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La stagione di Bradley Beal attraverso le sue facce
30 apr 2020
30 apr 2020
Immaginate di essere nel miglior anno della vostra carriera e di sprecarlo in una squadra mediocre.
(articolo)
13 min
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La narrazione che si è creata attorno agli sportivi, e ai giocatori di pallacanestro in particolare, ruota tutta attorno a una parola: vincere. La colpa è anche loro: non fanno nient’altro che ripetere ossessivamente che l’unica cosa che a loro interessa è vincere. Ma è davvero così? E tutte le decisioni che prendono, le prendono solo e unicamente pensando alla possibilità di massimizzare le possibilità di vittoria?

Qualche giorno fa J.J. Redick, dopo aver visto il terzo e il quarto episodio di “The Last Dance”, ha twittato: “Tutti dicono: ‘Voglio solo vincere’. Ma la maggior parte delle persone intende: ‘Voglio vincere fintanto che accade a modo mio”. Di fatto, la realtà è molto più simile a quello che dice Redick: se a un giocatore interessasse unicamente la vittoria, tanti si comporterebbero in maniera diversa rispetto a come fanno di solito — ad esempio accettando ogni decisione dei propri allenatori, senza mai lamentarsi di minutaggio, contratti o tiri a disposizione, addirittura decidendo di guadagnare meno per lasciare maggiore flessibilità alla dirigenza in modo da avere costruire roster più profondi e talentuosi. Sappiamo tutti che non va così.

Prendiamo il caso di Bradley Beal. Se massimizzare le sue possibilità di vincere fosse l’unica cosa davvero importante, avrebbe già da tempo chiesto di essere scambiato dagli Washington Wizards. Oppure, più semplicemente, avrebbe potuto non accettare l’estensione di contratto proposta dalla nuova dirigenza guidata da Tommy Sheppard, forzando la mano per essere ceduto prima della scadenza naturale dell’accordo nel 2021. E per un giocatore del suo livello e della sua età, si sarebbe creata forse l’unica vera asta sul mercato per quelle squadre rimaste deluse dalla free agency.

Invece Beal quella estensione l’ha accettata, decidendo deliberatamente di togliersi dal mercato almeno per un anno avendo in cambio altri 72 milioni di dollari spalmati su due stagioni, pur mantenendosi la flessibilità di tornare sul mercato dei free agent nel 2022 a 29 anni ancora da compiere. Questo sapendo perfettamente che a Washington non avrebbe potuto neanche lontanamente competere per il titolo e forse nemmeno per un posto ai playoff, visto che era già noto che John Wall sarebbe rimasto fuori per tutta la stagione dopo la rottura del tendine d’Achille.

Il ragionamento, evidentemente, è stato diverso. E ne ha parlato lui stesso qualche giorno fa in un passaggio molto interessante della chiacchierata con Zach Lowe: «Gli Wizards mi hanno dato in mano le chiavi della squadra e mi hanno detto che avrebbero costruito attorno a me. Se andassi da un’altra parte di sicuro sarei in una squadra forte, ma sarei un pezzo tra i tanti. Chi può dirmi che il mio ruolo sarebbe lo stesso?». Essere il giocatore franchigia, peraltro per la prima volta in carriera visto l’infortunio di Wall, è stato quindi ritenuto più importante che cercare fortuna da un’altra parte. Ma questo non significa che sia stato semplice, come si è dovuto accorgere ben presto lui stesso.

«Sono stato un po’ ingenuo. Non che pensassi che potesse essere facile, ma ho sottovalutato quanto potesse essere difficile» ha detto recentemente in un lungo pezzo su The Athletic. «Sono ottimista di natura, pensavo davvero che potessimo essere forti e competere con chiunque. Poi però è subentrata la realtà dei fatti». Beal ha anche ammesso di aver dovuto imparare a essere un leader per i suoi compagni dopo un inizio di carriera in cui si era fatto notare soprattutto per i suoi silenzi e la sua incapacità di alzare la voce nei confronti dei compagni più anziani.

C’è però una parte del suo corpo che dice tutto di lui, ed è il suo volto. Bradley Beal è uno dei giocatori più espressivi di tutta la NBA, tanto che una sua faccia fintamente severa nei confronti di un tifoso che gli aveva appena detto che faceva schifo è diventato istantaneamente un meme utilizzato anche nel lancio di NBA 2K20.

