
“Ha da passà 'a nuttata”, bisogna superare la notte. È la frase che Eduardo de Filippo scelse per chiudere la sua commedia capolavoro “Napoli milionaria”. La formula, che era comunemente utilizzata come termine medico per indicare il superamento della fase critica, diventò la metafora di una speranza fideistica nella rinascita di una famiglia, e in senso più grande di una Nazione, distrutta dalla guerra.
La notte che Gonzalo Higuaín ha fatto calare a Napoli, con la sua dipartita verso le sponde più odiate, quelle bianconere, non durerà per sempre (come nessuna notte) ma non sarà facile uscirne, inevitabilmente. Dagli striscioni dei contestatori anonimi che hanno tappezzato il centro storico, all’ultima polemica sul caro-biglietti, la città si è divisa tra chi confida nella sapiente guida di Maurizio Sarri e chi prevede l’Apocalisse e chiede di più al presidente De Laurentiis sul mercato. Una spina, questa del mercato, che ha infastidito tutti i presidenti della storia del Napoli: basta ricordare Ferlaino, Gallo, Corbelli, Naldi, prima di De Laurentiis per tutti loro il mantra dell’estate è stato: “Cacc’ e sorde”. Tira fuori i soldi, come se il calcio a Napoli fosse una sorta di welfare, una redistribuzione della ricchezza necessaria al benessere del popolo.
Il Napoli di De Laurentiis, salito dalla serie cadetta ormai nove stagioni fa, è oggi una realtà di alto profilo nel panorama calcistico italiano. Nell’estate di tre anni fa, l’arrivo di Rafa Benitez e di campioni già formati, come Higuaín, Callejon, Albiol, Reina, elevò il tasso tecnico della squadra azzurra e aiutò la società ad innalzare la propria riconoscibilità anche fuori dai confini nazionali. Lo scorso anno, con una rosa pressoché invariata, Maurizio Sarri portò il Napoli al secondo posto con uno storico record di punti. Si direbbe, quindi, il culmine di un progetto, il momento migliore di un club in continua crescita. Eppure Sarri è già chiamato a convincere il popolo scettico, a restituire quella gioia che Higuaín sembra aver portato via con sé, o su cui comunque sembra aver proiettato un’ombra. Calcisticamente parlando a Sarri toccherà compiere un’altra impresa, forse ancora più ardua: ricompattare squadra e ambiente, che hanno perduto il proprio leader tecnico, il proprio salvatore, intorno al Dio Gioco.
La passata stagione Sarri ha imposto sul Napoli il proprio marchio di fabbrica, così come aveva fatto con l’Empoli negli anni precedenti, e l’unica variazione tra le stagioni toscane e la prima annata napoletana è stata quella del modulo. Insigne non era, soprattutto per caratteristiche fisiche, il trequartista ideale nella mente di Sarri, e poi Higuaín con un altro attaccante al suo fianco, veniva limitato nelle sue accelerazioni e nei movimenti a rubare il tempo ai difensori: così Sarri è passato (dopo qualche settimana difficile) dal 4-3-1-2 al 4-3-3, facendo sbocciare il nuovo Napoli, ma restando fedele ai princìpi di gioco a lui cari.
Il Napoli gioca un calcio verticale in senso letterale: il pallone non si muove mai in orizzontale tra giocatori dello stesso reparto, ma sempre tra una linea e l’altra, sia che si provi a consolidare il possesso dopo aver riconquistato il pallone, sia che si attacchi direttamente la porta. La linea difensiva si alza con costanza, fino al centrocampo, e comprime gli spazi nella metà campo avversaria. La compattezza e la coordinazione nei movimenti in avanti o all’indietro, per coprire costantemente la densità di uomini che il Napoli porta in zona palla, ce l’hanno poche squadre al mondo.
La ricetta di Sarri diventa ricca per la sapienza dei suoi interpreti: Hamsik è un giocatore che ha un’abilità unica nello scegliersi la posizione tra le maglie avversarie, i suoi movimenti senza palla provocano la rottura dell’ordine nello schieramento opposto, come un magnete sposta la limatura di ferro; Ghoulam offre sempre un appoggio largo alla manovra offensiva, introducendo una nuova variabile in ampiezza all’equazione napoletana, già di difficile risoluzione; Allan è un mastino che attacca l’avversario sempre in avanti, spingendo l’intera squadra a seguirlo.
