Lo scorso 10 ottobre la NBA e il basket mondiale si è stretto nel lutto per la scomparsa di Morice Frederick Winter, per tutti “Tex”, una delle menti cestistiche più brillanti della storia. Conosciuto per essere stato l’architetto dietro la Triple Post Offense (o Attacco Triangolo che dir si voglia), Winter ha legato il suo nome per l’eternità a quello che è stato il modello offensivo di riferimento dei Chicago Bulls e dei Los Angeles Lakers pluricampioni NBA.
Contrariamente a quanto si crede Tex Winter non ha “inventato” l’Attacco Triangolo, ma fu colui che ne espose i concetti nero su bianco per la prima volta nel 1962, in un libro chiamato “The Triple-Post Offense” composto da 320 pagine e illustrato da 135 diagrammi. Lo scrisse di suo pugno, piegato sulla sua scrivania nel ranch che possedeva in Kansas, usando compassi, righelli e goniometri per disegnare con precisione ogni taglio, ogni blocco, ogni movimento, mentre accanto a lui sua moglie Nancy aveva il compito di battere a macchina i testi caotici del marito e renderli “leggibili”.
Le prime pagine del libro di Tex Winter in cui sono esposti i 6 principi fondamentali della Triple Post Offense.
Quel libro fu la base di partenza su cui lo stesso Winter sviluppò la sua “creatura” nel corso dei decenni, sempre lontano dalla luce dei riflettori ma in bella evidenza al fianco di coach Phil Jackson.
Una vita da film
La biografia di Tex Winter è di quelle da cui poter attingere per un film: nato in un piccolo paese del Texas e orfano di padre, a 10 anni si trasferì con la famiglia nel Sud della California in cerca di fortuna. A 18 anni scelse di andare a studiare a Oregon State e fece la squadra per rappresentare gli Stati Uniti alle Olimpiadi del 1944 nel salto con l’asta, prima che venissero sospese per la II Guerra Mondiale. Praticava anche la pallacanestro, ma con scarsi risultati.
Si arruolò quindi in Marina per partecipare alla guerra diventando pilota di caccia, e a conflitto finito tornò al college per finire gli studi, stavolta all’Università di Southern California dove continuò ad eccellere nel salto con l’asta ma non nel basket. Tuttavia trovò nel coach Justin McCarthy “Sam” Barry un mentore che lo introdusse ai principi di un attacco basato su triangolazioni, letture e una fitta rete di passaggi per muovere la palla da un lato all’altro. Fu in quegli anni che nacque la sua idea dell’Attacco Triangolo, rubando idee e prendendo frammenti da ciò che aveva visto e appreso, combinando insieme i pezzi di quello che aveva raccolto osservando gli allenamenti degli altri santoni in giro per la West Coast.
Finita la sua scialba carriera da giocatore iniziò subito ad allenare, prima da assistente a Kansas State e poi da capo-allenatore a Marquette, dove a 28 anni divenne l’allenatore più giovane di sempre nel college basket, ed infine il ritorno a Kansas State per 15 stagioni alla guida della squadra. Kansas State era una piccola università che a livello cestistico doveva lottare contro i programmi cestistici più blasonati d’America, ma giocava una perfetta esecuzione della Triple Post Offense che permise a un team povero di talento di raggiungere per 10 anni il torneo ed arrivare alle Final Four per due volte. Per intenderci: nel 1958 la piccola Kansas State fece fuori la Kansas di Wilt Chamberlain e la Cincinnati di Oscar Robertson.
Un giovane Tex Winter spiega brevemente la Triple Post Offense di Kansas State.
In un’epoca in cui gli One & Done non esistevano e chi andava al college lo faceva per restarci i canonici quattro anni, cercando di costruirsi un futuro nel mondo prima che nel mondo dello sport, Winter solitamente teneva ferme le matricole per una stagione in cui dovevano imparare a menadito i concetti e i fondamentali tecnici a corredo della Triple Post Offense, gettandoli nella mischia con la squadra solo dal secondo anno. In quegli anni conobbe Jerry Krause, all’epoca giovane scout dei Baltimore Bullets, che rimase affascinato dal suo attacco e si promise di tenerlo sott’occhio.
