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I 40 giocatori più interessanti della prossima stagione NBA
22 ott 2019
22 ott 2019
Giocatori che devono dimostrare qualcosa.
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Si dice da sempre che nella NBA non conta quello che hai scritto sul petto, ma quello che hai scritto dietro la schiena. Inevitabile, quando i migliori giocatori del mondo vengono messi tutti assieme nello stesso campionato a sfidarsi per 1.230 partite di regular season a cui seguono due mesi di playoff. Non tutti i giocatori sono uguali: ci sono le stelle con gli occhi di tutti puntati addosso, i giovani in rampa di lancio, chi deve rimettere in carreggiata la propria carriera e chi invece deve confermare quanto di buono già fatto vedere. Ogni giocatore ha la sua storia: qui ne trovate 40 che secondo noi hanno qualcosa da dover dimostrare quest'anno, togliendo alcuni particolarmente attesi (non troverete Zion Williamson, per intenderci) che tratteremo a parte nelle prossime settimane. Buona stagione a tutti!

Karl-Anthony Towns, Minnesota Timberwolves

di Daniele V. Morrone

Abituati come siamo a guardare con adorazione il nuovo giocattolo appena arrivato sullo scaffale, finiamo per dimenticarci di quanti ne abbiamo già in casa. Towns è solo uno dei vari “unicorni” arrivati nella NBA in questo decennio e probabilmente è il miglior tiratore del lotto (per dire la scorsa stagione ha chiuso con il 40% da tre punti su 4.6 tentativi a partita), ma la sensazione è che l’esperimento fallito con Jimmy Butler non abbia soltanto nociuto alla sua aura di giocatore franchigia: anche se dopo la partenza di Butler la stagione di Towns ha raggiunto picchi di produzione inediti, l’attenzione collettiva non è arrivata di pari passo. Siamo ora al quinto anno di Towns nella NBA e anche se l’attenzione è minore al passato, questa stagione sembra quasi fatta per essere uno spartiacque: può continuare sulla scia della precedente, nella quale ha realizzato prestazioni di una completezza enciclopedica in attacco, ma senza innalzare con il resto del suo gioco un roster che ad Ovest non porta oltre la mediocrità; oppure può significare un grande assunzione di responsabilità da vero giocatore franchigia da parte di Towns, portandosi dietro l’intero Minnesota. In questo senso, in estate è stato provato in un ruolo più da playmaker nel pick and roll per creare non solo per se stesso. La strada, insomma, è tracciata.


Steph Curry, Golden State Warriors

di Lorenzo Bottini

Nei giorni scorsi Steve Kerr, tra un battibecco con Donald Trump e l’altro, ha dichiarato che Steph Curry non è mai stato così forte. Il che, detto di un due volte MVP (di cui una volta all’unanimità) può suonare come l’ennesima esagerazione da preseason. Il compito che però attende il numero 30 di Golden State è di quelli che possono svolgere solo i fuoriclasse quando vengono messi con le spalle al muro. Per la prima volta senza Klay Thompson e con Kevin Durant volato a Brooklyn, Curry dovrà reggere da solo il peso dell’attacco Warriors e dimostrare di essere quel rivoluzionario della palla a spicchi capace di trasformare un roster di scappati di casa in una squadra da playoff. Nessuno dei team che puntano alla post-season ha infatti così pochi giocatori NBA da schierare in campo; nessuno però ha un talento poliedrico in grado di massimizzare le skill di chi gli sta attorno. Curry dovrà creare tiri facili per i suoi compagni e lavorare instancabilmente lontano dalla palla per coesistere con D'Angelo Russell almeno fino alla pausa per l’All-Star Game. Il tutto mettendo nel mirino il terzo premio da MVP, ma soprattutto senza poter tirare dal corridoio durante il riscaldamento.

Curry per la prima volta dalla stagione 2015/16 sarà l'unica stella dell'attacco Warriors e dalle uscite in Preseason sembra pronto per la guerra.




Russell Westbrook, Houston Rockets

di Dario Vismara

È troppo pensare che un po’ del titolo NBA 2019-20 passerà anche da Russell Westbrook? Gli Houston Rockets si sono mossi “tardi” sul mercato, lasciando che le squadre di Los Angeles facessero il grosso del lavoro prima di ritrovarsi - un po’ per caso, va detto - nella posizione di potersi muovere per prendere Westbrook e liberarsi di Chris Paul (cosa che avevano cercato inutilmente di fare). Fino ad ora l’ex Thunder ha detto tutte le cose giuste, ma dovrà dimostrare con i fatti di poter essere un giocatore più completo rispetto al passato - non solo aumentando il suo coinvolgimento in attacco lontano dalla palla (pari a zero negli ultimi anni a OKC), ma soprattutto cominciando a difendere come i mezzi fisici suggerirebbero. Lui e Harden hanno una scimmia sulla spalla piuttosto grossa da togliersi, visto che nessuno dei due - nonostante i numerosi record e premi individuali - è più tornato alle Finali NBA assaggiate insieme in giovane età nel 2012 coi Thunder. L’unione fa la forza?


Bradley Beal, Washington Wizards

di Dario Ronzulli

Dopo aver fatto passare giorni e giorni senza dare indizi sulla propria volontà, Bradley Beal ha accettato l'offerta di rinnovo di Washington. Un'estensione biennale da 72 milioni di dollari è quanto concordato con il nuovo GM Thomas Sheppar, il quale ha più volte ribadito quanto il prodotto di Florida sia lo ying e lo yang della franchigia. Dopo una stagione in cui – senza John Wall accanto, come accadrà anche nella prossima – ha migliorato tutte le sue cifre toccando il massimo in carriera per punti, rimbalzi, assist e recuperi, Beal ha accettato di diventare volto e anima degli Wizards. Certo, il lato economico ha inciso: uscendo dal contratto nel 2022 il prodotto di Florida potrà firmare un quinquennale da 266 milioni, il più alto nella storia della NBA. Però poi c'è il lato tecnico, ovvero il desiderio di ottenere qualcosa con la squadra che lo ha scelto al Draft. Non sarà semplice, ma senza l'ingombrante presenza di Wall accanto e con tutta la fiducia possibile dell'ambiente, Beal è nelle condizioni ideali per vivere l'annata della definitiva consacrazione.


