
Come dopo ogni Scudetto, anche quest’anno cerchiamo di trovare 10 partite, tra le 38 di tutta la stagione, che più delle altre hanno lastricato il percorso della squadra vincitrice. Quest’anno, però, questa operazione sembra più significativa che in passato: forse perché poche altre squadre, nella storia di quelle che hanno vinto la Serie A, hanno avuto così poche partite scontate come il Napoli di Conte. È un ritornello che sentirete spesso in questi giorni ma è impossibile non partire dalla considerazione che il Napoli veniva da una delle sue peggiori stagioni degli ultimi anni, e che sia riuscito a costruire la squadra che gli ha permesso di vincere il quarto scudetto solo nelle ultime due settimane d’agosto. Il termine “impresa”, nel mondo del calcio, è uno di quelli più abusati, ma in questo caso non è del tutto fuori luogo. Conte l’avrà usato come carburante motivazionale per i suoi giocatori ma in fondo è vero: il Napoli ha vinto questo Scudetto sfidando la migliore squadra del nostro campionato, la stessa che è arrivata in finale di Champions per due volte negli ultimi tre anni.
Certo, il Napoli si è messo dentro questa sofferenza anche volontariamente, come scelta strategica: quante volte abbiamo visto la squadra di Conte rintanarsi nella sua area dopo aver ottenuto il vantaggio? Rimane il fatto, però, che il Napoli è rimasto sul filo del rasoio fino alla fine, con una corsa per il titolo che l’ha vista scivolare al secondo posto dalla fine di febbraio alla metà di aprile. Ripercorriamo questa maratona estenuante, allora, dal suo difficile inizio fino alla sua trionfale conclusione.
VERONA-NAPOLI 3-0
Il 18 agosto del 2024, quando Verona e Napoli scendono in campo al Bentegodi per la prima giornata di Serie A, Osimhen si allena a parte a Castel Volturno, Antonio Conte sta provando il 3-4-3 e Scott McTominay è ancora un giocatore del Manchester United. Se dovessimo individuare un big bang della stagione da scudetto del Napoli allora è proprio questa bruciante sconfitta, dopo la quale Antonio Conte andò davanti ai microfoni per «chiedere umilmente scusa al popolo napoletano».
A rivederla oggi l’impressione che il Napoli fosse ancora un abito di una misura diversa da quella del suo allenatore è chiara. Il 3-4-3 che inizialmente aveva provato Conte infatti era un compromesso con esigenze che non erano le sue: a Kvara era concesso di allargarsi a sinistra per puntare il terzino in isolamento, ma questo svuotava la trequarti e costringeva Politano a tagliare in profondità alle spalle di Simeone; Anguissa, poi, era costretto a rimanere ancorato a Lobotka per aiutarlo a coprire il campo in orizzontale, e oggi, avendo negli occhi il suo contributo offensivo, sembra davvero un sacrificio troppo grosso.
Il Verona si inserisce in queste incongruenze e produce un secondo tempo che vedrà raramente il resto della stagione. Prima un cross basso sporcato verso la rete con la suola da Livramento, poi Mosquera con una doppietta realizzata a tu per tu con Meret infiocchettano il risultato sul 3-0. Al Napoli rimane un incrocio dei pali di Anguissa e poco altro su cui recriminare. «Quella del secondo tempo è stata una prestazione inaccettabile, figlia sicuramente di qualcosa», dice sibillino Antonio Conte «Al di là del mercato, quello che è preoccupante è vedere la squadra sciogliersi in questo modo alla prima difficoltà. Dal mercato ne possono arrivare quanti ne vogliamo, ma è relativo. Il problema va risolto a monte e non è di facile risoluzione». Nelle settimane successive, qualcuno dice proprio per via di questa sconfitta, arriveranno prima Scott McTominay, di gran lunga il giocatore più influente del Napoli in questa stagione, e poi Romelu Lukaku, che convincerà Victor Osimhen a trasferirsi a Istanbul. Va detto che al momento del suo arrivo nessuno si aspettava che il centrocampista scozzese potesse avere questo impatto, e che anche su Lukaku, dopo la stagione in chiaroscuro a Roma, aleggiavano dei dubbi. Forse quindi aveva ragione Conte: c’era qualcosa da risolvere a monte, ma cosa?
