Il ritiro di Naomi Osaka al secondo turno del Roland Garros non avrebbe varcato la soglia delle pagine sportive se non avesse, prima, comunicato l’intenzione di non partecipare alle conferenze stampa del torneo. Un post, una partita, una conferenza stampa saltata, un altro post per annunciare il ritiro: per cinque giorni Osaka è stata suo malgrado l’epicentro di un terremoto che si è avvertito in territori anche molto distanti dal tennis.
Con uno statement pubblicato sul sito del Roland Garros, il primo giorno di torneo i quattro slam sono intervenuti per esprimere la propria posizione sulla questione: «Informiamo Naomi Osaka che continuando a ignorare i suoi obblighi con i media durante il torneo, si esporrà a ulteriori conseguenze per la violazione del Codice di Condotta. A ripetute violazioni corrisponderanno sanzioni più severe, tra cui la squalifica dal torneo (art. III, T, del CdC) e l'avvio di un’indagine sulle violazioni, che potrebbe portare a multe più consistenti e future sospensioni negli Slam (art. IV, A.3, del CdC)».
È vero che le conferenze stampa post-match sono parte dei doveri dei tennisti, ed è vero che in caso di assenza sia prevista una multa che può arrivare fino a 20mila dollari. Infatti, per non essersi presentata alla conferenza stampa dopo aver vinto la partita di primo turno, Osaka ha ricevuto una multa di 15mila dollari. Ma non è stata la prima tennista a cui è successo, quello che non ha precedenti è il comunicato diffuso a reti unificate, e il dibattito da cui è emerso e che ha alimentato.
https://twitter.com/naomiosaka/status/1397665030015959040
Naomi Osaka non era tra le favorite per il Roland Garros, malgrado avesse vinto gli ultimi due slam di fila, US Open 2020 e Australian Open 2021, con una striscia di 23 vittorie consecutive. Arrivava a Parigi con tre sconfitte su quattro partite giocate su terra in due anni: i suoi 7 titoli e le 3 finali raggiunte sono state sul veloce, inclusi i 4 major. Sempre su superfici veloci ha costruito il suo record, di non aver mai perso in uno slam dopo aver raggiunto i quarti di finale.
Ha vinto uno dopo l’altro lo US Open 2018 e AO 2019, e in quella stagione aveva raccolto 9 partite vinte anche sul rosso, su cui però ha giocato quattro tornei senza vincerne neanche uno, fino a un quarto turno a Madrid (il 9 maggio 2019) perso 7-5 al terzo contro Belinda Bencic nel miglior momento di forma della sua carriera. «Ci sono molte specialiste di questa superficie, e io non sono una di loro», si trovava a spiegare da ventunenne.
Poche settimane fa, all’esordio a Roma dopo due anni e altri due slam conquistati sul veloce, aveva dato una chiave di lettura psicologica per spiegare le sue difficoltà con la terra: «Direi che non è nemmeno una questione di transizione da una superficie all’altra, ma più di fiducia in me stessa». Il tennis di Osaka è nato sulle superfici veloci, ma non è ostile alla terra come quello di Medvedev, ad esempio. È più una questione di esperienza, e di pazienza: «Quando riuscirò a liberarmi di questa specie di blocco mentale sarò più aperta agli errori; ai cattivi rimbalzi, e al resto. Per il momento lo prendo come un processo di apprendimento, e cerco di non essere troppo dura con me stessa».
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Il 26 maggio 2021 Osaka pubblica un post su Instagram e su Twitter, dove annuncia che non farà conferenze stampa al Roland Garros. Senza nulla di personale nei confronti del torneo e dei giornalisti, accettando le multe che dovrà pagare, motiva la sua decisione facendo riferimento alla salute mentale. La sera del 31 maggio, prima del secondo turno, segue un nuovo post che annuncia il ritiro, per il bene del torneo, degli altri tennisti e di se stessa. Si scusa con il torneo e con i giornalisti, dice di aver sbagliato e di non aver mai voluto banalizzare il tema della salute mentale. Confessa di aver sofferto di depressione e di essersi sentita vulnerabile.
