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Le scelte di Gattuso che hanno mandato in tilt la Roma
30 nov 2020
30 nov 2020
Pochi accorgimenti sono bastati per scoprire tutte le debolezze della Roma.
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9 min
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In un campionato in cui si gioca costantemente ogni tre giorni, e i giudizi sulle squadre sembrano cambiare in maniera radicale ogni settimana, Napoli e Roma si sono incontrate al fu Stadio San Paolo per scoprire cosa fossero. Per avere qualche certezza su che ambizioni avessero, su cosa volessero dal campionato e su quale fosse la loro cosiddetta “dimensione”. Per il Napoli era anche l'occasione per omaggiare Diego Armando Maradona a pochi giorni dalla sua morte, ma è difficile dire in che misura la cornice emotiva abbia influito sullo sviluppo della partita.

Di certo le squadre di Gattuso e Fonseca arrivavano da momenti di forma diversi. Dopo la netta vittoria di metà ottobre contro l’Atalanta, la prima aveva raccolto due vittorie e due sconfitte nelle ultime quattro partite, vincendo con fatica con Benevento e Bologna, e perdendo nettamente con Sassuolo e Milan. La seconda, invece, non perdeva in campionato, sul campo addirittura dal 5 luglio (giorno in cui venne sconfitta sempre dal Napoli a Napoli), e dopo i pareggi rocamboleschi con Juventus e Milan aveva bisogno di una vittoria di prestigio per legittimare il suo momento positivo.

Per l’occasione, i due allenatori hanno deciso di affrontare la partita in maniera diversa. Fonseca, dopo aver recuperato in extremis quasi tutti i titolari (tranne Smalling), ha continuato nel solco del modulo e dei princìpi su cui quest’ultimo periodo si è basato. Gattuso, invece, ha deciso di rispolverare un modulo (il 4-3-3) che aveva utilizzato solo una volta in stagione, alla prima di campionato contro il Parma, che come ieri vedeva la presenza di Diego Demme da vertice basso del centrocampo dal primo minuto. Dopo la partita, l’allenatore calabrese ha voluto sminuire questa decisione dichiarando che «non è una questione di moduli» e che «la differenza la fa l'interpretazione che abbiamo fatto di questa partita».

Anche dando la giusta importanza all’approccio mentale del Napoli alla partita, però, la decisione di mettere Demme dal primo minuto in un centrocampo a tre è stato l’equivalente di una mossa d’apertura scacchistica, che ha deciso il contesto all’interno del quale la partita si sarebbe giocata.

Perché Demme è stato così importante

La decisione di Gattuso dimostra un’attenzione non banale nei confronti dell’avversario su cui ha deciso di modellare il suo piano gara. Com’è sempre più chiaro quest’anno, infatti, la Roma sta gradualmente, ma in maniera sempre più convinta, tornando ai principi che Fonseca aveva già messo in mostra in Ucraina qualche tempo fa. Se nella scorsa stagione l’allenatore portoghese aveva puntato su un approccio aggressivo e diretto all’uomo nella fase di recupero palla per compensare le difficoltà che i giallorossi avevano nella difesa posizionale, quest’anno la Roma è molto più simile allo Shakhtar di due stagioni fa. Se si escludono alcune situazioni specifiche (per esempio quelle statiche, come le rimesse dal fondo, o quelle in cui il possesso avversario è difficoltoso, come in caso di un retropassaggio al portiere), cioè, la squadra di Fonseca preferisce non andare a recuperare alto il possesso avversario, lasciando liberi i difensori avversari di giocare. L’obiettivo è quello di non disorganizzare la struttura posizionale della squadra che, mentre la linea difensiva sale altissima per comprimere lo spazio tra difesa e centrocampo, e alzare il più possibile la linea del fuorigioco, lascia i suoi quattro centrocampisti in posizione per schermare le ricezioni verso il centro del campo. In questo modo, i difensori avversari sono sì liberi di giocare ma avendo a disposizione solo o uno scarico laterale, dove la linea del fallo laterale permette alla Roma di comprimere il campo facilmente scalando dal lato della palla, oppure un lancio diretto verso le punte, che però, dopo aver evitato la trappola del fuorigioco, dovevano vedersela con due difensori veloci come Ibañez e Mancini.

Il cuneo che ha aperto quasi letteralmente in due questo sistema, così rischioso eppure così efficiente se applicato con il massimo dell’attenzione, è stato appunto Diego Demme. Sfruttando l’incredibile inettitudine di Dzeko nell’applicazione del pressing e della schermatura delle linee di passaggio avversarie, il centrocampista tedesco poteva infatti ricevere dai difensori sempre a metà tra i due mediani avversari (Pellegrini e Veretout) facendo avanzare il pallone esattamente nella zona di campo dove Fonseca voleva evitare che arrivasse, quella centrale.

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Il fantasma delle ricezioni di Diego Demme ha infestato la partita della Roma praticamente dall’inizio alla fine, portando a squilibri devastanti anche quando il centrocampista tedesco non riceveva effettivamente palla. Per compensare la totale assenza di Dzeko nella fase di riconquista del pallone, Pellegrini e Veretout hanno infatti iniziato a salire su Demme per provare a schermare le sue ricezioni aprendo lo spazio alle loro spalle a Zielinski e Fabian Ruiz sulla trequarti.

