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Classici: Napoli-Juventus '90
02 dic 2020
02 dic 2020
L'ultima grande prestazione di Maradona con la maglia del Napoli.
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Il 25 marzo 1990 i giocatori di Napoli e Juventus sono in fila, in attesa di entrare al San Paolo dal caratteristico tunnel che li farà sbucare come se arrivassero direttamente dalle profondità della terra, costringendoli a guardare gli spalti prima ancora che il prato. Nel tunnel, Diego Armando Maradona ha il gagliardetto del Napoli in mano ed è l’unico con la maglia fuori, grande almeno una taglia in più, che gli coprire i pantaloncini bianchi. È quello che partendo da dietro va in testa alla fila, caricando i compagni a uno a uno nel passaggio. Il colpo d’occhio del San Paolo con la nuova copertura e la coreografia è di grande impatto, il coro all’entrata in campo dei giocatori è il classico: «olèèè olè olè olèèè, Dieegooo, Dieegooo». Come si dice, uno per tutti.

Fischio dell’arbitro, calcio d’inizio per il Napoli, primo passaggio, secondo passaggio e fallo duro su Maradona al quarto secondo di gioco. Questa è una scena vista decine di volte nei suoi anni a Napoli, eppure stavolta è veramente speciale. Perché è il preludio dell’ultima grande partita da divinità terrena di Maradona con la maglia del Napoli.

Nella storia moderna del campionato italiano, diciamo negli ultimi 50 anni, se escludiamo Juventus, Milan e Inter nessuno si è mai ripetuto all’interno dello stesso ciclo dopo il primo scudetto: Fiorentina nel ’69, Cagliari nel ’70, Lazio nel ’74, Torino nel ’76, Roma ’83, Hellas Verona nel ’85, Sampdoria nel ’91, Lazio nel 2000 e Roma nel 2001. L’unica eccezione è, appunto, il Napoli di Maradona.

Circa un anno prima Maradona aveva deciso che la sua esperienza a Napoli era conclusa, prendendo accordi con Bernard Tapie per trasferirsi a Marsiglia. Dirà nella sua autobiografia, El Diego, che Ferlaino gli aveva promesso che avrebbe accettato la cessione se avesse vinto la Coppa UEFA, cosa che aveva fatto battendo lo Stoccarda: «Avrei voluto spaccargliela in testa la coppa», scriverà, visto che il presidente del Napoli poi si rimangia la parola data rifiutandosi di essere la persona che cede Maradona. «Una volta tornato a Napoli ho detto a Ferlaino: “Grazie presidente per tutti questi fantastici anni, io me ne vado” e in quel momento lui ha fatto il vago, ha fatto finta di non capire». La telenovela dura tutta l’estate ed è quindi con grande ritardo e totalmente fuori condizione atletica che Maradona si presenta a Napoli per la nuova stagione. Così scrive Gianni Brera in quei giorni: «Vivrà a Napoli come in esilio fino a contratto concluso. Il nuovo ministro della pedata, Bigon, si dichiara ansioso di conoscere il re. I napoletani, loro da bravi sudditi possono comprendere tutto: ma se la squadra non gira, sanno che fare. La loro pazienza ha sicuramente un limite».

Lo spogliatoio prova a ricucire lo strappo, ma Maradona è offeso, litiga, viene addirittura escluso dalla trasferta di Coppa UEFA in Austria di metà ottobre. Potrebbe sembrare la premessa perfetta per una stagione da buttare, proprio alla vigilia dei Mondiali italiani. Una stagione con il Napoli che cambia guida in panchina, affidandosi ad Albertino Bigon dopo il quadriennio di successi con Ottavio Bianchi, e si rinforza con gli arrivi del centrocampista Massimo Mauro dalla Juventus, del difensore Marco Baroni dal Lecce e soprattutto del giovane Gianfranco Zola dal Torres. Le squadre da battere alla vigilia sono ovviamente le due milanesi, ma il Napoli va subito in testa nonostante l’assenza, prima, e la forma precaria, poi, di Maradona. Il Napoli tiene la testa fino allo scontro diretto con il Milan di Sacchi, che lo raggiunge battendolo 3-0 alla 24esima giornata e poi lo supera.