Luka Doncic, Dallas Mavericks

di Daniele V. Morrone

Doncic ha una conoscenza del gioco e una padronanza dei propri mezzi tecnici, data anche dai tanti anni di professionismo alle spalle, senza paragoni tra i giocatori della sua età. È impossibile rimanere insensibili alla sua capacità di muovere corpo e pallone con cambi di velocità e angoli continui, così da manipolare l’intera squadra avversaria e trovare il canestro o l’assist per il compagno. Le sue triple in step back stanno già assumendo i contorni di una “go to move” più che affidabile e questo lo rende un giocatore adatto a prendersi l’ultimo tiro di una squadra. Il suo anno da rookie è stato evidentemente sorprendente e la domanda ora è se al suo secondo anno può effettivamente già andare anche oltre. Perché non ci sono dubbi sul fatto che possa ripetere la stagione precedente, ma ha margini di miglioramento che potrebbero già essere colmati questa stagione: un esempio è la gestione delle energie lungo tutta la stagione, ma anche dal punto di vista tecnico la sua percentuale al tiro e soprattutto nei liberi (solo il 70% il primo anno), arma fondamentale per migliorare come realizzatore a pieno titolo.

Doncic è già uno dei volti più riconoscibili della Lega ed è pronto a riportare Dallas ai Playoff.




Devin Booker, Phoenix Suns

di Marco D’Ottavi

Dopo quattro stagioni da “tanti punti in una pessima squadra”, i Suns chiedono a Booker di diventare il giocatore simbolo di una transizione - difficile, ma possibile - verso un futuro più roseo. A 23 anni Booker sembra davanti a una stagione bivio: superstar a tutto tondoo solamente un grande realizzatore che non ti fa vincere? Finora abbiamo visto più la seconda versione, ma è innegabile come, in alcuni dei pochi momenti felici dei Suns, Booker abbia mostrato segnali da giocatore d’élite. Anche i numeri mostrano che nell’ultima stagione c’è stata una crescita oltre ai punti segnati: Booker ha assistito il 34.1% dei canestri dei compagni, finendo per segnare o assistere 43.1 punti a sera. Con l’aiuto di Ricky Rubio, che dovrebbe togliergli un po’ di pressione palla in mano e creargli più spazio in attacco, Booker è chiamato ad 82 partite di altissimo livello.


Pascal Siakam, Toronto Raptors

di Dario Ronzulli

Nella Toronto che ha perso il suo Leader Maximo, il camerunese è atteso a un ulteriore salto di qualità dopo aver portato a casa Premio di Giocatore più Migliorato e anello – primo nella storia a riuscirci – ed essere stato elemento chiave nei trionfali playoff. La crescita in termini statistici è stata fin troppo evidente (ad esempio: su 100 possessi è passato da 17.1 punti a 25.2 con percentuale di tiro effettiva del 59.1% rispetto al 53.7% dell'anno prima); ora Siakam è atteso ad una conferma sugli stessi livelli migliorando ulteriormente la pericolosità con la palla tra le mani. Il tutto con il grande enigma dell'estensione contrattuale. Fino al 21 ottobre, infatti, Siakam come altri scelti nel Draft 2016 hanno la possibilità di firmare un’estensione del suo accordo: se Toronto non glielo proponesse, allora il prodotto di New Mexico diventerà restricted free agent la prossima estate. Con tutte le conseguenze del caso per lui e per i Raptors.


De’Aaron Fox, Sacramento Kings

di Daniele V. Morrone

A quello che è probabilmente il giocatore più veloce della NBA i Kings la scorsa stagione hanno cucito attorno una squadra che voleva adattarsi alla sua velocità di gambe e di pensiero. La cosa ha funzionato, con i Kings che sono passati da 27 a 39 vittorie, fermandosi però al nono posto della Western Conference. Fox ha mostrato un miglioramento sostanziale in ogni aspetto del suo gioco, imparando a sfruttare meglio il suo basket fresco. Il prodotto di Kentucky sembra avere l’aura del perfetto giocatore franchigia nella NBA contemporanea e quello che stupisce di più probabilmente è la leadership di chi è disposto a sporcarsi le mani con le intangibles di cui una partita NBA è piena, con l’entusiasmo e il sorriso che non fa pesare ai compagni il suo impegno, invitandoli invece a fare altrettanto. Per un giocatore che ha ancora solo 21 anni, per considerare l’annata positiva gli basterebbe confermarsi sui livelli della scorsa, ma non è detto che non possa migliorare ancora.


Lauri Markkanen, Chicago Bulls

di Niccolò Scarpelli

Nei primi due anni di carriera la stella finlandese dei Bulls ha già saltato ben 44 partite di regular season. Il suo talento di cristallo, però, è troppo notevole per passare inosservato: raramente si vede un sette piedi con la sua mobilità e dotato di tocco morbido per finire vicino e lontano da canestro. Markkanen è un attaccante completo, in grado di tirare col 36% da tre punti su quasi 6 tentativi a sera (letale se lasciato aperto col 43.8% su triple smarcate) e di segnare 1.20 punti su ogni roll verso canestro (74° percentile). Inoltre tira i liberi con oltre l’85%, è un rimbalzista eccezionale e a soli 22 anni d’età ha ancora ampi margini di miglioramento, soprattutto in difesa, dove i piedi sono veloci ma, ancora, manca tutto il resto. Se la salute resiste, la prossima stagione potrebbe rendere ai Bulls una pietra angolare sulla quale costruire un futuro più roseo del recente passato.

