Golden State vs Cleveland: The Heart Part 4
Per il quarto anno in fila sarà ancora Warriors contro Cavs alle NBA Finals.
I terzi quarti dei Golden State Warriors
di Daniele V. Morrone
Dopo la vittoria dei Phoenix Suns nella Lottery, sono rimaste solo due certezze nel mondo della NBA: LeBron James in Finale e il parziale nel terzo quarto dei Golden State Warriors. Non è un caso se a giocarsi il titolo sono proprio le squadre che hanno queste due certezze.
Abbiamo in testa l’idea di cosa sono gli Warriors in potenza, ma questa idea si trasforma in atto principalmente al rientro dagli spogliatoi, in un terzo quarto che puntualmente si presenta come la distruzione dei sogni di gloria degli avversari. Non importano i punti di vantaggio con cui si chiude all’intervallo la partita: gli avversari sanno che quei punti verranno rimontati nei successivi 12 minuti, e che resistere alla mareggiata è l’unica opportunità per vincere. È successo anche nella partita più importante finora della stagione, gara-7 di finale di conference contro gli Houston Rockets: la stessa squadra che pochi minuti prima veniva distrutta sotto canestro, perdeva palloni non forzati, faticava ad aprire un parziale e sembrava completamente fuori focus, una volta tornata dagli spogliatoi ha prodotto una gigantesca esplosione di adrenalina e talento, segnando canestri pesanti a pioggia e frantumando in pochi minuti il vantaggio dei Rockets, facendo perdere loro l’inerzia della partita.
Se LeBron James è la cosa più vicina a Ercole che la civiltà moderna sia riuscita ad esprimere, va detto che il terzo quarto degli Warriors è come un mostro mitologico che sta lì a sbarrare la strada al nostro eroe intento a completare la sua quest. Così come gli Argonauti alla ricerca del Vello d’Oro erano consapevoli di dover prima o poi affrontare Scilla e Cariddi, James e compagni che si apprestano all’impresa di battere gli Warriors in una serie devono superare per forza il terzo quarto dei “Dubs”.
As we enter the 3rd quarter of the day, we must be aware of that @warriors run…
Golden State has outscored opponents by 130 in the third quarter of these playoffs, the largest point differential in any single quarter by a team in the playoffs in the Shot-Clock Era pic.twitter.com/E6LSx1NfZl
— ESPN Stats & Info (@ESPNStatsInfo) 29 maggio 2018
Per capirci: il plus-minus cumulativo degli Warriors in questi playoff è +1 nel primo quarto, +9 nel secondo, +130 nel terzo e + 10 nel quarto.
E non è un caso se la prima immagine che ci viene in mente dei terzi quarti degli Warriors è la figura di Steph Curry che prende fuoco. L’assassino con la faccia da bambino è il giocatore che più di tutti risente del cambio tra il primo e il secondo tempo: in questi playoff gli Warriors con lui in campo superano di 9.3 punti i rivali nel terzo quarto. Curry sta segnando 9.6 punti con il 58.9% al tiro (da tre tira con il 57.6%) solo in quella frazione. E se nel primo tempo sembra ancora risentire di un fisico non al 100% che lo porta a fare fatica nel creare separazione del marcatore e a dover aspettare tra una penetrazione a canestro e l’altra, proprio nel terzo quarto sta ritrovando puntualmente il proprio gioco e sembra improvvisamente poter superare l’uomo a piacimento.
Steph splash to take the lead! 💦
📺 @NBAonTNT pic.twitter.com/5WYbtum2J9
— Golden State Warriors (@warriors) 29 maggio 2018
In gara-7 Curry ha segnato 14 dei suoi 27 punti nel terzo quarto.
Dopo che nei primi tempi troppo spesso spara a salve, il terzo quarto di Curry è dove torna ad essere colui che definisce il contesto di gioco, quello nel quale il parquet sembra inclinarsi verso il canestro avversario e dove anche in difesa è un tripudio di intangibles che aiutano la a mantenere la dinamica positiva. Come se le sue energie nervose vengano centellinate all’inverosimile nel primo tempo, portandolo a giocare apertamente svagato con la palla, per poter viaggiare a ritmo ridotto fino all’esplosione improvvisa, dove canalizza tutto trascinando la squadra.
Se il terzo quarto degli Warriors è il Mostro, Curry è l’arma con cui il Mostro fa soccombere gli eroi. Capire come neutralizzare quell’arma può essere per Cleveland il primo passo per evitare di soccombere.
I tre VIP a bordo campo che potrebbero turbare Jeff Van Gundy
di Dario Costa
Diciamoci la verità: le Finals 2017 sono state tutto fuorché avvincenti. Un copione già scritto e rispettato alla lettera, con gli Warriors a concedere gara-4 come offerta per rendere l’onore della armi ai vinti. Ad animare un po’ la trama scontata c’ha provato da subito Jeff Van Gundy, storico coach di Knicks e Rockets e ormai da un decennio apprezzatissima voce di ESPN. Invece di commentare la portentosa schiacciata di James che riportava la contesa sul 24 pari in gara-1, JVG si lasciava ammaliare dal passaggio di Rihanna nei pressi della postazione occupata insieme a Mike Breen e Mark Jackson.
