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Daniele V. Morrone
Nakata e gli altri
29 mag 2015
29 mag 2015
I migliori talenti giapponesi oggi sono quasi tutti in Europa: ne abbiamo scelti dieci tra passato, presente e futuro. Ovviamente, a cominciare da Nakata.
(di)
Daniele V. Morrone
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Il calcio professionistico è nato in Giappone nel 1992 con la fondazione della J. League. A quel tempo l’impatto del calcio giapponese in Europa era circoscritto agli

con cui Franco Baresi fallì il rigore della finale mondiale di Pasadena, o alla presenza in Germania di

e

negli anni '80 e di Kazu Miura a Genova negli anni '90.

 

Vent’anni nel calcio sono quasi un’era geologica e, se consideriamo l’idea di Ferguson che un ciclo dura quattro stagioni, si può dire che si sono succedute cinque generazioni di calciatori da quando in Giappone si gioca a calcio sul serio. La prima (diciamo dal '93 al '97) ha vissuto lo sviluppo del campionato locale con l’arrivo di ex stelle dall’Europa: il campione del mondo Dunga, il genio

. La seconda è stata caratterizzata dalla prima partecipazione al Mondiale e dallo sbarco in Europa del primo vero giocatore di livello mondiale, Hidetoshi Nakata. La terza generazione sforna diverse stelle pronte per l’Europa, come Shunsuke Nakamura, Shinji Ono e Junichi Inamoto.

 

Attualmente siamo alla diaspora, con una quarantina di giocatori giapponesi in Europa: si va dalle stelle della Nazionale a giocatori di livello medio-basso (per capirci, da Keisuke Honda a

dell’Astra Giurgiu in Romania, fino a

del FK Berane nel Montenegro, dove gioca con altri tre compatrioti). I giocatori promettenti vanno via dal Giappone sempre più giovani, anche prima di aver esordito in Nazionale: recentemente poi uno degli attaccanti più promettenti

ha abbandonato il Giappone a meno di vent’anni, senza neanche esordire in J. League 1. In questo processo la Germania è diventata un canale preferenziale per i giocatori di livello medio-alto. In Bundesliga la metà delle squadre ha in rosa almeno un giapponese, per un totale di 13. Si può dire, dopo vent’anni, che a eccezione del centrale Yuji Nakazawa e del regista Yasuhito Endo, due leggende della Nazionale e della J. League, tutti i grandi giocatori giapponesi cresciuti sotto il professionalismo hanno giocato almeno una stagione in Europa.

 

Quelli qui sotto sono dieci esempi, passati e presenti, di come il talento calcistico giapponese si è espresso sul palco più importante, quello europeo.

 



https://www.youtube.com/watch?v=hadAub1vx9Y

«Siamo a Perugia ma pare di essere a Tokyo» dice Varriale a inizio servizio.


 

«Per tutta la mia vita ho giocato solo a pallone, quindi non sapevo com’era il mondo fuori dal calcio. Volevo sapere cosa succede fuori dal mondo e cosa posso fare io per il mondo. Quando ero calciatore ho viaggiato molto, ma ho visto solo hotel, stadi, aeroporti. Avevo voglia di partire da solo alla scoperta di paesi e popoli che mi affascinano. Ho voglia di vedere da me il mondo, non attraverso i giornali o la tv. Sono un ragazzo semplice e voglio che la gente mi veda come un tipo normale, non come un calciatore famoso. Quando la gente mi riconosce, spiego che sono un semplice cittadino alla ricerca di nuovi orizzonti».