La sconfitta per 3-1 del Napoli con l’Inter, due giornate dopo, porta il Milan da solo in testa, con la contemporanea vittoria sulla Roma. Il morale dei tifosi è sottoterra, Maradona prende le prime vere insufficienze nelle pagelle sui giornali. Così lo racconta all’epoca Corrado Sannucci: «Una stagione in testa per venticinque giornate e poi la delusione del sorpasso, i fischi per troppo amore, come dicevano i tifosi. È successo semplicemente che quest'anno il pubblico ha cominciato a contestare il suo idolo, per la prima volta a Maradona è venuto qualche dubbio, di non essere immortale, perfetto o qualcosa del genere».

Con il Napoli claudicante nella forma e con le due stelle Careca e Maradona a mezzo servizio, il Milan (impegnato anche in Coppa dei Campioni) non riesce però ad andare in fuga: il Napoli pareggia con il Lecce e perde con la Sampdoria, ma riesce comunque a recuperare un punto al Milan, che nelle stesse giornate perde contro la Juventus e nel derby contro l’Inter. La squadra di Maradona arriva quindi al 25 marzo con un solo punto di ritardo dai rossoneri.

La sfida contro la Juventus (in classifica a -3 dal Napoli) arriva prima della pausa per le nazionali in vista dei Mondiali. È l’ultima partita “difficile” nel calendario del Napoli, che dopo sarà impegnato in una volata contro Atalanta, Bari, Bologna e Lazio, tutte squadre di metà classifica. L’allenatore dei bianconeri è Dino Zoff, che sa già che lascerà a fine stagione, ma la sua gestione proprio ora ha preso vento in poppa, con una Juventus che arriva alla partita col Napoli dopo aver passato i quarti di finale di Coppa UEFA contro l’Amburgo, una coppa che poi vincerà nella finale contro la Fiorentina di Baggio. Ed ha da poco giocato la finale di andata della Coppa Italia pareggiando contro il Milan, altra coppa che vincerà. Il Napoli, quindi, deve vincere contro la Juventus terza in classifica e imbattuta da 13 giornate se vuole continuare ad avere speranze.

Per Maradona e il suo Napoli le sfide con la Juve sono un capitolo a parte nella grande epopea di quegli anni. La squadra dall’aria aristocratica, la squadra di Platini e dell’avvocato Agnelli, è l’avversaria che non solo ha dovuto battere per vincere il suo primo scudetto, ma anche quella che a livello epidermico rappresenta tutto quello che lo stesso Maradona sente come nemico, in un periodo storico in cui lo scontro tra nord e sud è un fronte aperto. Per dire, queste sono le parole alla vigilia di Schillaci, attaccante della Juventus: «Sono orgoglioso di essere meridionale e faccio il tifo per il Napoli nella lotta per lo scudetto. E questo mio orgoglio mi permette anche di superare gli insulti razzisti che ricevo a Torino, uno sfogo cretino che mi colpisce proprio in quanto uomo del Sud».

Questa partita contro la Juve però è diversa dalle altre. Per Maradona rappresenta il vero spartiacque della stagione: nelle interviste dice che il suo Mondiale inizia con la partita contro la Juventus. Sembra un asteroide pronto ad abbattersi sulla corsa per lo Scudetto. Sapremo poi che proprio in quei giorni aveva effettivamente iniziato la sua preparazione personale in vista di Italia ’90, con il dietologo Chenot che gli aveva prescritto una dieta di sola verdura, frutta e pizza con farina integrale con l’obiettivo, insieme agli esercizi del preparatore atletico personale Fernando Signorini, di arrivare al peso forma il prima possibile. I giornali scrivono (forse esagerando?), che in poche settimane ha perso 8 chili e 4 etti. Visto che tutti sapevano della sua vita notturna, la capacità di lavorare per recuperare il peso forma stupiva anche allora.

