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Michele Pettene
L’esplosione di Jalen Brunson nasce da lontano
24 feb 2023
24 feb 2023
Come il playmaker arrivato da Dallas si è preso tutta New York.
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Michele Pettene
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IMAGO / Icon Sportswire
(foto) IMAGO / Icon Sportswire
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“Non essere inospitale con gli sconosciuti: potrebbero essere angeli in incognito”. Ancora oggi è questa la scritta che i visitatori trovano salendo le scale della “Shakespeare & Company” a Parigi, la libreria-mito che fece dormire sui suoi giacigli il gotha della letteratura occidentale degli Anni ‘20 e ‘30. Un consiglio che avrebbero dovuto scolpire anche all’ingresso del Madison Square Garden alla vigilia di questa stagione per placare le solite masse di newyorkesi polemiconi, semplicemente cambiando “angeli” con “All-Star”. Non siate inospitali con Jalen Brunson: potrebbe essere un All-Star in incognito.E così è stato, o quasi. Nei giorni precedenti alla partita delle stelle, il nome di Jalen Brunson è stato tra i più menzionati sui media nazionali e internazionali: per molti era proprio la nuova point guard dei New York Knicks il primo della lista degli “snobbati”, i meritevoli di una convocazione per Salt Lake City lasciati a casa da un meccanismo crudele e imperfetto.Fosse stato selezionato - e c’è mancato veramente poco - sarebbe stato il primo playmaker dei Knicks dai tempi della leggenda Mark Jackson a giocare un All-Star Game. L’anno? Il 1989. Nel bel mezzo una cosa come 34 stagioni NBA e 10 ere geologiche cestistiche di nulla. Zero convocazioni e zero Al-Star nella posizione più importante del giochino per la seconda franchigia di maggior valore della lega, almeno stando alle classifiche di Forbes.Un fatto semplice, oggettivo, storico. Che racconta tanto: della costante mediocrità delle scelte dei Knicks pre-Brunson; dell’incompetenza dei numerosi front office che si sono alternati (ma con un solo, ingombrante proprietario negli ultimi 23 anni); dell’importanza - sottovalutata dall’esterno - della sua firma nell’estate 2022 e, last but not least, ovviamente della clamorosa stagione che il numero 11 dei Knicks sta disputando. Vibes are immaculate” Torniamo per un attimo al 27 febbraio 2021. Jalen Brunson, un po’ per scherzo un po’ per filosofia, dopo la vittoria dei suoi Dallas Mavericks contro i Brooklyn Nets ha da poco inaugurato in spogliatoio quello che da lì a qualche ora diventerà un tormentone su Twitter: ”Vibes are immaculate”. Le vibrazioni di questa squadra - sembra dire - l’atmosfera in spogliatoio, il mio livello di gioco sono “immacolati”, perfetti. L’ottimismo è alle stelle.È il terzo anno di Brunson in NBA e con i Mavs, il terzo sotto l’allenatore Rick Carlisle e da riserva di Luka Doncic. È il primo anno di Jalen nelle quali le gerarchie sembrano essere chiare: per la prima volta è il vero secondo ball-handler del roster, è lui e solo lui il comandante della second unit. Il primo anno da rookie, l’adattamento alla vita tra i professionisti, la confusione nel comprendere il ruolo di Doncic da parte dello staff e la presenza ingombrante di Dennis Smith Jr. lo avevano confinato a un ruolo di secondo piano; il secondo anno, tra l’infortunio alla spalla e la bolla di Orlando, non ha dato modo a coach Carlisle di comprendere il reale valore del classe 1996 nativo del New Jersey.

Il primo tweet di Brunson della serie “Vibes are immaculate”.