NAPOLI-BOLOGNA 3-0
Dopo la sconfitta contro l’Hellas Verona, il Napoli ha il “cuore sanguinante” ma soprattutto molti dubbi. Forse l’idea di Conte è stata un’allucinazione collettiva. Come poteva digerire, una squadra abituata a giocare attraverso la tecnica e il pallone, un allenatore dai principi tanto diversi? Come poteva digerirlo per esempio un giocatore come Kvicha Kvaratskhelia, il miglior portatore di palla del nostro campionato, un allenatore che invece non vuole portatori di palla?
E così si arriva alla partita in casa col Bologna carichi di dubbi e aspettative incerte. Il Bologna di Vincenzo Italiano, d’altra parte, ha dubbi simili. Anche lì il cambio d’allenatore sembra essere stato mal digerito. Dopo 28’, però, il Bologna ha l’occasione per passare in vantaggio. Ndoye porta palla sulla sinistra, Rrahmani si perde Santiago Castro, che ha una grande occasione ma non aveva ancora trovato le misure con la porta avversaria. Meret para in uscita bassa. Cosa sarebbe successo, se il Napoli si fosse ritrovato 1-0 sotto in casa dopo quella sconfitta con l’Hellas?
A fine primo tempo, uno dei più bei gol stagionali del Napoli. Un gol che somiglia a un disgelo, a uno scioglimento di tensioni e paure. Nel secondo minuto di recupero Politano viene dentro e guarda Kvaratskhelia, che ha fatto un movimento a sfilarsi all’indietro. C’è un giocatore dietro di loro che, come uno scacchista, ha già guardato nel futuro. Giovanni Di Lorenzo capisce che nonostante Politano la stia passando a Kvara, è lui il destinatario di quell’azione. Kvara fa un tocco di prima morbido, a effetto, precisamente sulla corsa di Di Lorenzo che ha tagliato in diagonale. Di Lorenzo stoppa col destro, conclude col sinistro, corre sotto la curva, piange. Era stato uno dei giocatori peggiori della scorsa stagione, il capitano: uno dei simboli più dolorosi del tracollo avuto dal Napoli. Sembrava lento, impacciato, inutile e in qualche modo sembrava essersi esaurito. Veniva anche da un brutto Europeo, in cui il suo impiego è stato letto come un favoritismo di Spalletti. Allora dietro quelle lacrime c’è un abbandono di tutti questi sentimenti negativi, che sono di Di Lorenzo ma che in parte erano di tutto il Napoli, che a quel punto può ripartire.
È il primo gol del Napoli sotto la gestione di Antonio Conte, che dopo la partita dice: «Sono i miei primi tre punti da allenatore del Napoli al Maradona. Mi sono emozionato, ci tenevo tantissimo».
MILAN-NAPOLI 0-2
Kvicha Kvaratskhelia ha vinto dunque due campionati, quest’anno. La Ligue 1 col PSG e la Serie A col Napoli. Tecnicamente non può essere considerato doppio campione, ma nei fatti lo è. C’è un Napoli precedente alla sua cessione, e un Napoli successivo alla sua cessione. Di quel Napoli di Conte con ancora Kvaratskhelia dentro Milan-Napoli è stato il momento più alto.
Kvara prende palla sulla sinistra e ha tutta la difesa del Milan davanti. Ha Emerson Royal davanti ma non lo sfida, sterza verso il centro, ma non in diagonale, quasi in orizzontale. Corre per il perimetro dell’area di rigore. Finta il tiro una volta, va ancora avanti, i giocatori del Milan non lo contrastano, allora Kvara tira e la mette sull’angolo più lontano.
Il Napoli già vinceva 1-0. Romelu Lukaku aveva già buttato giù Pavlovic con una spallata violentissima e aveva segnato al termine di un’azione semplice, da quattro passaggi. Il Milan però quest’anno è spesso andato sotto, per recuperare le partite nei secondi tempi. Già alla fine del primo parziale, a dire il vero, il gol rossonero era nell’aria, prima che arrivasse questo gol di Kvaratskhelia, che forse vi sembrerà più sottolineato del dovuto in questo contributo. È un gol, però, significativo di quella parte di stagione in cui Kvara era ancora un giocatore del Napoli e Conte lo utilizzava come la casella impazzita del sistema. Un giocatore che sembra giocare un altro sport rispetto agli altri dieci giocatori in campo, e a cui forse si poteva pure dare una maglia diversa. Un giocatore la cui eccentricità era tollerata dal sistema, che in campo ne riceveva giocate estemporanee ma risolutive tipo questa.
