Damian Lillard e l’All-Star Game, amici mai. Non c’è e forse non ci potrà mai essere pace tra Dame e la gara delle stelle, una storia più tormentata di quella tra Bugo e Morgan. Proprio quando a San Valentino sembrava scoppiato finalmente l’amore e Lillard era pronto a rovesciare Napalm anche allo United Center di Chicago, l’ultima partita contro Memphis è stata fatale: infortunio all’inguine e forfait in favore di Devin Booker, di fatto da lui stesso nominato dopo la partita. Ma non passerà il fine settimana sul divano di casa con la busta del ghiaccio: Damian Lillard non sarà all’All-Star Game, ma ci sarà Dame D.O.L.L.A., pronto ad allietare avventori di Skill Challenge, tiri da tre punti e Gara delle Schiacciate con le sue rime più affilate.
Una delle tante hit che sentirete stanotte.
È un vero peccato che Lillard non possa scendere in campo nell’evento che lo ha tormentato per una lunga parte della propria carriera. Stava giocando il miglior basket della sua vita e sarebbe stato uno dei più divertenti da vedere, perché nonostante l’infortunio questo rimane il suo momento e il 2020 rimane il suo anno. Entrando nel nuovo decennio Lillard sta viaggiando a medie straordinarie e, se i Portland Trail Blazers hanno ancora una chance di andare ai playoff, lo devono unicamente al loro numero 0.
Lillard sta dimostrando di non essere solo un giocatore immarcabile, capace di segnare da ogni zona del campo e di sbilanciare da solo l’intera difesa avversaria. Ma è soprattutto è diventato uno dei leader spirituali della Lega, uno dei suoi massimi esponenti. Arrivato alla soglia dei 30 anni, Dame è entrato nella sua maturità - sia come giocatore che come uomo.
La pistola più veloce dell’Ovest
Mettere insieme tutte le cifre che definiscono le ultime tre settimane di fuoco di Dame è un compito ingrato, perché sicuramente qualcuna scivolerà via e non renderà giustizia al playmaker da Oakland. Anche se nelle ultime partite ha leggermente (sottolineiamo la parola leggermente) abbassato le sue medie, perché era umanamente impossibile reggere a quel livello più di una manciata di gare in totale apnea, Lillard nelle ultime 15 viaggia a 36.5 punti, 8.9 assist e 5 rimbalzi a partita. Come potete immaginare nessuno può vantare gli stessi numeri arrivando alla pausa per l’All-Star Game.
Ma se li andiamo a vivisezionare si ottengono risultati ancora più affascinanti. Lillard è il giocatore che ha preso e segnato più triple in questo campione: 5.6 a segno su 11.4 tentativi per partita. Se non volete fare i calcoli da voi ve lo dico subito: è il 45.6%. Per darvi un riferimento, Steph Curry nella stagione 2015-16 dell’MVP unanime chiuse con 5.1 su 11.2 (45.4%).
Un dato ancora più disturbante? Il 74% di queste conclusioni arriva senza assistenza, ovvero sono creazioni uniche e originali di Dame. Sempre come riferimento: l’85% delle conclusioni da tre punti di Harden arriva senza ricevere la palla da un compagno, un numero senza alcun senso, ma la stella dei Rockets sta tirando il 35.8% in stagione. Trae Young e Luka Doncic hanno un volume e una percentuale di tiri creati dal palleggio simili a quelli Lillard, ma non hanno la stessa precisione.
L’abilità di Lillard di arrestarsi e sparare da qualsiasi asse del parquet segna la distanza tra lui e tutti gli altri attaccanti ora in NBA, a parte uno sparuto manipolo di fuoriclasse assoluti. In pochi hanno lo stesso effetto deflagrante sulle difese avversarie. Lillard infatti ha la capacità e la sfrontatezza di prendersi dei tiri che non sono difendibili, o meglio, che se venissero contestati propriamente farebbero poi collassare i successivi livelli difensivi. Quindi ancora oggi molti allenatori preferiscono rimanere fedeli al proprio credo difensivo e pregare che le percentuali li assistano.
Anche perché Lillard non sa solo aprire il fuoco dalla lunga distanza, anzi è un attaccante estremamente completo la cui distribuzione è ben bilanciata tra triple, conclusioni al ferro e qualche tiro dalla media distanza per confondere ancor di più gli avversari. Il 53.4% dei tiri arriva da dentro l’arco, ma solo il 6% dei punti segnati arriva dalla media distanza, a dimostrazione di come nonostante la struttura fisica riesca a trovare spesso la via del pitturato. Il 33% dei suoi tiri arriva al ferro, dove conclude con oltre il 56% sfruttando la sensibilità di entrambe le mani per trovare angoli impossibili anche per i più lunghi difensori. Lillard è bravissimo nel togliere il ritmo di salto al difensore e creare separazione, guadagnandosi anche un discreto numero di viaggi in lunetta (6.8 liberi realizzati a partita).
