L’articolo è tratto dalla newsletter sullo sport femminile curata da Giorgia Bernardini “Zarina”. Ci si iscrive qui.
Coming out.
Nel luglio del 1979 Martina Navratilova vinse due titoli a Wimbledon, in singolare contro quella che sarebbe diventata la sua rivale di sempre, Chris Evert, e in doppio, insieme a Billie-Jean King, battendo Betty Stöve e Wendy Turnbull. E probabilmente, si stava innamorando.
Nello stesso mese, negli stessi giorni, la musica disco morì. Ci fu proprio una Disco demolition night, una manifestazione in cui venne fatta esplodere una cassa di registrazioni di disco-music. Era una musica disimpegnata, leggera, amata da minoranze, dai gay, dagli immigrati e stava prendendo il sopravvento sui generi country e rock. Odiata, osteggiata, doveva morire, e di fatto dopo quella sera le hit disco scomparvero in pochi mesi dalle classifiche. Quindi tanti artisti che avevano fatto fortuna con la disco-music dovettero correggere il tiro. Tra di loro, la regina era Diana Ross, che per il suo nuovo album, post disco-music, voleva un sound diverso, più moderno e ingaggiò due produttori, Nile Rodgers e Bernie Edwards del gruppo degli Chic. Dopo aver ascoltato a lungo la storia della vita di Diana, i due si misero all’opera, non senza emozione: era la prima volta che producevano il lavoro di una superstar.
Una sera, Nile Rodgers si trovava in un bar per transgender a Manhattan e incontrò diverse drag queen travestite da… Diana Ross. E così ebbe un’idea folle: cosa succederebbe se Diana Ross fosse gay? E se lo urlasse al mondo? Corse fuori dal locale e chiamò il suo collega Bernie, dicendogli di appuntarsi queste parole: I’m coming out (letteralmente ‘sto uscendo’, ma è l’espressione che indica rendere pubblica la propria omosessualità ‘uscendo fuori dal nascondiglio’). Nile Rodgers si immaginava Diana Ross che ‘uscisse fuori’, sul palco, con la forza di una dichiarazione clamorosa, per raccontare una nuova identità, un nuovo percorso, forse anche una nuova casa discografica dopo la celebre Motown: I want the world to know, voglio che il mondo lo sappia, continua il testo.
Diana Ross fu entusiasta della canzone, tanto da far ascoltare il demo a uno dei più importanti dj d’America Frankie Crocker. A disagio, Frankie le chiese: Perché hai fatto una canzone per gay? E spiegò il significato di I’m coming out all’unica persona negli Stati Uniti che sembrava ignorarlo. Ti rovinerà la carriera. Diana Ross, infuriata, corse da Nile Rodgers e le chiese perché lui e Bernie la volessero distruggere facendola sembrare una lesbica. E Nile – mentendo - rispose di non aver mai pensato a questo significato. La convinse che sarebbe stata una canzone vincente, che avrebbe segnato una svolta, che avrebbe potuto essere la musica che annunciava il suo arrivo sul palco… e nessuno avrebbe pensato a lei come lesbica. Diana si fece convincere. Nel maggio 1980 uscì l’album Diana, il cui secondo singolo, pubblicato in agosto, fu proprio I’m coming out.
Nelle stesse settimane in cui Diana Ross cercava rassicurazioni sul fatto che nessuno l’avrebbe mai presa per una lesbica, Martina Navratilova si era davvero innamorata. Di una donna. Una scrittrice, Rita Mae Brown, che aveva sconvolto il mondo letterario nel 1973 con la pubblicazione del romanzo autobiografico La Giungla dei fruttirubini, diventato presto un best seller. Il romanzo fece scandalo perché parlava di una giovane donna che capisce ben presto di essere attratta da altre donne e ne narra apertamente gli amori. Nel 1979 Rita Mae Brown stava scrivendo un romanzo sul circuito femminile di tennis (Sudden death) e si stava documentando: la sua protagonista era una tennista professionista che, ancora una volta, amava le donne. Per questo incontrò Martina, invitandola a pranzo, e pochi mesi dopo le due donne cominciarono a frequentarsi, giusto nell’estate di quel Wimbledon. Un pranzo che non finì mai, dichiarò la Brown, che Martina Navratilova raggiunse nella città dove abitava, Charlottesville, in Virginia, per vivere in una casa da sogno.
