
L’avevamo perso di vista, DeMar DeRozan. Un po’ perché i San Antonio Spurs dello scorso anno non li guardava nessuno; un po’ perché, anche quelle volte che ci si sintonizzava sul League Pass per verificare i progressi di Dejounte Murray o di Lonnie Walker, ai veterani neroargento si prestava poca attenzione. In free agency le quotazioni di DeRozan erano così in calo che ha dovuto mantenere «un approccio ad ampio respiro» nella valutazione della futura destinazione. Tradotto: il mercato è piuttosto freddo, fatevi avanti.
Dopo una lunga corte dei Los Angeles Lakers, o per meglio dire di LeBron James, a bussare alla sua porta sono stati i Chicago Bulls, alla disperata ricerca di un veterano per rendere la squadra più competitiva. Dopo aver sacrificato due prime scelte per arrivare a Nikola Vucevic, Chicago ne ha spedita una terza a San Antonio per firmare DeRozan via sign-and-trade. Un triennale da 85 milioni completamente garantiti per un 32enne è sembrato un abominio a tantissimi: un sondaggio di ESPN ha giudicato questa acquisizione dei Bulls la peggiore dell’estate.
Dopo circa un quarto di stagione, invece, DeRozan è nella top-10 della lega per punti a partita (25.9), liberi tentati e percentuale (89.6, minimo tre tentativi a sera), punti segnati dal palleggio e canestri dal campo che non siano triple. Quando entra dentro l’arco, come vedremo, DeRozan semplicemente in questo momento non è marcabile. Grazie ad un skillset vecchia maniera e il miglior lavoro di piedi della lega, il giocatore dei Bulls segna canestri meravigliosi a ripetizione. Ne abbiamo raccolti otto per ricordarci del suo talento.
1. “Let me see some footwork”
Dei due blocchi che gli si presentano davanti, DeRozan decide di sfruttare quello di Vucevic. Andando verso sinistra lascia nella polvere Jevon Carter e si apre una finestra per il pocket pass al rollante. È qui che DeRozan prende la bacchetta magica: con un palleggio quasi radente al parquet tiene aperte tutte le opzioni di passaggio (a Vucevic o in angolo verso Ayo Dosunmu) e, una volta che il suo ex compagno di squadra LaMarcus Aldridge allunga il braccio e si pianta sui talloni, DeRozan raccoglie il palleggio e si dà una spinta surreale col piede destro per andare verso sinistra. Come fa anche Bradley Beal, DeRozan non salta solo in alto, salta in lungo. Grazie a questo Eurostep finissimo, aggira Aldridge ed elude Paul Millsap in aiuto dal lato forte.
Nessuno in campo si muove come DeRozan, parola di Kevin Durant. Su YouTube si trovano compilation di parecchi minuti intitolate ad esempio “DeMar DeRozan – Phenomenal Footwork”, un fondamentale appreso guardando e riguardando i video di Kobe, diventando il giocatore che più ricorda quel singolo aspetto tecnico del gioco del Black Mamba. «Guardare Bryant lo ha sicuramente aiutato, perché si apprende sempre dai migliori, ma DeMar ha aggiunto tanto del suo» assicura il suo allenatore Chris Farr.
2. Dimmi come ti muovi spalle a canestro e ti dirò chi sei
Se esistesse la statistica “numero di volte che un giocatore decide di andare spalle a canestro prima di segnare”, DeRozan sarebbe primatista solitario. È quasi romantica la smania con cui la guardia dei Bulls decide di intraprendere questo movimento: nel video qui sopra, per esempio, quando DeRozan riceve la palla Furkan Korkmaz e Seth Curry non sono perfetti nel marcarlo. Javonte Green ha bloccato bene lontano dalla palla e DeMar avrebbe tantissimo spazio per attaccare con la mano sinistra.
Invece si ferma, esegue un jab step e fa rientrare Korkmaz, che col raddoppio di Curry rende il tutto più complicato. È come se DeRozan fosse partito pensando di fare esattamente quella sequenza di movimenti, e non importa se lo marcano in due o in tre, o se arriva Shake Milton da dietro. Due palleggi all’indietro, molle sotto i piedi mentre volteggia, riassestamento per tirare.
