Alla vigilia della deadline del mercato NBA, lo scambio tra James Harden e Ben Simmons era diventato la versione NBA del paradosso del gatto di Schrödinger. Dopo che un lungo articolo di Bleacher Report aveva dato il via alle speculazioni sul futuro di Harden, definito come scontento della sua situazione a Brooklyn, The Athletic aveva rincarato la dose sostenendo che Nets e Sixers avessero già cominciato a discutere di uno scambio prima della deadline del mercato. Dopo qualche giorno di voci e controvoci, si è arrivati a una sorta di stallo: la trade era contemporaneamente sia vicinissima alla sua realizzazione (secondo quanto sostenuto da Brian Windhorst di ESPN) che lontana anche solo dal discuterne (secondo quanto invece detto da Adrian Wojnarowski, curiosamente sempre di ESPN).
Fa tutto parte del grande “Gioco Delle Parti” che diventa il mercato NBA quando si mischia con il giornalismo USA: da una parte Windhorst cercava di spingere l’acqua verso il mulino di Daryl Morey, GM dei Sixers che ha utilizzato tutto il suo ascendente nei confronti degli insider per mettere pressione a Brooklyn; dall’altra Sean Marks ha provato a ingraziarsi il numero 1 degli insider NBA come Wojnarowski per cercare di controllare la narrativa attorno allo scambio.
Il punto di non ritorno è arrivato nel pomeriggio italiano di ieri, quando Woj — su chiara imbeccata di Marks e dei Nets — ha aperto il giorno della deadline con la bomba che tutti aspettavano: Harden aveva fatto capire di voler essere ceduto dai Nets, ma non aveva fatto una richiesta ufficiale “per paura del contraccolpo a livello di immagine nel chiedere di essere scambiato per due anni consecutivi”. Uno spin pubblicato ad arte proprio proprio per avere quell’effetto lì, come se non fosse già stato chiaro a tutti con la sua orribile prestazione in campo contro Sacramento della scorsa settimana che i suoi giorni a Brooklyn erano finiti.
"I'm told that James Harden wants a trade to the 76ers. He wants it to happen today prior to the trade deadline. But he has resisted formally requesting that trade with the Nets organization."
—@wojespn pic.twitter.com/Qo954XH0vg
— Get Up (@GetUpESPN) February 10, 2022
Per quanto abbiano provato in tutti i modi a far sembrare che non fosse così — anche mandando Steve Nash al macello facendogli dire «Non scambieremo James Harden» in conferenza stampa mentre il naso gli si allungava come Pinocchio —, i Brooklyn Nets avevano paradossalmente più pressione per fare questo scambio subito rispetto a quanta ne avessero i Sixers. Tra le due squadre quella che non poteva mantenere lo status quo era certamente Brooklyn: da quando è rientrato Kyrie Irving e da quando si è fatto male Kevin Durant la squadra è allo sbando dal punto di vista della chimica prima ancora che di quello dei risultati, e i risultati ci dicono che hanno perso le ultime nove partite in fila di cui otto con scarti in doppia cifra, crollando miseramente all’ottavo posto nella Eastern Conference.
In questo lasso di tempo James Harden ha fatto chiaramente capire, con i fatti prima ancora che con le parole, di non voler più rimanere a Brooklyn. Dei motivi per cui il loro matrimonio è andato a rotoli avevamo già scritto la scorsa settimana, e da quel momento in poi le cose non hanno fatto altro che peggiorare, tanto che una sua permanenza in squadra si sarebbe rivelato un problema persino peggiore dei grattacapi con cui già devono fare i conti per l’affaire Irving. Se al problema di avere in spogliatoio un Harden scontento (e ancor più disinteressato alla difesa di quanto già non fosse) si aggiunge anche la sua free agency in arrivo a luglio (con la possibilità di perderlo a zero dopo aver speso per lui giocatori del livello di Caris LeVert e Jarrett Allen solo un anno fa, più la bellezza di sette tra prime scelte e pick swaps), si ottiene un cocktail troppo difficile da mandar giù per Sean Marks e per il proprietario Joe Tsai, che per questa squadra sta spendendo una quantità di soldi che si possono permettere solo le persone così ricche che il solo pensiero fa male.