Ma questo modo di giocare è, sopra le altre cose, estremamente dispendioso: se il Napoli non è aggressivo nel recupero palla, si espone con la sua difesa altissima ai lanci dalla metà campo avversaria. Con Jorginho vertice basso del triangolo di centrocampo, cioè un giocatore in grado di gestire i tempi di gioco e di fare da sponda con i difensori per far guadagnare geometrie alla squadra, si accetta di avere una capacità di filtro ridotta e qualcosa in meno di quello che servirebbe per recuperare le seconde palle. Anche l’attacco del Napoli la scorsa stagione non è stato privo di difetti: è stato spesso monodimensionale, perché Hysaj a destra non riusciva a spingere quanto Ghoulam sul lato opposto, dimezzando la proposta offensiva della squadra e riducendo le possibilità di Callejon quando cercava di entrare nel campo.
Insomma, anche mettendo da parte i traumi estivi, Sarri deve mettere a punto il motore per una nuova stagione che, ottimisticamente, dovrebbe essere lunga. Magari aiuterà il fatto che la rosa del Napoli, oltre a una qualità tecnica media elevata, negli ultimi tre anni ha anche acquisito esperienza: sia in campo internazionale, con le partecipazioni a Champions League ed Europa League; che nella gestione del risultato in campionato, uno dei talloni d’Achille della squadra di Benitez. La stagione passata il Napoli si è dovuto arrendere di fronte alla cavalcata juventina, ma non è escluso che da quella sconfitta non abbia imparato qualcosa di nuovo su come si vince uno Scudetto.
Nella sua agenda il Direttore Sportivo del Napoli, Cristiano Giuntoli, aveva appuntato tra le urgenze l’allargamento della rosa, per porre rimedio alla flessione nelle prestazioni della scorsa primavera, che è costata al Napoli gli sforzi di una stagione. Per questo sono arrivati due dei pretoriani di Sarri all’Empoli: Piotr Zielinski e Lorenzo Tonelli; e un rincalzo di lusso a livello di Serie A come Emanuele Giaccherini, che ha disputato un Europeo scintillante da “arma tattica” agli ordini di Antonio Conte. Sono stati poi definiti due acquisti di prospettiva: Marko Rog, croato classe 1995, e Amadou Diawara, diciannovenne che ha impressionato a Bologna.
L’infortunio di Tonelli ha costretto il Napoli a intervenire ancora sul mercato, tornando, stavolta con maggiore convinzione, su Nikola Maksimovic. Il serbo completa una batteria di centrali di valore e può offrire una valida alternativa a Hysaj sulla fascia; resta da capire quanto ci metterà a inserirsi nei meccanismi difensivi del Napoli, lo attendono le doppie sedute del giovedì riservate ai difensori.
Il centrocampo è il reparto su cui il Napoli è intervenuto maggiormente: Giaccherini è un giocatore polivalente che può ricoprire quattro posizioni tra centrocampo e attacco e risulterà utilissimo nella nuova ottica delle rose ristrette; Zielinski è una mezzala mobile e tecnica, è molto giovane e con un po’ di esperienza può assurgere alla successione di capitan Hamsik. Rog e Diawara potranno crescere con tranquillità alle spalle dei titolari.
Hanno lasciato il Napoli giocatori che, nei rispettivi ruoli, non hanno mai convinto Sarri fino in fondo: Vasco Regini e Nathaniel Chalobah, tornati, rispettivamente, alla Sampdoria e al Chelsea alla fine del loro periodo di prestito; David Lopez, uomo di quantità più che di qualità, è stato ricomprato dall’Espanyol; De Guzman, figlioccio di Rafa Benitez, ora costretto all’esilio.