La relazione con Brown, attivista e dichiarata, fece pensare a Martina Navratilova di rivelare il proprio orientamento, ma c’era un primo problema, tra i tanti. Martina Navratilova in quel momento era apolide ed era in attesa della cittadinanza americana. Era nata a Praga nel 1956 e poco dopo essere diventata professionista, nel 1975, sconfitta da Chris Evert in semifinale a New York, si presentò all’ufficio immigrazione della città, dichiarando di voler defezionare dalla Cecoslovacchia. Ottenne una green card americana e poi fece richiesta del passaporto, che però dovette attendere a lungo. E ancora lo stava aspettando nel 1979. A complicare la situazione, le leggi del tempo (e fino al 1990) prevedevano l’omosessualità fra i motivi per non concedere il passaporto americano.
Le voci correvano però e la stampa cominciava a fare domande. Domande che venivano poste solo alle donne perché –, nelle parole di Martina –: Lo sport è qualcosa di maschile e non è messo in dubbio che i maschi siano eterosessuali. Sono le donne che devono provare di esserlo. Lei evitava di rispondere, dicendo che non avrebbe parlato della sua vita privata; ai giornalisti con cui era in maggiore confidenza, disse che prima di fare qualsiasi dichiarazione in merito avrebbe aspettato di avere la cittadinanza. La curiosità però aumentò a dismisura quando la compagna di doppio di Martina, la leggendaria Billie Jean King, fu travolta da uno scandalo. Nel 1981 fu portata in tribunale da Marilyn Barnett, che reclamava il sostegno economico promesso durante la loro relazione. Billie Jean, che aveva cercato di nascondere in tutti i modi il legame con Marilyn, fu costretta ad ammettere la relazione, ma dichiarò che era stato un errore e che rimaneva fedele al proprio marito – da cui avrebbe divorziato diversi anni dopo.
Ma mentre King faceva di tutto per negare la propria omosessualità (nel 2004 dichiarò che rivelare il proprio vero orientamento sessuale è stata la battaglia più dura della sua vita), nello stesso anno 1981 Martina Navratilova aspettava il passaporto per poterne parlare liberamente (The time has come for me / To break out of the shell, canta Diana Ross). Dopo il polverone sollevato dal caso di Billie Jean King, tuttavia, si presentò un ulteriore problema. Gli sponsor dell’intero circuito femminile, in particolare la Avon, avevano fatto sapere che si sarebbero ritirati se fosse scoppiato un altro scandalo. A questo punto, dopo aver protetto se stessa, per avere la cittadinanza, Martina Navratilova non era ancora libera di parlare, perché doveva proteggere il circuito, che temeva di danneggiare con il suo coming out. Due giorni dopo aver ottenuto la cittadinanza, confidò i suoi timori ad un giornalista del Daily News, con preghiera di non scriverne niente. Peccato che la rivista uscì con una foto a tutta pagina di Martina Navratilova con il titolo: Martina teme il ritiro di Avon se parla. E nell’articolo si parlava chiaramente della ‘bisessualità’ della tennista e del fatto che avesse avuto delle amanti donne. Era il 30 luglio 1981 e Martina, suo malgrado, era diventata la prima atleta professionista a dichiarare pubblicamente la propria omosessualità. Questo fece di lei un doppio modello: negli anni Ottanta erano pochissime sia le donne atlete affermate e riconosciute di livello assoluto, sia quelle omosessuali apertamente dichiarate. Martina Navratilova diventò un riferimento per tutte loro. Tutto questo, nel momento in cui la relazione con Rita Mae Brown finiva.
NY Daily News Archive via Getty Images
Nonostante l’articolo, la Avon non ritirò il suo finanziamento al circuito; per Martina Navratilova però non fu mai facile avere contratti con altri sponsor. Chi di sicuro non l’abbandonò fu il pubblico, che lungo tutta la sua carriera le diede un appoggio incondizionato, per quel suo gioco rivoluzionario di servizi e volée mai visti tra le donne, ma anche per il coraggio delle sue prese di posizione. Ci volle ancora molto per Martina Navratilova per poter vivere liberamente le proprie relazioni: si legò alla cestista Nancy Liebermann, che però non voleva dichiararsi e quindi per tutti erano semplicemente ‘amiche’. Tra parentesi, con Liebermann formarono anche un perfetto team di allenamento, a cui si aggiunsero un nutrizionista e una sparring partner. Nessun tennista allora aveva un gruppo di lavoro simile, ed in poco tempo diventò la regola, anche perché i risultati erano evidenti: Martina Navratilova nella prima metà degli anni Ottanta si impose come la giocatrice più forte del circuito.