Quando nel 1985 Krause divenne General Manager dei Bulls, una delle prime mosse che fece fu contattare un reticente Winter che aveva già toccato con mano il basket senior a inizio anni ‘70 come capo-allenatore degli Houston Rockets, salvo tornare al college basket con fermate a University of Washington, Northwestern e Long Beach State. In quella stagione stava meditando il ritiro dopo la sua ultima esperienza da assistente a LSU, ma Krause lo convinse ad accettare il lavoro. Quando nel 1987 Krause ingaggiò come assistente un ex giocatore dalle tendenze psichedeliche di nome Phil Jackson, gli suggerì di apprendere tutto ciò poteva da un genio come Winter. Come già saprete, Jackson seguì il suo consiglio.
I due divennero inseparabili: Winter introdusse un esterrefatto Jackson ai principi del Triangolo e quando Jackson venne promosso a capo-allenatore nel 1989 decise di affidarsi in tutto e per tutto agli schemi altruisti fondati sulla circolazione di palla e movimenti di uomini di Winter. Fu l’inizio di un sodalizio durato oltre un ventennio ed immortalato nella storia del gioco da nove anelli (Winter si ritirò definitivamente nel 2009 spinto da motivi di salute, poco prima del secondo ciclo di anelli dei Lakers) e due dinastie.
Winter e Jackson furono il connubio perfetto: da una parte l’insegnante intransigente e fervido evangelista del suo sistema di gioco; dall’altra una persona eclettica più attenta a capire le persone, comunicare con loro, più incline all’aspetto spirituale del gioco. Ognuno limava le spigolature dell’altro, ognuno completava tecnicamente o umanamente l’altro. Per Winter la soluzione ad ogni ostacolo che si parava di fronte all’attacco poteva essere aggirata con il corretto uso dei fondamentali o con la scelta tattica giusta; dall’altra parte Jackson teneva a freno gli istinti omicidi di Winter quando i giocatori non facevano funzionare il suo attacco, dando un’anima alla Triple Post Offense e “vendendo” alle sue stelle un attacco in cui avrebbero dovuto credere ed affidarsi totalmente per raggiungere la vetta.
Che cos’è l’Attacco Triangolo?
Innanzitutto è bene precisare che non si tratta di uno schema e nemmeno di una motion offense (anche se si potrebbe azzardare la definizione di una serie di motion offense), quanto piuttosto di un elaborato sistema offensivo, una filosofia di gioco che enfatizza il movimento di palla e il lavoro di squadra. In molti hanno ripreso la definizione data da Michael Jordan di “attacco delle pari opportunità”, perché tutti e cinque i giocatori coinvolti sono in grado di essere pericolosi e trovare un buon tiro se si muovono in modo armonico. Certo, Jordan inizialmente non gli dava una connotazione positiva, visto che condividere il pallone gli impediva di avere sempre l’opportunità di tirare, ma poi si è convinto anche lui.
In linea di principio si tratta di una disposizione di tre giocatori su lato forte che delimitano un triangolo immaginario, con un giocatore in post basso, un giocatore in ala e uno in guardia. Gli altri due sono invece spaziati sul lato debole a formare altri triangoli con il giocatore in ala e il post basso, che sono i centri nevralgici dell’azione, coloro che scandiscono i tempi dell’attacco. Da questa disposizione di partenza i giocatori muovendo la palla, tagliando, bloccando devono cambiare lato e formare un nuovo triangolo sul lato forte.
Lo schieramento iniziale della Triple Post Offense con i tre triangoli che si formano, due sul lato forte e 1 sul lato debole. Le spaziature sono fondamentali, il post basso è l’epicentro dell’attacco, tutti i giocatori devono poter essere interconnessi per passarsi la palla.
