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Redazione
Chi è l'MVP della Serie A?
15 mag 2015
15 mag 2015
8 possibili candidati al premio ipotetico.
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Stan Laurel, che non è stato solo lo Stanlio di

ma anche un bravo regista, ha ricevuto nel 1961 un Oscar onorario. A me questa storia dell'Oscar onorario conferitogli ha sempre fatto ridere molto, ma anche messo una punta di tristezza, quella malinconia stizzita che si prova per le ingiustizie. Come sarebbe a dire

? Non sarebbe stato più elegante assegnarlo direttamente alla coppia?

 

In realtà a Stan non andava troppo a genio la trovata del duetto: non tanto per una questione di antipatie, quanto per via dell'ambizione. Sognava un futuro diverso per lui, puntava a un altrove molto più elevato, mentre invece Hardy la vedeva come una maniera migliore di molte altre, e forse più rapida e facile, di arrivare alla consacrazione.

 

Non voglio dire che Paulo Dybala sia Stanlio e Franco Vazquez Ollio. Forse un po' sì, a estendere il paragone, ma il punto non è questo, o almeno non del tutto.

 

Il concetto di MVP ha una sua componente oggettiva inscindibile da quella soggettiva, per la quale contano

e

più dei dati. L'infatuazione mette sempre un po' d'ansia e insicurezza: ora non sono neppure più certo che si possa tessere un parallelo tra un Oscar a un titolo MVP. Mi pare pacifico, però, e ragionevole, candidare il ventunenne argentino, la Joya, a un riconoscimento per quello che ha fatto quest'anno: non è solo per la posizione in classifica marcatori che ricopre, ma per la rilucenza con la quale ha tenuto fede al soprannome che gli è stato affibbiato,

.

 


Paulo Dybala chiede se possiamo fargli uno squillo quando verrà nominato MVP della Serie A 2014-15.



 

I sintagmi

e

sembrano inaccostabili, o almeno degni dell'uso di un aggettivo come

: eppure a guardarlo giocare Paulo dà proprio quell'impressione. Nonostante la mole davvero ridotta riesce a sovrastare gli avversari: il suo

, non mi viene un verbo performativo migliore di questo spagnolo, la sua rimarcabilità è l'esatta formula di talento+senso della posizione+fame. E poi riesce a trasformare ogni partita in una compilation di skills. Il

con il quale se ne va al centrocampista del Napoli prima di lanciare per Vazquez (che appoggerà a Rigoni che farà gol) è uno dei gesti tecnici più alti che si siano visti quest'anno in Serie A, e se la domanda è

la risposta, per me, è un

grosso così.

 

Forse essere l'MVP di una squadra di medio-bassa classifica riesce più semplice che non esserlo di un Campionato. Un mio amico palermitano mi ha fatto notare anche che MVP è l'acronimo per l'espressione

, che è poi il risultato massimo che possono ottenere i giocatori del Palermo, vale a dire svegliare appetiti di squadre più grandi.

 

Quando a Stan Laurel hanno dato l'Oscar, Oliver Hardy era morto da 4 anni.

Vazquez, invece, è vivo e vegeto. Forse sarebbe stato gentile (e onesto) candidarli come MVP della Serie A insieme, come fossero un'unica entità, il Dybalavazquez. Chissà che non avrebbe avuto maggiori chance di vittoria.

 



 





 

In questa stagione non esiste nulla di paragonabile, per quanto riguarda l’impatto di un singolo giocatore sul campionato di una squadra, all’esplosione di Felipe Anderson nella Lazio di Pioli.

 

Passato da misterioso giocatore di rotazione a vero trascinatore in pochi mesi, il 7 della Lazio è secondo me l’MVP di questa stagione di Serie A. Ovvero il giocatore il cui valore ha pesato maggiormente nell’ottima stagione della squadra. Felipe Anderson, con la sua velocità nel puntare l’uomo e il suo controllo del pallone in corsa, ha permesso alla Lazio di raggiungere probabilmente il massimo del proprio potenziale. Pioli si è trovato in squadra un giocatore che risponde al profilo perfetto della stella che serviva alla sua Lazio: tecnico, creativo, veloce, con visione di gioco e che vede la porta. Cosa chiedere di più?

