
Tra i media generalisti che coprono la NBA negli Stati Uniti, alcuni godono di enorme autorevolezza, maggiore anche rispetto a quella di allenatori o addetti ai lavori. Stephen A. Smith, attore prestato al ruolo di opinionista per ESPN, è forse il più noto tra questi oracoli, e come tutti ha i suoi pupilli. Uno di questi è Anthony Edwards, o Ant-Man se preferite.
Dopo una gara-4 da 43 punti con il 70.5% di True Shooting contro i Los Angeles Lakers, Smith gli ha dedicato un monologo iconico in pieno stile fumetto dei supereroi: «il miglior giocatore in questa serie, con LeBron e Luka, è un 23enne con un contratto da $200 milioni che gioca come se fosse sul lastrico. È uno squalo in acque infestate di sangue». Una dichiarazione che già di per sé conferisce un effetto scenico hollywoodiano niente male, ma che impallidisce in confronto alla chiosa finale: «Si presenterà con l’intento di farli fuori a Los Angeles, vuole rovinare la loro estate a Tinseltown. Ant-Man sta arrivando. Scusate, è già arrivato».
È l’annuncio perfetto di una storia, quella di Edwards, ancora molto breve, ma che avrà molto da raccontare, sulla quale però è necessario, già da ora, porsi degli interrogativi. Dopotutto, Edwards deve ancora compiere 24 anni e per la seconda stagione consecutiva si è schiantato contro il muro delle Conference Finals, disputando serie deludenti rispetto alle enormi aspettative. Tutto quel talento, tutta quella fame alla quale accenna Stephen A. Smith si è intravista, ma non è stata sufficiente. Ant-Man, quindi, è davvero “arrivato”?
SUPERPOTERI E KRYPTONITE
Già solo menzionando qualche dato, si può capire quale sia la forza di Anthony Edwards: è il secondo giocatore più giovane di sempre a guidare la propria squadra ad apparizioni in back-to-back alle Conference Finals come scorer principale, dietro solo a Kevin Durant. Lo stesso KD e LeBron James, inoltre, sono i nomi che la giovane stella ha raggiunto nel club di giocatori con più di 1000 punti realizzati nei playoff prima di compiere 24 anni e in meno di 40 gare. Insomma, infilare la palla nel canestro gli risulta più facile rispetto a quasi chiunque.
Il modo in cui lo fa, poi, è ancora più sorprendente. Ancora prima che lo scoring in generale, cioè la varietà e la qualità nella conversione dei tiri, è lo shot making il superpotere di Ant-Man, la capacità di segnare a piacimento anche senza aver creato alcun vantaggio.
Per un giocatore del quale si è sempre criticata la selezione di tiro si tratta di un aspetto molto importante, utile a compensare scelte non ideali. L’aumento di volume al tiro da tre punti nell’ultima stagione, specialmente dal palleggio, ha valorizzato quello che sa fare meglio e allo stesso tempo ripulito alcune sue tendenze. La frequenza dal long mid-range, la conclusione più statisticamente inefficiente della pallacanestro, è regredita al dato più basso dal suo anno da sophomore, sia in regular season sia ai playoff. Le triple, invece, sono salite a oltre il 40% del suo volume di tiro, con percentuali di conversione elitarie in regular season (40%) e buone ai playoff (37%). Il 2024/25 di Edwards è la 5° annata individuale per tentativi totali da oltre l'arco, chiusa a quota 811, e solo due stagioni mostruose di Stephen Curry sono meglio della sua in termini di efficienza.
Le difese hanno così risposto raddoppiando Ant-Man più aggressivamente di chiunque altro nelle situazioni da portatore di palla, in modo da limitarne eventuali esplosioni dal palleggio. Un aspetto che sblocca svariate soluzioni soprattutto per i compagni: i Timberwolves hanno chiuso la stagione al quinto posto per qualità di tiro, i playoff addirittura al secondo.
Considerando che la pressione esercitata al ferro in questi playoff è salita esponenzialmente rispetto alla regular season, un +9% in termini di frequenza, è difficile chiedere una selezione di tiro più “matematicamente” corretta. Così come è positivo il 53.8 di effective field goal%, statistica che valuta l’efficienza calcolando il maggior peso del tiro da tre punti, che rientra nel 74esimo percentile fra i pari ruolo ai playoff.