Lo scopo del “metodo”, come lo chiamava Winter, è quello di far entrare i giocatori in un flusso di gioco costante dove lo opzioni offensive sono determinate dalla lettura della difesa. Non ci sono schemi o codifiche particolari da chiamare: i giocatori devono essere in grado di muoversi rispettando le spaziature e leggendo di volta in volta la situazione che si presenta davanti a loro. Nel suo libro del 1962 Winter aveva indicato 48 possibili sviluppi dell’azione equamente distribuiti nei quattro possibili passaggi di apertura del gioco (in ala, al post basso, alla guardia in linea opposta, al pinch post dal lato debole che sale in punta). Nel corso degli anni le opzioni crebbero a dismisura e nel libro Più di un gioco, scritto a quattro mani con l’amico Charley Rosen, Jackson ha spiegato che era riuscito a sviluppare una cinquantina di opzioni del Triangolo ai Bulls e circa una ventina ai Lakers, oltre a 35 combinazioni di movimenti possibile per ribaltare il lato. Secondo gli standard di Winter, l’attacco più fluido impostato sulla Triple Post Offense fu quello del 1994, non casualmente l’anno in cui Jordan abbandonò il basket per il baseball.
Lo speciale di Sportscience di ESPN dedicato alla Triple Post Offense dei Lakers.
Spaziature, tagli e passaggi svelti. Tenere la palla ferma massimo tre secondi. Eliminare le cose non necessarie, ridurre tutto al minimo per velocizzare il gioco. Ogni giocatore deve mantenere una distanza di almeno 4 metri e mezzo dagli altri compagni. Usare e mantenere gli spazi corretti era il tarlo di Winter e una cosa che affascinava Jackson: in natura quando i lupi vanno a caccia, accerchiano la preda mantenendo le giuste distanze per non farla scappare. Il Triangolo era la macchina predatoria per eccellenza per stritolare le difese.
Giocare il Triangolo è una continua improvvisazione, come i musicisti jazz che devono ascoltare cosa suonano gli altri per partecipare alla Jam Session e suonare la stessa melodia. Molto più semplice a dirsi che a farsi: definire a livello di X&O il Triangolo è compito improbo, ci perderemmo nelle mille opzioni e letture. Winter è sempre stato in prima linea per difendere la sua creatura contro critici e scettici, sempre pronto a dare una risposta, a risolvere un problema a chi chiedeva approfondimenti sulla TPO. Ha girato il mondo per partecipare a numerosi clinic, e quando non c’era budget a sufficienza per ospitarlo, pagava di sua tasca le spese di viaggio per andare a diffondere il suo “Vangelo”.
Tex Winter e Phil Jackson provano a spiegare la Triple Post Offense in un talk show dedicato ai Bulls nel 1992.
Oggi si usa dire che si gioca nel “flow”, che gli attacchi sono incentrati sul “read and react”, che si gioca una pallacanestro “positionless”. L’Attacco Triangolo ha anticipato questi concetti di almeno 20 anni: l’evoluzione e lo sdoganamento della Triple Post Offense da parte di Bulls e Lakers è stato uno dei punti di rottura che ha contribuito a modernizzare la pallacanestro.
Nel Triangolo non esistono i ruoli: esiste il concetto di giocatore universale capace di passare, tirare, penetrare, giocare fronte o spalle a canestro. Winter ha sempre odiato il ruolo del playmaker: per lui una squadra che si affidava ad un solo portatore di palla era una squadra destinata a perdere e facilitare il compito della difesa. Per Winter ogni giocatore in campo doveva essere un playmaker, sapere leggere il gioco, scandagliare il campo alla ricerca di una vulnerabilità della difesa, muoversi nel flusso facendo scelte funzionali dettate dalla situazione che si era creata.
In rete si sprecano i video che elencano le opzioni della Triple Post Offense eseguite dai Bulls di Jordan. Questo è uno dei più completi: vedete come i giocatori si muovono con un senso, ognuno dei quali compie scelte basandosi sui movimenti dei compagni e su come reagisce la difesa. La palla finisce spesso nelle mani di Jordan (ovviamente) e frequentemente in post basso, ma sempre in modo dinamico, spesso a seguito di almeno un ribaltamento di lato.