Quest’anno il suo volto è stato immortalato in una lunghissima sequenza di espressioni disperate, con le mani sulle ginocchia o sui fianchi, con sguardi imploranti verso il cielo o persi nel vuoto verso il basso, di sorrisi sarcastici ed espressioni in cui sembra dire: ma perché proprio a me? Ne ho raccolti dieci per parlare della sua stagione e per capire quanto sia stato difficile per lui il 2019-20, bloccato in una squadra mediocre in quello che è senza dubbio il miglior anno della sua carriera.

23 ottobre 2019 — Espulsione contro Doncic

Foto di Tom Pennington/Getty Images

Alla prima partita stagionale in trasferta sul campo di Dallas, Bradley Beal è stato subito espulso. Il suo è stato più che altro un gesto dimostrativo, un tentativo di mandare un messaggio ai suoi compagni. Dopo essere «stati presi a calci per tutta la sera» da Luka Doncic, Beal a gioco fermo ha provato a entrargli sotto pelle spingendolo, venendo immediatamente pescato dagli arbitri (inflessibili come solo sanno fare nelle prime partite di regular season) per un doppio tecnico. Dopodiché ha palesemente mandato a quel paese l’arbitro John Sterling, prendendosi il secondo tecnico e chiudendo con 69 secondi di anticipo una prestazione da 19 punti con 7/25 al tiro per la prima di una lunga serie di sconfitte. Questa espressione polemica mentre Doncic ride di lui è così stridente da fare quasi male, come se le carriere dei due — una in straordinaria ascesa, l’altra bloccata in un incubo appena cominciato — non potessero essere più differenti.




30 ottobre 2019 — 46 contro Houston e sconfitta

Foto di Scott Taetsch/Getty Images

Alla quarta partita stagionale, dopo tre gare sotto il 33% al tiro, Bradley Beal è esploso al debutto in casa con una prestazione mostruosa da 46 punti e 8 assist, ovviamente accompagnata da una sconfitta. È una partita passata alla storia di questa stagione per il punteggio finale di 159 a 158, decisamente non una gara per fini palati difensivi: solo un’altra volta era successo che una squadra segnasse 158 con il 73.6% dal campo e perdesse, e ovviamente doveva capitare a Beal — che in questa foto sembra pronto a caricarsi l’intera franchigia sulle spalle. Invece gli Wizards si sono pure fatti rimontare 12 punti di vantaggio a meno di 8 minuti dalla fine e Beal è tornato a sentire il sapore amaro della sconfitta nonostante il 14/20 dal campo di cui 7/12 da tre e 11/12 ai liberi.




8 novembre 2019 — Sconfitta in casa con Cleveland

Foto di Ned Dishman/NBAE via Getty Images

Se perdere contro Harden e Westbrook è comunque accettabile, pensate quanto dev’essere frustrante perdere di 13 in casa con i Cleveland Cavaliers di John Beilein, che già dopo meno di un mese di regular season sembrava inadatto alla panchina dei Cavs. Gli Wizards sono riusciti anche in questo, così come successivamente sarebbero riusciti a perdere anche contro Atlanta, Charlotte, un’altra volta con Cleveland, Detroit, New York, per tre volte contro Chicago e persino contro Golden State. In questa foto, una delle tante nella posa con le mani sui fianchi, il volto di Beal sembra dire: facciamo davvero schifo.




24 novembre 2019 — Sconfitta in casa contro Sacramento

Foto di Will Newton/Getty Images

Nonostante un record di 5 vittorie e 9 sconfitte, nel primo mese di regular season gli Wizards avevano incredibilmenteil miglior attacco di tutta la NBA. Pur mettendo stabilmente il pallone nelle mani di Beal, gli Wizards avevano ottimi numeri nella circolazione di palla e negli assist, complici anche le spaziature date da due cacciabombardieri come Davis Bertans (42% da tre su 7 tentativi a partita) e Moritz Wagner (48% su 2.5 tentativi). Peccato però per quel piccolo particolare della metà campo difensiva, dove solamente i lontani parenti dei Golden State Warriors che hanno occupato il Chase Center riuscivano a fare peggio di loro.

Difficoltà rese ancora più palesi dalla presenza in rotazione di Isaiah Thomas: se su base stagionale gli Wizards hanno subito 115 punti su 100 possessi, nelle 40 partite con lui in campo crollavano a 120.2 — peggiorando anche nella metà campo offensiva. Non è un caso, allora, che alla prima occasione utile le strade di Washington e di IT si siano separate — e che il rendimento post-ASG sia un minimo migliorato anche in difesa. In questa foto Beal sembra pensare una frase che avrebbe poi detto anche pubblicamente: «In difesa non riusciamo a marcare neanche una nonna». E no, non parlava di “Grandmama” Larry Johnson.