Questa rivoluzione è stata necessaria a causa della costruzione del roster, ricco di giocatori "battezzabili" - Gobert, McDaniels, Randle, nonostante le buone percentuali mantenute - garantendo a tutti, incluso sé stesso, spazi più ampi per operare. Ma sostituire i long-two con conclusioni che partono da qualche metro indietro non per questo elimina del tutto una soluzione come il mid-range che caratterizza tutti i grandi “Kobe-type” scorer.
Lo scorso anno ai playoff, tra primo turno e gara-1 e 2 contro i Nuggets, Edwards ha tirato con il 50% dalla media distanza, eppure rimane uno dei peggiori tiratori dal long-mid dell’intera Lega. Avere un superpotere significa sfruttarlo al bisogno, non abusarne.

La kryptonite si contrappone perfettamente a queste doti, quasi ne è conseguenza, e riguarda la costanza nella lettura dei raddoppi o delle difese piazzate per favorire i compagni. Un conto è segnare quattro triple a partita per fare in modo che gli avversari collassino, aprendo spazi per la squadra grazie alla cosiddetta “gravity”, la forza di gravità esercitata dall’attaccante sui corpi avversari. Un altro è dover far uscire la palla attivamente favorendo chi è attorno.
Su questo, Edwards deve ancora migliorare molto sia nell’esecuzione, sia nella volontà. Per quanto concerne il primo punto, serie come quella contro i Suns dello scorso anno o contro i Lakers nel recente primo turno sono state molto incoraggianti, ma si trattava di difese che, per quanto schierate, non erano dotate di personale di alto livello tanto sulla palla, quanto in aiuto.
Il numero di palle perse, con l’avanzare dei playoff, è andato aumentando anche quest’anno, in piena linea con quanto visto nella passata stagione, fino a toccare il fondo alle Conference Finals:
- primo turno contro i Lakers: 31 assist, 6 palle perse
- secondo turno contro gli Warriors: 28 assist, 17 palle perse
- Conference Finals contro i Thunder: 23 assist, 16 palle perse
Sono numeri grezzi che non considerano assist potenziali e “hockey assist” (assist di un compagno a un altro nato dal proprio passaggio), ma piuttosto esplicativi delle difficoltà incontrate da Edwards contro difese pressanti e versatili.
La palla esce spesso con un paio di tempi di ritardo dai raddoppi, e male - i passaggi rasoterra di stampo calcistico sono la specialità della casa - dando il tempo alla difesa di aggiustarsi. Letture come il semplice penetra-e-scarica e anche leggermente più avanzate come lo skip pass nell’angolo opposto, il minimo sindacale richiesto contro le difese playoff, sono parte del repertorio, ma non ancora del tutto naturali, bensì molto meccaniche, eseguite quasi a memoria. Il che lo porta, al primo errore, a doverci pensare un po’ troppo, sebbene i miglioramenti siano evidenti.
E soprattutto sono incoraggianti, rispetto anche solo a un paio di mesi prima dei playoff, quando Edwards lamentava addirittura dubbia volontà e una certa pigrizia nel dover svolgere queste mansioni da playmaker.
Pigrizia che si manifesta talvolta anche nell’altra metà campo. I mezzi che madre natura gli ha donato consentirebbero a Edwards di essere un egregio difensore in aiuto, specialmente come rim protector secondario, ma l’incapacità di leggere quello che gli succede attorno a lui, e conseguentemente di non trovarsi nella posizione corretta sono il suo punto debole peggiore ad alto livello.
Lo scorso anno, la serie contro i Dallas Mavericks ha esposto questa sua kryptonite e i Thunder sono riusciti a sfruttarla quasi involontariamente per strappare una gara-4 che avrebbe riportato la serie in parità. In un finale punto a punto, Edwards è rimasto spaesato su un taglio di Chet Holmgren da rimbalzo in attacco, perdendo traccia sia del proprio uomo che della palla, e poco dopo ha concesso a Caruso due facili punti non rimpiazzando DiVincenzo in aiuto al ferro.