieme in sette anni», a detta di coach Malone.

La pietra angolare di tutto questo è senza dubbio la pericolosità a 360 gradi del centro serbo. A scanso di equivoci: Murray in post-season ha, un’altra volta, alzato l’asticella a livelli altissimi, mettendo in mostra una combinazione di scoring e playmaking con pochi eguali nella lega; quanto a Jokic, però, parliamo di un bagaglio tecnico senza alcun termine di paragone nella NBA odierna e non solo. Non è un mistero, ormai, come sia letteralmente un “bug” per le difese avversarie, grazie alla capacità di segnare da qualunque posizione del campo, fronte e spalle a canestro, e di capitalizzare le attenzioni che attira grazie a doti da passatore, visione di gioco e tempi di lettura da computer. Contro il “Joker”, semplicemente, la coperta difensiva è sempre troppo corta, e Murray ha affinato l’arte di individuare la parte del corpo avversario che rimane esposta per sbranarla con ferocia.

Secondo la strategia difensiva che si trova di fronte, talvolta a Murray basta sfruttare il vantaggio creato dal blocco o dal passaggio consegnato - e la preoccupazione delle difese che Jokic riceva la palla sullo short roll, da cui è letale - per trovare direttamente la via del canestro. Che sia arrivando al ferro (dove ha tirato con il 60% in post-season, 70° percentile tra i pari-ruolo), con un arresto-e-tiro o un floater dalla media distanza (50%, nella media, ma con una frequenza da 99° percentile), oppure con una tripla dal palleggio (38% nei tentativi preceduti da 7+ palleggi).

Nei momenti decisivi delle partite, quando il canadese entrava in ritmo oppure quando le difese si mostravano più preoccupate da Jokic, i Nuggets hanno eseguito a ripetizione pick and roll o hand-off che consentivano a Murray di attaccare palleggiando verso destra, la mano forte e il lato da cui può fare più male con i suoi tiri dal palleggio.

Quando arriva la post-season e l’ormai abituale trasformazione in “Playoff Jamal”, le doti di Murray come realizzatore su più livelli - e quanto possano splendere tali qualità nel campo gravitazionale di Jokic – sono note ormai da anni. Ciò che invece può aver sorpreso maggiormente è stata la sua consistenza come playmaker, confermata dai quasi 17 assist potenziali a partita durante le Finals. Nelle cinque gare contro Miami, in questa situazione coach Spoelstra ha fatto assaggiare svariate strategie difensive - cambi, blitz, hedge, raddoppi, drop coverage - al nativo di Kitchener, mettendo alla prova le sue letture e ottenendo in cambio un solo parziale passaggio a vuoto in gara-2. Dai primissimi minuti della partita successiva, invece, abbiamo assistito al Murray & Jokic Show, con una serie di pick and roll (10 nel solo primo quarto, che hanno generato 12 punti) che hanno mostrato la capacità dei due di leggere e battere con irrisoria facilità qualsiasi difesa proponessero gli Heat.

Quando l’imperativo di Spo è diventato, nel secondo tempo di gara-3, quello di togliere la palla dalle mani di Murray con hedge o raddoppi anche inseguendolo a metà campo, lo abbiamo visto nei primi minuti prendere le misure, poi gestire sempre con lucidità queste situazioni. Non chiudendo mai il palleggio prima del dovuto (anche grazie alla sua stazza, da non sottovalutare), non facendosi “ingabbiare” dal raddoppio e trovando con continuità la linea di passaggio per Jokic sullo short roll/pop; finché la libertà concessa al serbo non è diventata insostenibile per Miami, e quindi leggendo l’arrivo del terzo difensore in aiuto e dunque il soprannumero tra gli “altri Nuggets”, come in questo caso con Christian Braun:

Insomma, abbiamo ripetutamente visto Murray trasformarsi in playmaker, creare tiri aperti per i compagni sul perimetro, mandare al ferro i “taglianti” (tanti e ottimi in casa Nuggets) o soprattutto innescare il suo partner in crime preferito, Jokic. Per dirla con le parole di Malone: «Jamal non si è stufato di fare semplicemente la giocata giusta per la squadra».

Se Murray ha imparato dove, quando e come innescare Jokic - e allo stesso tempo come mettere la propria dimensione lontano dalla palla al servizio del serbo - al resto ci pensa Nikola. Quando riesce a ricevere dopo aver portato un blocco, il serbo è inarrestabile: che si tratti di un pop sul perimetro, dove ha aumentato il volume fino a quasi 4 tentativi a partita in post-season, con un ottimo 46% di conversione, e dove non ha problemi a mettere palla per terra per attaccare il ferro o aspettare che la difesa reagisca e trovare l’uomo libero; che si tratti di una ricezione dal mid-range, dove è capace di segnare con jumper, floater o semi-ganci in modo automatico, grazie al suo tocco morbido (del resto, lo short mid-range è letteralmente casa sua); o che si tratti di punire i rari cambi difensivi degli avversari, contro cui la sua combinazione di stazza e capacità di scaricare con tempismo contro le difese che collassano pone, ancora, un rebus privo di soluzione.