Tante piccole cose rendono questo un movimento immarcabile: l’accorciare i passi mentre decelera, l’uso del braccio sinistro per tenere lontano il marcatore, la velocità con cui si muove orizzontalmente, il costante controllo che mantiene sul proprio corpo. A volte lo fa solo per mettersi in ritmo, altre volte quand’è uno-contro-uno con tutto il campo a disposizione nei finali di partita.
Per saperne di più: qui Hamidou Diallo e Naji Marshall a malapena capiscono cosa sta succedendo, qui invece fa la stessa cosa (creare separazione facendo perno sulla spalla sinistra) contro tre avversari diversi (Clarkson, Paschall, O’Neale) nella stessa partita. L’esecuzione più esteticamente appagante vista quest’anno? Forse questa.
3. Iso King
DeRozan è (ovviamente) spalle a canestro e sta portando un difensore di alto livello come OG Anunoby sull’isola. Lonzo Ball taglia tutto il campo per portargli un blocco, ma DeRozan lo ignora e si mette in proprio. Fronteggia il britannico, va verso la linea di fondo, dà una spallata sul petto ad Anunoby. Per la seconda volta gira le spalle al canestro, fa un uso pornografico del piede perno e si butta indietro. Solo rete. I giocatori della panchina faticano a crederci.
Con 1.2 punti per possesso in isolamento, nella passata stagione DeRozan è stato il terzo giocatore più efficace della lega dopo James Harden e Steph Curry. Dalla stagione del suo primo All-Star Game (la 2013-14), DeRozan è il quarto giocatore per isolamenti totali, 4.586: solo Harden, LeBron James e Russell Westbrook ne hanno registrati di più. In questa stagione sta usando quest’arma un po’ meno (solo il 14.5% dei suoi possessi finisce con un isolamento, percentuale più bassa di Dennis Schroeder o Spencer Dinwiddie), ma con la produttività di sempre: tra i giocatori con almeno due isolamenti a partita, è terzo dietro Ja Morant e Karl-Anthony Towns per punti per possesso (1.22).
Se il basket fosse solo isolamenti, DeRozan sarebbe il giocatore più figo del mondo. Restituisce sempre un’idea di calma e compostezza degna di un maestro zen, anche quando provano a mettergli le mani addosso: in questa semi-transizione, Paschall gli tiene una mano sul costato dal perimetro fino a centro area. Arrestandosi, DeRozan scarica migliaia di kilowatt sul pitturato rosso dello United Center. Nasconde bene la palla a Paschall, che non si aspettava una frenata così brusca e scivola. A marcare DeRozan si fanno brutte figure.
4. Cadendo di lato
Sotto di quattro lunghezze con meno di un minuto da giocare a Philadelphia, i Bulls si mettono nelle mani di DeRozan. Tre guardie aperte sul perimetro, pick and roll centrale con Vucevic. Il lungo montenegrino, suo ex compagno al college a USC, prova ad aggiustare l’angolo di blocco, ma Matisse Thybulle è diabolico e rimane appiccicato a DeRozan che penetra verso destra. Thybulle quando apre le braccia fa paura, perciò DeRozan deve chiudere il palleggio. Col piede sinistro riesce a darsi lo slancio giusto per un arresto a un tempo, in cui atterra, si avvita e salta per tirare in un unico movimento. Rilascia il pallone esattamente all’apice del salto, nonostante un palmo di mano grande quanto un computer portatile in faccia.
L’inerzia lo fa cadere fuori dal campo, mentre la palla dà un bacio a ferro e tabellone prima di entrare. È un canestro che ormai DeRozan mette a occhi chiusi, tanto che per lui, quello, non è un tiro forzato: a Philadelphia ne segna uno simile nello stesso quarto, mentre contro New Orleans mostra un arresto a due tempi.
5. Prestigiatore
Altra situazione di semi-transizione, altra occasione in cui un compagno (stavolta Patrick Williams) ha una mezza idea per poi capire che la cosa migliore è lasciare che ci pensi DeRozan. Punta Scottie Barnes, che lo aspetta dentro il perimetro. Con un crossover lo sbilancia, facendogli alzare il baricentro quel tanto che basta perché lo squalo annusi il sangue: DeRozan finta il tiro, mantiene il perno, si fa cascare Barnes addosso e segna subendo il fallo. Girandosi per dare il cinque ai compagni di squadra, scuote la testa come per dire “questo ragazzino ha ancora tanto da imparare”.