Il restante 46.4% dei suoi tiri arriva ovviamente da fuori l’arco, distribuiti in ogni parte del campo disponibile. E con Dame usare il termine “dietro l’arco” è insultate.
Logo Lillard
Perché Dame non sta solamente tirando da dietro l’arco con un volume e percentuali raramente sfiorate prima d’ora, lo sta facendo mentre sposta sempre più indietro il limite del possibile, trasformando le partite in una gara di H.O.R.S.E.. Il lungo non esce sul blocco a nove metri dal canestro? Tripla senza neanche pensarci troppo. Superata la metà campo il diretto marcatore non ci corre incontro? La palla è già in aria. Voglio avere una foto vicino a questo bellissimo logo? Click!
Non si è mai visto nessuno con il range di Lillard in NBA (ok, forse a parte Steph).
In questo momento Lillard sopra la maglia ha indossato il poncho di Clint Eastwood in “Un pugno di dollari”. Se ve lo state chiedendo è lui l’uomo con il fucile, e in un mondo senza Steph Curry sarebbe stato l’atleta in grado di cambiare il paradigma di come deve giocare una point guard negli anni ‘20.
La gravità che impone alle difese avversarie sbilancia il campo di gioco, anzi, lo allarga a dismisura, imponendo che a metà campo non si giochi più sui canonici sette metri e spicci, ma oltre i nove. Lillard ha infranto la barriera che gli americani - che ancora non si sono convertiti al sistema metrico decimale - definiscono dei 30 piedi. Ha rivoluzionato le spaziature e di conseguenza le esecuzioni in attacco e in difesa delle squadre.
Una distanza che fino a pochi anni fa sembrava solo destinata alle conclusioni disperate allo scadere del cronometro ora è diventata parte integrante delle mappe di tiro dei più spregiudicati. E che Lillard non si tiri indietro lo avevamo capito durante gli scorsi playoff, quando ha chiuso la stagione dei Thunder guardando negli occhi Paul George e lasciando partire una tripla da centrocampo. Quella che era sembrata un’estemporanea conclusione per distruggere il morale degli avversari, è diventata parte integrale delle soluzioni offensive di Lillard. In questa stagione ha tentato già 102 conclusioni oltre i 30 piedi segnandone 42, comode per il 42.2%.
Non so se è più assurdo il numero in percentuale di canestri segnati - sempre per dare un riferimento la media NBA da tre punti, ovvero due metri più avanti i tiri di Lillard, è del 35.7% - o la quantità di tiri presi da quella posizione. Non c’è nulla di casuale, niente che non è stato provato ore ed ore in palestra. Come tutto quello che riguarda Lillard, non è mai fortuna: è sempre duro lavoro.
Negli anni ha aumentato la gittata del suo jumper fino a perfezionare la sua balistica ad un livello mai vista prima. È una nuova dimensione del gioco, che farà storcere il naso ai pretoriani del gioco in post, ma a cui solo pochi possono accedere (per ora).
Lasciare due metri a Lillard è un peccato capitale, sia con il pallone che senza. Non conta che sia a nove o più metri dal canestro, bisogna accettare che questi sono tiri aperti per Dame.
Lillard è l’esempio perfetto di come non siamo sempre in grado di valutare l’importanza dell’equilibrio nella valutazione atletica di un giocatore. A volte siamo troppo concentrati su elevazione, scatto, panca piana per accorgerci di come la forza del core, del centro di gravità, sia indispensabile per essere un atleta di primo piano in questa NBA. E Dame, non certo il più forte, il più alto o il più veloce, ha saputo usare il suo baricentro basso per sfruttare al meglio la rapidità sul primo passo e l’abilità di tirare da ogni posizione in ogni istante.
Tirare un pallone da basket in modo così preciso da così lontano richiede un notevole sforzo fisico, allo stesso tempo tale spinta non può arrivare dalle braccia o altrimenti il tiro risulterebbe poco compatto. Curry ad esempio ha imparato a tirare in fase ascendente e facendo un grande uso del movimento del polso; Lillard è più canonico e potente nel suo caricamento, lavorando con la parte inferiore del corpo e non sprecando neanche una goccia della carica che arriva dalle gambe. Questo perché è perfettamente bilanciato - come tutto dovrebbe essere - ma specialmente quando si deve scagliare un pallone di cuoio a più di nove metri di distanza secondo una curvatura impossibile.
