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Giuseppe Pastore
L'ultima grande URSS
15 nov 2017
15 nov 2017
Racconto della grande Nazionale di Valeri Lobanowski alla fine dell'impero.
(di)
Giuseppe Pastore
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Rats avanza a sinistra, supera due uomini, mette in mezzo per Belanov, che tocca due volte la palla e, quando il difensore centrale si sposta nel tentativo di chiuderlo, appoggia palla a destra senza guardare verso Yevtushenko, che fa un passo in avanti e allarga ancora a destra per l'arrivo di Blokhin, che calcia in rete scavalcando il portiere.


 



 

Quando diciamo che abbiamo un giocatore eccellente, questa constatazione scaturisce dal seguente principio: l'1% di talento e il 99% di duro lavoro.


Valeri Lobanowski


 



 



 


Il più impressionante tra i sei gol? Forse il secondo, un'azione-flipper nella metà campo avversaria che si conclude con una fiondata sotto l'incrocio di Alejnikov, sulla carta non certo il più tecnico dei sovietici.


 



 



 


Belanov è uno dei tre giocatori ad aver segnato una tripletta ai Mondiali in una partita poi persa. Gli altri due sono il polacco Wilimowski, in Brasile-Polonia 6-5 del Mondiale 1938, e lo svizzero Huegl, in Austria-Svizzera 7-5 del Mondiale 1954.


 



 

«Il vento di rinnovamento che investe l'Unione Sovietica dall'arrivo al potere di Mikhail Gorbaciov spira ora anche fra le mura dello sport sovietico toccando argomenti fino a oggi considerati tabù, come il professionismo degli atleti e il largo uso da essi fatto di prodotti proibiti, quali anabolizzanti e anfetamine. […] Alla fine dell'estate il muro di silenzio è stato abbattuto. I giornali e le agenzie di stampa, tutti di fatto ufficiali, hanno cominciato col riconoscere il professionismo esistente nel calcio, nel basket e nel ciclismo. I mezzi di informazione sovietica hanno anche denunciato la corruzione e le combine nel sollevamento pesi»


Mosca, Agenzia Ansa del 23 novembre 1987


 



 



 



 



 



 



 

Ho conosciuto Maradona una sera nel ritiro di Trigoria. Per impressionarmi, si è messo un'arancia in testa e l'ha fatta ballare per tutte le curve del corpo senza che cadesse una sola volta. Alla fine l'ha presa e senza badare a me ha domandato al suo amico Gianni Minà, che mi aveva portato con sé: "Allora, quante volte l'ho toccata con il braccio?". Ero sbalordito. "Mai!", abbiamo risposto in coro. Maradona ha sorriso e con la voce furba ha detto: "Invece sì, una volta, ma al mondo non c'è arbitro che possa accorgersene...”


Osvaldo Soriano


 



 



 


Il primo dei pochi guizzi di Zavarov nei suoi due anni alla Juventus: un gol su punizione in coppa Italia a Brescia che, con un pizzico di fretta, autorizzò paragoni impegnativi.


 



 



 


Questi due punti diedero alla DDR l'estrema speranza di partecipare a Italia '90 da Paese di fatto non più esistente: doveva andare a vincere a Vienna all'ultima giornata, in programma il 15 novembre 1989. I noti eventi storici trasformarono la gara in un de profundis, con l'Austria che vinse 3-0.


 



 



 



 



 



 





 



 

 

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