 

La storia del ritiro anticipato a 29 anni, subito dopo il Mondiale in Germania, ha fatto il giro del mondo e segnato la carriera di Nakata tanto quanto i due tiri che hanno aiutato lo scudetto della Roma 2001. Il ritiro improvviso è sembrato strano, visto che all’epoca Nakata era il calciatore asiatico più famoso al mondo, prima stella giapponese di una squadra di Serie A con il Perugia, e poi tra i protagonisti di uno scudetto, ma le motivazioni sono quelle di un calciatore che, nonostante gli piaccia giocare, è interessato soprattutto alla vita fuori dal campo: «Ancora non capisco come le persone possano essere tifose di calcio: io non mi diverto a vedere nessuno sport»

. «Mi piace il calcio, ma non userei mai la parola “amore”, dato che non lo guardo mai».

 

Nakata ha subito numerose delusioni dopo il fantastico impatto iniziale: «Negli ultimi tre anni mi divertivo sempre meno, per via degli infortuni, degli allenatori…». Così, continuare a calciare un pallone per soldi era diventato meno interessante che mettersi lo zaino in spalla e attraversare la Cambogia. Il successo di Nakata è comunque senza precedenti per un giocatore giapponese, diventato brand milionario grazie alle pubblicità delle grandi multinazionali che hanno fatto a gara per mettere la sua faccia vicino ai loro prodotti, garanzia di esposizione massima nel mercato asiatico. La giapponese Canon, lo ha usato come

; Calvin Klein

in giro per Tokyo; la Nike lo ha inserito in quella che forse è la miglior serie di pubblicità sportive della storia: “la gabbia”: il poster con la faccia di Nakata

può rendere l’idea di quanto Nakata contasse in termini calcistici ma anche economici.

 

https://www.youtube.com/watch?v=ikn2CiFIPEw

La squadra di Nakata si chiama “Triple Espresso”. Qui c’è lo spot completo.


 

Nakata ora si dedica a diverse iniziative e benefiche, ma soprattutto alla cultura artigianale giapponese, che ha scoperto viaggiando in macchina lungo tutto l’arcipelago. Al termine di questo viaggio ha aperto una sezione all’interno del suo sito chiamata

, dove vengono condivise le antiche tradizioni di un paese estremamente proiettato al futuro ma dalle tradizioni fortissime. «Credo che in Giappone vogliano fare le cose sempre in modo migliore, ma non sono molti bravi a vendersi. Io voglio esserne la voce». Si dedica anche a seguire la sua passione per la moda (tra le altre cose è

della prestigiosa rivista

) e nella produzione di una

: «Non sto solo vendendo sake. Voglio esportare la cultura giapponese».

 

In campo Nakata era tecnico abbastanza da reggere il confronto con la Serie A dei tempi d’oro, ma soprattutto era veloce di testa: raramente sbagliava la scelta e ci metteva molto poco a calcolare l’opzione di gioco migliore. Oltre all’ampio repertorio tecnico, la dote principale di Hide era la capacità di mantenere l’equilibrio in ogni situazione, cosa che, unita all’ottimo controllo del pallone, permetteva di sfruttare al massimo il proprio potenziale.

 

Alla Roma dà il meglio di sé nella

, dietro le punte o addirittura come centrocampista centrale, ruolo in campo che Capello lo convince a provare dopo avergli spiegato a tavola come disporsi con le briciole del pane. Il suo gioco creativo e accentratore arriva come una benedizione per un calcio alla disperata ricerca di una stella internazionale sotto il quale svilupparsi. In Nazionale infatti brilla, prima trascinando il Giappone ai suoi primi Mondiali a Francia 98 e poi facendone da portabandiera nei successivi due, in patria e in Germania.

 

https://youtu.be/JN2M7B6_klc?t=4m14s

La partita più importante della carriera di Nakata: prima ruba il pallone e poi scarica in porta il gol che riapre la partita. Festeggiando con un sorriso e il cinque dei compagni. Tutto raccontato da Pizzul mentre Capello attende di essere intervistato dopo la sintesi.