È un tema di cui abbiamo scritto a dicembre, quando Kvaratskhelia non saltava più l’uomo. Un dato che, come abbiamo visto al PSG, dipendeva più da un’interpretazione collettiva che da un problema individuale. Dopo la sua cessione ci si è domandato cosa avesse perso il Napoli, senza Kvara, che nelle ultime settimane prima della cessione aveva addirittura perso il posto da titolare. La risposta è: innanzittutto questi gol, e giocate determinanti sulla trequarti come questa, che erano vitali per una squadra prevedibile e a volte ingessata nella camicia di forza che si è auto-fabbricata. Kvara, poi, svolgeva una funzione più sottile a livello di sistema, portando molto palla, facendo avanzare il Napoli per il campo, offrendo una valvola di sfogo alla pressione. Senza di lui il Napoli ha dovuto prendere una forma minore, nonostante fosse quasi un alieno nel Napoli di Conte, per gusto calcistico e attitudine.
INTER-NAPOLI 1-1
Un momento che oggi fa un certo effetto a ripensarci. Al 74’ di Inter-Napoli, Hakan Calhanoglu ha il rigore per chiudere la partita. Proprio il centrocampista turco, con uno di quei suoi tiri dalla velocità aliena, aveva portato il risultato sull’1-1, dopo il gol iniziale del solito Scott McTominay, che aveva trasformato in gol uno strano passaggio in area di Rrahmani, su un calcio d’angolo uscito troppo corto di Kvaratskhelia. La squadra di Conte stava per vedere la sua prima fuga già raggiunta: la striscia di cinque vittorie consecutive tra la fine di settembre e la fine di ottobre l’aveva portata in cima alla classifica, ma poi era arrivata la brusca sconfitta casalinga contro l’Atalanta (0-3) a riportare tutti con i piedi per terra. Cosa sarebbe successo se il Napoli avesse perso anche il primo di quelli che poi avremmo scoperto essere degli scontri diretti per il titolo?
Calhanoglu tira forte, di collo, alla destra di Meret ma la palla si stampa sul palo. Dopo la partita, Antonio Conte ha l’adrenalina a mille per il pericolo scampato. «Il VAR o c’è o non c’è per correggere gli errori», dice l’allenatore salentino prendendosela con il commentatore arbitrale di DAZN, in riferimento all’intervento di Anguissa su Dumfries che ha portato il rigore. «Altrimenti ci nascondiamo e si nascondono dietro questa situazione qua del poteva intervenire o non poteva. Il VAR quando c’è un errore deve intervenire punto e basta. Quando vogliono decide l’arbitro, quando non vogliono decide il Var. Ma che significa».
Dopo quella trasferta a San Siro, il Napoli attraverserà un’incredibile fase positiva di dieci partite con nove vittorie e una sola sconfitta (piuttosto sorprendente, in casa contro la Lazio) che gli permetterà di mantenere una distanza dai nerazzurri di tre punti. Quanto pesa, oggi?
NAPOLI-ROMA 1-0
La domenica sera, a Napoli, c’è tensione. L’Inter ha vinto 5 a 0 contro il Verona e ha dato il primo colpo, in uscita dallo scontro diretto di qualche giorno prima. «Eravamo primi e ci siamo ritrovati quarti», ha detto Conte. Al Maradona arriva una Roma ammalata, quasi in fin di vita, ma che cerca di rianimarsi attraverso Claudio Ranieri, che torna quel giorno da allenatore sulla panchina della sua squadra del cuore.
Ci sono dunque diversi ingredienti per una partita trappola.
Ranieri schiera una Roma strana, che poi non rivedremo più, sistemata su un 4-5-1 estremamente difensivo. Il Napoli approfitta delle incertezze della Roma nella gestione della linea a 4, per una squadra abituata a giocare a 3, e si fa infilare varie volte. Quella decisiva arriva all’inizio del secondo tempo, quando Di Lorenzo approfitta della confusione che fa Angelino e mette in mezzo per Lukaku. Hummels commette un errore pensando che Svilar fosse in anticipo, e Lukaku segna un gol dell’ex.
Il Napoli però cala, la Roma ha una reazione d’orgoglio, visto che quello è il momento in cui è più vicina alla zona retrocessione - e siamo a fine novembre. L’1-0 del Napoli appare poco solido, come lo sarà al ritorno, quando l’esterno di Angelino inchioderà la squadra di Conte sul pareggio. Una situazione che avrebbe potuto verificarsi anche all’andata, ma sulla palla buona Artem Dovbyk prende la traversa con un colpo di testa abbastanza semplice. Al Napoli quindi riesce il controsorpasso, anche in un turno teoricamente sfavorevole.