Nell’intervallo tra i due post c’è il dibattito che è esploso intorno alla scelta di Osaka e alle diverse interpretazioni delle sue parole. Il suo riferimento a possibili disturbi mentali degli atleti stressati dai media ha suscitato in tutti una reazione emotiva, toccando un nervo scoperto, provocando la reazione dei media stessi che si sono sentiti chiamati in causa. Nelle 48 ore dopo la pubblicazione del post erano già usciti migliaia di articoli in tutte le lingue: le prime reazioni sono state le più violente, perché la neutralità non genera urgenza di esprimersi.
Mentre intervenivano le prime voci di supporto, è arrivato il comunicato degli Slam a compromettere definitivamente la possibilità di contenere i toni del dibattito e di rimandare i giudizi a una riflessione più calma e razionale.
Forse inizialmente aveva anche senso notare come Osaka non fosse mai stata presa di mira dalla stampa o attaccata (anche se, va detto, il sottinteso sembra essere che si tratta di qualcosa di cui essere grati, una fortuna per cui ringraziare la stampa), ma dopo che nel secondo post ha detto di aver sofferto di depressione, è sembrata un argomento pretestuoso. Ma ormai il dibattito sulla legittimità della sua scelta aveva raggiunto un’intensità troppo grande, la pressione era troppo forte da gestire, per tutti.
Allora poi si è detto che si era espressa male. Ah ecco, sei tu che hai un problema, non le conferenze stampa, allora va bene. Abbiamo capito male, ci sembrava che tu volessi criticare, o, peggio, cambiare le regole. Ma se stai male siamo tutti dalla tua parte! La depressione è una cosa seria, figurati, ci dispiace Naomi, prenditi il tuo tempo, abbi cura di te, aspettiamo il tuo ritorno, campionessa.
https://twitter.com/rolandgarros/status/1399761978093191175
Il problema, quindi, non era tanto la violazione delle regole, ma il voler mettere quelle regole in discussione. Quando Naomi Osaka inizialmente ha inserito la sua scelta nella cornice più grande della salute mentale, dicevano stesse cercando scuse al suo oltraggio, per far passare per buono un comportamento inammissibile. Dopo che si è spiegata meglio, ha chiesto scusa, si è posta come fragile e sconfitta, hanno riposto le armi (sì, insomma, non proprio tutti, perché c’è anche chi non apprezza troppo che si parli di depressione come qualcosa di reale e più comune di quello che si vorrebbe).
In realtà Naomi Osaka aveva utilizzato il proprio privilegio - quello dell’atleta donna più pagata al mondo che può permettersi le multe - per far emergere una questione che può avere significato anche per altre persone meno privilegiate. Il che non significa che volesse portare avanti una battaglia sociale: la differenza sta nella forma individuale e non collettiva dell’agire, ma soprattutto nella differenza tra rivendicare legittimità per una resistenza individuale a una norma e opporvisi universalmente.
Naomi Osaka è l’atleta donna più pagata al mondo più per i guadagni esterni al tennis che non per il prize money. Lo scorso anno ha aderito al movimento Black Lives Matter, e dopo l’uccisione di Jakob Blake ha annunciato che non avrebbe giocato, unendosi alla protesta dei giocatori NBA, e portando alla sospensione delle semifinali del torneo di Cincinnati. Poco dopo avrebbe vinto gli US Open scendendo in campo per ogni partita con mascherine con il nome di persone nere uccise dalla polizia o da odio razziale. Gli sponsor hanno accettato i pro e i contro del suo attivismo; ma non è mancato chi le ha risposto di pensare a giocare a tennis.
Osaka è anche la tennista che ha ottenuto la prima vittoria in uno slam insieme a un mare di lacrime. La storia della finale degli US Open 2018 è la storia di Serena Williams: «So che tutti tifano per lei, mi dispiace sia dovuta finire così», si è scusata con la voce spezzata. È da allora, secondo il suo ultimo post, che soffre di crisi depressive. «Chi mi conosce sa che sono una persona introversa».
