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Jvan Sica
Ieri a Napoli è stata una giornata lunghissima
01 mag 2023
01 mag 2023
Come la città ha vissuto la giornata che poteva portare lo Scudetto dopo 33 anni.
(di)
Jvan Sica
(foto)
IMAGO / Insidefoto
(foto) IMAGO / Insidefoto
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C’è quella storia per cui il viaggio sarebbe meglio della destinazione finale, anzi è quello che bisogna vivere appieno per potersi godere al massimo le sensazioni e le emozioni che si porta con sé la destinazione, l’obiettivo raggiunto. Ieri, dopo il fischio finale di Napoli-Salernitana, tanti hanno dimostrato a parole che questa frase fatta è vera, anche se gli occhi un velo di delusione lo trasmettevano. Domenica Napoli si è svegliata con la consapevolezza che mancava ancora un pezzo – l’Inter non doveva far vincere la Lazio, il Napoli doveva battere la Salernitana - per poter festeggiare lo Scudetto, ma anche con l’idea che farlo in una bella giornata di sole, una giornata di festa attaccata a un altro giorno di festa (la storia che a Napoli non si lavora è una fesseria politica, anzi è se mai vero il contrario, in una città dove non sempre il lavoro è ben regolato si lavora sempre) era davvero succulenta. All’arrivo la città ti aggrediva con un’esplosione sinestetica di colori e suoni, faceva lavorare le orecchie e gli occhi senza sosta. La sensazione era quella di fluttuare, camminando con la testa all’insù mentre la signora dal basso ti guardava e sorrideva. Ogni quartiere aveva le sue sfumature: se le facciate delle case che danno sulle grandi arterie cittadine erano punteggiate dal bianco e dall’azzurro, penetrando nei vicoli compariva il verde, il rosso, non solo quello della bandiera italiana, e quindi dello Scudetto, ma anche il rosso della Georgia, il rosso della Corea del Sud, due simboli molto presenti a ricordare che questa non è solo la festa dei napoletani, ma anche dei giocatori che l’hanno resa possibile.

Accanto a loro – accanto alle bandiere, alle immagini di Osimhen, Kvaratskhelia, Kim Min-jae e Di Lorenzo (questi i calciatori più gettonati) – c’è sempre presente quella di Diego Armando Maradona; il padre nobile, o se vogliamo la stella polare, a cui riferirsi ogni volta, soprattutto in caso di vittoria. Il Pibe de oro è rappresentato in ogni sua forma: con maglia azzurra e fascia da capitano, in maglia Boca, in maglia argentina, con il sigaro, con bicipite e tatuaggio del Che in bella mostra, soprattutto sorridente o esultante, come quando le altre due uniche volte lo Scudetto ha bagnato la città. Maradona non è mai stato un ricordo, altrimenti sarebbe diventato con il tempo tramontante, soprattutto nelle scelte dei giovani (scelte simboliche prima di tutto, ma anche molto pratiche) che lo rendono sempre presente.

Ai colori e alle immagini che addobbavano a festa i quartieri come se fosse Natale, il nostro Natale, partecipava anche la musica, da sempre elemento fondamentale della tradizione di questa città. E allora canzoni popolari come Malatìa di Ciccio Merolla e ’A chiù bella d'o munno” di Ciro Renna e Ciro Regione, ma anche La Vida Tombola di Manu Chao (sempre per la stella polare di cui sopra). Le canzoni erano una specie di tappeto all’attesa, spesso sovrastate dai cori dei tifosi, cori spontanei che nascevano nelle piazze, lungo i vicoli. Sono quelli che hanno accompagnato la squadra lungo tutta questa stagione, lungo un anno magnifico - Vesuvio erutta, E se ne va, la capolista se ne va, Sarò con te e tu non devi mollare, Vinceremo il tricolor. A questi si univa un grande classico del tifo napoletano, O mama mama mama, che però per l’occasione poteva declinarsi in diversi modi a seconda del momento, di chi cantava, delle sensazioni. C’era la versione storica (Ho visto Maradona, ho visto Maradona), la nuova avanguardia (Ho visto Kvaratskhelia, ho visto Kvaratskhelia) e poi c’erano i dadaisti (Ho visto Mario Rui, ho visto Mario Rui). Ai colori, i cori e le voci ovviamente si aggiungeva l’oggettistica, spesso in vendita lungo bancarelle più o meno improvvisate. Per pochi euro potevi portarti a casa la maschera di Osimhen, perfetta per festeggiare come un eroe mascherato, oppure la maglia del Napoli “Buitoni” (ancora una volta legata alla stella polare di cui sopra, e ancora sopra), molte bandierine tra cui – dominanti – quella con lo Scudetto numero 3 (perché poi era quello il motivo per cui eravamo tutti lì) e quella con la scritta “Tifoso DOC”, fosse mai che a qualcuno venisse il dubbio che non lo eravate. Oltre a questi, a macchia di leopardo si potevano trovare fasce con la faccia di Kim, statuette di Kvaratskhelia che fa la “Night Night”, cuscini, non so perché, che in molti casi riproducevano la faccia di Lobotka (in realtà ha una faccia rilassante). Tutto questo ben di Dio era bello da vedere per un napoletano o un campano tifoso della squadra, ma immaginate cosa doveva essere per un turista italiano e straniero. Il numero di turisti che ieri era in città era davvero enorme, si sentiva molto di più parlare veneto e inglese rispetto al napoletano e per loro è stata una giornata davvero incredibile. Ho anche parlato con alcuni di loro e molti non immaginavano che la loro vacanza a Napoli sarebbe stata in concomitanza con la possibile vittoria dello scudetto, mentre altri conoscevano a malapena cosa fosse il calcio. Per entrambi i gruppi vivere quell’atmosfera è stato a dir poco emozionante e mi hanno sottolineato che l’avrebbero ricordata per sempre.

Detto di quello che si vedeva, ascoltava e percepiva, la giornata: com’è stato allora questo viaggio ancora non definitivamente concluso? Lungo e faticoso, perché se vuoi davvero sentire il battito della città devi girarla nel profondo, non tralasciare nessun vicolo, perché in ognuno può scappare la sorpresa che ti illumina, pieno di speranze, perché la partita dell’Inter è stata un’altalena di emozioni negative prima e incredibilmente positive poi. Una giostra esaltante fino al gol di Dia, che ha leggermente smorzato i toni e gli entusiasmi. Una lunghissima montagna russa che ci ha trascinato per almeno undici ore e poi ci ha lasciato al posto di partenza, felice di aver provato tante sensazioni forti, ma anche leggermente delusi per quello che poteva accadere e per cui invece bisogna attendere ancora. Oltre alla leggera delusione però, altre due verità: la prima è quella spallettiana, ovvero che la città continuerà a festeggiare ancora e ancora per tutti i giorni che divideranno Napoli dallo scudetto. Ormai la spina è stata attaccata, diventerà una sorta di “Settimana sacra del godimento” in cui nessuno si tirerà indietro. Altra verità sarà l’esplosione di gioia nel momento della matematica vittoria. Nessun preliminare, per quanto ben fatto, può togliere la goduria del momento esatto, quello che darà il terzo scudetto. Ultimissima cosa i bambini: tantissimi, felicissimi, coloratissimi e dentro pienamente alle dinamiche del calcio e della festa. Questi momenti sono principalmente per loro. Come noi nel 1987 e nel 1990 saranno loro a ricordare con maggiore vividezza e amore quello che stanno vivendo, portandoselo con sé come uno dei momenti più belli della propria esistenza.

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