
La notte del Draft 2022 Jalen Williams è evidentemente emozionato. Aspetta il suo turno con gli occhi bassi, l’atteggiamento di chi si è imbucato a una bellissima festa e ha paura di essere cacciato da un momento all’altro. Fino a poche settimane prima era dato come probabile scelta a metà secondo giro, poi qualcosa - e presto avremmo scoperto cosa - aveva impressionato gli scout nelle varie combine e Williams era risalito fino a guadagnarsi un posto nella green room, la zona riservata a chi sarà scelto più in alto.
A chiamarlo, con la dodicesima scelta, sono gli Oklahoma City Thunder. Prima di lui Presti ha scelto Chet Holmgren alla 2 e Ousmane Dieng appena sopra, con la 11. Anche Dieng è un esterno come Williams e, se quella sera vi avessero chiesto di scommettere un dollaro su chi avrebbe avuto più successo, probabilmente avreste scelto Dieng. Williams sale sul palco con un completo scuro appena eccentrico e un bel taglio di capelli afro su cui poggerà il cappello della sua nuova squadra. La prima cosa che ci ricordano dal commento, è che è appena diventato il primo giocatore da Santa Clara, un piccolo college della California senza grande tradizione cestistica, ad essere scelto al draft, da Steve Nash nel 1996.
Quasi esattamente tre anni dopo, Jalen Williams ha segnato 40 punti in una partita delle Finals. Con questa prestazione Williams entra a far parte di un ristretto gruppo di fenomeni, che ci è riuscito prima di compiere 25 anni. Tra questi, probabilmente, Williams è il più inatteso, o, forse, è meglio dire: quello che l’ha voluto di meno. Per segnare 40 punti, infatti, che sia alle NBA Finals o al campetto sotto casa, devi in qualche modo cercare di piegare la partita al tuo volere, provare a controllarla, cannibalizzare il gioco. Questo, però, non è Williams, non è il suo gioco: «Mentirei se dicessi che avrei potuto immaginare di fare quello che ho fatto stasera» è la frase con cui ha commentato una prestazione da 14/25 al tiro, di cui 3/5 da tre punti e 9/12 ai liberi, insieme a 6 rimbalzi e 4 assist, in 35 minuti (che sono almeno 6-7 in meno di quelli che solitamente giocano i titolari in una gara-5 delle Finals).
E, certo, c’è dell’umiltà da parte sua, un carattere un po’ schivo che abbiamo imparato a conoscere, ma c’è anche una consapevolezza di fondo: quando mi sono svegliato stamattina non mi aspettavo di dover segnare 40 punti, ma era quello che serviva per vincere e l’ho fatto. Da questo punto di vista Williams - o “J-Dub”, visto che in squadra con lui c’è un altro Williams, Jaylin Williams, scelto nello stesso Draft - è il giocatore perfetto per un roster NBA. Un esterno versatile, che può giocare più ruoli e fare tante, ma proprio tante cose in campo, anche segnare 40 punti se l’occasione lo richiede. E l’occasione lo richiedeva: OKC sta faticando a trovare punti puliti in attacco, e dopo aver un po’ sparacchiato nella serie contro Denver, Williams era chiamato a rispondere come secondo scorer della squadra, a essere più efficiente in attacco e togliere un po' di pressione dalle spalle di Shai Gilgeous-Alexander. La progressione dei suoi punti in queste Finals lo dimostra: 17 punti in gara-1, 19 in gara-2, 26 in gara-3, 27 in gara-4 e 40 in gara-5.
Williams ha giocato una delle migliori prestazioni mai viste alle Finals, semplicemente. Non solo ha difeso alla grande, non facendo mancare davvero mai il suo contributo difensivo, che è di altissimo livello, ma ha segnato davvero in tutti i modi. Ha segnato dal pick and roll, dal mid-range, da tre punti. Ha segnato con dei giochi a due insieme a Shai, con il compagno a fare da bloccante, oppure schiacciando al ferro tagliando dalla linea di fondo. Ha segnato in transizione e contro la difesa schierata, con degli schemi disegnati per lui o rovistando nella spazzatura della partita, con un layup mancino appoggiando al tabellone, o direttamente in corsa con i polpastrelli, subendo anche fallo. Soprattutto ha segnato punti importanti, quando il momento lo ha richiesto. La tripla del 98-93, ad esempio, quando con l’ennesima rimonta della sua stagione Indiana era tornata a -2 a 8 minuti dalla fine della partita. L’attacco di OKC si era come ingolfato, e quella tripla l’ha come sbloccato. Dopo ha segnato anche due canestri in penetrazione appoggiando al tabellone, uno dopo aver rimbalzato sull’aiuto di Nembhard e l’altro alzando la parabola nel traffico, facendo quasi baciare il pallone sul vetro prima di entrare. Un tipo di canestro che onestamente ti aspetteresti dal miglior Kyrie Irving, non da Jalen Williams. Per poi chiudere con il canestro dei 40 punti in fade-away, dopo un arresto rovesciato, una chiara citazione di Kobe Bryant, di cui Williams ha un tatuaggio (e il cui numero 8 è in suo onore).
Gara-5 è stata una gara strana. Fin dal primo momento l’energia di OKC era sembrata incontenibile per Indiana, limitata anche dall’infortunio al polpaccio sinistro di Haliburton, che non lo ha tolto dalla partita perché per mollare alle Finals ti devono sparare, ma lo ha di certo limitato (4 punti con 0 su 6 al tiro). Eppure, in qualche modo, i Pacers sono rimasti aggrappati alla partita, con un terzo quarto eroico di Siakam e McConnell.
Ma per loro Williams è rimasto un enigma, e non sono riusciti a risolverlo per tutta la partita. Se l’impegno maggiore per i Pacers in difesa è, giustamente, provare a contenere SGA, non sono riusciti a trovare il modo tenere Williams fuori dall’area. Se infatti, per come è il gioco di OKC, il tiro da fuori a Williams devono concederlo, sperando non chiuda con 4 su 6 come stanotte, è il modo in cui Williams ha attaccato a essere stato incontenibile. «Stasera è stato davvero coraggioso» ha detto il suo compagno SGA, i cui blocchi sono stati decisivi per questa prestazione, per mettere in difficoltà tutto il sistema difensivo di Indiana. «Ha preso iniziative importanti. Sembrava che ogni volta che avevamo bisogno di un canestro, lui lo realizzasse. Non aveva paura. Era impavido».
La prestazione di Williams, più di tutte, è un'ode alla capacità dei Thunder di costruire un roster fenomenale partendo dal draft. Che Williams sarebbe diventato il secondo miglior giocatore di una squadra da titolo, era davvero difficile da prevedere. Più facile pensare che, se fosse finito altrove, non sarebbe, o almeno non ancora, arrivato a questo livello. Perché i Thunder, lo stanno dimostrando, sanno anche come costruire un giocatore. Ora grazie a questa capacità si trovano ad avere due match-point, di cui uno in casa, per vincere il titolo NBA. Williams, di suo, ha dimostrato che questo è il suo posto, che magari non servirà segnare tutte le sere 40 punti, ma quando serve lui c'è.