ATALANTA-NAPOLI 2-3
Il 17 gennaio Kvicha Kvaratskhelia viene ufficializzato come nuovo acquisto del PSG, il 18 gennaio c’è Atalanta-Napoli. È il momento in cui la squadra di Conte sta attraversando quelle colonne d’Ercole oltre le quali si capisce se si è avviati alla corsa Scudetto o meno. Quante altre volte è successo nella storia della Serie A, ma anche nella storia del calcio, che in una situazione simile una squadra vendesse uno dei suoi giocatori più rappresentativi e talentuosi? L’Inter è a tre punti ma ha ancora una partita in meno da giocare, e soprattutto il giorno dopo può affrontare in casa l’Empoli, mentre l’Atalanta sembra ancora in corsa. Dopo 11 vittorie consecutive in campionato sono arrivati tre pareggi di fila contro Lazio, Juventus e Udinese, è vero, ma la squadra di Gasperini è ancora lì, a quattro punti di distanza. Atalanta-Napoli arriva quindi all’incrocio di due scommesse che si riveleranno decisive per la stagione azzurra: quella di Conte sullo Scudetto e quella del Napoli su Kvicha Kvaratskhelia, che dopo questa partita inizieranno a sembrare entrambe vinte.
L’Atalanta inizia forte all’inizio di entrambi i tempi, come sempre al Gewiss, ma per due volte il Napoli regge e anzi reagisce. La squadra di Gasperini passa in vantaggio con una bomba di Retegui sotto la traversa ma una decina di minuti dopo arriva la prima invenzione di David Neres, che è lì per riempire il vuoto a forma di Kvicha Kvaratskhelia. Al 27’ Lukaku ripulisce un pallone alto con una sponda per McTominay, che apre a destra per Neres. L’esterno brasiliano sembra voler puntare direttamente l’area ma improvvisamente sgasa sull’esterno, dove Djimsiti fa fatica a tenerlo. I due sembrano appaiarsi verso la linea di fondo ma a quel punto Neres vede Politano solo al centro dell’area, lasciato incomprensibilmente libero dalla difesa nerazzurra. Il pallone passa con qualche fatica tra le gambe del centrale albanese e Politano, dopo averlo messo giù con le gambe, lo scarica con un collo sinistro pieno sotto la traversa. Al 40’, esaurita la risacca del pressing di Gasperini, è il Napoli a provare a riconquistare la palla in alto. Anguissa la recupera vicino alla linea del fallo laterale, Neres la raccoglie e la trasforma in un cioccolatino con un colpo di tacco che gli permette di servire l’assist decisivo per McTominay, in uno dei tanti capitoli della loro fortunata connessione.
Comincia il secondo tempo e il Napoli deve mettere in scena un’altra prova di forza: non si vince a Bergamo per caso. L’Atalanta pareggia al 55’, con un tiro di Lookman fatto partire direttamente da sotto le gambe di Rrahmani, e a quel punto la partita diventa una battaglia campale. La squadra di Gasperini fa il suo ultimo tentativo per il titolo; quella di Conte, ancora una volta, regge e reagisce. Tutto si decide tra il 70’ e il 78’: prima c’è il grande riflesso di Meret, che salva sul colpo di testa angolato di De Ketelaere, poi la discesa a sinistra di nuovo di Anguissa, che riceve il lungolinea di Spinazzola e lo trasforma in un cross che inganna Scalvini e si deposita sulla fronte di Lukaku.
È la vittoria che convince il Napoli di poter fare a meno di uno dei protagonisti del terzo scudetto, e che sgrana la corsa verso il titolo. Da questo momento in poi sarà una sfida tra Napoli e Inter.
NAPOLI-JUVENTUS 2-1
Il secondo tempo della partita di ritorno contro la Juventus, giocata il 25 gennaio, è stato forse il picco del Napoli di Conte. Ed è arrivato nel momento più importante. Il Napoli arrivava a quella partita dopo un filotto di sei vittorie che l’avevano prepotentemente imposta come candidata credibile alla vittoria del campionato. A questo tipo di spinta bisogna sempre dare seguito e battere la Juventus - anche se in quel momento la squadra allenata da Motta non era in lotta per il primo posto (ma vincendo, si diceva, chissà…) - è sempre un passaggio obbligato verso la cima.