Sottotraccia i Bulls hanno costruito un discreto nucleo di giovani e Lauri Markkanen è forse il più interessante tra questi.




Jamal Murray, Denver Nuggets

di Dario Ronzulli

A giugno è arrivata la firma su un contratto di cinque anni a 170 milioni, il massimo che Denver potesse offrire. E il 22enne canadese se li è guadagnati tutti, dal primo all'ultimo. La sua terza stagione in NBA, e soprattutto i suoi primi playoff, sono stati entusiasmanti perché ci ha messo al meglio tutto quello che ha: varietà di tiro, visione di gioco e personalità. E soprattutto ha mostrato netti miglioramenti in difesa, che nei primi due anni era stato il suo tallone d'Achille. Il lavoro di meditazione, che Jamal fa sin da ragazzino sulle orme di Bruce Lee, sta dando i suoi frutti. Con i Nuggets che ripartono dallo stesso gruppo della scorsa stagione, è lecito attendersi un Murray ancora più in sintonia con i compagni - e con Nikola Jokic in particolare.


Caris LeVert, Brooklyn Nets

di Lorenzo Bottini

Finalmente Caris LeVert inizia una stagione non più con l’etichetta del prodotto a chilometro zero dal vago retrogusto hipster, ma da pezzo chiave dei rinnovati ed ambiziosi Brooklyn Nets. Sarà l’elemento regolatore, grazie alla sua versatilità e serenità, di un gruppo pieno di giocatori dal talento estroso. Dovrà spiegare la rotazione terrestre a Irving, le criptovalute a Dinwiddie e di vie d’uscita con DeAndre Jordan, senza dimenticarsi di rifornire la batteria di 3&D sul perimetro e l’afro di Jarrett Allen sotto (o sopra) canestro. Esploso durante gli scorsi playoff nella serie persa contro i Sixers - che non avrebbe dovuto neanche giocare a causa dell’ennesimo infortunio della sua breve carriera - dove ha rimpiazzato nella leadership e nei canestri uno sperduto D’Angelo Russell, ormai pare pronto al salto di qualità. Libero dai problemi fisici che ne hanno rallentato l’ascesa, LeVert è pronto a percorrere la strada che porta al mainstream e al giusto riconoscimento del suo duro lavoro.


Shai Gilgeous-Alexander, Oklahoma City Thunder

di Dario Vismara

La leggenda narra che gli L.A. Clippers tutto volessero fare tranne che privarsi di SGA nello scambio per Paul George, ma visto che i Thunder - giustamente - non hanno sentito ragioni, siano stati costretti a inserirlo nel pacchetto. Nel suo anno da rookie il canadese è andato oltre le più rosee previsioni, specialmente per un giocatore scelto alla 11: titolare solido sui due lati del campo di una squadra da playoff, gioco da veterano a soli 20 anni, si è guadagnato il rispetto di compagni e avversari senza mai alzare la voce. A Oklahoma City avrà più responsabilità e chance di emergere: ci sono dubbi che la sua esplosività non sia abbastanza per giocare da “lead guard” e che il tiro non sia esattamente irreprensibile, ma anche scoprire se c’è un giocatore franchigia dietro la solidità dimostrata al primo anno di NBA sarà uno dei motivi per cui buttare un occhio ogni tanto sui Thunder.


D’Angelo Russell, Golden State Warriors

di Dario Ronzulli

La squadra più forte dell'ultimo lustro decide di puntare su di te nell'anno della ripartenza. E tu sei reduce dalla migliore annata della tua breve carriera in NBA, nella quale hai dimostrato di poterci stare e di sapere come muoverti per fare la differenza (per riuscirci pienamente c’è ancora strada da fare, va detto). Tu sei D'Angelo Russell e dopo un impatto con la Lega non particolarmente proficuo ti sei rimboccato le maniche, hai lavorato sodo ed ora eccoti qua, con la canotta dei Golden State Warriors immerso in quello che ti pare un videogame. L'assenza di Klay Thompson ti spalanca le porte del quintetto, poi si vedrà. Ma intanto a 23 anni sei lì, con la fiducia della franchigia, del coach e dei veterani e con un contratto al massimo salariale nuovo di zecca. Più passano i giorni e meno sembra strano che abbiano puntato su di te: ora la vera sfida diventa cancellare tutti i dubbi residui.


Jimmy Butler, Miami Heat

Di Marco D’Ottavi

Sarà Miami la tappa che definirà la carriera di Jimmy Butler? Dopo aver cambiato due squadre in due anni, il nativo di Houston ha fortemente voluto portare la sua etica del lavoro a South Beach, forse pensando sarebbe stato affiancato da un’altra stella, che però al momento non è arrivata. Tuttavia Miami sembra l’ambiente ideale per cambiare la narrazione negativa intorno alla sua figura: una franchigia con una gestione solida fondata sul duo Riley-Spoelstra e un core giovane e futuribile che può riconoscerlo come leader tecnico ed emotivo. Butler può essere determinante per Miami, supervisionare la crescita di Herro, Adebayo e Winslow e allo stesso tempo guidare la squadra ai playoff grazie alla sua versatilità sui due lati del campo. Inoltre, la sua convivenza con Dion Waiters rimane una delle dinamiche più affascinanti della stagione.

Butler riuscirà a far esplodere un'altro spogliatoio o l'aria caliente di Miami e la pomata di Pat Riley lo metteranno in riga?