6. Mattonelle e ruoli in un attacco
Nel raccontare il workout pre-Draft con cui Kobe Bryant stregò i Lakers, David Fleming riporta tante testimonianze, tra cui quella di Michael Cooper. Coop c’era quel giorno e racconta che, dal giovane Kobe, Jerry West voleva vedere certe cose, ma «soprattutto una: era in grado di raggiungere la mattonella giusta? I grandi giocatori sanno sempre mettersi nella loro posizione preferita». (L’originale “could he get to a spot?” è quasi non-traducibile).
«Nemmeno l’attaccante migliore del mondo» continua Cooper «può raggiungere la sua mattonella preferita andando semplicemente da un punto A ad un punto B. A volte bisogna passare da un punto C e da un punto F per raggiungere B». Bryant possedeva questa abilità fin dai primi anni nella lega e anche DeRozan è oggi in grado di raggiungere le zone del campo che preferisce con la facilità del veterano che è diventato.
Non è difficile, innanzitutto, visualizzare quali siano le parti del campo in cui, come si dice, va al lavoro. È il giocatore che tira più di tutti dal mid-range (7.8 volte a partita; solo Brandon Ingram gli arriva vagamente vicino) ed è 13° per tentativi in quella parte di area non considerata restricted. Infine, grazie alla capacità di manipolare spazi e uomini vista fin qui, subisce quasi sei falli a partita, il 6° dato più alto in una lega in cui si fischia sempre di meno. Il suo profilo di attaccante, insomma, potrebbe tranquillamente essere definito anacronistico.
Avete presente quando Steph Curry sprinta come un pazzo oltre il perimetro e il suo marcatore deve seguirlo chissà dove? Ecco, DeRozan no. Si alza per ricevere da LaVine, ma non si apre oltre l’arco. Prepara una partenza esplosiva nei pressi della linea della carità, va verso destra solo per roteare attorno ad Anunoby, che non può che guardare impotente. Negli ultimi anni tante guardie hanno imparato a fare un passo laterale, anziché in avanti, per rimanere oltre la linea del tiro pesante. DeRozan no, DeRozan appena può si avvicina al canestro anche a costo di lasciare per strada una tripla aperta.
Giochi in cui DeRozan si trova a suo agio come Secco in gelateria sono quelli in cui può partire dalla zona sinistra del campo. Questa azione è sorprendente per compostezza e perfezione stilistica. Thybulle e Curry sono perfetti nel comunicare lo stunt e il recover, tanto che dopo sei palleggi DeRozan non ha ancora battuto nessuno. Anzi, ha ancora uno dei migliori difensori perimetrali della lega tra sé e il canestro. DeRozan, però, sa come raggiungere la sua posizione preferita: si lancia a tutta velocità verso il centro dell’area, arresto per creare separazione, jumper morbido.
Il sistema implementato da coach Donovan per l’attacco di Chicago non è particolarmente complesso e permette a DeRozan di scegliere momenti e situazioni della partita per rendersi più pericoloso. Il principio che muove l’attacco è individuare e colpire il punto debole della difesa avversaria. Se questo significa coinvolgere tre volte di fila il lungo avversario in un pick and roll centrale, forzando così il cambio per permettere a DeRozan di distruggerlo in isolamento, così sia. (L’attacco di Chicago è comunque altalenante, soprattutto a metà campo – 10° per punti per possesso dopo canestro subito – nonostante l’avvio sensazionale di DeRozan. Due cause su tutte: Vucevic fermato dalle percentuali orrende e dal Covid-19 e LaVine non ancora nucleare come nella passata stagione).
Il tiro da tre punti, che per anni è stato il suo tallone d’Achille, merita un discorso a parte. Tira dall’arco più dello scorso anno, ma è un aumento – peraltro non enorme – unicamente dovuto al sistema. Se a San Antonio agiva più che altro da point forward e facilitatore per una serie di tiratori che lo circondavano, ai Bulls ha più giocatori di talento al fianco. Tante volte gli basta restare in angolo e aspettare che gli venga concessa la possibilità di tirare con spazio (delle 58 triple tentate in questa stagione, più della metà vengono dagli angoli).