Anche in questo caso, i numeri danno l’idea di uno scorer su tre livelli eccezionale, la cui percezione nel pubblico forse è sottovalutata per via delle sue fenomenali doti di passatore, che inevitabilmente catturano l’attenzione. In questa stagione Jokic era rispettivamente nel 75°, 97° e 82° percentile per efficienza al ferro, nel mid-range e sul perimetro, su un volume ovviamente molto elevato. In estrema sintesi: quando Murray trova spazio nella tasca per recapitargli il pallone, tendenzialmente la squadra avversaria può predisporsi per la rimessa dal fondo.

Dev’essere frustrante allenare una serie contro questi Nuggets, tanto per il pacchetto di skills tecniche di cui si è parlato, quanto per la loro capacità di rendersi imprevedibili. Erik Spoelstra ha provato a descriverla così: «Devi giocare contro due ragazzi che possono metterne entrambi 50 in una partita di playoff, con una macchina da triple-doppie che ama coinvolgere i compagni. E così, scorri l’elenco delle miriadi di cose che potresti fare in difesa, cercando di togliere quelle situazioni che proprio non vuoi concedergli…».

Una questione di imprevedibilità

Detto con le parole dello stesso Murray: «Passare, tagliare, muoversi continuamente: giochiamo con un flusso continuo, e funziona». Ed è anche questo che rende difficile affrontare le situazioni che coinvolgono le due stelle dei Nuggets: la loro capacità di trasformare delle situazioni in qualcosa di diverso, e di essere perfettamente a proprio agio quando c’è da uscire dallo spartito e improvvisare.

Ad esempio, come visto anche in precedenza, convertendo quello che sembra inizialmente un post-up di Jokic, ma che si rivela in realtà un blocco sulla palla da cui arrivano due punti “facili” per la guardia:

Adebayo è posizionato per difendere l’uno-contro-uno spalle a canestro di Jokic, e preoccupato dall’eventuale ricezione del serbo dopo il blocco (come anche Butler) non riesce a contestare il tiro di Murray.

Sono situazioni, in generale, che espongono le difese avversarie a errori, grandi o piccoli che siano, nel posizionamento, nella comunicazione o nelle tempistiche con cui reagiscono. In possessi in cui il margine d’errore è inesistente.

Alla reciproca conoscenza, poi, Murray e Jokic aggiungo quella pazienza che abbiamo visto nella prima clip di questo articolo, e che trova conferma anche nei re-screen che i due eseguono nei casi in cui il primo blocco non abbia portato il vantaggio desiderato.

Ancora: è molto difficile riuscire a contrastare con efficacia questa situazione se il posizionamento della difesa non è ideale o se il difensore che deve “navigare” il blocco ci si “stampa” (qui succede a Shamet ed Edwards), come può accadere quando vengono portati due blocchi nel giro di pochi secondi.

Lo stesso Anthony Edwards, che qui sopra vediamo perdere le tracce di Murray e concedergli una tripla aperta contro la “drop” di Gobert, ha raccontato il suo punto di vista al termine della serie contro Denver (4-1). «Segui l’uomo su un pindown, poi su un dribble hand-off, poi magari un altro blocco sulla palla: è un movimento continuo, devi essere sempre attento ed è molto difficile difendere queste situazioni».

Un altro esempio di come il continuo movimento e le molteplici minacce da contenere possano indurre le difese avversarie in errore di comunicazione.

E se non fosse abbastanza, c’è ancora un jolly nel mazzo dei giochi a due Murray-to-Jokic. Ovvero, convertirli in Jokic-to-Murray, sfruttando le doti da trattatore di palla e passatore del due volte MVP, ma anche l’abilità del canadese di portare blocchi, grazie alla sua stazza (sopra la media tra i pari-ruolo) e alla sua disponibilità a gestire contatti fisici con giocatori più grossi. «A molte guardie in NBA non piace quel contatto, preferiscono fare uno slip e aprirsi per ricevere palla», ha detto Malone, «invece Jamal ha mostrato dal suo primo giorno qui l’attitudine giusta, perché è un duro».

«Mal», come lo chiamano in spogliatoio, negli anni ha sviluppato la capacità di portare blocchi di ottima qualità. Non è un caso che sia stato la seconda guardia con più “screen assist” nei playoff 2023 (13), dopo Marcus Smart (19); che in passato sia stato stabilmente tra gli esterni più produttivi in questo senso, dietro soltanto a Ben Simmons e Steph Curry nei due anni pre-infortunio; e che il pick and roll con Jokic in cui ha agito da bloccante sia stato addirittura il più efficiente della lega nella stagione 2018-19 (1.25 punti per possesso). Tutto ciò non è avvenuto solo per merito degli attributi fisici, ma è il risultato anche del lavoro di perfezionamento di tempi e angoli, e - ancora - della comprensione delle intenzioni di Jokic. Ora Murray gioca con estrema consapevolezza queste situazioni, sapendo adattare quando serve un blocco più prolungato del normale (per consentire al serbo di aspettare la reazione della difesa) o quando deve cambiarne l’angolo o il lato, o ancora quando è meglio optare per uno “slip”.

