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Davide Bortoluzzi
My name is Mario
22 giu 2015
22 giu 2015
La storia, il presente e il futuro di Mario Hezonja, il miglior talento del basket europeo del prossimo Draft NBA.
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Davide Bortoluzzi
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Madrid, 5 febbraio 2015. Il Barcellona si presenta al  Barclaycard Center privo delle due guardie principali, Navarro e Oleson, entrambi da diverso tempo ai box per infortunio. I blancos si impongono quindi nettamente (97-73 il finale) con una fuga nell’ultimo quarto, confermandosi la favorita numero uno alla vittoria finale dell’Eurolega, come poi effettivamente avverrà a fine anno. A far rumore non è però il risultato finale ma la prestazione del 20enne Mario Hezonja, che chiude con 22 punti imponendosi in quella partita come leader indiscusso della squadra. Un

apparentemente fine a se stesso, ma in realtà utile a confermare agli occhi del mondo della palla a spicchi che Hezonja è ormai pronto: il prossimo anno andrà in NBA. Nei quasi 30 minuti in campo ha fatto vedere la quasi totalità del suo repertorio fatto di atletismo,

di tiro, potenziale difensivo, irriverenza e cattiveria agonistica che lo rendono di fatto un talento generazionale.

 

 


Il breakdown di quella partita


 



Quella di Hezonja non è una storia di redenzione, di infanzie difficili o tormentate in cui la pallacanestro risulta l’unica via verso la salvezza, ma quella di un predestinato nato e cresciuto in una famiglia ordinaria, in una delle città costiere più belle del Mediterraneo,  anzi “la Perla dell’Adriatico”, Dubrovnik. Papà Roland, ex campioncino giovanile di pallanuoto (al Vaterpolski kub jug, vera e propria istituzione in una città che vive e respira pallanuoto) lavora come agente doganale, garantendo una vita serena alla signora Petrica, a Mario e alla sorellina Nora. L’unico elemento di disturbo in questo scenario di banale normalità viene dal conflitto balcanico, che ha colpito direttamente la splendida città veneziana lasciando una cicatrice anche nella famiglia Hezonja.

 

Tra l’ottobre del 1991 e il maggio del 1992 Dubrovnik fu messa sotto assedio da parte dell’esercito jugoslavo, nelle prime fasi della guerra di indipendenza croata. I cittadini , sotto la minaccia delle bombe, reagirono formando un corpo di volontari di guerra, come successo nella città assediata di Vukovar qualche tempo prima. Tra questi anche papà Ronald, che dopo aver servito nella marina si ritrovò al comando di un battaglione di 80 uomini. In guerra si ritrovò anche il 25enne Mario Matana, fratello della signora Petrica, che perse la vita il 10 novembre sul monte Srd, l’altura che sovrasta la città e che fu sede di una delle più sanguinose battaglie di quel conflitto. È quindi abbastanza facile capire da dove Hezonja abbia ereditato il nome di battesimo.

 

La pallanuoto è lo sport dominante nella città dalmata, tanto che alcuni dei più illustri rappresentanti della palla al cesto nati in città — tra cui Nikola Prkacin, Ante Tomic e Luksa Andric — l’hanno praticata o la continuano a praticare nel tempo libero. Lo stesso Mario non inizia con la pallacanestro ma con il calcio, per poi arrivare alla pallacanestro attorno agli 11 anni. Un percorso molto comune, specie nei Balcani, dove l’educazione sportiva ha radici storiche molto profonde, come raccontato da Sergio Tavcar nel suo libro

:

 

“Nel sistema sportivo che vigeva nella vecchia Jugoslavia, lo sport di base era praticato quasi esclusivamente a scuola, dove gli alunni si dedicavano a tutti gli sport possibili, in particolare a quelli di squadra, e cioè calcio, pallavolo, basket e pallamano, salvo poi, ad un’età che ai nostri occhi appariva più che matura, verso i 14-15 anni, usciti dalla scuola dell’obbligo, a seconda delle proprie inclinazioni e magari della tradizione del luogo, sceglievano lo sport da praticare entrando a far parte di un club organizzato…”