7. Booty game
I Bulls schierano un quintetto piccolissimo e provano a coinvolgere Jaxson Hayes in un pick and roll centrale, ma Ball non è convinto. Vede DeRozan isolato su un quarto di campo contro il rookie Trey Murphy e gli offre un entry pass appena lungo. Per afferrare la palla DeRozan deve mettersi fronte a canestro, ma appena può torna nella sua posizione preferita. Rispetto al diretto marcatore, DeRozan ha una dozzina di chili e di anni d’esperienza in più e li fa valere: con la parte destra del corpo (noi diremmo con il gluteo, negli USA la definiscono chicken wing) tiene lontano l’avversario, mentre di mancino palleggia due volte in avvicinamento. Murphy si accorge della separazione che DeRozan ha scavato e prova a ridurre il gap in ritardo e in fretta, regalando un libero supplementare.
Secondo Chris Farr, DeRozan ha sviluppato un «booty game» niente male. Potrebbe essere stato ispirato dall’amico fraterno Kyle Lowry a Toronto, da Aldridge a San Antonio o da Harden con Team USA, ma la verità secondo il suo allenatore sta nell’essere diventato più robusto fisicamente (DeRozan oggi è quasi due metri per cento chili): «È come quando un grande running back rimbalza via da un placcaggio», continua Farr. Un avversario più piccolo che prova a marcare DeRozan in post è un avversario morto: qui riesce a spostare Alexander-Walker di un paio di metri prima di segnare uno splendido turnaround jumper.
Più in generale, tutto il gioco di DeRozan ha beneficiato di qualche chilo di muscoli in più accumulati negli anni. Bisogna avere la pelle spessa per resistere a un primo contatto probabilmente falloso, lasciarselo alle spalle e assorbire il contatto di uno dei migliori protettori del ferro della lega. Più che un cingolato che rade al suolo intere foreste, DeRozan è una moto da trial che domina una sassaia gestendo una pietra dopo l’altra.
8. «So many chips on my shoulder»
È difficile trovare un giocatore più angeleno di DeRozan: nato a Compton, cresciuto a Compton High School ed esploso a USC, l’università del centro di Los Angeles. A un paio di chilometri dalla sua alma mater, dentro lo Staples Center, DeRozan ha giocato le migliori partite dell’anno. Teneva in modo particolare a questo back-to-back con Clippers e Lakers perché per la prima volta avrebbe giocato nella sua città dopo la morte del padre, Frank “Big Dog” DeRozan, avvenuta in febbraio. Di recente si è tatuato un’immagine del padre sulla spalla sinistra e nonostante siano passati mesi, DeRozan sente di non aver ancora realizzato cos’ha realmente perso: «Un giorno capirò davvero che non c’è più e reagirò nel modo in cui reagirò, anche se si tratterà di stare seduto nella stanza, da solo a piangere».
Nella prima partita contro i Clippers ha chiuso con 35 punti con appena 16 tiri dal campo, ma soprattutto con più lunghi avversari usciti col mal di testa che palle perse. Nella seconda partita contro i Lakers ha finito con 38 punti con 23 tiri, e in più il canestro surreale di cui sopra, in cui lascia di sasso Horton-Tucker e vanifica il tentativo di stoppata di Anthony Davis, suggellando la larga vittoria dei Bulls e dando la sensazione di essere il giocatore più forte in campo. «LaVine ha provato a invogliarmi, voleva che arrivassi a 40 punti. Gli ho detto che ero stanco» ha scherzato dopo la partita.
Nell’intervista si è poi tolto anche qualche sassolino dalla scarpa: ha sentito troppe persone, negli ultimi mesi, chiamarlo bollito, ripetere che non sarebbe stato un buon fit col roster dei Bulls: «Potrei fare un elenco delle volte in cui non sono stato tenuto in considerazione. Ma non ho mai perso fiducia. Non ho mai pensato di non poter più essere chi ero prima. Chicago mi ha lasciato essere me stesso, completamente».