Il Triangolo come immaginato da Winter era la quintessenza della purezza cestistica. Per raggiungere quel nirvana i giocatori dovevano avere grande padronanza dei fondamentali, in particolare quelli del passaggio. Una volta che un giocatore metteva a posto i propri fondamentali doveva integrarli nel sistema di squadra. Nel suo libro/manifesto le prime 40 pagine sono dedicate a preamboli di tecnica, dettagli tattici, esercizi e soprattutto la cura dei fondamentali. Nei suoi esercizi ogni giocatore doveva allenarsi in ogni posizione, per capire come muoversi e passare la palla nei tempi e nel modo giusto.
Gli allenamenti dei Bulls e dei Lakers iniziavano ogni giorno con 30 minuti di fondamentali. Winter esigeva che i suoi giocatori in quei 30 minuti fossero attenti, perchè allenare i fondamentali era nel loro interesse personale e di squadra. Una volta in un noioso e semplice esercizio di zig zag senza palla Shaquille O’Neal non lo prese sul serio: l’80enne Winter gli si frappose di mezzo e prese uno sfondamento di quelli capaci di mescolare tutte le ossa del corpo a uno di 50 anni più giovane, ma si alzò da solo andò sul muso a Shaq e gli disse che se faceva l’esercizio nel modo giusto non avrebbe più fatto sfondamento in vita sua. Da quel momento in poi Shaq fece quell’esercizio con estremo vigore, o almeno così ci piace pensare.
Per Winter i fondamentali erano le munizioni a disposizione dei giocatori per armare il suo sistema di gioco. Dopo una vittoria cruciale in finale contro i Portland Trail Blazers nelle finali NBA del 1992, mentre tutti festeggiavano lui inveiva contro Horace Grant che per tutta la partita aveva sbagliato la tecnica di passaggio per ribaltare il lato facendo perdere preziosi secondi all’attacco.
Per Winter esisteva solo la perfezione: se in un partita 99 scelte erano esatte e 1 sbagliata, Winter andava a rinfacciare a chiunque l’errore, che fosse Michael Jordan o l’ultimo dei panchinari. Come tutte le persone di una certa età, non aveva alcun tipo di filtro: era sempre pronto a muovere critiche a chiunque non giocasse di squadra e per la squadra. Era sempre pronto a criticare Phil Jackson perché “permetteva” ai giocatori di non far funzionare il suo attacco.
Fu Winter a intimare a Jackson di togliere dal campo Jordan in quella famosa gara-6 delle Finali NBA contro i Blazers, perché “sta distruggendo l’attacco e ci farà perdere la partita”. Jackson lo tolse e i Bulls recuperarono 15 punti di svantaggio nel secondo tempo, andando a vincere la partita. D’altro canto fu lo stesso Winter a consigliare a Jackson di usare più spesso Jordan in post basso: MJ dal suo ufficio in post basso, a suon di fadeway e scivolate a canestro, ha segnato molto di più di tanti centri definiti come “dominanti” negli anni ‘90.
Come la Triple Post Offense ha creato la dinastia di Bulls e Lakers
Far digerire il Triangolo a Jordan, O’Neal e Bryant è stato il compito più difficile perché in quel sistema di gioco vedevano delle restrizioni al loro talento offensivo. È la natura delle superstar a piegare il sistema ai propri scopi e non viceversa.
Ad essere onesti, per stessa ammissione di Phil Jackson Bulls e Lakers non giocavano sempre e solo Triple Post Offense, ma ogni tanto chiamavano giochi a termine per far contenti Jordan, Bryant o O’Neal. Lo stesso Phil Jackson la metà delle volte che l’attacco andava in frantumi quando una di queste stelle fermava l’attacco, mandava giù il rospo e andava avanti, concentrato sul mantenere l’equilibrio mentale dei suoi giocatori piuttosto che quello tattico. Winter ovviamente non lo faceva e non glielo mandava a dire.
