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Dario Costa
Tracollo alla Oracle
01 giu 2018
01 giu 2018
Questa foto di LeBron James e J.R. Smith è già un momento iconico della storia della NBA.
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Dario Costa
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Da molti riconosciuto come uno dei capolavori trascurati del realismo concettuale post-modernista, l’esegesi del Tracollo alla Oracle è ancora oggi motivo di dibattito tra studiosi e addetti ai lavori.


 

L’opera, il cui autore rimane sconosciuto, ritrae un fatto realmente accaduto nella città di Oakland verso la fine del secondo decennio del XXI secolo. Ambientata in un campo da pallacanestro, la scena ritrae il dialogo tra i due protagonisti: di spalle vediamo tale LeBron James, presumibilmente omonimo del secondo presidente afro-americano degli Stati Uniti insediatosi nel decennio successivo, fronteggiare quello che appare come un compagno di squadra. Le ricerche effettuate sembrerebbero identificare il soggetto come J.R. Smith, paziente zero delle sperimentazioni neurologiche che avrebbero poi rivoluzionato la nozione di “aneurisma cerebrale persistente”. L’ipotesi, tuttavia, non ha mai trovato completa legittimazione: persiste una corrente di pensiero alternativa che vorrebbe il J.R. Smith qui ritratto come il precursore dei coloni aerospaziali americani, spedito su Marte proprio dal presidente James di cui sopra. Una terza congettura vorrebbe i due come personaggi di pura fantasia, con i nomi che compaiono anche nei racconti dell'epoca solamente perché tra i più comuni al momento dei fatti, per rappresentare un momento carico di emotività, passione, freneticità e — in definitiva — dramma.


 

Al centro dell’opera, fulcro delle innumerevoli decodificazioni susseguitesi nel tempo, c’è il confronto tra James e Smith. L’analisi del linguaggio del corpo parte dalla posa plastica di James: i piedi sembrano ben piantati sul legno duro ad indicare la solidità della sua posa, con le ginocchia piegate ma non rilassate, metafora della posizione predominante nel rapporto con Smith, le cui spalle comunicano la totale assenza di energia interiore. Ma ancor più interessante è la simbologia legata al busto di James. Le braccia tese, con le mani aperte in avanti in direzione dello sguardo del compagno, trasmettono una mozione d’aiuto psichico il cui scopo ultimo è verosimilmente comunicare cosa avrebbe dovuto fare della palla, al momento fuori inquadratura ma, stando ai racconti dell'epoca, un attimo prima nelle mani di Smith. L’estensione delle braccia di James sembra indicare al compagno un obiettivo fuori dal quadro a noi noto, con una drammaticità unica. È presumibile che si tratti di un obiettivo al di sopra della visuale di entrambi i protagonisti - la testa di Smith è leggermente inclinata verso l'alto - probabile approdo desiderato per l’oggetto al centro del gioco del basket, la palla.


 

Il posizionamento parallelo al campo del corpo di Smith e la caducità delle sue spalle, d’altronde, confermano l’effetto contraddittorio delle suggestioni generate da James. Da una parte la direzione intrapresa da Smith sembra quella indicatagli dal compagno, tuttavia la plasticità con cui l’autore lo raffigura come se l’errore sia già compiuto comunica che ormai è troppo tardi per Smith. Concentrandosi sull’espressione facciale di James, infine, è impossibile non rimanere frastornati dalla magistrale capacità dell’autore di non fornire appigli alla parafrasi dei sentimenti che pervadono il soggetto ritratto: gli occhi vagano persi in un concentrato di rabbia a metà tra lo spleen esistenziale tipico di quegli anni e lo sguardo di chi non vuole accettare qualcosa di ineluttabile, la mascella cede alla forza di gravità senza opporre resistenza e le labbra si deformano, mentre gli occhi si comprimono nell'impotenza più pura. 


 

Se sul commento all’opera le opinioni differiscono con forza, sul suo senso ultimo vige invece una concordanza quasi unanime: il simbolismo di Tracollo alla Oracle, d’altronde, è così potente da essere di fatto inequivocabile. Il distacco tra due mondi, quello della salda concretezza di James - seppur crollata e sconfitta - e quello dell’etereo sbigottimento di Smith, raffigurato di spalle come un fantasma. L'immagine sarebbe così una metafora dell’imperitura disputa tra azione e pensiero, muscolo e anima, terra e cielo. I due soggetti, così vicini nella distanza fisica eppure così lontani nella trasmissione del pensiero, si fanno estremi dell’incomunicabilità tra gli esseri umani. La volontà comune, quella di raggiungere l’obiettivo indicato da James, crolla di fronte allo scarto di frequenza intellettiva.


 

Non abbiamo certezze a proposito di quanto è avvenuto dopo l’istante immortalato dall’autore, i racconti ci dicono solo che Smith ha perso la palla decisiva di una partita epica. Ciò nonostante, viene naturale ipotizzare che si tratti anche di un crocevia trasformativo del rapporto tra i due protagonisti, con conseguenze sul futuro di entrambi. Il disaccordo tra i corpi si fa metafisico, allegoria di un declivio che l’autore vuole significarci come destino ineluttabile dell’umanità: quello di veder sprecata la propria opera massima, da un’idiozia imprevedibile e impalpabile.


 



 

 

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