Estroversione e introversione sono gli estremi di uno spettro di personalità, nel mezzo c’è l’ambiversione. Tra le differenze più essenziali c’è la relazione con il mondo esterno: a grandi linee si può dire che l’estroverso trae energia dall’interazione, mentre l’introverso per interagire ha bisogno di energie interiori. Secondo Susan Cain, autrice di Quiet, molto del nostro mondo è progettato in funzione dei bisogni degli estroversi: istituzioni, spazi pubblici, istruzione, carriere lavorative. In nessuno di questi ambienti si favorisce il silenzio e la solitudine, e questo genera un pregiudizio nei confronti di chi tende all’isolamento: per Cain l’introversione nel sistema di valori contemporaneo occidentale (o capitalistico) è un tratto psicologico di seconda categoria, a metà tra una debolezza e una patologia.
https://twitter.com/espn/status/1300612317101649921
Forse era necessario appartenere al lato introverso dello spettro per cogliere il riferimento alla salute mentale nel contesto delle conferenza stampa, cioè una norma sociale a misura di estroversi. Non era necessario invece essere un familiare o amico di Naomi per riconoscerne l’introversione, come non è necessario essere uno psicologo per sapere che la pressione e lo stress sono delle componenti determinanti nella performance sportiva a ogni livello. È un fenomeno chiamato choking under pressure, e ampiamente documentato.
Un atleta di alto livello gestisce questa pressione ogni volta che compete, e sarà celebrato tanto più dimostrerà di esserne capace: se è una persona introversa, dovrà gestirla il doppio delle volte, senza doppie celebrazioni.
Secondo il primo commento sotto al post di Osaka, quello con più like, «In tutta sincerità, probabilmente non c'è bisogno di essere un’atleta professionista allora. La stampa è parte del processo per le enormi vincite che vengono assegnate. Ci sono molte opportunità a livello locale e di insegnamento che non richiedono conferenze stampa quotidiane. In bocca al lupo!».
Le conferenze stampa sono parte del lavoro di ogni atleta, perché è grazie alla relazione con i media che esiste lo sport professionistico: al di là di questo assunto, più o meno condiviso da qualsiasi parte, si aprono le divergenze. Il dibattito si è raffreddato, ma le posizioni non sono cambiate.
https://twitter.com/WTA_insider/status/976581282413953024?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E976581282413953024%7Ctwgr%5E%7Ctwcon%5Es1_&ref_url=https%3A%2F%2Fftw.usatoday.com%2F2018%2F03%2Fnaomi-osaka-beat-serena-williams-miami-open-omg-twitter-come-on-interview-tennis-video
L’idea che reggere la pressione sia in sé un valore è espressione della cultura aziendalistica tossica per cui i dipendenti di Goldman Sachs dichiarano di lavorare in media 95 ore a settimana, anche dopo che nel 2013 un tirocinante di 21 anni è morto dopo 72 ore di lavoro consecutive. Più propriamente, è espressione di una cultura che misura i propri valori non sugli esseri umani, ma sul modo di produzione.
Certo, non tutti i critici di Osaka sono disumani o stupidi. Per alcuni rimane inadeguato il modo in cui ha comunicato la sua decisione. Ma un’obiezione di questo tipo implica che se Osaka si fosse espressa in un altro modo le reazioni sarebbero state diverse: ed è una cosa tanto possibile quanto indimostrabile, che lascia molti dubbi sul fatto che potesse essere legittimo con altre parole e altri tempi sostenere la sua scelta.
Per molte persone il post di Osaka poteva, soprattutto, essere una buona occasione per ripensare le conferenze stampa: nate per creare un filo diretto tra gli atleti e il pubblico, hanno ceduto parte della loro funzione ai social media e si sono ridotte, in certi casi, a una dinamica predatoria, con l’obiettivo di ricavare contenuti più cliccabili possibile. Lacrime, rabbia, polemiche o incidenti diplomatici. Tanto che nessuno ha davvero rivendicato la qualità delle conferenze stampa: per tutte le parti è ammesso che capita che non ci sia niente da dire, e la presenza in sala stampa a volte è solo un male necessario.