In particolare fu in impresa vendere l’attacco di Tex Winter a Jordan: dopo le sconfitte con i Pistons che adottavano su di lui le cosiddette “Jordan Rules”, Winter e Jackson pensarono di creare più opzioni ai compagni di squadra di MJ, per non farlo arrivare stanco nei finali di partita e di stagione, e togliergli di dosso la pressione di dover essere sempre lui a trascinare il carro. Jordan non la prese bene, ma raggiunsero un compromesso: per i primi 15/20 secondi dell’azione i Bulls avrebbero fatto girare l’attacco basato sulla Triple Post Offense; poi, se non trovavano nessuna soluzione, palla a Jordan e via tutti.
Quando i Bulls riuscirono a battere i Pistons nei playoff del 1991 Jordan iniziò a fidarsi del Triangolo, capì cosa poteva fare per lui e cosa poteva fare lui per la squadra. Winter ha sempre affermato che è da pazzi dire che il Triangolo ha creato Michael Jordan, ma di certo non è sbagliato dire che gli ha permesso di sfruttare tutto il suo potenziale. Del Triangolo, Michael Jordan è stato l’ipotenusa.
Con Bryant l’approccio è stato identico: voleva palla in mano, non la voleva spartire con Shaq. Jackson e Winter usarono lo stesso stratagemma: i primi 15” la palla va dentro per Shaq se non arriva un buon tiro, palla a Kobe. Dal canto suo Kobe è sempre stato un attento studente del gioco che spendeva ore e ore del suo tempo con Winter a studiare il Triangolo per capirne i segreti. Era come Luke Skywalker che apprendeva i misteri della forza dal Maestro Yoda.
Il Triangolo giocato dai Lakers durante le finali del 2010. Senza Shaq a occupare costantemente il post basso, Kobe Bryant può svariare nell’attacco.
Perchè oggi non si gioca più il Triangolo
Per l’epoca il suo Attacco Triangolo era un concetto offensivo unico e rivoluzionario, in linea con la Motion Offense sviluppata da Bobby Knight e la Princeton Offense di Pete Carrill. Ma mentre le ultime due erano un agglomerato di schemi con una gamma di opzioni ben definite, la sua era una filosofia diametralmente opposta: il Triangolo è un sistema aperto, in cui inserire movimenti, blocchi, situazioni di pick and roll, tagli a piacimento, purchè rispettino spazi e regole per formare costantemente uno o più triangoli. Se la difesa ferma dieci opzioni, i giocatori devono essere in grado di produrne altre dieci muovendosi, passandosi il pallone, occupando gli spazi giusti. È in questo che sta la complessità della Triple Post Offense: ogni giocatore deve calarsi nel sistema, per il bene della squadra e di riflesso per il proprio bene.
Ai tempi, i giocatori di Bulls e Lakers non avevano assolutamente voglia di fare fondamentali, volevano correre e schiacciare esattamente come quelli di oggi. Le prime volte che mettevano in campo il Triangolo si pestavano i piedi, si scontravano, non capivano dove li avrebbe portati quell’attacco. Poi, lentamente, hanno iniziato a fidarsi l’un l’altro, a giocare secondo i principi tattici giusti e soprattutto a farlo insieme.
Ma i tempi sono cambiati, i metodi di insegnamento sono cambiati, il gioco stesso è profondamente cambiato. Si chiama progresso e nel corso della storia del gioco si è verificato numerose volte: negli anni ‘70 alle guardie non era permesso di avvicinarsi alla riga di fondo che era territorio esclusivo delle ali; negli anni anni ‘80 ai giocatori di frontline era vietato uscire oltre l’arco dei tre punti. Sul finire degli anni ‘90 la TPO ha rivoluzionato a livello culturale la NBA introducendo concetti come il dinamismo, la fluidità e l’intercambiabilità dei ruoli che nel corso del tempo si sono ulteriormente evoluti ed hanno reso il Triangolo un sistema tuttora valido concettualmente, ma di difficile attuazione pratica.
Estratti della Triple Post Offense vivono ancora oggi, ad ogni latitudine e longitudine, dalla NBA alle categorie giovanili. A livello collegiale e FIBA sono in molti a proporre situazioni semplificate e codificate della Triple Post Offense, specialmente in fase di transizione della difesa e l’attacco. Ogni coach, direttamente o indirettamente, ha attinto opzioni, situazioni e spaziature dall’attacco di Winter, ma nessuno ha il coraggio di proporre la Triple Post Offense in pianta stabile.