I tifosi sentono l’aria della svolta, perché Maradona ha deciso così e sembrano ritrovare l’entusiasmo. I biglietti per la partita finiscono a metà settimana, anche i dirigenti vengono investiti dalle aspettative. Scrive Corrado Sannucci: «Se il Napoli battesse la Juventus vorrebbe dire che gli astri sono favorevoli, e comunque, si andrebbe verso la discesa di uno spareggio addirittura direttamente allo scudetto. Ferlaino per provare tutto ciò è andato a Soccavo a tirare i rigori nel vecchio rito scaramantico prima delle partite di Coppa, stamattina a via Petrarca ci sarà un incontro di Moggi con un pediatra, un altro meeting propiziatorio della vittoria».

Un Napoli più concreto che dominante lungo tutta la stagione ha bisogno ora di cambiare marcia. Concreto perché così Bigon definiva il suo Napoli: «Pratico, semplice e funzionale». In campo i vari Francini, Corradini, Crippa, Fusi, perfino l’attaccante Carnevale sono chiamati da Bigon “il motore della squadra”: sono quelli che permettono alle tre stelle straniere Alemao, Careca e ovviamente Maradona di giocare senza troppa attenzione all’aspetto tattico.

Per questa partita, però, mancherà Alemao, il miglior centrocampista della squadra, che sarà poi famoso suo malgrado nella giornata successiva per la monetina che lo colpirà a Bergamo e che porterà alla vittoria a tavolino del Napoli. Bigon non cambia modulo, con Renica che entra nell’undici titolare al posto del brasiliano. Il resto è, come da tradizione anni ’80, un libero, due marcatori sulle punte avversarie, due fluidificanti sulle fasce (un centrocampista che si allarga e il quarto difensore di sinistra che sale), un centrocampista bloccato, uno più libero, il trequartista e le due punte. Insomma uno schieramento che può essere visto come l’antenato del 3-4-1-2 di oggi, dove il fronte offensivo è formato da Maradona dietro a Careca e Carnevale.

Il Napoli è una squadra verticale, con quel ritmo della manovra sincopato che è la cifra stilistica di questi anni. I difensori lanciano lungo per le punte, se la palla arriva a Maradona è lui che decide se si va subito in area, con l’imbucata per Careca, oppure se bisogna far salire un po’ la squadra, con un passaggio corto. In questo caso si può parlare di manovra complessa, anche se difficilmente più di sei giocatori del Napoli finiscono contemporaneamente in zona di rifinitura.

In quel periodo è facile che dopo una lenta uscita palla dalla difesa, il pallone cambi di proprietario senza neanche la pressione avversaria. Soprattutto negli spazi più stretti, i giocatori provano passaggi rischiosi che finiscono il più delle volte intercettati. C’entrano ovviamente anche le condizioni del campo, spesso accidentato, ma riempire la squadra di giocatori scelti per le caratteristiche difensive certo non aiuta. Se la palla finisce sui piedi giusti allora la manovra avanza pulita, altrimenti si va verso il flipper a centrocampo. Questo limita il tempo di possesso e quindi di controllo di una squadra sulla partita. L’idea allora è quella di creare occasioni da gol grazie ai duelli individuali. Per Bigon sono i tre giocatori offensivi a dover vincere il duello diretto col marcatore per poter far arrivare il pallone in area.

Un esempio della coppia Maradona - Careca in azione in questa partita. Per questo Careca è il compagno d’attacco perfetto di Maradona, veloce e tecnico, in grado di trovare il modo di sfruttarne la gravità che il 10 esercita sugli avversari.

La Juventus è schierata a specchio con Galia a marcare Maradona, davanti il sovietico Zavarov sulla trequarti e il portoghese Rui Barros ad affiancare Schillaci. A centrocampo l’altro sovietico Aleinikov più bloccato, mentre Marocchi più mobile. Rispetto al Napoli, però, Zavarov non ha l’anima da enganche di Maradona, è invece una mezza che spinge sempre l’acceleratore, così come Marocchi a centrocampo. Gli stessi attaccanti Barros e Schillaci sono veloci e preferiscono muoversi in campo aperto. Per adattarsi agli uomini a disposizione, quindi, Zoff adotta un baricentro basso e chiede di verticalizzare non appena recuperata palla nella propria metà campo, anche direttamente per Schillaci, abilissimo ad alternare movimenti incontro a ricevere sulla trequarti a movimenti in profondità, dopo l’appoggio. Ne parla così Bigon nel prepartita: «È una squadra unita, compatta. Noi dobbiamo stare attenti alle loro rapide controffensive, sono l’arma più pericolosa, negli spazi ampi sono micidiali».

