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Le spallate dei Lakers fanno più male
01 ott 2020
In gara-1 delle Finals i Miami Heat si sono scontrati contro la maggiore fisicità dei Los Angeles Lakers e ne sono usciti incerottati e sconfitti.
(articolo)
8 min
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Se le partite di una serie di playoff hanno importanza e peso crescente, il risultato di gara-1 va sempre preso con le pinze. Nella storia della NBA abbiamo visto molte serie in cui l’esito della prima partita è stato completamente ribaltato a partire già dalla seconda gara: non più tardi di qualche mese fa gli stessi Los Angeles Lakers avevano perso la prima partita sia contro Portland che contro Houston, serie che sono riusciti comunque a dominare nelle successive quattro partite.

Gara-1 è però anche la partita in cui vengono definiti i “termini di ingaggio” della serie: quali accoppiamenti sono problematici, quali soluzioni si possono esplorare maggiormente, quali rotazioni garantiscono il miglior equilibrio tra attacco e difesa, quali tiri non si possono concedere agli avversari e quali invece si devono incoraggiare. È la prima mole di dati significativi a disposizione di entrambi i coaching staff per fare i famosi aggiustamenti, attesi da appassionati, tifosi e addetti ai lavori come il Sacro Graal di ogni serie di playoff che si rispetti.

Gara-1 delle Finals tra i Los Angeles Lakers e i Miami Heat ha dato un responso netto. Dopo un inizio in cui gli Heat si sono dimostrati più pronti a giocare portandosi velocemente sul 25-12, i gialloviola hanno completamente dominato i due quarti centrali con un mega parziale di 75 a 30, controllando — pur con diversi passaggi a vuoto — la frazione finale per portarsi comodamente sull’1-0 nella serie.

E, come se non fosse abbastanza pesante aver subito una sconfitta di questo tipo, per Miami si sono aggiunte anche le pessime notizie degli infortuni di Goran Dragic (sospetta fascite plantare) e di Bam Adebayo (aggravamento di un problema alla spalla con cui convive da tempo), a cui si aggiunge la distorsione alla caviglia subita da Jimmy Butler sul finire del primo tempo e poi nel quarto finale che per fortuna non hanno avuto conseguenze immediate (e soprattutto non ha interessato il ginocchio, che ha subito una torsione innaturale quanto la caviglia nella prima occasione).

Situazioni che renderanno ancora più complicata la preparazione di gara-2, che si disputerà nella notte italiana tra venerdì e sabato a 48 ore esatte dal primo incontro — lasciando pochissimo tempo per escogitare delle soluzioni che, ora come ora, sembrano difficile da trovare.

L’inizio perfetto degli Heat e la risposta dei Lakers

Per i primi otto minuti di partita, i Miami Heat hanno mostrato la parte migliore del loro repertorio. In difesa sono partiti con Jae Crowder in marcatura su Anthony Davis lasciando Bam Adebayo su Dwight Howard, pronto ad arrivare in aiuto dei compagni al momento del bisogno; Jimmy Butler si è preso invece cura di LeBron James, mentre Goran Dragic è stato messo su Danny Green e Duncan Robinson su Kentavious Caldwell-Pope, per provare a nascondere i peggiori difensori di Miami sui due esterni meno dinamici dei gialloviola.

Se Miami è riuscita a portarsi fino al +13 a inizio gara è però per merito dell’attacco, che ha sfruttato al meglio la presenza di Dwight Howard. I blocchi sulla palla di Adebayo e i suoi tagli verso canestro hanno aperto in due la difesa dei Lakers, procurando gli spazi necessari anche ai tiratori come Jae Crowder per colpire dal perimetro.

La capacità di attaccare dal pick and roll di Dragic è stata una delle chiavi del grande inizio di Miami, unita alle difficoltà di Howard nel prendere le misure allo sloveno.

Delle due squadre, quella più in “palla” e con le idee più chiare in testa sono sembrati certamente gli Heat - anche al di là del punteggio comunque significativo - ma non appena sono arrivati i primi cambi la partita ha cominciato a girare. L’uscita dal campo di Howard e la conseguente scalata di Anthony Davis da 5 insieme a KCP, Rondo, Kuzma e Green/Caruso ha immediatamente dato risultati a coach Frank Vogel, con Caldwell-Pope autore di due triple dagli angoli pesanti per far pagare la presenza in campo di Duncan Robinson prima e Solomon Hill poi, continuamente puntati dall’attacco dei Lakers a metà campo.

Protagoniste del primo tempo sono state però soprattutto le percentuali dall’arco di Los Angeles, contro le quali la difesa di Miami ha potuto fare poco. Ogni piano partita contro i gialloviola comincia dalla necessità di chiudere l’area contro James e Davis, e per sperare di avere una chance di cavarsela bisogna contare su una serata almeno normale dall’arco dei tiratori. Nel primo tempo invece i Lakers hanno tirato 11/19 da tre punti, nuovo record di franchigia per una partita di playoff, mandando a segno tutti i giocatori in rotazione che hanno tentato almeno un tiro e distribuendo 17 assist su 22 canestri segnati. Con percentuali del genere, non si può ragionare contro una squadra del livello di questi Lakers — che infatti sono andati all’intervallo con 17 lunghezze di vantaggio forti di un secondo quarto dominante da 34-20 pur con un LeBron da 9 punti e 2/6 al tiro.