Quella vittoria a Brooklyn arrivò grazie anche al suo prezioso contributo, tra i 14 punti e una gestione della squadra - mentre Doncic era in panchina - impeccabile. O immacolata, appunto. Era la settima prestazione consecutiva in doppia cifra di punti, la prima “striscia” con un impatto vincente sul record dei texani. Il sospetto che Brunson fosse qualcosa di diverso e superiore a un semplice back-up iniziava a farsi largo e, dieci mesi dopo, arrivò la prova definitiva.12 dicembre 2021. Siamo alla partita numero 26 della quarta stagione di Brunson, la prima con coach Jason Kidd al comando. Luka Doncic si è appena infortunato alla caviglia (12-13 il record in quel momento, 0-4 senza Luka). Brunson, fin lì partito titolare solo in casi di emergenza, torna nello starting five guidando la squadra dal primo all’ultimo minuto nella vittoria in trasferta a Oklahoma City, con 18 punti e +22 di plus/minus. La sua presenza, la sua leadership e la sua capacità di gestire la pressione da primary ball-handler di una squadra da playoff priva della sua superstar si riflettono su tutto il gruppo e, contro ogni pronostico, nell’arco delle 11 partite in cui Doncic è fermo ai box Dallas riesce a vincerne 6, più del 50%, rimanendo in corsa per la post season.Le statistiche di Jalen in questo frangente subiscono un’impennata notevole, arrivando a 19 punti e quasi 7 assist di media col 38% da tre punti, ma la notizia più importante arriva quando Doncic rientra dall’infortunio: intuendo quanto sia più equilibrato l’attacco con Brunson in campo Kidd decide di tenerlo in quintetto al fianco dello sloveno. Un assetto rinnovato che genera “immaculate vibes” per tutta la franchigia texana: 35 vittorie e 12 sconfitte è l’impressionante ruolino di marcia da lì fino alla fine della regular season, con Dallas che si presenta ai playoff come la squadra più in forma della lega insieme ai Boston Celtics.I frutti di tale scelta vengono raccolti tutti al primo turno contro gli Utah Jazz, arrivati quinti a Ovest proprio dietro Dallas: con Doncic ancora fuori per infortunio, nelle prime tre partite Jason Kidd ri-affida totalmente l’anima e il corpo dei suoi Mavs a un Brunson con l’autostima alle stelle. Jalen lo ripaga giocando il miglior basket della sua carriera, distruggendo Mike Conley e i Jazz con 32 punti, 5 assist e 5 rimbalzi di media con il 60% di percentuale reale e due partite vinte su tre; cifre che fanno strabuzzare gli occhi a mezza lega e spianano la strada al 4-2 finale con cui i Mavs liquidano Utah.Jalen Brunson chiuderà i suoi meravigliosi playoff 2022 con 21.6 punti, 4 rimbalzi e 3.7 assist di media in 35 minuti di gioco e in 18 partite (Dallas arriverà fino alle Finali di Conference, perse 4-1 contro Golden State, miglior risultato dal titolo 2011 con Dirk Nowitzki e Jason Kidd in campo), certificando la sua esplosione e la bontà della scommessa di Kidd nel consegnargli le chiavi del suo attacco. Proprio il suo allenatore in quei giorni affermerà«Jalen per me è “The Machine”, perché sa come guidare una squadra: il livello di fiducia che ho in lui è uguale a quello che ho per Luka». Boom.

Jalen Brunson nei playoff 2022 era immarcabile anche per il tre volte miglior difensore dell’anno Rudy Gobert, distrutto dagli shake, fake and bake del play di Dallas.