L’imminente free agency di Harden significava però anche che le squadre con cui conversare si riducevano di molto, per non dire che ne rimaneva soltanto una: i Philadelphia 76ers. Un fatto che Daryl Morey ha sfruttato a suo vantaggio, con una sorta di insider trading che di sicuro non ha rasserenato i suoi rapporti con la dirigenza dei Nets. Poco a poco Marks si è ritrovato di fatto costretto a discutere con Morey dello scambio, perché qualsiasi alternativa sarebbe stata probabilmente peggiore: anche nella migliore delle ipotesi, cioè quella di avere la squadra al completo e di vincere il titolo 2022, i Nets avrebbero dovuto comunque rifirmare Harden con un quinquennale da 270 milioni di dollari. E considerando qual è stata la sua salute nell’ultimo anno solare, i rapporti con le altre due stelle non esattamente idilliaci (non giriamoci intorno: se Harden non è più a Brooklyn è perché a Kevin Durant e Irving stava bene che fosse così) e i primi segni di cedimento del livello del suo rendimento (a tratti stellare, ma non *ineluttabilmente* stellare come era a Houston in regular season), lo scambio adesso finiva per essere la decisione più razionale da prendere.
Kyrie Irving was ready for James Harden to move on, @joevardon writes.
“When Irving heard Harden was in fact hoping to be traded, a well-placed source says he was eager to see it come to fruition.”
More details on the Nets’ breakup: https://t.co/fSqt1axErZ pic.twitter.com/PsVNuZmWlZ
— The Athletic NBA (@TheAthleticNBA) February 10, 2022
I rapporti tra Irving e Harden, come era intuibile, non erano proprio rose e fiori.
Alla fine, scambiare una stella scontenta per un pacchetto formato da Ben Simmons, Seth Curry, Andre Drummond e due prime scelte al Draft (una ora o nel 2023, una nel 2027 protetta 8) è un ritorno più che sostanzioso per un giocatore in possibile scadenza tra pochi mesi che non aveva più intenzione di rimanere. Certo, non è uno scambio privo di rischi, sia perché i Sixers sono rivali divisionali (a proposito: segnatevi sul calendario la sfida del prossimo 11 marzo a Philadelphia) e ci sono buonissime possibilità che si incrocino ai playoff nei prossimi anni, sia perché Harden rimane pur sempre uno dei 75 migliori giocatori di tutti i tempi.
Ma Simmons è di sette anni più giovane, ha ancora quattro anni di contratto oltre questo (il che lo rende un asset sul mercato nel caso in cui andasse tutto a rotoli), ed è perfetto per lo schema difensivo di coach Steve Nash che vuole cambiare su tutti i blocchi, dando una versatilità che probabilmente nessun altro All-Star avrebbe potuto dare ai Nets. In attacco, poi, può sia essere utile con la palla tra le mani per spingere in transizione (anche se nel roster non ci sono tanti giocatori in grado di correre con lui) e sfruttare un campo apertissimo con tiratori del calibro di Durant, Irving, Curry, Patty Mills e Joe Harris (attualmente infortunato e a rischio per la stagione), una batteria con cui non ha mai potuto giocare in carriera. E anche senza il pallone tra le mani Simmons potrebbe ricoprire il ruolo di Bruce Brown, portando blocchi sulla palla per Irving e Durant per giocare negli spazi da loro aperti.
Questo ovviamente parlando della versione ideale di Simmons, dato che al momento sappiamo solo che “è ansioso di unirsi alla squadra e di intensificare il suo percorso per tornare in campo”, secondo quanto detto dal suo agente Rich Paul a ESPN. Non abbiamo idea però di quale versione di Simmons si presenterà in campo, né quando si presenterà in campo, né quanto le scorie della tremenda serie contro gli Atlanta Hawks dello scorso luglio gli siano rimaste addosso. Avrà ancora paura di tirare i liberi? Giocherà talmente male in attacco da non essere schierabile nei finali di gara? Gli sta bene fare la terza stella al fianco di Irving e Durant, e di dover cambiare ruolo nelle gare in casa nelle quali non è disponibile Kyrie (stante la regolamentazione della città di New York)? Uno dei tanti motivi per cui voleva andarsene da Philadelphia era anche perché voleva finalmente provare ad avere una squadra “tutta sua”: questo a Brooklyn non può succedere.