Jonathan Isaac, Orlando Magic

di Dario Vismara

Sin dai giorni in cui si parlava di lui come prospetto in ottica Draft, tutti sapevano che a Jonathan Isaac sarebbe servito tempo. Il suo fisico così particolare (lunghissimo ma magro, esplosivo ma non soverchiante, rapido ma solo se commisurato alla stazza) e le sue doti tecniche tutte da raffinare (una meccanica di tiro onesta ma non continua, una visione di gioco intrigante ma non immediatamente spendibile) facevano intravedere un coltellino svizzero in grado di rendersi potenzialmente utile in tanti modi diversi, ma ben lontano dall’essere un giocatore fatto e finito. Ora, al suo terzo anno in NBA, è arrivato il momento di mettere assieme tutti i pezzi del suo gioco e farci vedere chi è davvero - altrimenti il rischio di essere “solo” un Aaron Gordon (giocatore di buon livello ma non uno che “sposta”) è piuttosto presente.


Kristaps Porzingis, Dallas Mavericks

di Marco D’Ottavi

Kristaps Porzingis è tornato in campo nella preseason dei Dallas Mavericks a 20 mesi di distanza dalla rottura del legamento del crociato anteriore, un lasso di tempo enorme in cui si è parlato di lui soprattutto per questioni extra-cestistiche. Tuttavia gli sono bastati pochi minuti per ricordare a tutti che è lui l’unicorno originale, con un set offensivo unico per un giocatore di 221 centimetri (a cui sembra aver aggiunto diversi chili di muscoli). In questa stagione, dopo aver rinnovato al massimo con Dallas, Porzingis avrà molto da dimostrare: prima di tutto di poter rimanere sano, magari avvicinando le 72 partite giocate al primo anno di NBA e mai più toccate; di poter tornare ad essere il giocatore che era prima dell’infortunio, possibilmente per Dallas il più vicino possibile a quello dei primi mesi della stagione 2017-18, quando era un candidato MVP a tutti gli effetti con oltre 30 punti a partita. Ma l’aspetto più interessante è senza dubbio la sua intesa con Luka Doncic: come si troveranno i due in campo? Quanto letali possono essere i giochi a due tra loro? Basteranno per arrivare ai playoff?


John Collins, Atlanta Hawks

di Nicolò Scarpelli

Se quello degli Atlanta Hawks è uno dei progetti più intriganti della NBA, parte del merito è da attribuire a John Collins, capace al secondo anno nella lega di chiudere una stagione con 19.5 punti e 9.8 rimbalzi di media. Il prodotto da Wake Forest è un coltellino svizzero dotato di un atletismo ipercinetico che gli permette, quando è in aria, di raggiungere il canestro da ogni angolazione. La sua intesa con Trae Young è già ottima e migliorerà ancora se i suoi progressi al tiro dovessero continuare: nella scorsa stagione ha triplicato i tentativi da tre ma, soprattutto, ha preso oltre cento triple (contro le 9 del primo anno) dalla zona centrale del campo, chiudendo comunque con un incoraggiante 35%. Collins è un giocatore con un grande senso dello spazio e con ancora grandi margini di miglioramento, soprattutto in difesa. Ma soprattutto Collins è un giocatore divertente da veder giocare e, in definitiva, non è proprio questo quello che cerchiamo per restare alzati nelle fredde notti d’inverno?


Myles Turner & Domantas Sabonis, Indiana Pacers

di Dario Vismara

Turner o Sabonis, Sabonis o Turner: passano gli anni, ma ormai gli Indiana Pacers si trovano a dover fare una scelta. È il tema più importante della loro stagione, insieme al ritorno di Oladipo: due lunghi così giovani e così promettenti possono coesistere oppure è arrivato il momento di cedere uno dei due, in modo da riequilibrare il talento complessivo del roster anche in altri ruoli? Questa stagione sarà determinante per questa scelta: il dubbio è che assieme tolgano qualcosa l’uno al potenziale dell’altro, perché entrambi meriterebbero di essere al centro dell’azione ma uno dei due inevitabilmente non può esserlo per via della presenza dell’altro. In ogni caso, ogni squadra alla ricerca di un lungo giovane e versatile dovrebbe tenere d’occhio la situazione ad Indianapolis anche dopo l'estensione di Sabonis appena annunciata per i prossimi quattro anni a 76 milioni di dollari complessivi.


Brandon Ingram, New Orleans Pelicans

di Lorenzo Bottini

La stagione che sta per iniziare sarà fondamentale per misurare il reale valore di Ingram, spedito in Louisiana dopo i tanti alti e bassi in maglia Lakers. La seconda scelta assoluta del 2016 si troverà in un contesto più adatto alla maturazione del suo innegabile talento, senza le pressioni di una piazza come L.A. e con attorno un gruppo giovane ma ambizioso costruito attorno a Zion Williamson. Dovrà soprattutto capire come convivere con il franchise player della sua squadra, evitando di togliere possessi al giocatore che sta rompendo ogni tipo di strumento per calcolare l’efficienza in attacco. Nell’ultimo anno a Los Angeles, Ingram è diventato un creatore che ha bisogno di avere la palla in mano per essere pericoloso, un ruolo che difficilmente potrà mantenere a New Orleans. L’efficacia lontano dalla palla come tiratore spot up, l’abilità di compiere letture sofisticate nella metà campo offensiva e l’impegno nel difendere più ruoli saranno le caselle da spuntare nella prossima stagione, per dimostrare di essere qualcosa in più di un Durant rastafariano o un Antetokounmpo dopo un lavaggio a freddo.

Ingram ha davanti a sé una stagione molto importante, che porterà all'estensione contrattuale.