 

In patria la Nakata-mania di inizio anni Duemila diventa un fenomeno di massa, con i giornalisti giapponesi costretti a turni fuori dagli allenamenti pur di non perdersi un possibile scoop da comunicare. Praticamente era la metafora vivente del meglio dell’esportazione giapponese, da solo ha spinto i giapponesi ad avvicinarsi seriamente al calcio come tifosi, facendo da catalizzatore di tutte le attenzioni (positive e negative) nel momento di boom del calcio per i Mondiali in casa, e per questo più importante tra tutti quelli sbarcati in Europa dopo di lui. E forse anche grazie a lui.

 



In termini di talento puro, Shinji Ono è il miglior prodotto della storia della scuola giapponese. Non sto esagerando e non sono l’unico a pensarla così, Wesley Sneijder nel 2010 alla domanda su chi sia stato l’avversario più tosto da affrontare,

: «Shinji Ono del Feyenoord. Era forte e pronto fisicamente, ma anche un giocatore fantastico. Ogni volta che mi sfuggiva dovevo lavorare duro per marcarlo. Riusciva a sgusciare fino a raggiungere la punta e non potevi lasciarti saltare. Un giocatore veramente pieno di risorse».

 

Si parla del primo lustro degli anni 2000, periodo in cui Ono era il regista del Feyenoord che con Tomasson e van Hooijdonk (e un diciannovenne van Persie) vinse la Coppa Uefa del 2002, nella finale casalinga contro il Borussia Dortmund. Purtroppo il giocatore descritto con ammirazione da Sneijder in Europa si è visto pochissimo a causa dei continui infortuni che ne hanno minato tutta la carriera in Europa, tra Olanda e Germania (al Bochum in tre anni arriva a malapena alle 30 presenze) e posto un grande “what if” nel giudicare la sua carriera.

 

Soprannominato in patria Tensai (genio) forse non tanto per l’eccelse doti tecniche (soprattutto nel controllo di palla) che gli permettono gesti visti all’epoca solo dalle stelle straniere, ma più per il modo in cui si muove per il campo. Ono sembra sempre una mossa avanti all’avversario, soprattutto grazie a una visione di gioco a 360 gradi. Diventa famoso per sdoganare, ancora da teenager, nei campi in terra di Shizuoka (la zona più calciofila del Giappone, dove ci sono spettatori persino alle partite liceali) il colpo di tacco come gesto tecnico utile tanto al mantenimento del possesso quanto a superare le linee come filtrante. Riproposto da professionista, nelle difese ancora poco organizzate della J. League, provoca voragini.

 

Arriva in Olanda ventunenne con alle spalle già un Mondiale giocato da diciottenne (Francia 98) e un Mondiale U-20 da finalista e stella della squadra (Nigeria 99) e mette in mostra delle doti atletiche che vengono esaltate dal calcio veloce che si gioca in Olanda. Ono non è un regista letargico che presidia il centro del campo in attesa del lancio giusto, si muove a gestire il pallone in una grande porzione di campo, così da sfruttare meglio la visione di gioco per liberare la punta contro le difese alte dell’Eredivisie.

 

https://www.youtube.com/watch?v=df2IltAVLFI

Compilation di passaggi. Oggi sarebbe molto più famoso in pieno Vine Boom.


 

Due cose sono rimaste costanti nella sua carriera: gli infortuni e la necessità di tornare in Giappone per stare vicino alla famiglia, che non ha mai lasciato il paese (una cosa più comune di quanto possa sembrare per i giapponesi che lavorano all’estero). Se non fosse per i continui infortuni, dopo l’Olanda sarebbe sicuramente arrivata la Spagna o la Germania da protagonista, invece questa è la classica storia in cui dopo ogni lungo infortunio il giocatore perde passo e fiducia nell’assorbire i contrasti, fino a cedere quasi completamente nell’aspetto atletico, che nel caso di Ono l’aveva reso un giocatore tanto speciale nella sua generazione.