8 dicembre 2019 — Sconfitta in casa contro gli L.A. Clippers

Foto di Ned Dishman/NBAE via Getty Images

Per distrarsi un po’, durante le feste di Halloween Bradley Beal si è travestito da Joker, e come una vecchia coppia sposata da troppo tempo lo stessoha fatto anche John Wall — chissà, magari per sentirsi un po’ più vicini in questa stagione di lontananza forzata. Qualcosa dello sguardo omicida di Joker gli è però rimasto dentro, forse dovuto al fatto che i suoi Wizards sarebbero da lì a poco scesi a un record di 7-15 — rendendolo sempre più pazzo nel tentativo di risollevare una stagione destinata al dimenticatoio, almeno per il resto della NBA.




18 dicembre 2019 — Sconfitta al supplementare in casa con Chicago

A questo punto della stagione, è ormai chiaro che Beal è diventato un giocatore di livello superiore. Viaggia a oltre 27 punti a partita e distribuisce 7 assist ai compagni pur mantenendo percentuali accettabili (52% di percentuale effettiva dal campo e 58% di percentuale reale) e ha aumentato notevolmente la sua capacità di guadagnarsi tiri liberi, uno dei focus della sua estate di lavoro con il trainer Drew Hanlen (lo stesso di Joel Embiid e Jayson Tatum).

Le sconfitte però si fanno sempre più brucianti: non solo gli Wizards si fanno rimontare 18 punti nell’ultimo quarto con un parziale di 21-3, ma sprecano anche un canestro a 5 decimi dalla fine di Beal con un fallo stupido di Isaac Bonga che regala due liberi a LaVine. Nel supplementare poi la difesa si perde Wendell Carter sotto canestro a 9 secondi dalla fine e l’ultimo tentativo di Beal si spegne inesorabilmente sul primo ferro per l’ennesima sconfitta.




12 gennaio 2020 — Ritorno in campo contro Utah

Foto di Will Newton/Getty Images

Come se le sconfitte non fossero abbastanza, Beal si fa male alla gamba destra in una partita persa di 30 contro Detroit (persa-di-30-contro-Detroit!) e rimane fuori per sette delle successive otto partite, con i suoi che ne vincono sorprendentemente quattro contro Miami, Denver, Boston e Atlanta.

Ora: già è abbastanza pesante essere il leader di una squadra con un record di 13-26 negli anni migliori della propria carriera, ma pensate a quanto deve essere frustrante vedere persino gli altri vincere contro squadre da playoff mentre si è fuori. In questo scatto mentre si osserva un’unghia in attesa di essere introdotto al rientro in campo contro Utah (ovviamente: sconfitta di 11 nonostante i suoi 25 punti) c’è tutta la rassegnazione di un giocatore che ormai si sente preso di mira dal destino e allora si rifugia nella manicure.




26 gennaio 2020 — Sconfitta in casa contro Atlanta

Foto di Kevin C. Cox/Getty Images

Come buona parte della NBA, anche Bradley Beal è dovuto scendere in campo nella sera in cui Kobe Bryant è morto nell’incidente di Calabasas. Nel suo volto c’è tutta la famiglia allargata della NBA, che mai come quella sera si è stretta come fosse un solo essere. Beal era già stato immortalato dalle telecamere mentre piangeva in panchina durante il riscaldamento, e anche durante l’infrazione di 24 secondi per cominciare la partita — persa dagli Wizards contro gli Hawks nonostante i suoi 40 punti — non è riuscito a trattenersi, come testimonia questo scatto tra i più commoventi della serata sui campi della NBA.




3 febbraio 2020 — Sconfitta in casa contro Golden State

Foto di Patrick McDermott/Getty Images

Dopo una stagione passata interamente sullo sfondo, nei giorni delle convocazioni per l’All-Star Game il resto della lega si è ricordato di Bradley Beal — ma solo dopo che il suo nome non è apparso tra quelli delle riserve della Eastern Conference votate dagli allenatori. La levata di scudi in suo favore è stata quasi unanime, anche perché i giocatori lo avevano addirittura votato per far parte dei titolari, ma i tifosi lo hanno messo al nono posto (davanti a lui Young, Irving, Walker, Rose, LaVine, Lowry, Jaylen Brown e Simmons) e i media solamente al quinto con la miseria di sei voti alle spalle di Kemba, Trae, Simmons e Lowry.

