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Andrea Lamperti
La Nazionale prigioniera
29 gen 2024
29 gen 2024
L'Eritrea non gioca una partita da due anni, ostaggio del regime del Paese.
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Andrea Lamperti
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Potreste non aver mai sentito parlare della Nazionale di calcio dell’Eritrea, quasi sicuramente non l’avete vista giocare neanche una volta. Niente di strano, in effetti: non è tra i 24 Paesi rappresentati in queste settimane in Costa d’Avorio e nella sua storia non si è mai qualificata per una Coppa d’Africa, figurarsi per una Coppa del Mondo. L’ultima gara dei "Red Sea boys" è stata un’amichevole contro il Sudan, tre anni e mezzo fa, mentre l’uscita ufficiale più recente risale al 2019, nelle qualificazioni per il Mondiale in Qatar. Da allora, l’Eritrea è finita nelle pagine della stampa internazionale per storie che di sportivo hanno ben poco: quelle dei tanti atleti che hanno sfruttato le trasferte per scappare dal regime, o quelle di defezioni da tornei internazionali per ragioni politiche. Se è vero quanto diceva Henry Kissinger, secondo cui “ogni Nazionale gioca seguendo il carattere della sua nazione”, quella del calcio eritreo è una storia impregnata di tutte le difficoltà di un Paese che sembra orbitare in una dimensione parallela rispetto al resto del continente, anzi al mondo intero. Un buco nero che ha risucchiato inevitabilmente anche la sfera calcistica, fedele riflesso di quella che viene definita “la Corea del Nord dell’Africa”: una Nazionale fantasma, che attualmente non è nemmeno parte - così come la selezione femminile - del ranking FIFA, non avendo disputato un singolo incontro negli ultimi due anni. Eppure in Eritrea il calcio non è un elemento alieno. Alla fine parliamo di una ex colonia italiana in cui negli anni ’30 è sbarcato - insieme ai colonizzatori - anche il calcio. Lo ricordano, ad esempio, i nomi delle squadre che si sono contese le prime edizioni del campionato locale: Gruppo Sportivo Cicero, Gruppo Rionale Neghelli, GS Melotti, GS Ferrovieri, GS Marina, Ardita, Savoia, Vittoria. Oppure, il soprannome di una delle figure più rappresentative dell’Eritrean Premier League: Fitsum Hailemichael, detto “Baggio”.

Facendo ricerche negli archivi della propaganda governativa, si possono trovare testimonianze più o meno attendibili del vissuto sportivo del Paese.

Anche dopo la dominazione coloniale dell’Italia fascista, la tradizione calcistica locale ha continuato ad essere legata a doppio filo alla vita politica del Paese, come accade un po’ in tutto il mondo. Un percorso che è passato per quattro decenni di annessione all’Etiopia, durante la quale i club di Asmara hanno vinto nove volte l’Ethiopian Premier League e la Nazionale etiope ha conquistato nel 1962 la sua unica Coppa d’Africa, con mezza rosa composta da eritrei; per arrivare infine alla proclamazione di indipendenza del 1993, alba del regime (mai tramontato) di Isaias Afwerki, e di un governo che “non ha mai preso il calcio sul serio”. La citazione è di Mohammed Saeid, centrocampista del Trelleborg nato in Svezia ma di origine e nazionalità eritrea. Nelle sue parole troviamo tutta la circospezione di chi ha ben presente la storia e i problemi del proprio Paese, da cui i suoi genitori sono scappati nel 1989 per rifugiarsi prima in Sudan, poi in Arabia Saudita, Italia, Norvegia e infine Svezia. Un uomo, un PaeseUna certa visione approssimativa dell’Africa che alberga nelle nostre società, riflesso del nostro passato coloniale, ci spinge spesso a identificare la storia e la popolazione di paesi vastissimi con quella dei loro singoli capi di stato. Tuttavia, dire che la storia dell’Eritrea moderna sia la storia di Isaias Afwerki non è completamente improprio. Quest’uomo che nel 1993 Bill Clinton ha definito “il leader del nuovo rinascimento africano”, ancora oggi è alla guida di un Paese strategico per gli equilibri del Corno d’Africa, e di un regime pervasivo e totalitario che gli è valso il soprannome di “Kim Jong Un del continente”. Tra il 28 e il 30 giugno del 1993, i capi di stato e di governo dell’Organizzazione dell’Unità Africana (l’attuale Unione Africana) si sono riuniti al Cairo per il tradizionale vertice annuale. Gli occhi dei giornalisti e diplomatici presenti erano tutti rivolti verso la delegazione dell’Eritrea, che dopo 32 anni di lotta per l’indipendenza dall’Etiopia era ufficialmente stata riconosciuta dall’OUA come stato libero ed eguale. Due mesi prima un referendum aveva sancito l’indipendenza con il 99.82% dei voti a favore, e quel giorno la delegazione di Asmara in Egitto era guidata dal capo del Fronte Popolare per la Democrazia e la Giustizia, Isaias Afewerki. Per arrivare al riconoscimento da parte dell’Organizzazione dell’Unità Africana e più in generale del mondo, l’Eritrea aveva ingaggiato un braccio di ferro diplomatico contro l’opposizione dell’ex madrepatria, l’Etiopia, e un certo scetticismo della comunità internazionale. Tutti si aspettavano un discorso conciliante da parte dei rappresentanti del giovane stato africano che, come tutti i paesi freschi di indipendenza, aveva bisogno di amici. Non andò così. Isaias Afwerki definì l’organizzazione “un totale fallimento durato 30 anni”, dopodiché, facendo nomi e cognomi, criticò molti dei capi di stato presenti per essere rimasti al potere troppo a lungo. Un discorso in cui di diplomatico c’era solo l’ambiente circostante. Per la formazione politica di Afwerki era stato cruciale un viaggio in Cina del 1967, quando al culmine della Rivoluzione Culturale di Mao Zedong un gruppo di studenti eritrei si era recato nel Paese per addestrarsi nella guerriglia da impiegare contro l’Etiopia, che cinque anni prima aveva annesso Asmara al proprio territorio. Una volta rientrato in Eritrea con una solida formazione in filosofia politica e fabbricazione di esplosivi, Isaias è rimasto disgustato dalle faide interne al movimento indipendentista del Fronte di Liberazione Eritreo (FLE) e ha deciso di formare insieme ad altri delusi il Fronte di Liberazione del Popolo Eritreo (FLPE). Nel giro di pochi anni il movimento ha quindi scacciato l’FLE in Sudan, mettendosi alla guida delle fazioni indipendentiste del Paese e gettando le basi per il futuro regime.

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