 

Dopo ogni stagione fermo per infortunio, arriva il ritorno in Giappone per un paio di anni. È successo nel 2005, anno in cui praticamente non gioca mai e decide di tornare nella squadra dove ha esordito e in cui vince in un anno J. League, Coppa dell’Imperatore e Champions League Asiatica

. È successo così sia dopo il ritorno in Europa, per tornare a casa a Shizuoka, che dopo l’avventura da

, dopo la quale prende la strana decisione di giocare in Hokkaido, l’isola più a nord dell’arcipelago e in seconda divisione, dove ancora gioca e dove dice di voler continuare a giocare fin quando sentirà che il fisico può continuare a reggere i soliti infortuni.

 



Elegante nel controllo e chirurgico nel calcio, nell’interregno tra Nakata e Honda è stato lui il leader della Nazionale, dove ha vinto la Coppa d’Asia 2004 come miglior giocatore del torneo. Nato e cresciuto a Yokohama, dove sta terminando la carriera lì dov’è iniziata, con gli F. Marinos, è l’unico ad aver vinto due volte il premio di miglior giocatore della J. League (curiosamente a tredici anni di distanza, nel 2000 e nel 2013).

 

Nel mezzo l'Italia, senza imparare l’italiano; Celtic senza imparare l’inglese; Espanyol senza imparare lo spagnolo. Deve essere pesante passare la maggior parte della carriera vivendo in simbiosi con il traduttore. La famiglia poi rimane a Yokohama per tutta la sua carriera e, una volta capito di non poter più reggere i ritmi europei, torna a casa.

 

Gli anni in Scozia sono i migliori della carriera. Quando ancora il Celtic riesce a competere dignitosamente in Champions League, riuscendo anche a superare i gironi, Shunsuke Nakamura è il giocatore più talentuoso della rosa. La squadra vince e Nakamura è un vero

, con il suo ex allenatore Strachan che a distanza di anni

, quando gli chiedono il miglior giocatore dell’ultimo grande Celtic: «Se parliamo di puro genio, visione, skills devo dire Nakamura. Non sto dicendo che fosse il miglior giocatore al mondo, ma per essere qualcuno che poteva vedere una linea di passaggio, controllare il pallone… era semplicemente fantastico. Detto questo era un professionista modello. Ha lasciato un’eredità al Celtic per i giocatori più giovani, dal punto di vista delle skills e del fitness… poteva prendersi un calcione, rialzarsi, scuotere la testa e continuare a giocare. Pure i compagni di squadra finivano per applaudirlo in allenamento facendolo imbarazzare».

 

https://youtu.be/sdO733POGDY?t=53s

«Quel ragazzo poteva infilare una palla in un finestrino dell’autobus in corsa da 30 iarde. L’ho visto su YouTube». L’ex allenatore Strachan.


 

Le doti tecniche e il carattere tranquillo ma deciso hanno conquistato Glasgow, dove ha vissuto benissimo ed è rimasto fino alla scadenza del contratto, nonostante le difficoltà con la lingua: «So dire qualcosa, ma non capivo come parlavano le persone a Glasgow. Erano tutti amichevoli e molto gentili, ma per me era veramente molto difficile e avevo bisogno di un traduttore» cosa che, va detta, è comune a ogni straniero transitato per la Scozia meno glamour (quindi fuori da Edimburgo). Il sushi non era all’altezza di una città di mare, fondamentale per chi è cresciuto nel porto più grande del Giappone: «C’erano dei ristoranti giapponesi in Scozia, ma il sushi era fatto con le macchine e non a mano». Per quanto riguarda il pesce, meglio l’Italia o la Catalogna: «Il miglior pesce l’ho mangiato in Italia, ma tutto era con la pasta quindi non era esattamente sushi. Barcellona (invece) ha buoni ristoranti di sushi».