Dejounte Murray, San Antonio Spurs

di Niccolò Scarpelli

Buona parte dell’hype che circondava Dejounte Murray ha resistito all’esplosione del crociato anteriore del ginocchio destro, e adesso che sta per tornare in campo in pochi possiedono lo stesso mix di intrigo velato e potenzialità del prodotto di Washington. Prima di infortunarsi Murray aveva dimostrato di essere un difensore eccezionale, con un’apertura di braccia e una velocità laterale talmente impressionanti da valergli il secondo quintetto difensivo All-NBA già nell’anno da sophomore. Ma se il suo rientro dovrebbe rinvigorire una difesa che nella scorsa stagione ha sofferto parecchio, per la metà campo offensiva va fatto un discorso diverso: nell’anno di inattività ha potuto lavorare sulla parte tecnico-didattica del suo gioco, migliorando la comprensione e raffinando la gestione, ma l’agilità e l’esplosività restano una parte essenziale del suo gioco. E se le gambe non dovessero ritrovare la folgore pre-infortunio, il suo rendimento dipenderà largamente da un jumper ancora piuttosto acerbo e meccanico.


Bam Adebayo, Miami Heat

di Marco D’Ottavi

Spedito Hassan Whiteside a Portland, si aprono nuovi scenari per “Bam” Adebayo: al terzo anno nella lega, il ruolo di centro titolare dei Miami Heat sarà finalmente tutto suo. Adebayo sembra plasmato appositamente per essere il ricercatissimo lungo versatile, in grado di muoversi per il campo in attacco e di proteggere il ferro in difesa. Questo grazie ad un’apertura alare impressionante, dei piedi agili e veloci e mani discretamente educate (tira con il 73% dalla lunetta in carriera). Quello che impressiona sono anche le sue letture del gioco: a marzo, quando ormai era diventato il titolare, ha messo a referto 4.5 assist per 36 minuti, numeri inusuali per un centro di quell'età. In una squadra con buoni giocatori pick and roll (Butler, Dragic, Winslow), le sue capacità atletiche e tecniche lo renderanno un arma davvero intrigante.


Montrezl Harrell, L.A. Clippers

di Dario Ronzulli

In ballottaggio fino all'ultimo per il premio di Sesto Uomo dell'Anno, Montrezl Harrell ha dovuto cedere al compagno di squadra Lou Williams - e già questo dovrebbe farvi riflettere sul fatto che i Clippers non siano solo Leonard e George. Dalla panchina, infatti, esce un concentrato di energia con pochi eguali nella Lega. La stagione della consacrazione di Harrell, quella in cui ha spazzato via i dubbi sulle sue chance di poter essere credibile in NBA, si è chiusa con i massimi in carriera in quasi tutte le voci statistiche e con dei playoff adrenalinici. Da 5 sottodimensionato ha sfruttato con grande intelligenza il proprio atletismo e la capacità di stare al posto giusto nel momento giusto. Ora naturalmente è atteso alla conferma non tanto delle cifre quanto dell'impatto sulle partite, in un team che non è più una banda di giovani spensierati ma è una pretendente all'anello, quindi con parecchia pressione in più. La serietà e l'etica del lavoro che gli riconoscono tutti sarà di grande aiuto.


Jrue Holiday, New Orleans Pelicans

di Dario Vismara

Anche se non sembra, Holiday non ha compiuto neanche 30 anni ed è già alla vigilia della sua undicesima stagione in NBA. Ciò nonostante, per molti è ancora un giocatore misterioso: pur avendo passato gli ultimi anni al fianco di uno come Anthony Davis, è probabile che in molti si sveglieranno nel corso di questa stagione dicendo “Oh, ma quanto è forte Jrue Holiday?” per il semplice motivo che lo vedranno molto più spesso sui propri teleschermi, complice l’attrazione dovuta alla presenza di Zion Williamson. Una convocazione all’All-Star Game, dopo quella dell’ormai lontano 2012-13 ai Sixers in era pre-Hinkie, è tutt’altro che improbabile per una delle guardie più complete della lega sui due lati del campo.


Giannis Antetokounmpo, Milwaukee Bucks

di Nicolò Scarpelli

È duro l’onere della corona. Giannis entra in questa stagione con lo scettro di MVP e l’obiettivo (stra)dichiarato - specie dopo le burrascose estati di Boston e Toronto - di portare i Bucks almeno fino alle Finals. Fallire non equivarrebbe soltanto a un ridimensionamento del suo status, ma potrebbe anche far calare grosse nuvole sopra il futuro della franchigia – 247 milioni di dollari permettendo. Durante l’estate molti dei suoi rivali hanno unito le forze (AD e LeBron, Kawhi e Paul George, Harden e Westbrook) mentre Milwaukee ha preferito tenere insieme quanti più pezzi possibile di un roster che nella passata stagione era sembrato a lungo imbattibile, salvo poi sciogliersi a pochi metri dal traguardo. Antetokounmpo dovrà conoscere la solitudine dell’eroe, ma la costruzione scientifico-pitagorica del roster dei Bucks è perfetta per esaltare il suo talento: se il settimo anno porterà in dote un jumper più stabile e una patch ulteriormente migliorata nella scansione del campo e dello spazio, nel Winsconsin possono sognare davvero.

Giannis ha davvero un altro livello da sbloccare dopo l'MVP dello scorso anno?




Bogdan Bogdanovic, Sacramento Kings

di Dario Ronzulli

Partiamo dal presupposto che il ragazzo di Belgrado è forte, ma forte davvero. La sua capacità di far sembrare ogni canestro come fosse la cosa più facile del mondo è tendente all'irreale. Detto ciò, la terza stagione in NBA per Bogdanovic dev'essere quella della consacrazione personale, al di là del valore che possono esprimere sul campo i Kings di Luke Walton. Con il contratto in scadenza il prossimo giugno e con una classe di free agent che non promette grandi nomi, ecco che Bogdanovic ha di fronte a sé la possibilità di diventare un giocatore molto appetibile anche per una contender. Per farlo dovrà non tanto migliorare le sue cifre già buone – l'anno scorso ha chiuso a 23.7 punti, 5.8 rimbalzi e 6.4 assist su 100 possessi – quanto dimostrare che può produrre la sua pallacanestro in una squadra rinnovata nella quale lui è uno dei più esperti e presumibilmente tra quelli che avrà di più la palla in mano. Possibilmente impreziosendo tutto questo strappando un difficilissimo pass per i playoff.