In questo contesto standardizzato la tecnica di Maradona fa la differenza: nello stretto riesce sempre e comunque a controllare il pallone, mentre se ha spazio l’azione assume tutto un altro spessore se passa per i suoi piedi. Non è più la volpe sgusciante di qualche anno prima, nonostante la dieta il suo corpo è più pesante di un tempo, ma riesce a sfruttare anche questo a suo vantaggio: assorbe il contatto, lo sfrutta per far sbilanciare l’avversario. Usa il corpo per proteggere palla e crearsi lo spazio e il tempo per il passaggio. La capacità che ha di trovare il momento giusto per dare via il pallone è davvero affascinante, considerando che lo fa quasi sempre senza aver battuto il proprio marcatore. Quando viene incontro a centrocampo questo porta a un passaggio smarcante, quando riceve vicino all’area a un’occasione da gol.

La prima occasione della partita passa ovviamente dai suoi piedi. Con Tacconi che esce bene in presa alta per anticipare Carnevale sul suo cross.

È la Juventus che nei primi minuti sembra poter avere il dominio territoriale sulla partita, la squadra che riesce a portare più giocatori in zona palla e quindi a recuperarla più facilmente in avanti, anche se questo non si tramuta in chiare occasioni da gol a causa di imprecisione nell’ultimo passaggio. La Juventus è nell’epoca post Trapattoni, con Platini e i campioni del Mondo dell’82 che se ne sono andati e Michael Laudrup che è stato ceduto non essendo riuscito a raccogliere l’eredità del 10 francese. Marocchi e i due sovietici hanno buona tecnica, ma mancano di creatività. Non a caso dopo il Mondiale arriverà Baggio. C'è Schillaci in stato di grazia, che si manifesterà prepotente in estate, che però non è affiancato da compagni in grado di servirlo con precisione. In quegli anni non avere un fantasista di altissimo livello significava creare poche occasioni da gol su azione manovrata.

È evidente come per sbloccare la partita serva qualcuno che esca dallo spartito e - un po’ a sorpresa - è il centrocampista del Napoli Crippa che al dodicesimo minuto recupera un pallone vagante sulla trequarti, si apre lo spazio avanzando in orizzontale e scaglia un violentissimo destro di collo pieno, che va a sbattere sulla traversa dopo una deviazione di Tacconi. Con ancora i difensori storditi dal suono del pallone, il rimpallo finisce nella zona di De Napoli che calcia verso la porta di prima. Il tiro, strozzato, attraversa piano l’area di rigore: non poteva finire in un posto migliore. Maradona intanto si è mosso alle spalle del marcatore Galia e riceve nel cuore dell’area. Stoppa di destro spalle alla porta, si gira su se stesso come la ballerina di un carillon, e calcia di sinistro. Il tiro è rasoterra e talmente secco che Tacconi quasi lo accompagna in porta con un inchino per omaggiarlo.

Maradona sblocca una partita equilibrata e piacevole, dove non ci sono molte azioni da gol ma tanti cambi di fronte come da consueto per l’epoca. Un calcio in cui l’equilibrio tra i reparti è la preoccupazione principale dei due allenatori. Gli scambi coinvolgono al massimo tre giocatori alla volta, ci può essere l’incursione del singolo, ma sempre bilanciata da un compagno accanto che allora rimane bloccato.

Dal punto di vista tattico la Serie A sta attraversando lo squarcio della rivoluzione di Sacchi e in particolare c’è uno scontro tra i fautori della difesa a zona pura con cui il Milan ha vinto già in Italia e in Europa, e quelli della zona mista, un’interpretazione della scuola italiana che mette insieme principi di zona e uomo utilizzando i ruoli classici come il libero e il trequartista, cui principale alfiere è Giovanni Trapattoni con la sua Inter campione d’Italia in carica. Tra chi sceglie la zona mista c’è anche Bigon e il suo Napoli mentre per la zona pura c’è anche Gigi Maifredi con il suo Bologna, che proprio nella primavera del ’90 viene scelto dalla Juventus come allenatore per la prossima stagione, quella che deve aprire un nuovo ciclo con Roberto Baggio come stella. Sostituirà Zoff, che invece ha allenato la Juve optando per i principi della zona mista. Può sembrare una differenza di poco conto ma è uno spartiacque che porta con sé tutto il modo con cui si fa giocare la squadra, anche perché chi propende per la zona mista preferisce rimanere nel solco del calcio molto verticale e dai ruoli ben definiti tipico della Serie A anni ’80.