 

In campo il gioco di Nakamura è incredibilmente prevedibile eppure tremendamente efficace. Non avendo cambio di passo Nakamura riceve al centro o partendo dalla fascia destra, dove può alzare la testa per leggere spiragli nella difesa e lanciare un compagno o direttamente calciare in porta, con un effetto sempre ottimamente calibrato. Straordinario nei calci da fermo, ha fondato una carriera intera su controllo di palla e precisione al tiro, cosa che gli permette di essere ancora saldamente titolare a 36 anni.

 



Arsène Wenger ha allenato per due anni a Nagoya prima di andare a fare la storia all’Arsenal e tra i giovani che l’avevano stuzzicato di più decide di andare a prendere il centrocampista Inamoto, stella del Gamba Osaka. Wenger vede in Inamoto un giocatore completo, in grado di reggere fisicamente i ritmi della Premier League e abbastanza tecnico da poter giocare in Europa come centrocampista box-to-box. I tifosi vedono in Inamoto un’operazione di marketing e nulla più. Avranno ragione.

 

Arrivato con tanto di sushi servito a tutta la rosa e allo staff tecnico in suo onore, non gioca neanche un minuto nell’Arsenal

. «Gli mancava un po’ di sicurezza nei suoi mezzi, perché era veramente un buon giocatore, ma era ancora il periodo in cui i giocatori giapponese non si sentivano di essere al livello del resto del mondo».

 

https://www.youtube.com/watch?v=je5FAL78Gzk

C’è stato un tempo non troppo lontano in cui il Pallone d’oro Ronaldinho faceva gare di freestyle contro Inamoto.


 

Dopo aver lasciato l’Arsenal, però, Inamoto gioca un gran Mondiale di casa e riceve l’offerta del Fulham per provare di essere all’altezza della Premier League. Nel quartiere di Londra Ovest diventa un giocatore di culto per la voglia con cui cerca di recuperare ogni pallone, la velocità con cui accompagna la transizione offensiva e le capacità balistiche da fuori (con cui tra l’altro

giocando per il West Brom).

 

Tra Mondiale e primo anno riesce a ricostruirsi la credibilità e finisce addirittura tra i 50 nominati per il Pallone d’oro 2002 (!). Si può dire che, facendo un bilancio complessivo, la sua carriera europea rimane di ottimo livello (ci sono anche Galatasaray e Eintracht Francoforte), come quella in Nazionale, dove in dieci anni arriva a 83 presenze e due Mondiali. Adesso sta svernando a Sapporo, in Hokkaido, nella stessa squadra di Shinji Ono.

 



Ennesimo prodotto della prefettura di Shizuoka, il cuore pulsante del calcio in Giappone, Hasebe fa parte degli Urawa Reds che con Shinji Ono dominano per un paio di stagioni, vincendo campionato, Champions League asiatica e due Coppe dell’Imperatore. Nel 2009, al secondo anno in Europa, vince con il Wolfsburg di Dzeko e Misimovic la Bundesliga «La Germania mi ha insegnato a giocare all’europea ed è il posto giusto per me, ordinato e pacifico». Parliamo di uno che ha resistito ai metodi infernali di Felix Magath: «È stata dura all’inizio, un sacco di lavoro veramente duro» e l’ha fatto cercando innanzitutto la sua dimensione in campo e poi il giusto equilibrio fuori.

 

https://www.youtube.com/watch?v=LNevD-NzXSs

Hasebe, allora nel Wolfsburg, forse è stato convinto a passare all’Eintracht, sua attuale squadra, dal capitano Schwegler in quest’azione.


