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La pallina è gialla, la terra è rossa, Nadal ha vinto il Roland Garros
12 ott 2020
12 ott 2020
Grazie a una finale dominata prima di tutto tatticamente.
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Quando Rafa Nadal ha vinto il suo primo Roland Garros indossava la canottiera e i pantaloni a pinocchietto. L’abbondante fascia Nike sulla testa faticava a contenere la sua chioma selvaggia. Era il 2005, non esisteva ancora YouTube e George W. Bush aveva appena cominciato il suo secondo mandato da Presidente degli Stati Uniti. Nel frattempo, negli altri sport, eravamo in altre ere geologiche: il Porto di Mourinho era il campione in carriera della  Champions League  mentre qualche mese prima la Grecia aveva vinto un Europeo fiabesco. Nella NBA furono i Detroit Pistons a chiudere la stagione da campioni, mentre LeBron James finiva la sua seconda stagione da professionista nella lega.

 

Ieri Nadal, nella sua tredicesima finale del Roland Garros, non aveva né i pinocchietto né la canottiera, e la fascia sulla testa incoronava un cespuglietto sempre più rado di capelli. Questi gli unici indizi del tempo che passa. La sostanza non era cambiata: era ancora il favorito del Roland Garros. Nel tennis maschile il tempo scorre diversamente dagli altri sport. La sua andatura è placida, ottocentesca, i suoi protagonisti si alternano al potere con la calma delle dinastie asburgiche. Dall’altra parte della rete c’era Novak Djokovic, che Nadal ha affrontato per la prima volta al Roland Garros nel 2006. Da allora i due si sono affrontati altre 55 volte: mai due giocatori hanno condiviso il campo così tanto nell’era open. La storia della loro rivalità si stende davanti ai nostri occhi immensa e ingestibile come i monocromi di Klein, e ci costringe ad allenarci per riconoscere le piccole variazioni al suo interno.

 




 

Il passato aveva ingrossato e reso titaniche le proporzioni della sfida. Novak Djokovic non perdeva una finale slam dal 2016 e una partita di tennis da 11 mesi - se escludiamo quella in cui si è fatto squalificare per aver tirato la pallina a una giudice di linea. Al Roland Garros, però, tutto è diverso e le gerarchie sono definite: nel lungo dominio recente di Djokovic su questo sport, il Philippe Chartrier è un feudo che Nadal ha mantenuto inconquistabile. Un campo di cui custodisce le regole e i codici. La partita di ieri, quindi, era importante per definire i confini dei big-3 nel tennis attuale, che poi significa scrivere un altro po’ la storia del tennis in generale. Novak Djokovic, fra i tre, è quello che meglio ha espresso lo zeitgeist contemporaneo nel tennis, quello di un giocatore universale capace di dominare su ogni superficie: avesse vinto ieri sarebbe diventato il primo giocatore a vincere almeno due volte tutti gli slam; dall’altra parte Nadal, vincendo, avrebbe eguagliato il numero di slam di Roger Federer.

 

Il percorso di entrambi verso le semifinali era stato netto. Zero set lasciati per strada per Nadal, uno per Djokovic, insieme a un numero mai troppo significativo di game. Venivano però da due semifinali diverse. Rafa Nadal era venuto a capo del generoso Schwartzmann senza mai lasciarlo entrare veramente in partita, o meglio: gli aveva dato l’impressione di farlo, nel terzo set, prima di schiacciarlo 7-0 al tiebreak come un insetto fastidioso. Djokovic invece aveva dominato la partita con Tstitsipas, prima di farsi risucchiare l’anima dal greco nel terzo e quarto set. A quel punto Djokovic era Tsitsipas e Tsitsipas era Djokovic. Nei primi due set 0/7 sulle palle break per il greco; negli altri due 1/11 per Djokovic, che poi ha vinto il quinto set 6-1 su un avversario logoro e con qualche problema fisico. Un vero rollercoaster, che però non sembrava aver stancato più di tanto Djokovic. Nadal, invece, nonostante la pulizia del percorso, non era contento di come era arrivato in finale: si è sentito meglio in altri momenti, aveva detto - col senno di poi ci viene da ridere, chiaro.