Affrontare Maradona era ovviamente qualcosa di diverso anche nell’ecosistema ricchissimo di talento del campionato italiano di quegli anni. Scriveva Gianni Brera che era fiero sostenitore del raddoppio di marcatura nei suoi confronti: «Ho visto scaturire prodezze inaudite dai suoi piedoni di belva andina; il suo tronco atticciato ha espresso obliosi prodigi di grazia e di fantasia per i quali andavo in estatica meraviglia. Purtroppo, era ingrato dovere di ogni tecnico onorarlo di custodi persecutori». Pensare di affrontare Maradona con la zona pura era una scelta considerata temeraria, lo stesso Milan di Sacchi utilizzava raddoppi di marcatura pur nella zona pura. Ha detto Baresi anni dopo: «Dovevamo essere molto ben organizzati: mettergli pressione, raddoppiarlo, triplicarlo anche per limitare i suoi talenti. Perché in situazione di uno contro uno non lo prendi. Quando era in forma, non c'era quasi modo di fermarlo». Il Milan di Sacchi è una squadra più forte del Napoli di Bigon, ma il Napoli di Bigon ha appunto Maradona. Che, certo, ha iniziato la stagione da ammutinato e che la proseguirà con la schiena a pezzi, ma che nonostante questo, chiuderà l'annata del secondo scudetto con 16 gol - solo 3 in meno del capocannoniere Marco van Basten.

Maradona è seguito a uomo da Galia, ma non quando riceve nella sua metà campo. In quelle circostanze serve raddoppiarlo, anche il fallo è un’opzione se partendo da dietro riesce a condurre in velocità. L’importante è non farlo arrivare palla al piede sulla trequarti. Il problema è che se è ispirato, come in questo caso, anche un fallo di Tricella per fermarlo appena arrivato in zona di rifinitura può significare poi un gol. Prima della punizione il telecronista fa notare al compagno, Beppe Savoldi: «Tacconi dice di coprire il palo. Beppe anche se siamo lontani Tacconi non è sereno». Savoldi risponde che effettivamente sembra preoccupato, però forse eccessivamente preoccupato, perché questa punizione è molto lontano dalla porta.

La palla colpita di collo interno sinistro passa accanto alla barriera e scende dolcemente sul secondo palo. Siamo alla mezz'ora e la partita è già ben indirizzata. L’azione più bella del primo tempo però arriva poco dopo, con Maradona che supera due uomini sul limite destro dell’area, avanzando come con una palla mossa dalle onde del mare, e poi crossa al centro per Careca, che non potendoci arrivare con la testa prova una goffa riedizione della mano di Dio.

La grande occasione per la Juve di accorciare le distanze arriva poco dopo. Su una respinta del portiere del Napoli Giuliani si avventano Rui Barros e Aleinikov lasciati colpevolmente soli. Forse si ostacolano a vicenda, col portoghese che anticipa il sovietico, non riuscendo a ribadire in rete. C’è poi un intervento da ultimo uomo in uscita di Giuliani su Schillaci lanciato in rete, che l’arbitro fa passare solo come punizione. Insomma la Juventus le sue occasioni nel primo tempo le crea, il gol però arriva solo nel secondo. Marocchi, ottimo nel raccordare centrocampo e attacco con le sue conduzione palla al piede, riesce ad avanzare fino alla trequarti e - pur sbagliando l’ultimo passaggio - la sua azione porta ad un rimpallo da cui Rui Barros subisce fallo dal neo entrato Baroni.