Anche dopo tanti palleggi Dame non è mai fuori equilibrio, anzi costringe i difensori a perdere l’allineamento con il loro corpo per il tempo che serve per creare separazione e lasciar partire il tiro. E sa leggere il lato migliore per attaccare il difensore quando si scompone: se scarica il peso sul piede avanzato, Lillard lo attacca per arrivare al ferro; se invece sposta il peso sul piede più arretrato, solitamente è tempo di palleggio arresto e tiro.
Se il difensore si prepara per difendere la penetrazione Lillard sfrutta il suo baricentro basso per tornar su i suoi passi e creare lo spazio per un tiro, se il lungo in aiuto espone un piede troppo in avanti viene attaccato senza pietà per spezzare il raddoppio ed arrivare al ferro.
Il suo centravanti è lo spazio
Tirare da così lontano non è solo bello e divertente, ma allunga e allarga il campo a piacimento, aprendo le maglie interne della difesa. E Lillard non è un tiratore che, come Curry, ha imparato con il tempo ad arrivare al ferro. Ha sempre attaccato il pitturato con continuità sin dal suo primo anno in NBA - le percentuali di tiri presi nel pitturato non sono variate quasi per nulla nelle stagioni - mentre ha trasferito molti dei tiri dal midrange a dietro l’arco.
Questo ha aumentato lo spazio e il tempo per compiere letture in movimento, sempre più importanti se si vuole comandare un attacco NBA. In questa stagione Lillard sta facendo segnare il miglior numero di assist (7.9) e percentuale di assistenze (34.2%) della sua carriera, facendo un ulteriore passo in avanti nel playmaking. Il pick & roll è la principale risorsa di Lillard, potendo sfruttare il terrore che provoca il suo tiro per estendere il blocco quasi a metà campo ed attaccare in velocità l’area sguarnita.
Il 62.5% dei possessi di Lillard arriva in pick&roll, dove genera più di 1.1 punti per possesso (92esimo percentile). Qui Whiteside blocca oltre l'arco e trova un autostrada per il ferro quando le squadre decidono di raddoppiare Dame.
La distribuzione dei palloni è polarizzata tra i tiratori dietro l’arco e lob al rollante in questione. Per l’ennesima volta: concede ai suoi compagni di squadra mezzo metro abbondante in più quando è in campo. È la differenza tra un buon tiro e un tiro contestato, o la possibilità di attaccare il close-out con un angolo di palleggio verso il canestro o bloccare la palla.
Dame è riuscito a cambiare rotta alla carriera di Whiteside, che sembrava essersi incagliata a Miami; ha passato una mano di vernice fresca su Trevor Ariza, che ora tira il 4% secco meglio da tre punti rispetto all’inizio di stagione in maglia Kings; ha fatto rotolare via la pietra davanti al sepolcro di Carmelo Anthony; dato fiducia a giovani promettenti come Anfernee Simons e Gary Trent Jr.; preso per mano McCollum dopo un inizio difficile. Solo con Mario Hezonja anche lui non può far niente.
Mai come in questa stagione Portland è aggrappata disperatamente al suo numero 0, alle sue magie e alla sua leadership. L’orologio però continua inesorabilmente a scorrere e per quanto Lillard continui a sbatterci il dito sopra non può fermare il giro delle lancette. È un talento trascendentale, entrato nella fase cruciale della propria carriera e che sta giocando la sua miglior pallacanestro di sempre. Potrebbe però non bastare neanche per andare ai playoff. I Blazers sono due partite sotto quota 50% ed a rischio di saltare la post-season dopo aver fatto le finali di conference lo scorso anno. Secondo il modello ELO di FiveThirtyEight hanno solo il 27% di probabilità di arrivare ai playoff, dopo un inizio ad handicap prima che Dame entrasse in modalità supernova.
La franchigia dell’Oregon è sempre stata a un passo dal creare un gruppo davvero competitivo al fianco di Lillard, ma per varie circostanze ha costantemente fallito. Il rebranding estivo non ha funzionato del tutto, Melo e Ariza sono due simpatici veterani tappabuchi ma che non rientrano in una programmazione seria, il ritorno di Jusuf Nurkic è una fiaba che si racconta ai bambini di Eugene prima di metterli a letto.
Rimane Lillard, o meglio Dame D.O.L.L.A., e un orologio che segna sempre l’ora giusta.