 

Il processo di crescita di Hezonja nella pallacanestro però è esponenziale: a soli 14 anni esordisce nella prima divisione croata con il KK Dubrovnik, e di li a poco si inizia a parlare di lui con sempre maggiore insistenza, e paragoni sempre più ingombranti fino a sfiorare il blasfemo, tanto da essere avvicinato come precocità e talento all’allora “diavolo di Sebenico”, Drazen Petrovic. Nel 2010 Hezonja si sposta a Zagabria, sponda KK, al tempo uno dei club più ricchi e influenti della zona Balcanica — prima di risprofondare nella mediocrità a causa dell’esaurimento di risorse del mecenate di turno.

 



Nel 2010-2011 Hezonja gioca al fianco dell’altro Golden Boy della nuova generazione croata, Dario Saric, e insieme vincono tutto il possibile a livello giovanile di club, dominando il torneo Next Generation dell’Eurolega nelle finali di Barcellona e venendo invitato al Jordan Brand International Game. Ma è nell’estate del 2011 che avviene la definitiva esplosione, ed anche in questo caso, in un parallelismo che sfiora la blasfemia, ci viene in aiuto Tavcar con il suo libro:

 

“A metà stagione dovetti fare la telecronaca di un match di Coppa Korac che vedeva opposti il Sibenka a la sempiterna squadra di Rieti che allora si chiamava Acqua Fabia. Era finalmente l’occasione di vedere all’opera il giovane fenomeno del Sibenka che intanto aveva cominciato a far parlare di sé con i continui bottini sopra i 10 punti in campionato. Comincia la partita. Prima azione. Il bambino imberbe ha la palla, finta a destra, finta a sinistra,

, il suo avversario va per le terre e lui indisturbato va a canestro segnando con la mano destra mentre con la sinistra fa il pugno di giubilo verso il pubblico… Drazen finisce la partita con 26 punti senza un tiro libero”.

 

Giugno 2011, all’Eurocamp di Treviso è invitata la Croazia U19, in preparazione al Mondiale poi vinto dalla Lituania di Jonas Valanciunas. Nella prima giornata si sfidano appunto la Croazia U19 e la Serbia U19, sotto gli occhi di tutti gli scout NBA e di buona parte dei front office della Lega. Tra i 12 del roster croato anche un ragazzo del 1995, Mario Hezonja, che parte in quintetto. Nella prima azione la Croazia ruba palla e Hezonja viene servito in contropiede: schiacciata in

con testa all’altezza del ferro. Azione successiva: Hezonja riceve palla a 8 metri dal canestro con un metro di spazio, senza pensarci fa partire la tripla, solo rete. Da qui, premere “

” di queste giocate per i quasi trenta minuti in campo.

 

Hezonja disputa poi il Mondiale U19 — che la Croazia chiude con un deludente ottavo posto — mettendosi comunque in mostra contro i migliori 1992 (quindi gente 3 anni più vecchia di lui) del pianeta. Ma è all’europeo Under 16 dove “Super Mario” – il suo nuovo, inevitabile soprannome dopo la manifestazione – determina la sua definitiva esplosione. La Croazia chiude in carrozza il percorso verso la medaglia d’oro e Hezonja conquista il titolo di MVP viaggiando a 20 punti e 8 assist di media, a volte dando l’impressione di giocare con il freno a mano tirato e strabordando in alcuni atteggiamenti sopra le righe in quanto ad atteggiamento e linguaggio del corpo. Non sarà l’ultima volta.

 


Che ne dite di 8/8 da tre, per gradire?


 



L’anno successivo, con i riflettori di mezzo mondo puntati addosso, Hezonja attraversa forse la peggior stagione della sua giovane carriera. Il KK Zagabria inizia ad affondare tra i debiti e Mario si trova costretto a fare gli straordinari tra le squadre giovanili juniores e cadetti, fino a quando non si rompe una caviglia. L’infortunio lo costringe per diverso tempo ai box e nel recupero contrae una violenta forma di mononucleosi, che di fatto mette fine alla sua stagione con il club.