Alcuni esempi di situazioni da Triple Post Offense rubati dai playbook dei coach odierni. Il primo è un isolamento per Westbrook al gomito alto (“Pinch Post”). Il secondo era uno schema della Finlandia agli ultimi Europei, con il triangolo formato sul lato forte, palla in angolo che aziona un blocco cieco e un pick and roll laterale per cambiare lato.
In NBA, la Motion Offense dei San Antonio Spurs ha al suo interno parti e situazione derivanti dalla Triple Post Offense: triangolo su un lato, passing game per muovere la difesa, ribaltamenti di lato repentini per trovare vantaggi sull’altro lato mentre la difesa deve ancora disporsi correttamente.
Formare triangoli sul lato forte e subito spostarsi sul lato debole, da lì in poi iniziare a leggere e reagire. Nella prima clip l’attacco Spurs ribalta il lato due volte formando due triangoli, i giocatori collaborano e portano a casa un buon tiro, reso ancora migliore dal rimbalzo offensivo catturato. Nella seconda clip il Triangolo serve a impostare l’attacco, poi sul ribaltamento si libera l’area che è preda di un backdoor giocato da Gasol e Parker. Nella terza e ultima clip la Motion si dipana con un triangolo su lato forte che porta a un blocco cieco per isolare in post Leonard su ribaltamento di fronte. Nel secondo caso il ribaltamento è facilitano dalla ricezione nel “pinch post” di Ginobili, una posizione chiave nel triangolo su lato debole.
Quando Steve Kerr è stato nominato allenatore dei Golden State Warriors - ed era in ballottaggio per diventarlo anche dei New York Knicks di Phil Jackson, che poi ripiegarono senza fortuna su Derek Fisher - ha fatto quello che lui stesso definisce “un corso accelerato di Triple Post Offense” ai suoi giocatori, che inizialmente si sono comportati esattamente come i giocatori dei Bulls e dei Lakers.
Kerr è stato uno dei maggiori beneficiari del Triangolo al tempo dei Bulls: era un journeyman senza fissa dimora, passato da una squadra all’altra in cui faceva lo specialista del tiro per pochi scampoli di partita, ma Winter lo considerava perfetto per il suo attacco e quello dei Bulls. Dopo non arrivava con le gambe e con il fisico ci arrivava un secondo prima degli altri con la testa, facendosi trovare sempre al posto giusto al momento giusto. Il giorno dopo che venne rilasciato dagli Orlando Magic, Winter e Krause tartassarono di telefonate il suo agente per convincerlo a firmare con i Bulls.
Kerr non è stato intransigente ed estremo come Phil Jackson, che ha “costretto” Fisher a giocare solo ed esclusivamente Triple Post Offense, ma è stato scaltro ad adattare i principi del Triangolo alle caratteristiche dei suoi giocatori. L’utilizzo di Draymond Green in post basso come centro di smistamento del gioco, i continui “split” tra gli Splash Brothers sul perimetro ed i tagli “random” di Curry o Thompson da o verso il lato debole non sono altro che concetti del Triangolo esposti in maniera moderna.
Due clip di una delle prime partite di questa stagione. Nella prima i Warriors formano il triangolo nelle posizioni base di post basso-ala-angolo, arrivandoci già da ribaltamento di lato, per far schiacciare la difesa su un lato e giocare per l’uscita di Thompson sul lato debole. Nella seconda clip: palla in post, triangolo con i due esterni che si bloccano tra loro - in gergo “split” - e Livingston che poi scende a bloccare il giocatore di “pinch post” sul lato debole, una della azioni più conosciuti della Triple Post Offense con palla in post basso.
Ci vuole tempo per far funzionare questo attacco, tempo che pochi coach hanno a disposizione, specialmente se i risultati, inizialmente, faticano ad arrivare. La Triple Post Offense ben eseguita è il sogno di ogni allenatore di basket, ma diventa un incubo a occhi aperti quando deve inculcarla nelle teste dei giocatori.