Flash forward a questa stagione e al 9 gennaio 2023. Brunson è reduce dal record in carriera per punti realizzati, 44, segnati indossando la canotta dei Knicks contro Milwaukee e mostrando un campionario da attaccante completo, senza ombre. Sempre sotto controllo, micidiale con finte ed esitazioni nell’uno contro uno, maestro indiscusso del mid-range tra arresti fulminei, spallate tattiche e un ecumenico uso del perno, creativo in chiusura al ferro, preciso da dietro l’arco.La partita precedente ai Bucks ne aveva messi 26, quelle prima ancora 24 e 38. Le successive tre non andrà mai sotto i 27 per una media di 32.4 punti nell’arco di sette partite, con 6 vittorie conquistate. A proposito di winningstreaks: Tom Thibodeau, il ruvido coach vecchio stampo dei Knicks che non regala un sorriso nemmeno alle sorelle, si presenta in conferenza stampa raggiante:«Il ragazzo è pronto per salire al prossimo livello».Il record di New York è ancora più convincente delle rare parole di elogio di Thibs: al momento in cui scriviamo i Knicks sono sesti nella Eastern Conference a una partita dal quinto posto, attualmente occupato dalla Brooklyn post-Durant&Irving e nonostante la perdurante assenza del loro miglior difensore Mitchell Robinson. La lotta per un posto certo ai playoff è apertissima, anche se lo spauracchio dei play-in è sempre dietro l’angolo. Ma le famose “vibes”, per il rush finale con Robinson di nuovo a bordo e un Brunson immarcabile, rimangono più che positive.UnderdogUn metro e 88 centimetri, 93 chilogrammi. Point guard titolare e campione NCAA di un college blasonato. Miglior quintetto NCAA. Generale in campo, adorato dai compagni, rispettato da allenatori e avversari. Attributi. Decisivo quando conta. Ma anche: diffidenza a palate sulla sua transizione al livello NBA. Sottodimensionato, poco atletico, poco esplosivo, con un wingspan normale. Rimasto troppo al college. Zero upside. In una parola: underdog, sfavorito.L’identikit, a sorpresa, è quello di Mateen Cleaves, nome di culto del basket universitario che alcuni ricorderanno per aver trascinato all’unico titolo NCAA la Michigan State di coach Tom Izzo nel 2000, durato come un gatto sull’Aurelia in NBA con sole 167 partite giocate in 6 stagioni. Un profilo sia fisico che di carriera NCAA che combacia con incredibile precisione con quello di Jalen Brunson e, più in generale, con il micro-universo di quei playmaker dominanti in uscita dal college ma considerati troppo piccoli per poter avere lo stesso impatto al livello più alto.Un tema annoso che ha mietuto innumerevoli vittime e che spiega molto della caduta di Jalen al secondo giro del Draft 2018, scelto alla 33 da Dallas nonostante fosse evidente che in pochi sapessero interpretare il gioco della pallacanestro meglio del play dei Villanova Wildcats. Un pessimismo, nei confronti di Brunson, che stride con i continui successi di un giocatore da sempre capace di eccellere ed elevare il proprio rendimento all’aumentare della posta in palio. McDonald’s All American nel 2015, tra i migliori liceali della nazione; subito titolare nella stagione da freshman chiusa con il titolo NCAA nel 2016 sotto un coach-guru come Jay Wright; di nuovo campione collegiale nel 2018, alla terza e ultima stagione, con tanto di premio di miglior giocatore dell’anno. Nel mezzo un continuo miglioramento nel guidare la squadra, nel tiro da fuori, nella fiducia nei propri mezzi. Nel cercare la vittoria mai con eroismi estemporanei ma sempre con la scelta giusta. Proprio pochi giorni fa il suo numero 1 è stata ritirato da Villanova, un onore raro che riassume bene la legacy di Brunson nell’ateneo di Philadelphia.

L’uno contro uno di Jalen Brunson era letale al college…ed è rimasto tale in NBA.