 

Nell’estate 2012 Hezonja è la stella di una talentuosissima Croazia che partecipa al mondiale U17 di Kaunas con molte aspettative. La corsa della squadra si chiude in semifinale contro l’Australia, in una memorabile sfida tra talenti NBA contro Dante Exum, da cui Mario esce sconfitto nonostante la performance eccezionale sotto il piano delle cifre (28 punti e 7 rimbalzi). Dopo una stagione carica di difficoltà il Mondiale ha rappresentato un vero e proprio rilancio per le sue quotazioni, dando vita a delle prestazioni eccezionali pur non avendo ancora recuperato del tutto dalla mononucleosi.

 

Nel frattempo la situazione economica del KK Zagabria è precipitata, e alla porta del club bussano tutti i più importanti club croati interessati ai servigi del super talento di Dubrovnik, in particolare Cibona, Zadar e Spalato. Tuttavia, secondo le regole della federazione croata, un giocatore giovanile non può cambiare club all’interno della federazione nei successivi quattro anni senza il consenso del club che ne detiene il cartellino. Stante il rifiuto del KK – che l’anno prima aveva portato Saric al tribunale arbitrale della pallacanestro per motivi simili – Hezonja si trova costretto ad emigrare all’estero. Di lì a poco firma un contratto di 7 anni per il Barcellona, diventando quindi blaugrana.

 



Nell’autunno del 2012 Mario si scontra con le realtà di un colosso polisportivo, in cui anche un talento incensato da media e addetti ai lavori è considerato come parte di un sistema che vanta già stelle affermate e intoccabili. Hezonja viene quindi aggregato al Barcellona B, squadra che militava nella LEB Oro (seconda serie spagnola) e per i tornei internazionali al team under 18. Come ogni anno la squadra B del Barcellona è un melting pot senza capo né coda che raccoglie alcuni talenti mai sbocciati in uscita dalla cantera e alcuni dei più promettenti juniores da testare, tra cui Ludde Hakanson, Marcus Eriksson, Marc Garcia,  Alexandar Zhigulin e Oriol Pauli. Il discorso meriterebbe un approfondimento a parte, ma basti dire che il problema del lancio e dello sviluppo dei talenti a Barcellona è diventato ormai strutturale: molti giocatori si perdono non trovando spazi e a livello di staff tecnico non si lavora sufficientemente sui fondamentali e lo sviluppo del potenziale. Il giocatore diventa quindi un esecutore, vedendosi mortificato nell’espressione del suo talento creativo individuale. Il caso di Hezonja per certi versi non sarà da meno.

 

La mancanza di un contesto tecnico stabile, con l’alternanza tra Barca B e under 18,  e il basso livello della Leb Oro influenzano negativamente lo sviluppo di Mario nel primo scorcio della sua esperienza catalana, durante la quale si trova costretto ad affrontare le prime brucianti sconfitte della sua giovane carriera. Sia nel torneo giovanile dell’Eurolega che nel campionato spagnolo under 18 il Barcellona subisce pesanti sconfitte, e a peggiorare ulteriormente le cose ci pensa la rivale cittadina Badalona – la Penya per i più avvezzi – che domina entrambe le competizioni con la sua generazione d’oro del 1995. Hezonja brilla in campo, con sprazzi di talento cristallino, ma non è supportato dai compagni e da una struttura di gioco all’altezza: di fatto viaggia su un’altra dimensione rispetto a quella in cui è inserito. Per un ragazzo competitivo come lui la situazione è inaccettabile e pertanto iniziano a emergere alcuni atteggiamenti di supponenza durante le partite, episodi che gli creeranno una pessima nomea per gli anni a venire.