 

Nadal era il favorito, ma Djokovic trasmette sempre un senso di invulnerabilità. Nessuno quindi si sarebbe aspettato il tre a zero finale, e soprattutto il senso di impotenza di Nole in campo: mai veramente in partita, triste, anemico, sconfortato dal livello di gioco del suo avversario. Djokovic ha messo insieme appena 7 game, 2 nei primi due set. Ha concesso 18 palle break al suo avversario, facendosi minacciare praticamente in ogni turno al servizio.

 

Chi si aspettava una battaglia tra due gladiatori, che è

che dà vita a un tipo di spettacolo creato proprio da loro due, a un certo punto qualche anno fa, è rimasto deluso. In un certo senso ha ragione chi dice che questa del Roland Garros 2020 non è stata una bellissima finale, che ha mostrato alcuni tic dello spettacolo tennistico contemporaneo. I tempi, innanzitutto. I due in campo hanno fatto di tutto per sfidare le soglie di attenzione del pubblico davanti alla tv: arrivavano a ogni servizio con la calma e la cura del chirurgo di fronte a un’operazione a cuore aperto. Nadal si sistemava ciocche di capelli ormai immaginarie, puliva le righe di fondo passandoci il piede, si toglieva le mutande dal sedere; Djokovic, dall’altra parte, palleggiava, palleggiava e palleggiava, e a volte ci sembrava di sentire il rumore dei suoi pensieri. Dovrebbero sbrigarsela in 20-25 secondi, a volte se ne prendono di più, gli arbitri lo accettano perché sono loro. Ma noi che tipo di spettacolo stiamo guardando in quei secondi? Quale sport, oggi, sfida così platealmente le regole dell’intrattenimento televisivo? Quale altro sport ti costringe alla lentezza come il tennis? Si arriverà al punto in cui infileranno dei brevi spot pubblicitari fra la prima e la seconda di servizio di Nadal?

 

Fra un attesa e l’altra, c’è stata la sfida, con Nadal al comando. Djokovic ha giocato male, sbagliato tanto, ma è il solito dilemma dell’uovo e la gallina: era Djokovic a giocare male o Nadal a costringerlo a giocare male?

 

Prima della partita Paul Annacone, ex allenatore di Sampras e Federer, aveva detto una cosa interessante: «Se Rafa gioca normalmente sarà una guerra, ma penso che Novak sia troppo a suo agio nei normali pattern». Lo sapeva anche Nadal, che ha passato la partita a disordinare gli schemi, senza mai giocare una pallina uguale all’altra, a mescolare i ritmi da incantatore. Ha controllato il gioco non con la forza ma attraverso l’astuzia: prima un topspin molto alto e centrale, poi un back radente sul rovescio di Nole, poi un dritto forte e penetrante lungolinea. A Djokovic, che si esalta nei ritmi progressivi, è mancata la terra sotto ai piedi. La partita Nadal l’ha vinta in particolare sulla diagonale sinistra, la solita, non cercando di sfondare, ma piuttosto facendo giocare a Nole palle amorfe e complicate, su cui è difficile spingere o anche solo decidere cosa fare.

 

Non si era mai visto Djokovic così in difficoltà nello scambio da fondo campo: le palle corte provate, tantissime, non erano delle soluzioni tattiche puntuali, tirate al termine di scambi controllati, ma parevano scorciatoie per uscire dallo scambio. Le particolari condizioni meteorologiche avevano reso questo Roland Garros “il paradiso dei dropshot”, come

Sofia Kenin, finalista del torneo femminile di quest'anno, e Djokovic ne ha abusato («Amo i dropshot, forse un po’ troppo» aveva detto in settimana). Nadal sembrava sempre leggere le palle corte in anticipo, era sempre messo bene con i piedi, ma questo, va detto, è valso praticamente per tutti i colpi di Djokovic.

 

Il primo set è stato un 6-0 bugiardo: Djokovic ha giocato abbastanza bene, meno bene di Nadal, ma comunque un tennis che sarebbe bastato per chiunque altro. Eppure Nadal gli ha dato 6-0; solo i 48 minuti che sono serviti per maturarlo raccontano la lotta che c’è stata. Nel secondo set invece Djokovic ha perso il controllo degli errori non forzati. Fra primo e secondo set Nadal ha tirato 21 vincenti e 6 errori non forzati, Djokovic 25 vincenti e 30 errori non forzati. A un certo punto, dopo uno dei rari errori di Nadal, Nole ha allargato le braccia al cielo per ringraziare.