Fu solo dalla relazione con Judy Nelson, nel 1984, che la Navratilova non ebbe più necessità di nascondersi o di proteggere qualcuno. Le due donne sottoscrissero anche una sorta di contratto prematrimoniale, legale anche se i matrimoni omosessuali non esistevano ai tempi, contratto che al momento della rottura della relazione (1991) fu fatto valere da Nelson per fare causa a Martina Navratilova e pretendere la metà dei guadagni accumulati per tutto il tempo, sette anni, in cui erano state insieme. Durante la causa Navratilova dovette rivelare molti particolari della relazione: momenti dolorosi per lei, ma che contribuirono a rendere pubblico, reale, ‘visibile’ e umano un rapporto tra donne. Anzi, la grande attenzione mediatica sulla vicenda fece sì che arrivassero al grande pubblico tutti gli aspetti più complessi e sgradevoli della relazione, e questo in qualche modo ‘normalizzò’ la situazione: alla fine, anche se non c’era stato un matrimonio vero, sembrava una causa di divorzio tra vip simile a tante altre.
Martina Navratilova con Judy Nelson (Ron Galella Collection via Getty Images).
Gli anni della causa con la Nelson furono anche gli ultimi della carriera di Martina come tennista, quantomeno nel singolare: si è ritirata nel 1994, con 167 titoli WTA vinti (record dell’era open), per poi tornare sui campi soprattutto in doppio negli anni 2000, e restandoci fino alle soglie dei 50 anni, nel 2006, quando abbandonò definitivamente l’attività dopo aver vinto il suo 177esimo titolo di doppio, e 41esimo dello Slam in totale (US Open, doppio misto, in coppia con Bob Bryan). Judy Nelson invece, dopo la relazione con Navratilova, si trasferì a Charlottesville. Per vivere la sua relazione, sì, proprio con Rita Mae Brown.
Quello con Nelson non sarà né l’unico, né l’ultimo ‘divorzio’ difficile per Navratilova, che fu trascinata in tribunale nel 2009 da Tony Layton, sua compagna per 10 anni, con richieste da milioni di dollari. Ma oggi, passati i sessant’anni, Martina vive da tempo un matrimonio felice. Si è sposata, questa volta ufficialmente, nel 2014 con Julia Lemigova. E il primo vero matrimonio sembra essere quello giusto.
Martina Navratilova non ha combattuto meno per la sua vita privata che per le sue vittorie in campo. E mentre il suo talento straordinario, le sue capacità, la sua competitività, l’hanno resa la giocatrice di tennis più forte di sempre, sono state in fondo le sue fragilità e debolezze, le difficoltà di affrontare un mondo ancora pieno di pregiudizi e curiosità morbose a farla diventare, quasi suo malgrado o comunque non certo nel modo in cui avrebbe voluto, probabilmente la figura più importante nel processo di affermazione dell’identità femminile e omosessuale nello sport. Senza le sue dichiarazioni, le cause che ha dovuto sostenere, senza le prese di posizione in favore dei diritti per i gay, oggi non sarebbe possibile che la coppia più amata dell’intero sport americano sia una coppia di donne, Megan Rapinoe e Sue Bird, che a loro volta portano avanti la battaglia per l’uguaglianza. E se si deve esclusivamente al talento di Nile Rodgers e Diana Ross il fatto che Diana, il disco del 1980, sia ad oggi quello di maggior successo della cantante, forse la storia di Martina ha un ruolo nel fatto che I’m coming out sia diventata la canzone di apertura dei concerti di Diana dagli anni ’80 ad oggi. Un ingresso grandioso, una celebrazione, una dichiarazione di libertà e di consapevolezza per tutti coloro che escono da un camerino chiuso per salire sul palco e cantare, liberamente, se stessi.