Per sopperire alla mancanza del centravanti intorno a cui Sarri aveva costruito il suo gioco, il divoratore di palloni da 36 gol stagionali Gonzalo Higuaín, il Napoli ha acquistato dall’Ajax l’attaccante polacco Arkadiusz Milik. Il suo acquisto è sembrato una reazione di pancia e la possibilità che la cessione di Gonzalo Higuaín abbia colto il Napoli impreparato sembra realistica anche leggendo nei “non detti” di Sarri. E va detto che se è vero che Higuaín ha beneficiato del gioco costruito da Sarri, è vero anche il contrario: il gioco del Napoli si è nutrito dell’intelligenza, della forza e della spietatezza sotto porta del campione argentino. Basta ripensare all’ultimo Napoli-Genoa, ribaltato da Higuaín praticamente da solo con una doppietta, dopo essersi costruito le occasioni attraverso l’iniziativa individuale, in un Napoli già in fase calante. Milik arriva a Napoli con un curriculum di reti pesante: nessuno dei grandi attaccanti che lo avevano preceduto all’Ajax aveva segnato tanto quanto lui; ma per imporsi nel campionato italiano ci vorrà del tempo. Milik possiede le qualità per farlo (intanto ha battuto la concorrenza interna di Manolo Gabbiadini), ma al momento l’impresa che gli è stata assegnata, dal punto di vista anche simbolico, e cioè sostituire Higuaín, non è alla portata. Se però si guarda alle carte d’identità dei giocatori che ha acquisito, la strategia del Napoli non sembra affrettata: Diawara (19 anni), Rog (21), Zielinski e Milik (22 entrambi) sono acquisti che parlano più al futuro che all’immediato.
Sarri sembra voler lavorare nel solco della continuità, costruire sulle fondamenta delle scorsa stagione. Tatticamente il Napoli è ripartito da dove si era fermato: con un giro palla veloce e preciso che ha demolito la struttura del Monaco, in amichevole, contro cui Gabbiadini ha messo in mostra un’incredibile lucidità sotto porta. Anche contro l’Hertha Berlino, sempre in amichevole, al netto di qualche rilassatezza d’agosto nel reparto difensivo, sono arrivati anche i primi gol di Milik. Contro Pescara e Milan, nelle prime due partite di campionato, non si è visto ancora il Napoli intenso a tutto campo. Il top della condizione fisica arriverà più il là, intanto la prolificità della fase offensiva consola.
Tutto considerato, il Napoli sembra pronto per una stagione ambiziosa, ma da gestire con oculatezza, anche dal punto di vista emotivo. Le ambizioni tecniche, nonché la sostenibilità finanziaria, passano dalla qualificazione alla Champions League: è l’unico vero obiettivo da raggiungere a tutti i costi per una società che punta a un miglioramento costante. Per quanto riguarda lo Scudetto, ovviamente, sembra aver fatto un passo indietro rispetto a Juventus e Roma, ma ci sono molte variabili che potrebbero alzare le quotazioni del Napoli, anche in tempi brevi.
Il giocatore che cambia la squadra
Un giocatore fondamentale, che adoro ma che sospetto non sia apprezzato fino in fondo, è José Maria Callejon. La sua intelligenza tattica e l’energia che spende nelle due fasi è imprescindibile per il Napoli.
Giocatore su cui avreste dovuto puntare al fantacalcio
Per chi approccia il fantacalcio, è difficile non consigliare Mertens o Milik. Ma la buona partenza dei due in stagione potrebbe aver provocato un aumento delle loro quotazioni. Chi amasse le scommesse ad altissimo rischio potrebbe investire qualche credito su Marko Rog. È l’unico nella rosa del Napoli che le caratteristiche per giocare da trequartista. E se Sarri a un certo punto decidesse di tornare al rombo...
L’identità di gioco
Il Napoli è una squadra offensiva, dal palleggio sincopato e verticale, asfissiante senza palla, con la volontà di dominare ogni squadra su ogni campo col proprio gioco. Sebbene parta indietro rispetto alla Juventus nella corsa Scudetto, nessuna squadra in Serie A in campo comunica il senso di onnipotenza espresso dal Napoli.
Miglior scenario stagionale possibile
La speranza è quella di vedere, nella seconda parte di stagione, un Napoli ancora in corsa per lo Scudetto, con la fase a gironi della Champions League superata brillantemente (cosa che compatterebbe il gruppo dandogli anche consapevolezza), e che vuole dominare il pallone contro ogni avversario, magari con Zielinski e Hamsik contemporaneamente in campo. Magari a quel punto Milik si sarà già mostrato come una valida risorsa offensiva, in grado di segnare certo ma anche di fare da sponda e partecipare al gioco.
Peggior scenario stagionale possibile
All’opposto, il peggior scenario possibile per questo Napoli è ritrovarsi presto fuori dalla lotta per il titolo (anche se la Juventus lo scorso anno ha insegnato che si può sempre recuperare) e fuori dalla Champions fin dalla fase a gironi. A quel punto sarebbe difficile non considerare la seconda stagione di Sarri come un fallimento, e chiedere una forte presa di coscienza da parte della dirigenza, con un gruppo di giocatori, giovani e non, che rischia di rimanere inchiodato alla croce di aspettative troppe alte.