Ma quel corpo-barilotto, tozzo e basso per gli standard NBA, continua a fare capolino sugli scouting report NBA, oscurandone il decision making, l’umiltà, la disciplina e il talento. Ci sono volute ben quattro stagioni NBA - passando non a caso da uno della vecchia guardia come Rick Carlisle a un ex playmaker geniale come Jason Kidd - per esplodere definitivamente e guadagnarsi i (tanti) soldi che ora tutti, improvvisamente, affermano si meriti. Anzi, forse rischiano di essere persino pochi.Il contrattone e i KnicksAl termine di quei famosi playoff 2022 non ci sono quindi molti dubbi: Jalen Brunson può guidare da playmaker titolare una squadra da playoff. Lo può fare da subito, l’ha già dimostrato alla grande sul campo seppur su un numero limitato di gare e - le nostre fonti ben informate confermano - potrebbe volerlo fare senza più l’insostenibile ombra di un uomo-franchigia come Doncic al suo fianco.Un legittimo desiderio che manda nel panico il front office dei Mavericks, disperati per non aver mai nemmeno iniziato le trattative per l’estensione contrattuale quando il valore di Jalen non era ancora schizzato alle stelle. Ora i 55.5 milioni in quattro anni che avrebbero potuto offrire fino al giorno prima della free agency 2022, poco meno di 14 milioni di dollari l’anno, sono un lontano miraggio. La sopravvalutazione della propria posizione di potere, della riconoscenza di Brunson verso Kidd (genuina, ma non sufficiente per trattenerlo) e del presunto market value del numero 11 costa molto cara a Mark Cuban e spiana la strada ai New York Knicks.Tra tutte le franchigie, i Knicks sono il più incredibile incrocio di destini con la vita di Brunson. È opinione comune che qualsiasi altra squadra non avrebbe avuto le stesse leve della franchigia di James Dolan, come dimostra il rifiuto della proposta in extremis di Dallas di poco inferiore all’offertona dei Knicks: 106 milioni in 5 anni i Mavs, 104 milioni in 4 anni New York. Ma Jalen ormai ha deciso, giocherà nella Big Apple, a pochi chilometri dalla sua casa sulle spiagge del New Jersey (avete visto “Jersey Shore”? Ecco, lì), vicino ai famigliari e ai posti dell’infanzia e per uno staff che dall’esterno potrebbe sembrare uno spin off di una soap opera argentina ma per Brunson profuma come nessun altro di “famiglia”.Non un’esagerazione, considerato che non solo i Knicks prima di firmare Jalen hanno assunto il padre Rick come assistente di Thibodeau: il nuovo (dal 2020) presidente della franchigia Leon Rose è il padrino di battesimo di Jalen e - in un’altra vita - potente agente dello stesso padre ex-giocatore anche in Italia (fu il primo assistito), il figlio Sam Rose è l’attuale procuratore di Jalen e coach Thibs stesso soleva regalargli preziosi consigli quando era ancora un liceale a Chicago e Thibodeau allenava i Bulls. Se non fosse abbastanza per un allegro e piuttosto bizzarro ritratto di famiglia, aggiungiamo alla Polaroid il solito Dolan - forse il più paranoico, annoiato, incompetente proprietario NBA - amico di vecchia data di Leon Rose, e il nuovo consulente speciale William Wesley aka “World Wide Wes”, altro confidente da più di 40 anni di Rose e tra i più influenti e misteriosi personaggi degli ultimi decenni di questa lega.Un’impressionante rete di goodfellas e un conflitto d’interessi così evidente che non poteva non catturare i servigi di Jalen Brunson e, ovviamente, le indagini della lega per sospetto “tampering”, con condanna definitiva arrivata a dicembre 2022. I Knicks, dicono gli haters, sembrano essere basati più sull’amicizia che sulla competenza, e solo il probabile ritorno ai playoff, la firma estiva di Brunson e il nucleo pieno di giovani già d’impatto sta tenendo buona la piazza più critica, umorale e snob della NBA, fino alla prossima occasione utile per scatenare l’inferno.La (clamorosa) stagione 2022-23La domanda che tutti i tifosi dei Knicks si ponevano all’inizio di questa stagione era molto semplice: Jalen Brunson vale i 27 milioni di dollari l’anno che gli stiamo per dare? Vale cioè il 50° stipendio più alto di tutta la lega?Ad oggi non solo la risposta è completamente affermativa ma qualcuno ha già ipotizzato che possa essere “underpaid”, sottopagato, un’idea assurda anche solo sei mesi fa. Tra i tanti, il sito “Hoopshype” classifica il contratto di Brunson come il 13° migliore di tutta la NBA basandosi su un indice che riassume l’impatto di un giocatore “pesato” per una miriade di parametri, in contrasto con alcune tra le più classiche metriche ufficiali NBA che relegherebbero Brunson in un limbo che non si merita e che è legato ai suoi compagni di squadra più che ai suoi comunque oggettivi limiti.

L’assist no-look per il giovane lungo Jericho Sims nasce tutto dall’uso sapiente del baricentro basso e del ball-handling perfetto di Brunson.

Se escludiamo infatti l’inevitabile periodo iniziale di ambientamento in un nuovo ruolo e con un roster e un coach “particolari”, Brunson sta avendo una stagione individuale comparabile statisticamente a quella delle migliori guardie della NBA, con medie nelle ultime 30 partite da 27.2 punti (più di Ja Morant), 6 assist (più di Shai Gilgeous-Alexander) con il 46.7% da tre punti (più di Kyrie Irving), un Net Rating di +2.9 (più di Luka Doncic) e una percentuale reale del 60.7% (sopra la media NBA e superiore a quella di De’Aaron Fox).Tutte point guard convocate per l’All-Star Game 2023 e con contratti sopra i 30 milioni di dollari a stagione (Ja dall’anno prossimo post-estensione): la sensazione è che New York abbia addirittura fatto un affare a firmare Brunson a certe cifre (il peculiare contratto di JB va a scalare, scendendo a 25 milioni nella terza e quarta stagione), considerando l’incredibile ascesa del numero 11 in termini di scoring e clutchness, il vero fiore all’occhiello dell’asset-Brunson che i Knicks hanno ereditato da Dallas.Se per i nudi numeri e alcune mancanze fisico-atletiche Brunson è (e probabilmente rimarrà) “solo” un fenomenale playmaker senza velleità da classico “primo violino”, con difficoltà ad esempio nell’uscire rapidamente dai raddoppi per l’incapacità di vedere sopra i difensori, per quanto riguarda i momenti decisivi delle partite si può già affermare con discreta certezza che sia un top player NBA senza bisogno di specificare il ruolo, un killer silenzioso e implacabile capace di contendere ai migliori della lega il “titolo” di giocatore più clutch.Non una novità, considerato che già ai tempi di Dallas in molti supplicavano Doncic di cedere il pallone a Brunson nei minuti finali delle partite tirate per evitare l’ennesima forzatura e trovare alternative magari meno appariscenti ma ben più efficaci. Quest’anno l’ex Villanova è salito di un ulteriore livello, diventando il secondo miglior realizzatore NBA per punti segnati in partite “clutch” (scarto entro i 5 punti negli ultimi 5 minuti di partita) dietro solo a Fox, ma tirando meglio da tre punti e perdendo meno palloni (altro marchio della casa).