Tra il malcelato imbarazzo dei due colleghi, Van Gundy non faceva niente per nascondere lo stupore per la visione di Rihanna da vicino. Più tardi, sempre tra il serio e il faceto, Van Gundy si giustificherà sostenendo che in fondo quella non sarebbe stata né la prima né l’ultima giocata sensazionale di LeBron, mentre incontrare nuovamente Rihanna a così breve distanza rientrava nella sfera dell’impossibile.
Per capire il contesto occorre inquadrare il personaggio: cresciuto a pane e basket in una famiglia con l’ossessione della palla a spicchi, la confidenza di JVG con la cultura pop è alquanto limitata. Anche la sfida che va a iniziare stanotte appare segnata nel risultato, ma non è azzardato immaginare una replica del caso JVG-Rihanna. Ecco quali potrebbero essere le tre celebrità in grado di scombussolare la telecronaca delle NBA Finals 2018.
Chadwick Boseman
Quando? A metà del terzo quarto di gara-1. Gli Warriors, dopo aver sonnecchiato per tutta la prima parte di gara, sono nel bel mezzo di un parziale di 13-0 che, come ormai d’abitudine, spezza in due la partita. Boseman, dopo una sosta nei meandri della Oracle Arena, si ripresenta al suo posto in primissima fila indossando il costume di Black Panther. Il pubblico di Oakland, culla delle Pantere Nere originali, esplode in un boato ancor più assordante di quello riservato alla terza tripla consecutiva di Curry.
Reazione di JVG: «Ehi, Mike: ma i tifosi stanno andando giù di testa per Curry o per questo tizio in prima fila?». Silenzio di circostanza di Mike Breen. «E poi non capisco, qui dentro sembra di stare in una sauna finlandese e questo si presenta con una tuta del genere? Ah, aspetta un secondo, e perché indossa la stessa maschera di Oladipo alla gara delle schiacciate dell’All Star Game?». Breve spiegazione del fenomeno Black Panther a cura Mark Jackson. «Ok, ho capito. Detto questo faccio fatica a trovare spazio per Batman e l’Uomo Ragno nel mio immaginario. Per favore, basta con tutti questi film Marvel, abbiamo più supereroi che franchigie NBA ormai!».
Ed Sheeran
Quando? Immediato dopo gara-2. Gli Warriors si sono appena portati 2-0 nella serie, Curry è pronto per l’intervista a bordo campo, la figlia Riley corre incontro al papà per abbracciarlo, quando all’improvviso cambia direzione e si dirige spedita verso il tunnel che porta agli spogliatoi.
Reazione di JVG: «Mike, hai visto la figlia di Steph Curry? Dove sta andando? Chi diavolo è quel ragazzo che sembra un folletto irlandese?». Riley si fa spazio tra il capannello creatosi intorno a Ed Sheeran, nel frattempo Mike Breen prova a tratteggiare i contorni del successo riscosso dal cantautore britannico e confessa che anche i suoi figli ne vanno pazzi. «Per me la storia della musica si è fermata al 1984. Dopo Phil Collins c’è il nulla». Interviene Mark Jackson «Ok, coach, ma questo ragazzo ha anche recitato in una puntata di Game of Thrones!». «So di cosa parli, ma non ne ho mai vista una. Ho ancora una pila di DVD dei Sopranos da recuperare, sono un po’ indietro perché avevo promesso a mio fratello che li avremmo visti insieme». Momento di silenzio, replica di Jackson. «Beh, adesso che Stan è libero sono sicuro che troverete il tempo». La regia sfuma verso la sigla di chiusura.
Khloe Kardashian
Quando? Inizio ultimo quarto di gara-5. Dopo che i Cavs, come un anno prima, hanno evitato il cappotto vincendo gara-4, il punteggio è in bilico. Gli Warriors sembrano a corto di energie, Draymond Green è stato espulso prima dell’intervallo lungo per un accenno di rissa con Kendrick Perkins nei pressi della panchina avversaria. LeBron e compagni stanno provando ad approfittare del momento di difficoltà di Golden State. Tristan Thompson banchetta nel pitturato, il suo tabellino personale dice 11 punti e 18 rimbalzi. Durante il timeout chiamato da Steve Kerr per far rifiatare i suoi, è ancora la panchina di Cleveland a essere messa in subbuglio. Dalle retrovie della Oracle sbuca Khloé Kardashian, in mano sembra avere una pila di fotografie. La security non prova nemmeno a fermarla e lei, piazzatasi proprio dietro alla panchina dei Cavs, sbraita e lancia le fotografie ai giocatori e al pubblico delle prime file.
Reazione di JVG: «Oh oh, questa ha tutta l’idea di essere una lite coniugale in piena regola», esordisce Mark Jackson. «Capisco tutto, ma certe cose non dovrebbero succedere durante la partita!», ribatte indignato JVG. Finalmente interviene la security, la situazione scivola verso una qualche forma di normalità e il gioco riprende. «Ad ogni modo, fatemi dire una cosa: Tristan Thompson potrebbe essere l’MVP di serata e magari costringere gli Warriors a tornare a Cleveland, ma lo aspetta comunque una brutta, brutta nottata». JVG ride della sua provocazione, Mike Breen passa la linea a Doris Burke che è in compagnia di un Tyronn Lue che suda copiosamente. Sipario.