In realtà i media giornalistici sono ancora di gran lunga più importanti di qualsiasi piattaforma social. Poche settimane fa l’ITF ha presentato una ricerca, dal titolo Level the playing field, che per la prima volta valuta la parità di genere nello sport a livello globale indagando la rappresentazione degli atleti nei media. Quello che emerge è soprattutto che la copertura mediatica è ancora lo strumento essenziale con cui si misura lo stato di salute di uno sport, e la dimensione in cui una narrativa acquista valore.
Forse il fatto che dalle conferenze stampa emergano spesso contenuti infelici suggerisce che il modo in cui queste funzionano non permetta neanche ai giornalisti di fare il loro lavoro nel migliore dei modi. Ripensarle e provare a migliorarne la qualità avrebbe potuto portare benefici a tutti.
Dopo che Osaka ha dichiarato il ritiro, e confessato i propri problemi di salute mentale, il comitato degli slam ha cambiato toni: «A nome dei Grand Slam, desideriamo offrire a Naomi Osaka il nostro supporto e sostegno in ogni modo possibile mentre è lontana dai campi. È un'atleta eccezionale e attendiamo il suo ritorno quando lo riterrà opportuno. [...] Il benessere dei giocatori è sempre stato una priorità per gli Slam, la nostra intenzione, insieme a WTA, ATP e ITF, è di promuovere salute mentale e benessere con ulteriori azioni».
Tuttavia non ci sono concessioni né passi indietro: «Lo sport richiede regole e regolamenti per garantire che nessun giocatore abbia un vantaggio sleale su un altro». Il comunicato è stato letto in conferenza stampa dal presidente della federazione francese, che non ha concesso domande. E questa non è neanche la contraddizione più forte.
https://twitter.com/BenRothenberg/status/1399480417170903041
L’intervento degli Slam nella questione colpisce per la compattezza, il tono, e soprattutto i tempi: l’applicazione del regolamento e delle sanzioni per le effettive violazioni sono assolutamente secondari rispetto alla minaccia per quelle potenziali. La posta in gioco, la legittimità della posizione di Osaka contro la legittimità di un sistema e delle sue regole, era tale da richiedere una presa di posizione d’anticipo, immediatamente intransigente.
Il Codice di Condotta del tennis si occupa per una buona parte di definire le sanzioni per abbigliamento scorretto, ritardi, turpiloquio, abuso di pallina o di racchetta, condotta antisportiva. Le violazioni sono comprensibilmente frequenti e poco interessanti.
Nello stesso articolo IV, dedicato alle Major Offences (reati maggiori), richiamato nel primo comunicato di diffida contro Osaka, la sezione B definisce le “Condotte contrarie all’integrità del gioco”: «Nessun giocatore o Persona collegata dovrà tenere una condotta contraria all'integrità del Gioco del Tennis. Se un giocatore è condannato per violazione di una legge penale o civile di qualsiasi paese, il giocatore in virtù di tale condanna può essere considerato colpevole di condotta contraria all'integrità del Gioco, e l’ITF può sospendere provvisoriamente tale giocatore da ulteriori partecipazione ai tornei ITF World Tennis Tour in attesa di una determinazione finale nella Sezione C».
«L'ITF indagherà su tutti i fatti relativi a qualsiasi presunto reato maggiore», si legge nella sezione C.
È verosimile ritenere che le accuse di violenza domestica legate a Zverev e Basilashvili siano considerabili “reati maggiori’”, ad esempio. Persino chi ha sempre sostenuto che si trattasse di questioni private ammette che in caso di condanna da parte di un tribunale il fatto diventa grave. Il Codice di Condotta conferma: le sanzioni previste sono identiche a quelle menzionate in riferimento alle conferenze post-match.