L’andamento di questa partita è abbastanza indicativo di come il Napoli l’abbia voluto più di tutti lo Scudetto: dopo un primo tempo scialbo, in cui la Juventus aveva trovato il vantaggio nel finale con Kolo Muani, un po’ per caso, un po’ perché comunque era sembrata la squadra più viva in campo, la squadra di Conte è rientrata trasformata. Un uragano che si è abbattuto sulla squadra di Motta, un dominio fisico e tecnico: dall’inizio della ripresa al gol del sorpasso, il Napoli ha avuto l’83% del possesso palla. Senza entrare nelle statistiche avanzate (ne trovate alcune nella nostra analisi tattica), anche all’occhio risaltava come nel secondo tempo i calciatori del Napoli arrivavano sempre prima sul pallone e vincevano tutti i duelli individuali.
È interessante come questo cambio drastico di atteggiamento tra primo e secondo tempo non sia arrivato per qualche scelta tecnica o tattica, ma semplicemente per una squadra trasformata. Cosa avrà detto Conte ai suoi giocatori nell’intervallo? Quei 15 minuti sono uno spazio segreto delle squadre, ma raramente riescono a cambiare totalmente una partita. In questa, però, sembra essere andata così. Una vittoria che ha fatto risaltare i meriti di Conte come allenatore “motivatore”, uno per cui andresti in guerra, che oltre alla tattica riesce a tirare fuori anche le qualità più intangibili dei suoi giocatori. E il secondo tempo per il Napoli è stata una guerra, una guerra vinta collettivamente. Tra l’altro, e credo sia abbastanza indicativo, questa è stata la prima sconfitta della Juventus in campionato. Anche solo un pareggio, visto com'è finita questa Serie A, avrebbe probabilmente significato non vincere lo Scudetto.
NAPOLI-INTER 1-1
Ovviamente, a voler ridurre una corsa da 38 giornate alla singola partita, la partita è questa. Il Napoli era scivolato in seconda posizione dopo aver perso contro il Como dopo tre pareggi consecutivi e vincendo l’Inter sarebbe andato in fuga. Non è esagerato dire che tutti aspettavano che sarebbe successo, perché la squadra di Inzaghi era sembrata la più attrezzata, quella che avrebbe dovuto vincere lo Scudetto e questo era il momento di rimettere le cose al loro posto. L’Inter, quindi, avrebbe potuto dare una mazzata alla stagione, ma non ci è riuscita.
La squadra di Inzaghi era partita meglio, capitalizzando la sua superiorità con il bel gol su punizione di Dimarco, e poi però è sembrata adagiarsi su una superiorità che in campo è svanita. È sbagliato confrontare il valore assoluto di due rose dal singolo scontro diretto, ma in questa partita non si è vista una differenza netta tra Inter e Napoli. Anzi, nel secondo tempo, sulla forza della disperazione o meno, il Napoli ha invaso la trequarti avversaria con costanza, dando la sensazione di poter essere pericolosa (1.8 xG a 0.3 xG per il Napoli alla fine). Sono diverse le partite che la squadra di Conte è riuscita a rimontare nel secondo tempo, e sicuramente il non disputare le coppe avrà aiutato, ma deve esserci stato di più.
Il gol del pareggio è indicativo: Lobotka e McTominay, due dei migliori giocatori della stagione, che si associano sulla trequarti, Bisseck che legge male l’inserimento dello slovacco, che poi è lucidissimo nel passaggio per Billing, che è solo davanti alla porta. Poche squadre riescono a segnare su azione all’Inter quando ha la difesa schierata, ad arrivare nel cuore della sua area di rigore. Che poi il gol sia arrivato da uno degli acquisti di gennaio, quando il mercato di gennaio del Napoli era sembrato, oggettivamente, la pietra tombale sulle speranze di Scudetto della squadra è stato anche un messaggio per squadra e tifosi: se il gol per rimanere in scia dell’Inter lo può segnare un oscuro centrocampista danese che fino a quel momento aveva giocato pochi minuti, allora tutto è possibile. Dopo la partita Conte aveva messo in chiaro le cose, lui che ancora non aveva voluto parlare di Scudetto: «Noi ci siamo. Mandiamo il messaggio prima di tutto a noi stessi, ma poi anche all'esterno [...] Oggi abbiamo trasmesso grande emozioni al nostro tifoso e dobbiamo capire che se vogliamo possiamo».