R.J. Barrett, New York Knicks

di Daniele V. Morrone

Nonostante sia uno dei talenti più scrutinati durante il suo percorso fin dalle superiori (in cui era addirittura ritenuto un giocatore migliore di Zion), Barrett è a tutti gli effetti un oggetto misterioso all’interno del progetto più peculiare della stagione. Una squadra che è praticamente un mega piano B dopo il fiasco estivo coi free agent, dove i centimetri la fanno da padrone e dove nessuno a parte lo staff tecnico sa esattamente che tipo di basket verrà giocato e quali saranno le rotazioni del mix di giovani ed esperti a roster. Per Barrett ogni singola partita rischia di essere un giudizio assoluto sulla sua capacità di essere o meno il salvatore del futuro dei Knicks. Non deve essere certo la posizione più facile per l’impatto con la NBA, soprattutto visto che il suo basket è fortemente improntato alla creazione di canestri e in NBA il semplice talento offensivo spesso non basta a fare la differenza. Ma il suo padrino cestistico Steve Nash ci assicura che se c’è una cosa che non gli manca dal punto di vista mentale sono la serietà, la voglia di migliorare e di assumersi responsabilità. E noi abbiamo l’obbligo morale di fidarci di cosa dice Steve Nash.




Jaren Jackson Jr., Memphis Grizzlies

di Nicolò Scarpelli

A vent’anni appena compiuti, Jaren Jackson Jr. è già il presente dei Memphis Grizzlies, arrivati definitivamente alla conclusione del Grit & Grind dopo gli addii di Marc Gasol e Conley. L’ex Spartans è un giocatore poco appariscente, minimale, ma capace di fare la differenza su entrambi i lati del campo. La sua muscolatura ricorda quella del giunco, elastica e resistente, con un ottimo controllo del corpo e dei piedi, sia in velocità che nello stretto, che lo rendono un difensore eccellente (1.4 stoppate di media a sera con un netto -12% concesso agli avversari nei pressi del ferro). È in grado di giocare indistintamente da 5 come da 4, sfruttando la sua agilità (è già in grado di mettere palla per terra anche con la mano debole) per battere i primi, e il fisico per avere la meglio sui secondi. È dotato di buon tocco in entrambe la mano, ha range di tiro, insomma: ha tutto per diventare una superstar sui due lati del campo. I suoi pick and roll con Ja Morant rischiano di essere una delle giocatore che caratterizzeranno la NBA dei prossimi anni.


Trae Young, Atlanta Hawks

di Daniele V. Morrone

Gli Hawks hanno affidato le chiavi della franchigia a questo peculiare giocatore dal fisico minuto ma dal raggio di tiro illimitato e dalla capacità di trovare il compagno anche negli spazi più ristretti in uscita dal pick and roll di chi è cresciuto a pane e video di Steve Nash. Un giocatore che nella seconda metà della scorsa stagione è cresciuto in tutto non appena il suo famigerato tiro è iniziato ad entrare con continuità (nella seconda metà della stagione la sua percentuale reale è stata del 57.3%, nella prima metà era del 49.6%). Gli Hawks hanno costruito attorno a questo giocatore una squadra che possa sfruttarne le letture e lo stile di gioco, con compagni pronti a giocare per liberargli spazio e poi a ricevere sulle sue invenzioni. A 21 anni quindi gli chiede già continuità di rendimento nel ruolo più competitivo della lega, perché la squadra gira ai suoi ritmi e nonostante sia un giocatore totalmente nullo in difesa, quando si siede in panchina la squadra perde praticamente ogni capacità di fare canestro - e questo nella NBA contemporanea il più delle volte significa parziali altamente negativi. Ciò significa anche che gli Hawks saranno tanto competitivi quanto lo sarà il secondo anno nella NBA di Trae Young.

La seconda parte di stagione di Trae ha mostrato che può essere uno dei giocatori più divertenti da vedere in NBA. Ora dovrà dimostrare di saper vincere qualche partita in più.




Lonzo Ball, New Orleans Pelicans

di Dario Vismara

Quando tra 10 o 15 anni parleremo della carriera di Lonzo Ball, è molto probabile che l’estate appena passata si riveli quella della svolta - nel bene o nel male. In un colpo solo Lonzo ha detto addio alle tre certezze granitiche della sua vita: l’amata Los Angeles, venendo inserito dai Lakers nello scambio per Anthony Davis; babbo LaVar, ormai definitivamente uscito dalla narrazione della sua carriera per ammissione di entrambi (“Non ci parliamo più” ha detto lo scorso mese); e la sua particolarissima meccanica di tiro, ora definitivamente asciugata di tutti i movimenti inutili e decisamente più gradevole alla vista. Se le cose gireranno per il verso giusto, l’estate 2019 ci avrà regalato un giocatore più maturo (compirà 22 anni a fine mese, ma sembra già un veterano) e potenzialmente più produttivo, cercando di lasciarsi alle spalle l’hype che lo ha circondato a Los Angeles ed essere, finalmente, solo e soltanto la miglior versione possibile di Lonzo Ball.