 

Si sono giocati tanti scambi brevi, entro i 4 tiri, e Nadal li ha vinti quasi tutti, anche perché Djokovic ha giocato male ieri soprattutto nei colpi di inizio scambio, il servizio e la risposta, sbagliandone alcune davvero inusuali per lui. Ma anche quando il punto finiva per prolungarsi Nadal sembrava ingiocabile. Eccovi uno scambio del secondo set, con Nadal in versione vintage, a contrattaccare in modo disperato su ogni recupero. La dolcezza del recupero finale sorprende perfino Djokovic, che per un momento ha pensato di arrivarci.

 



In ogni caso ci vuole coraggio per dire che è stata una brutta partita.


 

Nel terzo set Djokovic è rientrato parzialmente in partita, almeno a livello emotivo: dopo aver finalmente strappato il servizio a Nadal ha gridato per diversi secondi cercando di caricarsi. Ma anche nei momenti decisivi Nadal ha giocato troppo meglio e nel 3-0 finale non c’è nessuna esagerazione.

 

È stata una dimostrazione di classe e forza magnifica e gloriosa. Non è assurdo dire che quella di ieri è stata la migliore prestazioni di sempre di Nadal: non la più emozionante di certo, né quella in cui ha dovuto sfidare di più i propri limiti. Ma quella in cui il suo controllo tattico e cerebrale sul gioco si è espresso con la maggiore forza e purezza. Persino Djokovic alla fine della partita si è definito “sorpreso” dal gioco di Nadal. Ha detto proprio «Mi ha sorpreso», che non è una cosa scontata da dire su un tennista che hai affrontato 56 volte in carriera.

 

Quando Nadal vinse il suo primo RG nel 2005 il tennis sembrava entrare nell’epoca dei supercorpi, dell’essere umano che accetta anche l’autodistruttività per mostrarci un tennis impossibile, fatto di corse, servizi e dritti a duecento chilometri all’ora. L'epoca di Nadal dai muscoli ipertrofici, delle grida di guerra su ogni colpo, di un gioco che pare costruito per funzionare in uno spot pubblicitario. Quindici anni più tardi Nadal ha imparato a correre meno e a pensare di più. È passato tempo da quando le sfide con Djokovic erano dei piccoli manifesti del

, di quando la dimensione dell’ultraviolenza sembrava aver divorato tutte le altre, e i tennisti parevano pugili intenti a picchiarsi con la guardia aperta. Lentamente, il tennis è cambiato, aggiustandosi proprio attorno ai nuovi limiti di Nadal e Djokovic. È diventato più tattico, vario e mentale, e oggi non c’è nessun tennista più cerebrale e strategico di Nadal, nessuno che riesce a mettere un pensiero dietro a ognuno dei colpi giocati sul campo. Ed è questo il motivo principale per cui continua a dominare sulla terra, la superficie che più esalta le variazioni e la strategia, affievolendo l’importanza della dimensione atletica. La superficie che forse pone più problemi alla rigidità stilistica di diversi tennisti contemporanei.

 

 




 

I record di Nadal su terra rimangono tuttavia incredibili e misteriosi e,

Federer, hanno a che fare con lo sport in generale e non solo col tennis. Quella di ieri è stata la centesima partita vinta al Roland Garros, a cui fanno da contraltare appena due sconfitte. Il tennis su terra è un’arte che con Nadal ha raggiunto la sua compiuta espressione. Non è possibile giocarci meglio di così e, come negli scacchi, è forse giunto il momento di costruire un’intelligenza artificiale in grado di batterlo.

 

Dopo la partita Nadal aveva gli occhi lucidi, si è detto più triste del solito: «Ma forse è così che deve essere. Bisogna essere più tristi. Tante persone nel mondo stanno soffrendo. (…) Stiamo affrontando uno dei peggiori momenti di sempre. Continuiamo a combattere, passeremo anche questa».

 

Ora ha raggiunto Federer a venti slam ed è quindi uno dei due tennisti più vincenti di sempre. Dopo la partita lo svizzero si è complimentato con grande classe, e Nadal ha detto «Vedremo alla fine delle nostre carriere. Penso che la nostra rivalità sia qualcosa di magnifico». Dall’altra parte è lecito pensare che Djokovic, leggermente in disparte, come al solito impeccabile nei discorsi post-sconfitta, torni nel prossimo slam ancora più affamato.

 

Il tempo continua a scorrere lento.

 

 

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