 

Per Hasebe meditare significa fare allenamento per la mente: «Entro in uno spazio sicuro. Penso a cosa sia dietro di me e cosa arriverà, cosa mi è capitato nella giornata e cosa farò domani. La mia testa prende il controllo dei miei battiti». E ci crede veramente, visto che ha scritto a riguardo

che ha venduto più di un milione e mezzo di copie in patria, dove rappresenta l’esatto opposto del calciatore divo. Calmo, di poche parole ma disponibile, è a trentuno anni il capitano della Nazionale, che guida con l’esempio anche in campo. Centrocampista centrale fisicamente strutturato, usa freddezza e tecnica per indirizzare il possesso e letture tattiche per intercettare la palla (quest’anno ha una media di 3 tackle riusciti e 3 intercetti a partita). Nelle sue otto stagioni in Germania ha giocato in molti ruoli, dal centrocampo agli esterni bassi di entrambe le fasce. Una volta

, nel 2011, con il Wolfsburg in 10 per l’espulsione del portiere Benaglio e senza sostituzioni.

 



Okazaki è attualmente nel miglior momento della propria carriera: a ventinove anni ha trovato la sua dimensione nel Mainz, in Bundesliga, come punta centrale del 4-2-3-1 specializzato nelle ripartenze di coach Martin Schmidt. È Okazaki stesso a spiegare come vuole il suo allenatore: «La nostra strategia è semplice, dopo aver guadagnato il possesso vogliamo andare dietro la difesa avversaria più velocemente possibile». Lo stesso calcio diretto che praticava il Giappone al Mondiale 2010, con cui Okazaki ha brillato prima di essere preso dallo Stoccarda. Una strategia semplice, che sfrutta finalmente le caratteristiche di un giocatore che possono essere riassunte brevemente in: corsa, abnegazione, capacità di calcio e colpo di testa.

 

La corsa e l’abnegazione non sempre vanno a braccetto e quando lo fanno sono solitamente legate ad altri ruoli. Forse per questo c’è stato l’equivoco di Okazaki come esterno una volta sbarcato in Europa. Allo Stoccarda segna pochissimo e il controllo del pallone spesso è deficitario. La corsa e l’attenzione tattica nelle letture non gli mancano e per questo viene schierato esterno sinistro, così da poter tagliare verso il centro senza palla e calciare poi col destro. «È stata una sfida» dirà degli anni a Stoccarda, ma una sfida persa, visto che all’impegno non corrispondono i risultati.

 

https://www.youtube.com/watch?v=EEH2lnDo4C4

Il duro lavoro, prima o poi, paga.


 

È lo stesso Okazaki, nella sua autobiografia, a descrivere la fatica fatta per emergere: «Niente talento o tecnica… piedi semplicemente troppo lenti… neanche ottimo nel colpire di testa». Okazaki la carriera se l’è letteralmente costruita sul lavoro in allenamento. Deve anche ringraziare la guida dell’ex campione dei 100 metri Tatsuo Sugimoto, che lo segue dal 2007 e che gli ha rivoltato la tecnica di corsa, la postura e la coordinazione. Ma dopo tanto lavoro Okazaki ne esce come un giocatore veloce, dallo stacco di testa impressionante, nonostante i 174 centimetri, e capace di proteggere il pallone grazie più all’equilibrio che alla tecnica.

 

Adorato dagli allenatori per l’attenzione tattica e i movimenti senza palla, adesso Okazaki è il giapponese con il maggior numero di gol nella storia della Bundesliga, ha vinto lo scorso anno il premio di giocatore più migliorato del campionato ed è terzo di ogni epoca per gol in Nazionale, con 42 centri. Sembra retorico dire che il duro lavoro alla fine paga e sembra anche retorico lui stesso quando

: «Se vuoi avere successo in Europa, devi essere paziente e non puoi mollare. Non è sempre semplice. Ma anche nei momenti difficili non devi immediatamente pensare a tornare a casa». Un consiglio che segue l’esatto opposto di quello che ha sempre fatto Shinji Ono, un giocatore dal talento infinitamente superiore a Okazaki, ma che è finito per avere una carriera minore al connazionale senza talento o tecnica.

 



https://www.youtube.com/watch?v=Woa7i4MqP4k

I tifosi milanisti possono andare direttamente al minuto 1:10 e mettersi a piangere.