DeAndre Ayton, Phoenix Suns

di Lorenzo Bottini

Nella frenesia del Luka Doncic Show e nella burrasca dell’ennesima brutale stagione di Phoenix, la stagione della prima scelta assoluta è passata quasi sotto traccia. Invece il nativo delle Bahamas ha infilato una prima annata davvero convincente dal punto di vista statistico, chiudendo in doppia doppia di media (16.3 punti e 10.3 rimbalzi) e dimostrando che, anche se non sarà il miglior giocatore di quel Draft, ha margini intriganti di sviluppo. Ayton è già dominante in post, dove associa un tocco morbido a un lavoro di piedi da ballerino classico. Deve ancora imparare a difendere il ferro a un livello accettabile per un lungo NBA e inserire un palleggio in più alle sue soluzioni offensive, ma il prossimo anno potrà beneficiare di un ottimo passatore come Ricky Rubio. Il veterano spagnolo è uno specialista nel trovare i giusti angoli per passare la palla sia in post che al rollante, una manna dal cielo in una squadra che lo scorso anno non aveva un trattatore di palla di alto livello. In un contesto più adatto al suo skill-set, aspettiamo con un certo interesse il secondo anno dell’impettito Ayton.


Michael Porter Jr., Denver Nuggets

di Niccolò Scarpelli

La buona notizia è che dopo due operazioni alla schiena e quasi seicento giorni dall’ultima partita ufficiale, Michael Porter Jr. sta per iniziare la sua carriera in NBA. Le aspettative che circondano il suo ingresso nella lega sono già alte – e continuano a salire ad ogni giocata di questa preseason – ma, d’altronde, era difficile pensare il contrario. Una combo-forward di 209 centimetri con un’apertura alare ancora più grande, in grado di mettere palla per terra con entrambe le mani e attaccare il canestro con energia, è merce rara, anche in una lega di fenomeni come la NBA. Prima di infortunarsi al college il suo frame ricordava quello di un giovane Kevin Durant e la mano è rimasta morbida – per quanto il movimento del suo tiro parta sempre da troppo in basso e non sia sempre pulito. Un realizzatore con questa varietà di colpi è un lusso, soprattutto per una squadra già abbondantemente equipaggiata per competere come Denver: qualora i problemi fisici si decidessero a lasciarlo in pace, Porter Jr. potrebbe completare definitivamente il puzzle dei Nuggets.


Kemba Walker, Boston Celtics

di Marco D’Ottavi

In estate Kemba Walker è riuscito finalmente a liberarsi del giogo dei Charlotte Hornets per approdare ai Boston Celtics, con cui ha firmato un quadriennale da 141 milioni di dollari. Se finora è sempre considerato un ottimo giocatore in una pessima franchigia, quest’anno gli verrà chiesto di dimostrare quanto può effettivamente spostare in una squadra con talento e soprattutto molta pressione addosso. Ma il vero fulcro della sua stagione 2019-20 sarà il confronto con il suo predecessore: Walker è un giocatore simile a Kyrie Irving per statistiche e tipologia di gioco, ma con meno talento puro. Con Stevens riuscirà a diventare un giocatore migliore? Basterà essere riconosciuto come un leader universalmente migliore per farsi amare dai tifosi e migliorare la squadra? Riuscirà a coinvolgere Tatum e Brown? Tante domande, una stagione di risposte.


Khris Middleton, Milwaukee Bucks

di Dario Ronzulli

È stata un'estate tra alti e bassi quella di Khris Middleton. Prima il rinnovo con i Bucks – quinquennale da 178 milioni – a testimonianza di come il lavoro in Wisconsin non sia ancora finito; poi l'esperienza con il peggior Team USA da quando i pro vestono la maglia a stelle e strisce nelle competizioni FIBA; adesso una stagione nella quale la pressione sui Bucks, su Giannis e giocoforza anche su Middleton è notevole. Fermati in finale di Conference dai Raptors, gli uomini di Budenholzer in un certo senso “devono” fare uno step ulteriore. E siccome Giannis non potrà farlo da solo, ecco che l'annata di Middleton e soprattutto il modo in cui giocherà le partite di post season (non certo come gara-3 e gara-5 della serie con Toronto) diventeranno ago della bilancia. A 28 anni il nativo di Charleston ha l'esperienza e la consapevolezza di sé necessari per diventare un fattore quando conta.


Markelle Fultz, Orlando Magic

di Lorenzo Bottini

Wow, è già passato un anno da quando incontravo Markelle durante la preseason dei Sixers e tutti si chiedevano se durante l’estate avesse imparato di nuovo a tirare il pallone. Ora è ad Orlando e tutti si chiedono se durante l’estate ha imparato di nuovo a tirare il pallone. In realtà Fultz ha giocato per la prima volta tutta la preseason, mostrando almeno di essere in condizione per allacciarsi le scarpe e scendere in campo - e non era scontato dopo quello visto a Philadelphia. Contro Atlanta, Detroit e proprio Phila (partita assurdamente non trasmessa su alcun media) ha mostrato dei rapidi flash del suo indubbio talento, ma anche una certa inconsistenza come finalizzatore, complice una certa mancanza di sensibilità al tocco. Vederlo in campo però fa sempre piacere e finalmente questa stagione troverà minuti a disposizione in una squadra alla disperata ricerca di playmaking.

E' l'ultima volta che Fulz comparirà in una lista del genere?




Mike Conley, Utah Jazz

di Niccolò Scarpelli

È probabile che il prime fisico sia alle spalle, ma Mike Conley viene da una stagione nella quale ha fatto registrare il massimo in carriera sia per punti (21.5) che per assist (6.5 assist). Quin Snyder dovrà rivedere qualcosa nei balletti offensivi dei Jazz, inglobando alla ricercatezza estetica dei suoi set l’essenzialità e la pulizia tecnica dell’ex Grizzlies. Ma Conley sembra il giocatore perfetto per permettere a Donovan Mitchell di raggiungere l’ultimo stadio della sua evoluzione, complementandosi non solo nel software (come Ricky Rubio) ma anche nell’hardware – che tradotto significa 37.5% da tre in carriera, 43% in situazioni smarcate e la possibilità di costruirsi un tiro dal palleggio, garantendo a Mitchell più spazio nel quale operare. Inoltre, Conley è stato uno dei giocatori più appaganti da veder “combattere” nei playoff – non più tardi di tre stagione fa era ancora in grado di tenere testa agli avversari quasi da solo – e poterlo vedere almeno un’ultima volta primeggiare contro giocatori più pubblicizzati di lui è uno dei motivi d’interesse più romantici della prossima stagione.