La reazione di Beal fuori dal campo («Sono incaz…o, me l’aspettavo ma è una mancanza di rispetto») è stata furiosa almeno quanto quella sul parquet: dal 20 gennaio al 3 febbraio Beal ha segnato 29, 38, 36, 40, 47, 34, 34 e 43 punti in otto partite consecutive, portando le sue medie vicine ai 30 punti a partita. Gli ultimi 43 sono arrivati contro i Golden State Warriors, una partita che in qualche modo gli Wizards sono perfino riusciti a perdere: in questo scatto Steph Curry prova in qualche modo a consolarlo, ma cosa vuoi dire al secondo giocatore nella storia della NBA a segnarne 28 a sera e a non essere convocato all’All-Star Game? L’unico altro precedente è World B. Free nel 1978-79, oltre 40 anni fa.




24 febbraio 2020 — 108 punti in due sconfitte consecutive

La furia di Bradley Beal ha continuato ad abbattersi sulla lega per il resto del mese di febbraio — peccato che nessuno degli Wizards gli sia andato dietro. In due giorni consecutivi, esattamente il 23 e il 24 febbraio, Beal ne ha prima segnati 53 contro i Chicago Bulls (perdendo di 9 allo United Center) e poi ne ha segnati altri 55 contro la miglior difesa della NBA, quella dei Milwaukee Bucks (anche qui perdendo seppur solo di 3, dopo averne già segnati 47 contro Middleton, a sua volta autore di 40 e 51 punti nelle due gare).

In totale Beal — che ha ritoccato per due volte il suo massimo in carriera — ha segnato 108 punti con 34/60 dal campo, 13/24 da tre punti e 27/30 i liberi: era da Kobe Bryant nel 2007 che un giocatore non segnava 50 o più punti in back-to-back, solo che Kobe le vinse entrambe. Peraltro era anche il weekend della cerimonia funebre di Bryant a Los Angeles, rendendo il tutto ancora più surreale.

Dopo la partita però Beal ha lanciato un messaggio di maturità: «Una cosa che ho imparato da Kobe è che non conta quanti punti segni o quanti All-Star Game giochi, perché alla fine quando smetterò non mi ricorderete per queste cose. Quello che conta di più è il tuo impatto sugli altri, quello che lasci ai tuoi compagni di squadra. È quello che ti porti nel cuore e ti resta per tutta la vita».




1 marzo 2020 — Vittoria contro Golden State

Foto di Thearon W. Henderson/Getty Images

Voglio chiudere questa carrellata di foto disperate di Bradley Beal con la ventiduesima vittoria stagionale dei suoi Wizards, che all’interruzione della stagione avevano un record di 24-40 e rimanevano in qualche modo in corsa per un posto ai playoff, seppur staccati di 5 partite e mezzo dall’ottavo posto. Nonostante le sconfitte, la frustrazione e uno sbrocco sia pubblico che privato dopo una sconfitta a metà gennaio a Chicago, Beal ha comunque provato a vedere del buono in questa stagione. Sia per la sua crescita comeleader del gruppo che per le prospettive future degli Wizards, che se non altro hanno messo attorno a lui diversi giocatori che hanno voglia di lavorare e migliorare — cosa che non era necessariamente presente un anno fa.

A volte in questa stagione Beal e coach Brooks si sono messi d’accordo per fare in modo che l’allenatore gridasse contro il miglior giocatore della squadra giusto per mandare un messaggio agli altri, per far capire loro che tutti potevano essere presi di mira. «Penso costantemente a come poter migliorare la squadra, a come poter ‘arrivare’ ai miei compagni in diverse maniere» ha detto Beal aThe Athletic. «Non c’è un modo solo di esercitare la leadership e sto ancora imparando come fare. Per me è una sfida, anche perché sono una persona riservata di natura. La cosa che ho imparato è che bisogna essere più critici nei confronti di se stessi rispetto al resto della squadra, e non è semplice come sembra. Tutti vogliono essere il giocatore franchigia, ma fino a quando non ti trovi in quella posizione, non puoi capire».

Forse Beal non poteva aspettarsi tutto quello che ha passato, ma alla fine è stata una sua decisione quella di rimanere a Washington. E se anche non riuscirà a vincere, forse l’importante è solo essere in pace con se stessi e le proprie scelte. Anche questa è maturità e anche questa è crescita.




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