NAPOLI-FIORENTINA 2-1
Quando il 9 marzo Napoli e Fiorentina scendono in campo al Maradona, la squadra di Conte non vince una partita da circa un mese e mezzo. Gli ultimi tre punti conquistati erano arrivati il 25 gennaio, in casa, contro la Juventus. Poi c’erano stati i tre pareggi consecutivi contro Roma, Udinese e Lazio, la sconfitta a sorpresa contro il Como che gli aveva fatto perdere la testa della classifica, e l’1-1 nell’ultimo confronto diretto contro l’Inter. Nella conferenza stampa pre-partita, Antonio Conte sembrava così stufo di questa situazione da dichiarare che «per chi vuole vincere anche il pari è una mezza delusione e una mezza sconfitta».
Ne esce fuori una partita più dominante di quanto il risultato non dica. Il Napoli crea una tonnellata di occasioni, soprattutto nel primo tempo, e alla fine costringe De Gea a una delle poche sbavature della sua incredibile stagione. Al 26’ McTominay si impossessa dello spirito di Kvara, si apre la luce per il tiro sulla sinistra e lascia partire un tiro al corpo che costringe il portiere spagnolo a respingerlo centralmente. Sulla ribattuta c’è Lukaku, a cui basta mettere il piede per aprire le marcature della partita. Il gol che chiude la partita arriva al 59’, frutto di uno di quei movimenti che Lukaku forse potrà eseguire anche a sessant’anni senza che il difensore riesca a capire cosa fare. L’attaccante belga riceve palla da sinistra, la copre col corpo e si gira dalla parte opposta, mentre Pablo Marì vede questo mondo girargli di fronte a sé. Nel frattempo Raspadori si è staccato silenziosamente dalla marcatura di Pongracic, ritagliandosi lo spazio in area che gli permetterà di segnare il 2-0 da solo davanti a De Gea.
Dopo i gol infruttuosi contro Lazio e Como, che avevano portato solo un punto, è il primo capitolo della storia di Raspadori come migliore attore non protagonista di questo Scudetto, che diventerà completa con l’assist di Monza e soprattutto il decisivo gol su punizione contro il Lecce.
NAPOLI-TORINO 2-0
Questo contro il Torino è il McFratm game, la partita che gli ha vinto McTominay. Non è una vittoria come le altre, perché poche ore prima l’Inter aveva perso contro la Roma e vincere voleva dire prendersi la testa solitaria della classifica, a 4 giornate dalla fine, addirittura con 3 punti di vantaggio. Sette giorni prima il Napoli aveva vinto col Monza ma aveva fatto una fatica enorme: ormai da un po’ era entrata in una risacca offensiva evidente. Se la fase difensiva ha retto tutta la stagione, davanti è stato tutto piuttosto complicato. Nel momento del bisogno allora ci aveva pensato McTominay: doppietta contro l’Empoli, gol vittoria col Monza e poi altra doppietta contro il Torino, i gol 10 e 11 della sua stagione. Poi sarebbe arrivato il 12esimo, il più bello. Certamente non male per un centrocampista, in una squadra che non crea poi così tante occasioni da gol (6° in Serie A per xG creati).
Il dominio fisico di McTominay sulla Serie A è stato lungo 38 giornate, ma mai come in questa partita è apparso chiaro. Anche perché dall’altra parte a marcarlo, praticamente a uomo, c’era Casadei, il prototipo del centrocampista estremamente fisico che ora tutti cercano nel nostro campionato. Ok, Casadei è (abbastanza) giovane e inesperto, ma fino a quel momento non aveva mai sofferto a livello fisico. McTominay invece gli ha segnato due gol in faccia, come si direbbe nel basket, con due inserimenti da dietro, che sono la specialità della casa. Due gol simili, dove soprattutto nel secondo è evidente come sia un gol arrivato grazie alla sua capacità di vincere i duelli individuali, capacità su cui Conte basa tantissimo del gioco della sua squadra.
Due gol arrivati anche temporalmente al momento giusto: uno a inizio e uno a fine primo tempo, così da smorzare qualunque velleità del Torino, perché comunque segnare due gol al Napoli è veramente un’impresa e anche solo provarci richiede uno sforzo di immaginazione notevole, che non era proprio nelle corde della squadra di Vanoli.
È stata una vittoria solida, l’ultima solida di questa stagione, quella decisiva, almeno da un punto di vista numerico, avendo dato al Napoli la tranquillità di non dover sempre vincere. Tre punti di vantaggio dall’Inter che la squadra di Conte è riuscita a far fruttare, non senza qualche difficoltà, e che l’hanno portata a vincere un bellissimo e inatteso quarto Scudetto.