Passando invece dal lato di Philadelphia, bisogna innanzitutto togliersi il cappello davanti alla perseveranza di Daryl Morey, che fin dal primo momento ha sostenuto di voler cedere Simmons solo per una stella di pari livello o superiore e alla fine ci è riuscito, un obiettivo che in diversi momenti dei passati mesi (per non parlare dello scorso luglio) sembrava semplicemente irrealizzabile. Bisogna però dire che a suo favore si sono allineati numerosi pianeti: la squadra è andata talmente bene da essere in lotta per il primo posto a Est (avessero avuto anche loro una striscia di 9 sconfitte in fila forse la pressione sarebbe stata diversa); aver fatto passare così tanto tempo ha cancellato un po’ il ricordo dei difetti di Simmons facendone ricordare soprattutto i pregi; il suo rapporto così stretto con Harden (che ha legami anche all’interno della proprietà di Philadelphia) ha fatto in modo che i Sixers risultassero l’unica opzione percorribile, escludendo le altre 28 franchigie da una possibile asta per i suoi servigi.
Forte di tutto questo e del trambusto all’interno dei Nets provocato dallo stesso Harden, Morey ha portato a termine lo scambio senza dover cedere né Tyrese Maxey né Matisse Thybulle, le cui cessioni avrebbero probabilmente fatto inalberare la tifoseria più focosa della NBA. Malissimo che vada, cioè con Harden che lascia nel 2023 (a proposito: per completare lo scambio ha esercitato la sua player option per il prossimo anno e potrà estendere per 223 milioni in quattro anni tra sei mesi), i Sixers in futuro avranno comunque la squadra di quest’anno senza Curry (anche lui free agent nel 2023) e senza Drummond (che a questo punto della carriera è sostanzialmente uno specialista dei rimbalzi da 15 minuti a partita in regular season e zero nei playoff), con due prime scelte al Draft in meno. Un rischio abbordabile tutto sommato per aumentare di molto le proprie chance di titolo in quelle che rappresentano le migliori stagioni di Joel Embiid.
Rimane giusto un aspetto poco discusso della vicenda: siamo davvero sicuri che Harden ed Embiid siano così complementari in campo? Se nella metà campo offensiva hanno comunque così tanto talento da poter trovare un modo di rendersi immarcabili per le difese avversarie (per quanto Harden non abbia mai giocato con un lungo che fagocita così tanti palloni come Embiid e viceversa, e senza Curry le spaziature saranno da reinventare), è nella metà campo difensiva che sembrano proprio incompatibili. A questo punto della sua carriera Harden può funzionare solo in uno schema che cambia su tutti i blocchi giocando da 4 “di fatto”, ma Embiid è al suo meglio quando può giocare in “drop” e oscurare la visuale con il suo corpo mastodontico mentre l’esterno torna sul suo uomo aggirando il blocco. Due stili che cozzano filosoficamente prima ancora che tecnicamente e a cui Doc Rivers dovrà trovare rimedio, magari contando sulle motivazioni del Barba che comunque quando coinvolto, come nei playoff dello scorso anno (pure su una gamba sola), nei suoi giorni migliori a Brooklyn non è sembrato del tutto insostenibile in difesa.
Quello che emerge come inconfutabile da questo scambio è che entrambe le squadre, per diverse ragioni, avevano bisogno di lasciarsi alle spalle i problemi degli ultimi mesi e voltare pagina. Entrambe hanno concordato che fosse meglio farlo adesso piuttosto che trascinare le due situazioni di Harden e Simmons fino all’estate, donando un minimo di serenità all’ambiente (oddio, i Nets hanno ancora a che fare con l’impiego part-time di Irving, su cui pende una percentuale per nulla irrilevante delle probabilità del prossimo titolo NBA) e provando a uscire dalla spirale negativa in cui erano finite.