 

Anche Keisuke Honda è un giocatore costruito. Non tanto sotto il punto di vista atletico o tecnico (anche se per saper calciare così ci vogliono ripetizioni continue) ma per tutto quello che riguarda la sua carriera. Honda sapeva fin da subito che aveva il talento per sfondare nel calcio e ha seguito un percorso di crescita chiaramente pensato per assecondare l’aspetto tecnico e quello del “brand”. Capendo che il contesto del campionato in patria non si adatta alla sua crescita come calciatore, dopo essere stato scartato dalle giovanili del Gamba Osaka, inizia a studiare bene l’inglese e si trasferisce in un paese anglofono come l’Olanda, appena ventunenne, dopo appena tre stagioni da professionista a Nagoya. «In Giappone tutto quello che si impara è come si passa» e la cosa non crede sia adeguata alla sua crescita, dato che «voglio essere riconosciuto per il mio stile di gioco. Non sono un attaccante, ma voglio vedere la porta e prendere molti tiri… essere un giocatore temuto dagli avversari. Non voglio essere un centrocampista difensivo, rimanere troppo dietro anche in un grande club».

 

La pianificazione della carriera non si ferma allo studio dell’inglese e all’arrivo in Europa, qui inizia a curare nel minimo dettaglio la sua immagine per attirare gli sponsor da casa. Utilizza uno stilista personale che lo aiuta nella scelta dei vestiti; si tinge i capelli di biondo come la maglia del VVV-Venlo, squadra in cui gioca, escogitando tutti gli espedienti che potessero attirare l’attenzione delle squadra più forti, pur giocando in un campionato minore.

 

«Quando stavo al VVV-Venlo siamo subito retrocessi (lui è arrivato a gennaio) e ho pensato che non era possibile giocare nella seconda divisione. Non per me. Ho deciso quindi che avevo bisogno di segnare tanti gol per essere notato e passare al livello superiore. Nessuno mi avrebbe notato con i passaggi. Non sarei riuscito ad arrivare al livello superiore con gli assist» e in una stagione e mezza segna 24 gol in 57 partite, trascinando il Venlo alla promozione al primo colpo e accettando l’offerta del CSKA Mosca per giocare in Champions League sei mesi dopo. Nel mentre è diventato l’idolo dei tifosi a Venlo, che lo chiamano Keizer Keisuke.

 

https://www.youtube.com/watch?v=qbV5aSKiLD4

La stagione in cui ha deciso che tirare è meglio che passare.


 

Al CSKA Mosca prima e al Milan poi è cresciuto come giocatore, confrontandosi con campionati migliori (e giocando la Champions League a Mosca). Al Milan è cresciuto anche come brand, giocando in una squadra ancora dal grande appeal in Giappone. Ma il lato della carriera in cui Honda sta avendo le maggiori soddisfazioni è quello della Nazionale. Con la maglia del Giappone Honda riesce a giocare nel ruolo che predilige, al centro di un sistema dove lui è il punto di riferimento pur non essendone il regista. È stato il miglior giocatore giapponese degli ultimi due Mondiali e campione d’Asia nel 2011.

 

Essere al centro del sistema non necessariamente significa giocare trequartista, visto che nel Mondiale in Sudafrica ha giocato con successo anche da falso 9, ma significa essere il giocatore cui i compagni vogliono passare dopo aver alzato la testa. Non è il giocatore più talentuoso della sua generazione, visto che il ruolo spetta a Shinji Kagawa, ma sui compagni esercita il carisma del campione da cui dipendono le sorti della partita. Con la Nazionale sta segnando l’epoca d’oro della squadra più forte d’Asia, con 28 gol in 70 partite.

 



https://www.youtube.com/watch?v=ewkPkL1J02o

E questo è il periodo peggiore della carriera di Shinji.