L’aurea mistica che ammanta il Triangolo, deriva dal successo che ha avuto con Bulls e Lakers e dalla mente geniale di Tex Winter, ma non è lo schema dei miracoli. Come ogni sistema offensivo funziona con i giocatori giusti, meglio se di talento e ancora meglio se forti. Ai massimi livello ha funzionato con giocatori in grado di trascendere i ruoli e le posizioni tradizionali ed ha permesso a loro ed ai compagni di leggere la stessa pagina del libro. Il Triangolo ha fatto convergere il talento dei vari Jordan, Pippen, Bryant e O’Neal per massimizzare il loro potenziale, supportati da altri grandi giocatori “di sistema” come Dennis Rodman e Toni Kukoc, Lamar Odom e Pau Gasol, Robert Horry e Ron Harper.
Bulls e Lakers erano squadre in forte ascesa quando il duo Jackson e Winter le presero in mano: avevano solo bisogno di una spinta nella direzione giusta e il Triangolo gliela diede. Altrove, con aspettative altissime e con meno talento, in squadre in piena ricostruzione e senza i giusti interpreti, la TPO ha inesorabilmente fallito. I Dallas Mavericks a metà anni ‘90 con Jim Cleamons e i Minnesota Timberwolves di Kurt Rambis a inizio secolo, entrambi discepoli di Jackson e Winter, si sono scontrati con questa dura verità. I Knicks, che dal 2014 al 2016 hanno giocato solo ed esclusivamente l’Attacco Triangolo, per mano di Jacks… ehm… Fisher sono stati il peggior attacco della lega, mostrando limiti che la loro versione macchinosa e rigida di quel sistema ha contribuito ad acuire: molti tiri dalla media distanza, poche penetrazioni al ferro (che invece erano un caposaldo per Winter), una fitta rete di passaggi che il più delle volte portava solo ad avvicinarsi allo scadere dei 24 secondi nel caos più completo senza aver creato alcun vantaggio, soprattutto giocatori che non credevano in quello che facevano o spersonalizzati.
I giocatori di oggi sono figli dei tempi: rispetto al passato sono molto più bravi e performanti con il pallone in mano, ma sono poco avvezzi a giocare senza palla. Non stiamo dicendo che sia un basket più povero tecnicamente: semplicemente è diverso ed è orientato verso altri aspetti. Siamo in un epoca in cui liberare l’area è la priorità assoluta, e usare il pick and roll per farlo bene e costantemente è una necessità. Il movimento di palla è la diretta conseguenza di un vantaggio acquisito, magari in 1-contro-1. Le difese NBA, poi, sono molto più agguerrite e tattiche rispetto al passato: ogni giocatore NBA è un difensore in situazione di 1-contro-1 migliore di quanto non lo fosse in passato. L’attacco ha bisogno di un piccolo “aiuto” per costringere la difesa a pensare, uscire fuori dalle proprie comfort zone, prendere tante decisioni in poco tempo - e molto spesso questo aiuto si manifesta in un pick & roll con il campo il più possibile aperto per impedire gli aiuti in area.
I giocatori dovrebbero fare un reset mentale e culturale incredibile per non perdersi nelle infinite sequenze della TPO mentre questo tipo di attacco, per come è stato ideato e descritto nei testi più autorevoli in materia, andrebbe a sfruttare quelle zone del campo - media distanza e post basso - statisticamente poco convenienti per l’attacco e quindi meno allenate.
Il gioco si sta muovendo in un’altra direzione - una direzione che lo stesso Winter, tra gli altri, ha indicato con il suo sistema offensivo rivoluzionario ed il suo acume tattico. Ha contribuito a costruire l’immagine vincente dei Bulls e dei Lakers ed il suo ruolo sull’ascesa di Jordan e Bryant è stato imprescindibile, come gli hanno riconosciuto tutti i protagonisti di quell’epopea al momento della notizia della sua morte. Con la sua scomparsa abbiamo perso una vera leggenda, un uomo che ha avuto un impatto incommensurabile sulla pallacanestro mondiale.
Tex Winter ha reso migliore il gioco che amiamo, e noi gliene saremo eternamente grati.