De Agostini segna il rigore del 2-1 e con le riprese che ancora sono ferme sui replay del gol, il Napoli batte veloce e va a trovare Maradona sul lato destro dell’area avversaria, che in situazione di un uno contro due riesce comunque a subire fallo da Aleinikov con una giocata di prestigio. Il numero 10 del Napoli su punizione pesca la testa di Baroni, ma Tacconi riesce a deviare in angolo con un bel riflesso. L’angolo è battuto corto da Maradona, che ricevendo la palla indietro semina il panico arrivando fino all'area piccola e guadagnando un altro angolo. Non è forse mai esistito un giocatore tanto determinato e tanto capace di sfruttare questa sua forza interiore per incanalare la partita dalla propria parte.

Maradona palla al piede è come una valanga che inizialmente colpisce il marcatore diretto ma che genera reazioni anche negli avversari più distanti da lui, forse paradossalmente più affascinati dal fatto di vederlo da vicino che preoccupati di fermarlo, poi piano piano sale l’idea che potrebbe arrivare fino a loro e allora arriva il panico, i raddoppi improvvisi, gente che si lancia a terra per chiudergli lo spazio per il passaggio o il tiro.

Lo stadio ricomincia col suo coro per Diego, lui batte il corner questa volta in area, a mezz’altezza per Careca, il brasiliano la tocca di tacco rimettendola in mezzo e trovando Francini per il gol del 3-1 che chiude la partita. Maradona voleva un altro gol per avere un cuscinetto di sicurezza e l’ha cercato fino a trovarlo: da quel momento in poi è evidente che la partita andrà a concludersi così. Zoff prova a cambiare le cose con le sostituzioni, ma la Juventus non è più pericolosa. Anzi, con gli spazi che si fanno più larghi per via della stanchezza in campo, Careca lanciato in porta ha l’ultima grande occasione della partita, ma il suo tiro si ferma sul palo. Quando Bigon chiama il cambio di Mauro per Maradona lo fa per far ricevere l’ovazione al suo numero 10, ma anche per segnalare a tutti che la partita può considerarsi conclusa.

Maradona lascia il campo a testa bassa per la stanchezza, senza indossare gli scarpini, che si è tolto e che porta in braccio mentre fa il tragitto dal campo fino al tunnel del San Paolo. È scortato con lo sguardo da ogni singolo addetto dello stadio che lo ringrazia chiamandolo Diego, mentre in sottofondo si sente il coro di tutto lo stadio che lo chiama “Dieegooo”. Scalzo fa il tragitto nel tunnel fino agli spogliatoi, affiancato dall’inviato Giampiero Galeazzi microfono in mano. La domanda è ovviamente su cos’è cambiato, Maradona oggi sembra diverso. La risposta è che è diverso tutto il Napoli, non solo Maradona. Difficile essere pienamente d'accordo, ma la sua risposta sottolinea il rapporto simbiotico tra il suo stato di forma e quella di tutta la squadra. È tornato Maradona e allora è tornato il Napoli.

Per vincere il secondo scudetto Maradona è tornato all’improvviso, nel momento del bisogno ha indirizzato la fortuna dalla sua parte. Nelle partite successive la sorte ha scelto da che parte stare, la parte di Maradona. Anche quando non sembra possibile, come a Bergamo, il Napoli riesce a spuntarla, e ci sarà ancora il tempo per vincere una Supercoppa Italiana e inaugurare la nuova stagione, proprio contro la disastrosa Juventus di Maifredi per 5-1. Ma il Maradona post Italia ’90 non è più lo stesso della primavera. Non sarà mai più così.

Com’è noto non terminerà neanche la stagione successiva a quella del secondo scudetto. Così scrive Corrado Sannucci già dopo la festa: «Nel momento in cui era sotto accusa ha dimostrato di essere indispensabile; e ha dimostrato di essere indispensabile anche per dire che qui non sta più volentieri, anche se in maniera più sottile di quando denunciò di essere minacciato da un complotto, non si sa se della camorra o del semplice popolo. “Quando sono tornato ho detto: o così o niente. Non so se "così" è bastato. Nessuno può pretendere di cambiare la mia vita. Ma a modo mio io ho fatto il mio dovere”».

Da quel giorno si può dire che abbiamo iniziato a salutare Maradona, una separazione che col passare del tempo non si è fatta più semplice. Ciao Diego, ci mancherai per sempre.

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