 

Il difficile rapporto con un’altra lingua l’ha vissuto sulla propria pelle anche Shinji Kagawa, arrivato a Manchester dopo due anni stellari al Borussia Dortmund. Non riusciva a farsi capire dai compagni: «Sembra che ci passiamo la palla troppo in modo orizzontale, ma io voglio che i compagni inizino a passarmela anche da tutte le aree e angoli di campo. Devo parlare con loro di questa cosa, perché voglio che loro abbiano la fiducia in me per giocarmi la palla in avanti» e non capendo l’allenatore Ferguson dal famoso accento scozzese: «Non capisco una parola di quello che dice. Sto imparando l’inglese, ma capire l’allenatore mi prenderà più tempo…». Ci sono incomprensioni linguistiche e differenze di vedute tattiche alla base del fallimento di Manchester. Dopo due stagioni viene riportato a Dortmund dall’unico allenatore che sembra aver capito come sfruttarlo al meglio e dove i tifosi l’avevano chiesto a gran voce lanciando anche una campagna #freeshinji su Twitter.

 

La storia d’amore tra Klopp e Kagawa nasce dalla compatibilità totale nelle vedute tattiche dell’allenatore e le caratteristiche di gioco di Shinji. Kagawa è un giocatore tecnico e creativo, più rapido che veloce. Abilissimo nel leggere gli spazi e i movimenti dei compagni per filtranti o per attaccare direttamente lui la porta. Esattamente il trequartista perfetto per il 4-2-3-1 che ha fatto la storia a Dortmund. Kagawa, partendo centralmente, ha il compito di dare lo strappo finale alla ripartenza veloce del Borussia, sfruttando la creatività per l’ultimo passaggio o la rapidità nel muoversi senza palla per poi trovare la porta. Prima di trasferirsi a Manchester segna 29 gol in 71 partite, aiutando la squadra a vincere due campionati consecutivi e una Coppa di Germania.

 

https://www.youtube.com/watch?v=jeG9-WG1Alw

#Freeshinji ha funzionato.


 

Quanto sia importante per un giocatore potersi muovere nel contesto migliore per le sue caratteristiche l’ha dimostrato Kagawa, ottimo talento in Giappone ma ritenuto ancora non pronto per la Nazionale, tanto da saltare il Mondiale in Sudafrica. L’intuizione del d.s. Zorc di portarlo a Dortmund ha cambiato la storia del giocatore e della squadra. A Manchester si è trovato a giocare fuori ruolo (a sinistra, dovendo ricevere da fermo) e in una squadra che giocava un calcio opposto al suo (orizzontale, dove non poteva neanche sfruttare i movimenti senza palla e dove il centro era presidiato dall’ormai statico van Persie) che non ha potuto seguirlo nei momenti peggiori, preferendo metterlo in panchina, visto che l’allenatore Moyes ha passato la stagione a pensare a salvarsi il posto.

 

Adesso che è tornato a Dortmund è un giocatore spento e decisamente meno sicuro dei propri mezzi, ed è stato travolto dalla brutta stagione della squadra, arrivata settima e con una finale di coppa da giocare.

 

Guardando però le prestazioni con la Nazionale rimane il dubbio che Kagawa sia anche un calciatore troppo poco sicuro dei propri mezzi da poter riuscire a emergere in una squadra non perfettamente in sintonia con il suo gioco, come ha saputo fare a Dortmund. In Nazionale la squadra è di Honda e Kagawa si limita al ruolo di rifinitore partendo dall’esterno. Ha ampie libertà di muoversi ma il volume del gioco sfugge dai suoi piedi. A 26 anni non ha ancora raggiunto l’apice della carriera e ha tempo per sviluppare sicurezza, ma la mancanza di carisma sembra una cosa che lo accompagnerà tutta la carriera e sembra difficile vederlo trascinare una squadra. Se le cose vanno bene però Kagawa può essere un giocatore determinante. Stiamo pur sempre parlando del miglior talento uscito recent

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