“Captain Clutch” chiude i conti con i Cavs e Donovan Mitchell usando la potenza del proprio corpo e il delicato tocco mancino dalla sua posizione preferita, il mid-range.

Anche per questo coach Thibodeau tiene in campo Brunson più di chiunque altro, ben disposto a chiudere un occhio sui suoi deficit difensivi che, a dire il vero, risultano amplificati dalla presenza delle altre due “mezze stelle”. Non è un mistero infatti che lui, Julius Randle e RJ Barrett, i cosiddetti “Mid Three” di Manhattan, nonostante il buon rapporto stiano vivendo una coesistenza tecnica forzata che non pare avrà troppa vita, considerato il Net Rating stagionale negativo del terzetto più utilizzato addirittura di tutta la lega (-3.5 in 1.263 minuti giocati insieme).Una contraddizione sanguinosa, confermata anche dall’eye-test su entrambi i fronti. Brunson, testa e metronomo dei Knicks, è di gran lunga il miglior decision maker dei tre, eppure spesso e volentieri si deve arrendere a certe dinamiche delegando al talento selvaggio di Randle, imprevedibile ma devastante scorer incapace di distinguere una forzatura da un buon tiro (ma nel bel mezzo di un sorprendente career year che gli è valso l’All-Star Game), e di Barrett, realizzatore talentuoso ma statico e privo di personalità, inconsistente ai fini del risultato finale salvo gradevoli eccezioni come nella recente vittoria contro Miami.Non pare esistano rapide soluzioni a un amalgama che, nell’attacco a metà campo di Thibs zeppo di hand-off e isolamenti e senza un vero tiratore sugli scarichi, fa sembrare i Knicks ancora più brutti e lenti, tra il 27° posto per numero di possessi, il 24° per punti in contropiede e soprattutto l’ultimissimo nella lega per canestri da assist (poco più della metà), conseguenza della necessità del triumvirato tutto mancino di avere a lungo la palla in mano per produrre qualcosa di decente, come testimonia uno Usage Rate per tutti e tre oltre il 25%.L’infortunio di Robinson ha esposto ancor di più i limiti dei tre sopra, non certo dei segugi in difesa (senza il lungo nel 2023 Brunson ha un Defensive Rating di 122, uno dei peggiori di tutta la NBA), un problema cui Leon Rose dovrà porre rimedio quest’estate cedendo forse uno tra Randle e Barrett. Brunson comunque sta cercando di compensare certe lacune con intelligenza, sacrificio e rapidità di piedi (secondo in tutta la lega per sfondamenti subìti), ma è chiaro che questo rimarrà un aspetto di cui tener conto quando si vorrà scegliere la giusta superstar da affiancargli, ammesso e non concesso che arrivi.

Essere decisivi anche quando si è piccoli ma con un IQ sopra la media: esegue Brunson in difesa con la specialità della casa, lo sfondamento, fregando anche un super atleta come Ja.

Nonostante l’assenza di Robinson New York è comunque tornata a vincere e a giocarsela con Brooklyn e Miami per sfuggire alle forche caudine dei play-in, confidando nel suo piccolo ma tostissimo condottiero insensibile alla pressione-extra della Grande Mela che tanti danni aveva fatto nel passato recente. Pur non essendo un “max player”, JB ha già dimostrato di essere un elemento insostituibile con il suo contagioso approccio zen, la sua efficienza al tiro, la sualeadership e un altruismo ben più marcato di quanto dicano i numeri.Non ci sono dubbi che sia un All Star e non c’è dubbio che i New York Knicks abbiano finalmente trovato la loro point guard per il futuro, anche se la selezione per l’All-Star Game non è arrivata e il miglioramento del roster per diventare una contender non sia affar suo. Se c’è un giocatore che è sempre andato per la propria strada senza curarsi di ciò che non poteva controllare è proprio Jalen, per questo siamo certi che là fuori non farà mai mancare il suo contributo qualsiasi cosa succeda, con le “Kobe 6 Grinch” sempre ai piedi e lo sguardo impassibile, fedele a sé stesso e al proprio mantra: «Vibes are immaculate, man».

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