 

Ma Mario in realtà — almeno ascoltando chi vive l’ambiente dello spogliatoio — è uno degli elementi più estroversi e amichevoli del gruppo: anche nell’ultima stagione è stato spesso visto ridere e scherzare con Abrines e Hakanson oltre che con quello che è il miglior amico sul campo, lo svedese Marcus Eriksson, che meriterebbe anche lui un capitolo a parte.  La loro amicizia è nata proprio nella difficile stagione 2012-2013 nel Barca B: entrambi grandi lavoratori, spesso si sono ritrovati a fine allenamento da soli sul campo, con Mario a sfidare Marcus in gare di tiro da tre, puntualmente vinte dallo svedese per tutta l’annata. Ed è proprio questo innato spirito competitivo, la voglia di migliorarsi e le aspettative riposte sui compagni che rendono Hezonja un giocatore potenzialmente devastante ma allo stesso tempo difficile da gestire, in un parallelo con gli atteggiamenti di un certo Kobe Bryant descritti da Andrew Sharp in un articolo apparso recentemente

. Ruolo decisivo in tutto questo lo recita coach Xavi Pascual, che si pone nei confronti di Hezonja come un padre severo ma giusto, che ha a cuore anche lo sviluppo caratteriale del giocatore, oltre a quello tecnico.

 

Nella stagione successiva Hezonja viene aggregato alla prima squadra, che è in lizza per tutti i traguardi più importanti d’Europa. Per questo Mario trova poco spazio, meno di dieci minuti di media a partita, e svariate gare interamente passate in panchina durante l’annata, che di fatto riducono sensibilmente il suo appeal NBA e aumentano esponenzialmente la sua frustrazione. Questo porta il suo entourage a cambiare strada: in cerca di maggiori tutele e di un trampolino di lancio verso l’altra parte dell’oceano, scelgono il potente Arn Tellem della Wasserman come agente (recentemente diventato manager dei Detroit Pistons), che in Europa è affiancato dal temuto Alexandar Raskovic.

 

Nell’estate del 2014 Hezonja viene visto in partenza, in prestito verso Manresa per avere minuti e spazio, ma il ragazzo rifiuta perché vuole dimostrare il suo talento al Barça, in attesa della sua opportunità. La stagione inizia con il solito spazio limitato, pur con qualche miglioramento dopo la visita di Tellem dello scorso novembre per

i blaugrana sullo spazio da dare al ragazzo. Ma l’opportunità tanto cercata da Mario arriva quando Navarro e Oleson si infortunano quasi contemporaneamente, lasciando scoperti i ruoli di guardia e ala. Mario ripaga la fortuna capitatagli sciorinando una serie di prestazioni tra Eurolega e ACB che resteranno negli annali, su tutte quelle con Manresa,

, e appunto il

.

 


La recentissima gara-1 di Finale ACB sul campo del Real: 5/5 da tre prima di sbagliarne una da 9 metri e chiudere con 18 punti, 5 rimbalzi e un assist in 25 minuti.




 



La seconda metà della stagione ha definitivamente lanciato Hezonja verso la top 10 del Draft di giovedì notte: considerando che la Detroit del suo ex agente Tellem sceglie alla 8 sarà difficile vederlo scivolare oltre quella posizione, ma potrebbe venir scelto anche prima. Il contratto siglato nel 2012 prevedeva un’opzione per il Barcellona – in scadenza lo scorso 31 maggio — di estendere il contratto per gli ulteriori 4 anni a cifre crescenti (500.000 euro la prima stagione fino a 1.500.000 euro). Ovviamente la società catalana ha esercitato l’opzione e attualmente il buyout di Hezonja si attesta attorno ai due milioni di euro, che pare potrebbero essere coperti dalla sua agenzia per liberarlo e farlo andare in America.

 

Perché Hezonja ha in testa solo l’NBA, e per stile di gioco e caratteristiche fisiche ha tutti i mezzi per poter esplodere definitivamente tra i Pro, nonostante le aspettative e i paragoni siano pesantissimi. Non è infatti un segreto che l’ultima guardia croata a valicare l’oceano per fare sul serio scrisse la storia di questo gioco: venne chiamato “Mozart dei Canestri”, e Mario Hezonja proverà a riprendere lo stesso spartito.

 

 

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