Nei due video sotto, un paio di possessi nel quarto quarto di gara-3 contro i Lakers, in cui Murray blocca sulla palla per Jokic. Esponendo, prima, lo show di Schröder e lo spazio concesso da AD per un tiro da tre del serbo; e poi, tornando all’improvvisazione di cui si diceva in precedenza, sorprendendo la difesa giallo-viola con un rapido scambio di passaggi, e trovando sulla penetrazione del centro lo scarico per un Michael Porter Jr sul perimetro con tutto lo spazio del mondo.

Una questione di tattica

Sviscerato tutto l’arsenale di cui dispongono Murray e Jokic per rendere mortifere queste situazioni, è doveroso sottolineare come anche il contesto sia di cruciale importanza per mettere le difese avversarie sotto scacco.

Come in ogni pick and roll, infatti, le spaziature offensive e la capacità di giocare lontano dalla palla dei tre giocatori non direttamente coinvolti sono fondamentali; e innegabilmente, anche questa è una risorsa importante dei neo-campioni NBA. Il supporting cast allestito nel tempo in Colorado può contare su diffuse doti di tiro - Kentavious Caldwell-Pope e Michael Porter Jr erano entrambi sopra il 40% in stagione, e nei playoff anche Aaron Gordon ha trovato ritmo dall’arco - e su una batteria di giocatori pericolosi in situazione di taglio (soprattutto Bruce Brown e il già citato Gordon, ma anche Christian Braun e Jeff Green): tutto ciò che può servire, insomma, per capitalizzare al ferro i vantaggi creati dalle due stelle, e rendere dolorosa ogni scelta della difesa avversaria.

Last but not least, giù il cappello anche per il coaching di Michael Malone, che ha dimostrato negli anni di essere una mente offensiva con pochi eguali nella lega, e che in questi playoff ha saputo rispondere ad ogni necessità con tempestivi aggiustamenti. D’altronde, in caso contrario, non si chiude una post-season con 16 vittorie e 4 sconfitte come hanno fatto i Nuggets. Partita dopo partita, serie dopo serie, Denver ha semplicemente scardinato ogni difesa che si è trovata di fronte.

Nella serie finale, gli Heat si sono schiantati immediatamente contro l’impossibilità di cambiare sul pick and roll dei Nuggets. Se Adebayo contro Murray è un matchup con cui si può anche convivere, infatti, ai post-up di Jokic contro i “piccoli” non c’è davvero soluzione (1.70 punti per possesso!).

Tre possessi in cui Miami ha pagato il cambio contro Jokic, che ha segnato con estrema facilità contro gli esterni degli Heat o trovato l’uomo nel dunker spot sugli aiuti difensivi.

Considerata anche la capacità di Murray e Jokic di punire in tanti modi diversi le difese “drop”, Erik Spoelstra ha allora provato - abbastanza sorprendentemente - a fare “hedge” su Murray, a partire da gara-3. E qui, oltre alle ottime letture del canadese, sono arrivati anche gli aggiustamenti di Malone, che ha liberato spazio per i “pop” di Jokic (ispirato anche in catch and shoot in queste Finals) e per i tagli di Gordon nel pitturato o sulla linea di fondo, aiutando Murray a trovare più facilmente delle linee di passaggio e i conseguenti quattro-contro-tre.

È anche grazie ad aggiustamenti del genere che Denver ha prodotto quasi 1.3 punti/possesso in situazione di pick and roll in gara-4, contro i frequenti blitz difensivi degli Heat su Murray (che ha chiuso con 12 assist e 0 palle perse, impresa riuscita soltanto a Magic Johnson nelle Finals degli ultimi 35 anni).

La domanda che tutti si fanno: come si fermano?

Se, come detto, i Nuggets nella prossima stagione potrebbero vedere i propri limiti difensivi maggiormente esposti nei playoff (tema che meriterebbe un approfondimento a parte), la netta sensazione con cui la NBA torna a casa dalla corsa al titolo di Denver è che attualmente, in giro per la lega, non esista difesa in grado di limitare significativamente il loro arsenale offensivo.

«Non c’è un matchup perfetto, non esiste un modo perfetto per difenderli», ha detto uno sconsolato Cody Zeller in conferenza stampa, dopo una serie nella quale è stato crocifisso ogni volta che è entrato in campo. «Puoi fare tante scelte diverse, ma nessuna è sostenibile se fatta in continuazione», ha aggiunto Coach Spo, cui ha fatto eco Kyle Lowry, che si è detto «abbastanza vecchio» da averne viste tante di coppie dominanti in NBA, ma nessuna al livello offensivo di Murray e Jokic.

Il loro talento e la loro connessione sono la base su cui i Nuggets hanno costruito la vittoria del primo titolo nella storia della franchigia, e da cui stanno già guardando con ambizione al prossimo grande traguardo: imporre la propria egemonia nella Western Conference, raccogliendo l’eredità delle dinastie che hanno dominato le ultime due decadi.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura