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Foto di Kathryn Riley / Getty Images
NBA Nicolò Ciuppani 4 novembre 2019 10'

Gli alti e bassi di Jayson Tatum

Il giovane dei Celtics ha avuto due stagioni quasi opposte, ma la rivoluzione estiva potrebbe portarlo di nuovo al livello che tutti si attendono da lui.

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Non è una novità che la narrazione di un giocatore sia data dalla percezione che abbiamo dello stesso, e che questa sia fortemente influenzata dalle ultime cose che ci ricordiamo di lui. A distanza di 12 mesi Jayson Tatum è riuscito a dare due immagini di sé totalmente opposte e allo stesso tempo fedeli della sua carriera. Nei playoff del 2018 Tatum posterizzava LeBron James nell’ultimo quarto in una gara-7 delle finali di conference, dopo aver preso in mano l’attacco della sua squadra a 20 anni appena compiuti colmando il vuoto di due max player infortunati. Nel 2019 Tatum ha iniziato la serie contro i Milwaukee Bucks – che hanno poi massacrato i Boston Celtics – con due partite da 9 punti complessivi e il 23% dal campo, finendo cannibalizzato nel confronto diretto con Khris Middleton.

 

La percezione della carriera di Tatum è sicuramente più forte del reale impatto numerico che ha avuto, anche perché ciò che ha mostrato in campo è andato molto al di sotto delle previsioni (sia buone che meno) che ci ha indotto a fare nei primi due anni di NBA. Generalmente si crede, anche con buona ragione, che Tatum abbia avuto una sensazionale stagione da rookie e una deludente annata da sophomore. Se dopo il primo anno di carriera la fantasia di alcuni tifosi lo faceva veleggiare in un futuro di prossimo Kevin Durant, le ombre della sua seconda stagione hanno lasciato un pessimo ricordo, dal sapore di Kobe-Melo a fine carriera, innamorati del proprio jumper e di una criticabile selezione di tiro.

 

Ma ad onor del vero, se si esclude la percentuale di tiro da tre punti, le cifre di Tatum sono tutte migliorate nel secondo anno di carriera, sia per punti segnati (da 14 nel 2017-18 a 16 nel 2018-19) che per rimbalzi (da 5 a 6), assist (1.6 a 2.1) e con le altre voci che sono praticamente pareggiate. Il tiro da tre inoltre era quasi impossibile da mantenere su quei livelli (43% dopo un irreale 47% nei primi 3 mesi), e venendo da un tiepido 34% al college difficilmente si sarebbe potuto rivelare sostenibile. Ma la fredda analisi numerica ci dà due indizi importanti: 1) Tatum ha migliorato la sua produttività in una squadra dove, di fatto, c’erano due stelle in più dell’anno precedente che hanno richiesto un numero di possessi tutti per loro; 2) allo stesso tempo, i suoi tiri – che a rigor di logica dovrebbero essere stati più aperti, sempre per le attenzioni delle due stelle di cui sopra – non hanno portato ad un miglioramento delle percentuali.

 

L’analisi del gioco è ovviamente più complessa della semplice analisi numerica, e il cambio di gerarchie nel roster dei Celtics è stato l’ostacolo più grande alla parabola ascendente di Tatum.

Da dove avevamo cominciato.

 

Cambio di gerarchie

Negli ultimi due anni i Celtics hanno rivoluzionato le proprie formazioni e gerarchie seppur mantenendo grossomodo lo stesso roster. Due anni fa l’infortunio a Gordon Hayward aveva aperto una quantità di minutaggio impensabile per Tatum, e l’infortunio successivo di Kyrie Irving gli aveva di fatto regalato più libertà (e responsabilità) in attacco.

 

Con il rientro dei due in campo si pensava che le difese avrebbero lasciato Tatum più libero di agire lontano dalla palla, che l’attacco ristagnante della stagione precedente avrebbe lasciato il posto a una circolazione di palla più organica e a una maggior creatività a metà campo della squadra di Stevens, con un Tatum che avrebbe potuto sguazzare negli spazi lasciati aperti e prendendosi solo i migliori tiri possibili. Ma abbiamo tutti colpevolmente fatto un errore comune e frequente: ci siamo immaginati Tatum per il giocatore che avremmo voluto fosse e non per quello che in realtà è.

 

Il cambio di gerarchie ha rivoluzionato il suo modo di leggere il gioco. Improvvisamente non era più il baby-prodigio che spacca le difese con le sue movenze e il suo tiro, ma un giovane ansioso di trovare spazio e di mantenere il numero di tiri che si era guadagnato l’anno precedente.

 

Inoltre le speranze si sono infrante sulla realtà dei fatti: Kyrie Irving al netto di tutto ha avuto una stagione veramente eccellente in attacco e i Celtics si sono adagiati sulle sue spalle, aspettando che il suo ball-handling li portasse oltre la loro asfittica creatività. In questo contesto però sono aumentati gli isolamenti di Irving, l’azione in attacco dei Celtics ha rallentato e Tatum non riceveva più palla con 18 secondi sul cronometro attaccando un close-out, ma spesso prendeva palla in punta, con 8 secondi rimanenti e la smania di vivere al pari delle sue (e nostre) aspettative. Credo che sulle retine di tutti i tifosi Celtics ci sia ormai consolidata l’immagine di un palleggio-arresto e tiro subito dentro la linea dei tre punti che si stampa sul secondo ferro.

 

La smania di superare i propri numeri precedenti, o forse la semplice possibilità di far uscire la propria personalità, ha modificato il gioco di Tatum nelle scelte più che nelle movenze. È una sensazione strana vedere un giocatore così simile e allo stesso tempo così profondamente diverso dalla sua versione precedente a causa di lievi modifiche “strategiche” al proprio ruolo. Tatum ha mantenuto grossomodo costante la distribuzione dei suoi tiri da dentro e fuori l’arco da tre punti nel corso delle due stagioni, ma nell’ultima stagione ha preso meno tiri in catch & shoot (passando dal 23% delle sue conclusioni da 3 al 19% dell’anno da sophomore) aumentando dello stesso numero le sue conclusioni dal palleggio. 

 

È evidente come Tatum si trovi molto di più a suo agio con la palla tra le mani, e di come manchi di versatilità per essere un fattore determinante lontano dalla palla, ma la situazione di Boston non gli ha permesso di giocare secondo le proprie caratteristiche quanto invece lo ha costretto ad adattarsi e trovare il proprio spazio. Nel mentre le sue qualità principali non sembrano essere variate moltissimo: le movenze in post e attorno al ferro sono eccellenti, il rilascio e il tiro in sospensione è estremamente fluido, la capacità di mettere palla a terra è ondivaga e la difesa, nel migliore dei casi, è incostante.

 

Dove i Celtics hanno fallito però è nel credere che un giocatore di 20 anni alla ricerca del proprio spazio sia capace di porre rimedio alle carenze strutturali di un roster, invece di venir trascinato nel baratro dallo stesso. I Celtics di Stevens sembrano storicamente incapaci di avere un gioco efficiente vicino a canestro: l’anno scorso sono stati 29esimi per tiri al ferro tentati su 100 possessi e 28esimi per tiri liberi tentati. È evidente come Boston abbia bisogno di un gioco più aggressivo nel pitturato, ma strutturalmente non sia capace di farlo. Irving è uno dei giocatori più creativi della lega quando si trova in sospensione vicino al canestro, ma non è comunque un atleta dominante o uno in grado di procurarsi tanti falli in lunetta; Hayward dopo l’infortunio non ha lontanamente la presenza fisica che aveva avuto per Utah in attacco; Al Horford, che è stato probabilmente il giocatore più importante dei Celtics nelle ultime stagioni, ha un gioco in post meno aggressivo e più orientato al dialogo con gli esterni. Non è un caso che il giocatore dei Celtics con il miglior Net Rating la passata stagione sia stato Aron Baynes, la cui presenza fisica è stata determinante per cambiare uno spartito troppo simile a sé stesso in tutto l’anno, tanto in attacco quanto in difesa.

 

In questo contesto le aspettative dei Celtics per Tatum erano quelle di attaccare di più il ferro, essere più aggressivo e prendersi dei tiri migliori. Nel mentre nella sua testa Tatum cercava conferme con se stesso e si interfacciava con un attacco strutturalmente incapace nel dargli i tiri che si aspettavano si prendesse. Col senno di poi c’erano tutti gli ingredienti necessari a una ricetta destinata al fallimento, ma parlare col senno di poi è facile.

Le aspettative su di lui nascevano principalmente da questo.

 

Be Like Kobe

Se Kobe Bryant è arrivato in NBA come copia-carbone di Michael Jordan e delle sue movenze, lo stesso principio si applica tra Jayson Tatum e Kobe Bryant. Non solo il loro gioco ha delle notevoli similitudini, ma anche molte movenze sono sinistramente simili tra i due. Il modo in cui Tatum scalcia leggermente la gamba destra in un jumper, come crea separazione in post inarcando la schiena o come cambia perno nel fadeaway sono tutte movenze immediate per chi ricorda con affetto il gioco di Kobe.

 

Lo stesso Tatum ha ammesso di esser cresciuto con il mito di Bryant e di essersi ispirato a lui nel suo gioco. Il rapporto tra i due poi è sbocciato quando Kobe ha realizzato un focus dei movimenti in attacco per ESPN, con Tatum che ha risposto a cuoricini nelle interviste; nel luglio 2018 sono apparse foto di un allenamento tra i due, in cui Kobe ha insegnato al giovane giocatore dei Celtics alcune movenze e il cambio di perno nelle finte.

 

Molte persone hanno storto il naso: Kobe è stato il volto dei Lakers per quasi 20 anni e la rivalità tra Boston e Los Angeles pulsa inevitabilmente fortissima. Quando poi la selezione di tiro di Tatum è sembrata virare verso il lato oscuro dell’ex 24 gialloviola, con una pletora di tiri in sospensione contro un numero di difensori obbligatoriamente superiori a uno, è stato facile additare le colpe della crescita agli allenamenti con Kobe, sia in modo ironico che meno.

 

Ad onor del vero Tatum si è allenato più spesso con Penny Hardaway, ma non essendoci una così forte accesa rivalità tra lui e i Celtics e sperando tutti in un futuro da facilitatore di Tatum, tale allenamento non ha causato problematiche di sorta.

Pensate di avere vent’anni e di ricevere i complimenti pubblici di Kobe Bryant.

 

In ogni caso qualunque estimatore di Tatum dovrebbe rimanere estasiato dalla possibilità che uno dei migliori attaccanti della storia di questo gioco dia consigli all’ex Duke. Tatum ha migliorato un movimento di piedi comunque superiore a quello della stagione precedente (e la base di partenza era già alta) con un uso più sapiente degli up & under e degli shimmy in post. Tutte queste cose ovviamente non sono il frutto unicamente degli allenamenti con Bryant – è facile dimenticarsi che una sessione anche settimanale di allenamento è nulla in confronto alla mole di lavoro che questi giocatori affrontano durante l’estate – ma, come scritto precedentemente, è stupido addossare tutti i meriti a quel singolo allenamento così come tutte le colpe. Se Tatum ha utilizzato una selezione di tiro molto più discutibile dell’anno precedente non può essere solo colpa di Kobe. D’altro canto la possibilità di un giocatore di allenarsi con uno dei più infaticabili perfezionisti del proprio gioco dovrebbe essere solo motivo di entusiasmo.

 

Il gioco di Kobe difficilmente troverebbe terreno fertile nella NBA attuale come lo è stato nelle due passate decadi, ma ciò non toglie che di cose da insegnare per lettura degli spazi e per capacità di costruzione del tiro Kobe sia secondo a pochissime persone al mondo e siano concetti utili anche nella lega di oggi.

 

Cosa aspettarsi in futuro

Il roster dei Celtics è stato nuovamente rivoluzionato durante l’estate. Se Irving è stato sostituito in modo abbastanza pulito con Kemba Walker (almeno nei principi del gioco), la partenza di Horford presenta una rivoluzione tutt’altro che banale nell’organico dei Celtics. Horford è stato forse il giocatore più identificativo dei Celtics nelle due fasi di gioco, specialmente in quella difensiva: la sua assenza richiede un cambio di gerarchie e di struttura tattica. I Celtics non possono semplicemente sperare che Enes Kanter faccia le stesse cose che faceva Horford, ma utilizzare in modo diverso le qualità dei nuovi giocatori.

 

In questo contesto Tatum potrebbe dover modificare nuovamente il suo gioco. La presenza di Kanter permette ai Celtics di recuperare più rimbalzi in attacco di quanto abbiano fatto negli ultimi… 30 anni? E anche se non è detto che muovere una difesa ben posizionata sia un compito facile, è abbastanza certo che Tatum sia in grado di punire una difesa già mossa in precedenza o cannibalizzare un accoppiamento favorevole.

 

Quello che sarebbe auspicabile, almeno teoricamente, è che i Celtics utilizzino le capacità di Tatum, sperando che questo abbia allenato notevolmente il suo gioco mettendo palla per terra per muovere una difesa. Responsabilizzarlo a muovere una difesa in prima persona con più secondi sul cronometro gli permetterebbe forse una migliore gestione dei ritmi in attacco, un auspicabile miglioramento nelle letture e, addirittura, un nuovo utilizzo di Gordon Hayward, quasi un suo ritorno stilistico ai suoi primi anni a Utah.

 

Questo ovviamente è molto difficile da realizzare. Walker è un giocatore che necessita di avere la palla in mano per gran parte dell’azione; lo stesso Kanter richiede un numero consistente di possessi in cui viene coinvolto ed è difficile immaginare Hayward tornare di buon cuore a un ruolo ridimensionato; e nel mentre anche Jaylen Brown spera in una stagione con maggiore spazio, forte di un’estensione di contratto in tripla cifra.

 

In aggiunta ai dubbi in attacco, anche lo spartito difensivo di tutta la squadra dovrà cambiare. Sarà possibile per Marcus Smart avere un ruolo di regista difensivo pur dando le spalle a metà del proprio schieramento? Cosa sono in grado di fare le ali di Boston senza la presenza di Horford capace di guidarle e tappare i loro buchi? Tatum è sembrato più in difficoltà nel secondo anno, ma semplicemente per il fatto che le squadre avversarie erano ben felici di farlo faticare in difesa per non ritrovarselo fresco in attacco. Non è chiaro quindi se ci saranno dei veri e propri miglioramenti difensivi, né individuali né di squadra, e non resta di fare altro che aspettare per vedere gli sviluppi.

 

Difficilmente la parabola di un giocatore è priva di interruzioni e salti: se il primo anno di Tatum ci faceva assaporare una crescita vertiginosa verso gli apici della lega, la salita del secondo anno si è rivelata molto più impervia del previsto. Ciò nonostante, bisogna apprezzare che un giovane di 21 anni, inserito in voci di scambio con i New Orleans Pelicans per tutta la stagione, abbia comunque provato ad evolvere il proprio gioco e si è dimostrato determinato a migliorare.

 

Le difficoltà di Tatum non sono dovute soltanto a lui, e i Boston Celtics devono migliorare il loro gioco per tutelarlo in questi primi anni. Nella speranza che in futuro sarà lui a trascinare la franchigia verso nuovi successi.

 

 

Tags : boston celticsjayson tatumnba

Nicolò Ciuppani: parla di basket su Ball Don't Lie, ne scrive sul Buzzer Beater Blog e programma analytics per Chartside.

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