Kyrie Irving, Brooklyn Nets

di Dario Ronzulli

Nonostante la stagione di alti e bassi e le varie discussioni attorno alla sua capacità di leadership, Kyrie Irving è stato uno dei free agent più ambiti dell'estate. Grazie: parliamo di uno dei migliori giocatori sul pianeta... Reduce da una stagione statisticamente meno brillante rispetto alle precedenti – fanno eccezione gli assist: 9.8 ogni 100 possessi, miglior dato in carriera –, "Uncle Drew" ha chiuso la sua esperienza con i Celtics accettando l'offerta dei Nets e di Sean Marks. E la curiosità è subito a livelli altissimi, complice l'arrivo dell'amico Durant. Irving potrà e dovrà essere il Caro Leader di un gruppo che ha tante seconde linee e parecchi giovanotti interessanti. Senza girarci troppo intorno: mettere Brooklyn nelle condizioni di non aspettare KD come il Salvatore della Patria dipenderà in grandissima parte dall'ex Cavs. Vuole essere riconosciuto come maschio alfa? Bene: è arrivato il momento di dimostrare di esserlo. Forse siamo drastici, ma è lui che ha alzato l'asticella.


Julius Randle, New York Knicks

di Marco D’Ottavi

Forse non è lo Zion Williamson che i tifosi di New York si aspettavano, ma Julius Randle è pur sempre un giocatore/bulldozer con punti nelle mani. Dopo essere stato “scaricato” dai Los Angeles Lakers, Randle ha giocato un’ottima stagione con i Pelicans, chiudendo con 21.4 punti e 8.7 rimbalzi a partita, migliorando molto con la palla in mano e nel tiro da 3 (passato da nullo a 34% su quasi 3 tentativi a partita). Vedere avversari rimbalzargli addosso, soprattutto quando è in serata, è sempre un’esperienza divertente. In una squadra male assortita tra giovani speranze e vecchie sicurezze quasi tutte nello stesso ruolo, Randle sarà il go-to-guy di una franchigia che - comunque - porta New York scritto sulla maglia.


Malcolm Brogdon, Indiana Pacers

di Nicolò Scarpelli

Non capita tutti giorni, a una squadra come i Pacers, di mettere le mani su un giocatore della qualità di Malcolm Brogdon. L’ex Bucks sembra la combo-guard perfetta da affiancare a Victor Oladipo: ugualmente a suo agio a giocare lontano dalla palla in attacco (nell’ultima stagione si è iscritto all’esclusivo club del 50-40-90 – arrotondando per difetto il 42.6% da tre e il 93% ai liberi) e a difendere su giocatori dai profili più diversi, da Kyrie Irving a Kawhi Leonard. Ma con Oladipo ai box ancora a tempo indeterminato, il Presidente dovrà dimostrare di poter gestire anche da solo una squadra ambiziosa come i Pacers. La finezza del suo gioco sta nei dettagli, ma Indiana non ha altri architetti di campo: Brogdon può essere il collante ideale per una squadra che farà del talento individuale la sua principale arma offensiva, ma a 26 anni il suo ceiling potrebbe essere limitato, specie se gli infortuni delle ultime due stagioni dovessero persistere. Una sua grande stagione potrebbe lanciare i Pacers verso i piani alti, così come una sottotono rischierebbe di condannarli alla mediocrità.


Danny Green, Los Angeles Lakers

di Dario Ronzulli

Se è vero che il suo apporto offensivo durante gli scorsi playoff è stato altalenante tendente al basso – sette partite in doppia cifra su 24 -, è altresì vero che il ruolo di Danny Green nel titolo dei Raptors è stato comunque di rilievo. Accettando probabilmente a malincuore la crescita di Fred VanVleet, Green ha capito che avrebbe dovuto ritagliarsi uno spazio da specialista difensivo per poter contribuire al successo dei suoi. E così è andata. Il passaggio ai Lakers può facilmente lasciarlo sulla stessa modalità: in gialloviola Green dovrà portare la sua esperienza, la sua capacità di essere ancora a 32 anni un 3&D di alto livello e la sua abilità di collante tra i Big e la second unit. Un incarico che Green sembra ormai pronto a sostenere con affidabilità, anche perché LeBron sa quanto sia importante il supporting cast per vincere.


Gordon Hayward, Boston Celtics

di Dario Vismara

Ogni anno da qui al termine della sua carriera si rischia che per Gordon Hayward il ritornello sia sempre lo stesso: tornerà ad essere il giocatore che abbiamo conosciuto agli Utah Jazz? Mentre nella scorsa stagione un po’ tutti gli hanno dato il beneficio del dubbio visto che era la prima dopo il raccapricciante infortunio del 2017, quest’anno Hayward deve cominciare a produrre come ci si aspetta da un giocatore al massimo salariale - anche perché i Celtics prima o poi dovranno fare una scelta tra lui, Jaylen Brown e Jayson Tatum, perché almeno uno è di troppo. Non è ancora del tutto chiaro se Hayward partirà titolare o se uscirà dalla panchina come lo scorso anno, quello che è certo è che a fine anno può uscire dal suo accordo e diventare free agent: alla soglia dei 30 anni, stiamo per scoprire quale Hayward vedremo nella seconda parte della sua carriera.


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