Nessuno, però, ha ritenuto necessario far presente pubblicamente che se a seguito delle accuse per violenze domestiche, qualora fossero stati trovati colpevoli in sede giudiziaria, questi tennisti avrebbero rischiato una squalifica. Eppure era altrettanto vero, stando al Codice.
È legittimo che non siano stati applicati provvedimenti e sanzioni ai danni di Zverev, perché le accuse della sua ex fidanzata, Olga Sharypova, non sono passate da vie legali. L’ha scritto su Instagram, come Osaka, ma il post deve essere sfuggito al feed del comitato.
Basilashvili, georgiano, è stato denunciato per violenza ai danni dell’ex moglie e del figlio, ormai più di un anno fa: è fuori su cauzione, in attesa di un’udienza posticipata a causa della pandemia fino al 16 luglio di quest’anno. Nel frattempo ha continuato a giocare, battendo anche Federer e vincendo due titoli. Non solo l’ITF non ha condotto alcuna indagine sui fatti, ma non ci sono stati avvertimenti né comunicati ufficiali. Nelle poche notizie reperibili online non ci sono riferimenti al Codice di condotta né alle possibili sospensioni.
https://twitter.com/BleacherReport/status/1399749597988233219
Quindi, sembrava che la cosa principale fosse scongiurare il rischio che Osaka potesse creare un precedente. In effetti il suo primo post non ha raccolto particolari consensi tra i colleghi, e peraltro non puntava a farlo. La spinta a leggerlo come una battaglia universale è venuta dall’esterno, per giustificare l’intransigenza e la mancanza di empatia.
Intanto, sul secondo post di Osaka sono apparsi dei like e dei commenti di supporto: Coco Gauff, Martina Trevisan, Nick Kyrgios, Daria Abramowicz, che è la psicologa di Iga Swiatek. C’è anche quello di Gael Monfils, malgrado l’indubbia sorveglianza della Federazione francese. A febbraio Monfils è crollato durante la sua conferenza stampa agli Australian Open: «Mi sento giudicato. Sono già a terra, mi sparate», aveva detto ai giornalisti.
Martina Trevisan è la tennista che proprio al Roland Garros dello scorso anno ha consegnato alla stampa la storia della propria lotta con la depressione. Le sue splendide, indimenticabili, lottatissime sette vittorie consecutive a Parigi sono state trasformate in una parabola di riscatto, nel lieto fine della storia della sua uscita dall’anoressia. Questo è ciò che nobilita il lavoro del giornalista, che gli permette di esibire le proprie qualità morali.
Anche quest’anno ci sono delle storie di riscatto da raccontare: Carla Suarez Navarro è tornata dopo aver avuto il cancro e aver affrontato la chemioterapia, Danielle Collins è stata operata per l’endometriosi, Elena Vesnina riprende a giocare dopo la gravidanza, a 34 anni. Ma nel torneo sono iniziate le meta-conferenze stampa: ai tennisti è stato chiesto come le vivono, e poi quale fosse stata la loro reazione a quello-che-è-successo-con-Naomi Osaka.
«Capisco bene Naomi», ha detto Djokovic, «Sono stato sotto tiro con i media diverse volte nella mia carriera». Anche lui, dopo la squalifica allo US Open 2020 ha preferito evitare domande. Ed è stato rispettato. L’episodio della giudice di linea colpita con una pallina, dopo la scia di polemiche seguite all’Adria Tour, sembrava poter pesare sulla sua stabilità mentale - anche se non gli ha impedito di vincere a Roma un paio di settimane dopo.
A Venus Williams è capitato diverse volte, nei suoi 28 anni di attività, di saltare una conferenza stampa, sia dopo che sconfitte che dopo vittorie. Quando le hanno chiesto come è stato il suo rapporto con la stampa nel corso della sua carriera, Venus ha risposto: «Lo affronto sapendo che ogni singola persona che mi pone domande non è in grado di giocare a tennis al mio livello e non lo sarà mai. Quindi non conta cosa dite o cosa scrivete, perché non mi batterete mai».