La scarsa resistenza degli Heat nel terzo quarto

In quel momento gli Heat avevano già perso Goran Dragic per un infortunio al piede che rischia di tenerlo fuori per il resto delle Finals e avevano sudato freddo quando Jimmy Butler si è accasciato a terra dopo aver messo giù male il piede, subendo una distorsione alla caviglia che non ne ha però compromesso la presenza in campo. Coach Spoelstra ha deciso di affidarsi a Tyler Herro al posto di Dragic per cominciare la ripresa, anche perché il rookie era stato tra i pochi a creare qualcosa dal palleggio segnando 8 punti nel secondo quarto. Il problema però è stato nella metà campo difensiva.

I Lakers hanno puntato insistentemente Herro e Robinson a ogni occasione come avevano fatto con profitto gli Indiana Pacers nel primo turno e come non erano riusciti a fare altrettanto bene i Bucks e i Celtics nelle serie successive. Quello che un po’ ha sorpreso è la facilità con cui gli Heat hanno concesso soprattutto a LeBron James di andare a caccia dell’accoppiamento preferito, di fatto consegnandosi ai Lakers con cambi difensivi pigri — un aggettivo che di solito non si usa mai per le squadre di Spoelstra.

L’idea è quella di “invogliare” James ad attaccare uno contro uno cercando soluzioni personali, un vecchio difetto che Miami conosce bene e che ogni tanto è capitato anche in questa partita quando si è incaponito ad attaccare Kelly Olynyk. Gli aiuti portati dal lato debole sono stati troppo lenti e/o effettuati da giocatori non in grado di contrastarlo, scoprendosi anche a rimbalzo. Il canestro segnato contro Butler, poi, è semplicemente insostenibile per le speranze degli Heat di potersela giocare: se nemmeno lui riesce a tenerlo dal palleggio, chi può riuscirci?

La partita è di fatto finita quando Bam Adebayo, attaccando un Dwight Howard più produttivo rispetto alla pessima apparizione di inizio gara, ha aggravato di nuovo un problema alla spalla su cui prova a giocare ormai da diverso tempo. In quel momento gli Heat erano a -20 e sarebbero poi scivolati fino al -32, prima di trovare qualche soluzione che potrebbe tornare buona in vista delle prossime partite.

A cosa si possono aggrappare gli Heat

Dopo dei playoff passati principalmente a osservare dalla panchina, l’impatto di Kendrick Nunn è stata forse la miglior notizia per coach Spoelstra in vista del resto della serie. Titolare tutto l’anno in regular season, il rookie ha dato una scossa di adrenalina a Miami segnando 18 punti con 8/11 al tiro, seppur in pieno garbage time e con la difesa dei Lakers che aveva decisamente allentato la presa rispetto a quanto mostrato nei due quarti centrali di gara, nei quali ha tenuto gli avversari sotto al 30% dal campo.

Per Spoelstra sarà decisamente complicato trovare un equilibrio nei quintetti che permetta di avere produttività in attacco senza compromettere la difesa. Se davvero Dragic dovesse essere fuori uso gli Heat perderebbero il loro principale palleggiatore e creatore dal pick and roll, e con Butler limitato dal problema alla caviglia dovrebbero affidarsi soprattutto a Herro e Nunn — che pur con la loro brillantezza rimangono comunque due rookie sottodimensionati, specie contro la fisicità dei Lakers.

Se poi anche Bam Adebayo dovesse essere incapace di esprimersi ai suoi livelli per il problema alla spalla, questa serie si rivelerebbe una montagna insormontabile per Miami — visto che anche nel periodo in cui è stato in campo gli Heat hanno sofferto enormemente la prepotenza fisica dei Lakers, in particolare con Anthony Davis.

AD ha chiuso con 34 punti e 9 rimbalzi con 5 assist e 3 stoppate, tirando 11/21 dal campo, 2/4 da tre e 10/10 ai liberi: con Adebayo non al 100%, viene difficile pensare come non possa segnare 30 punti ogni volta che scende in campo in questa serie in cui è più grosso, più veloce e più talentuoso di ogni lungo che Miami può mettergli addosso.

Nell’attacco a metà campo i Lakers si sono appoggiati moltissimo alle ricezioni di James e Davis in post medio con un quarto di campo a disposizione, scegliendo il momento giusto per attaccare o per scaricare sul lato debole — dove l’attività della difesa degli Heat è stata insufficiente per contenere le due stelle. Cercare di bloccare i Lakers in quell’uno contro uno costringendoli a prendere tiri contestati dalla media distanza è fondamentale per darsi una chance, anche se è ovviamente più semplice a dirsi che a farsi. L’utilizzo della zona, vista solo a sprazzi in questa gara-1 complici le percentuali dei Lakers, è un’altra carta che si può ancora esplorare, sempre che il supporting cast dei gialloviola torni sulla terra.

Si tratta però pur sempre e solo di gara-1 e c’è da scommettere che Miami dopo una partita del genere tornerà in campo con ben altro atteggiamento e soluzioni tattiche per riaprire la serie. La vera domanda è se potrà contare sui suoi uomini migliori in condizioni accettabili per poter raggiungere le quattro vittorie che servono per conquistare il titolo.

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