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In questo caso, addirittura, Pellegrini e Veretout ci salgono contemporaneamente e al Napoli basta girare il pallone esternamente verso Di Lorenzo per trovare la ricezione tra le linee di Fabian Ruiz, che con un bellissimo esterno di prima servirà il taglio in profondità di Lozano in area (e proprio per assorbire questo taglio, Mancini si infortunerà costringendo Fonseca a rimaneggiare la difesa). Lo stesso, comunque, avveniva anche quando era solo uno dei due a dover modificare la propria posizione e i propri movimenti in funzione di Diego Demme.

In questo caso, per esempio, Veretout deve aprire la sua traiettoria di corsa per minacciare la ricezione di Demme ma così facendo non riesce più a schermare il corridoio verso Fabian Ruiz, che Manolas può servire con un semplice passaggio in verticale dalla difesa.

Gli errori della Roma

C’è da dire che la squadra di Fonseca ci ha messo del suo per peggiorare ulteriormente le cose. I giallorossi, per esempio, non hanno capito nemmeno come gestire l’incognita che il Napoli poneva anche nel mezzo spazio di sinistra, dove Zielinski e Insigne cercavano di ricevere a pochi metri uno dall’altro per creare superiorità sulla trequarti. In questo senso, particolarmente negativa è stata la partita senza palla di Pellegrini, che ha quasi sempre sbagliato il tempo di uscita dalla linea per provare la pressione verso Koulibaly aprendo delle linee di passaggio semplicissime verso quel mezzo spazio.

In questo modo, non solo il Napoli poteva arrivare tranquillamente fino al centrocampo, perché la Roma era progettata per non far salire il pressing sulla prima costruzione - la squadra di Gattuso poteva anche trovare in maniera semplice delle linee di passaggio verticali verso il mezzo spazio di sinistra, dove la contemporanea presenza di Insigne e Zielinski costringevano Ibañez ad aspettare in posizione per evitare di essere preso in due contro uno sulla trequarti.

Dall’ultima situazione nasce il tiro a giro da dentro l’area di Mertens, parato in estensione da Mirante.

La somma tra le incognite tattiche a cui Fonseca non è riuscito a rispondere in campo e lo scollamento mentale dei suoi giocatori nell’applicazione del sistema di pressing è stata evidente in entrambi i primi due gol concessi, che hanno inclinato definitivamente la partita dalla parte del Napoli. E che nascono da situazioni incredibilmente simili.

Il primo è nato dal tentativo di recupero in avanti da parte della Roma di un pallone perso a seguito di una transizione mal giocata da Spinazzola. Il centrocampo ha collassato verso il pallone, giocato inizialmente da Lozano vicino alla linea del fallo laterale a sinistra, senza che però la difesa scalasse in avanti. In questo modo, il Napoli è riuscito a trovare facilmente in mezzo al campo Zielinski, su cui teoricamente sarebbe dovuto salire Ibañez, che però a metà strada ci ha ripensato, perché ormai troppo in ritardo. Il difensore brasiliano ha quindi deciso di tornare sui suoi passi e recuperare su Mertens, su cui ha commesso il fallo al limite dell’area che poi Insigne ha trasformato in gol.

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Anche il secondo gol del Napoli è nato su una transizione della Roma morta sui piedi di Spinazzola, che aveva provato un forzatissimo dribbling tra due sulla fascia sinistra. La squadra di Gattuso ha restituito palla a Demme, su cui al 64esimo del secondo tempo la squadra di Fonseca non aveva ancora capito chi dovesse salire in pressione, che ha girato facilmente il pallone verso Mario Rui. Questa volta è stato Karsdorp ad essere in confusione nel decidere su come e quando scalare. Nonostante fosse molto in ritardo, il giocatore olandese ha comunque deciso di provare ad aggredire alto il terzino del Napoli, che lo ha superato con un elegante colpo di collo al volo. Il pallone è arrivato a Insigne, che, con Ibañez ancora una volta ancorato alla linea di difesa, ha potuto portarlo fino alla trequarti e servirlo al limite dell’area a Fabian Ruiz, che ha segnato il 2-0 con un tiro radente e preciso.

Dopo questo gol Fonseca ha provato a passare a sua volta al 4-3-3, portando Cristante a centrocampo, ma ormai era troppo tardi e il Napoli ha segnato facilmente anche il 3-0 e il 4-0 senza nemmeno dover alzare troppo il livello del suo gioco. I quattro gol sono infatti arrivati da una produzione offensiva piuttosto modesta (1.3 Expected Goals), in cui le due occasioni migliori (il terzo e il quarto gol di Mertens e Politano) sono state prodotte negli ultimi dieci minuti, quando la partita sembrava già di fatto finita.

La partita che doveva dire a Napoli e Roma quali erano le loro ambizioni in questo campionato, insomma, ha finito per confermare quello che già sapevamo. La squadra di Gattuso ha un gioco semplice che si basa su una grande applicazione difensiva (ieri per esempio quella di Lozano nei raddoppi su Spinazzola a destra) e piccoli accorgimenti sull’avversario pensati partita per partita - un approccio reattivo che ieri è bastato contro un avversario alla sua peggiore uscita stagionale.

La fragilità tattica e mentale dei giallorossi, infatti, ha dimostrato ancora una volta il rischio che comportano gli ambiziosi principi di Fonseca quando non vengono applicati con il massimo della concentrazione e contro una squadra brava a svelarne le debolezze. L’allenatore portoghese, in questo senso, continua ad avere nella lettura della partita il suo limite più grande - una qualità imprescindibile se la Roma vuole davvero colmare i limiti della sua rosa e competere per i primi quattro posti. Come Gattuso sembra sapere fin troppo bene, i principi da soli non bastano.

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