 

Come il Mario dei videogiochi quando prende la stellina magica che lo rende invulnerabile, Felipe Anderson ha momenti della partita in cui quando prende palla (da qualsiasi punto del campo) risulta imprendibile per la difesa avversaria. Anche provando a leggere in anticipo la direzione della corsa, non si riesce a fermarlo. Per aggiungere un numero al discorso: con 101 dribbling riusciti è dietro in tutta la Serie A solo a Franco Vázquez (121), che però ha giocato 5 partite in più (o 1102 minuti per essere precisi). Pochi giocatori in Serie A sono esaltanti palla al piede e allo stesso tempo efficaci quanto Felipe Anderson: i suoi numeri non sono mai fini a sé stessi, ogni azione porta a un risultato: il range va da un calcio d’angolo guadagnato, a un passaggio chiave, o magari un assist, fino a un gol da fuori area. Le armi per far male a una difesa sono quindi tantissime, e in questa stagione le ha sapute sfruttare tutte.

 

https://youtu.be/-ypcuFEjKrw?t=3m32s

Ecco qui l’MVP che prende la stellina di Super Mario. Dopo un assist per il primo gol di Parolo e un suo gol da fuori area, decide di farsi tutto il campo prima di assistere il compagno solo davanti alla porta.



 

Quando ha segnato la sua squadra non ha mai perso. Inoltre ha retto benissimo la pressione mediatica, non abbassando il livello dopo l’esplosione improvvisa e segnando persino in una partita che stritola i più fragili psicologicamente come il derby di Roma. Una stagione personale perfetta per un giocatore ancora di 22 anni, che tra le stelle del campionato è quello che più di tutti sta “pesando” nei risultati estremamente positivi della sua squadra.

 



 





 

Iniziamo col dire che Ménez non ha alcun reale motivo per essere in questa classifica. Non allaccia neanche le scarpe agli altri candidati, su questo non ci piove. Però, come si suol dire,

.

 

L’esperienza di un anno vissuto con Ménez è un lavoro decisamente sporco: perché gli appassionati delle altre squadre magari avranno visto solamente gli highlights dei suoi gol e delle sue giocate, oppure avranno visto il suo nome sempre tra i primi posti della classifica marcatori, ma si sono persi tutto il resto. Le palle perse a centrocampo, i dribbling sbagliati, i passaggi ignorati, la fase difensiva inesistente, il senso tattico pari a zero, l’insofferenza verso i compagni, gli atteggiamenti così tremendamente

in ogni cosa che fa. Tutto questo rappresenta il 90% dell’Esperienza Ménez lungo tutto l’arco di un campionato, ed è oggettivamente insopportabile. Poi però c’è l’altro 10%.

 

https://youtu.be/ox2k43OCW1k

Una scarica di adrenalina che incontra un talento insensato.



 

Se per “

” si intende “il più importante per i destini della propria squadra”, allora sono pronto a dire che non c’è stato un singolo giocatore altrettanto importante per una squadra quanto lo è stato Ménez per il Milan in questa stagione. Bisogna partire dal fatto che Ménez non è stato semplicemente il miglior giocatore di questa stagione: Ménez è stato

del Milan di questa stagione. Per ampi stralci di questo campionato lo schema (?) di Inzaghi (??) è stato quello di “dare palla a Jérémy e poi ci pensa lui”, in qualsiasi zona del campo si trovasse, spesso come falso 9 per non farlo correre e difendere e dargli spazio dove poter correre libero

(a proposito, quanto ci starebbe bene uno con la faccia di Ménez con Vin Diesel?).

 

Chiaro che con un volume di palloni così ampio a disposizione i suoi numeri (tanto statistici quanto

) siano schizzati alle stelle—è come quando a un rookie NBA viene permesso di mettere su tutte le statistiche possibili perché tanto la squadra

. Ma visto che la continuità nel corso del campionato o della stessa partita non è mai stato il forte di Jérémy (eufemismo), i risultati

sono stati pessimi. Questo non toglie che su singola giocata—una, unica e indivisibile, la seconda è già un’avventura—Ménez è innegabilmente uno dei giocatori più forti della Serie A. Perché la sua combinazione di tecnica, dribbling, velocità e tiro con entrambi i piedi lo rende oggettivamente imprendibile (chiedere a

) e davanti alla porta, almeno in questa stagione, è stato perfetto o quasi, segnando 16 gol sui 48 realizzati dall’intera squadra. (Certo, 8 su rigore, però vanno anche segnati, no? Il secondo del Milan, Honda, si è fermato a 6

).

 

Questa è stata senza ombra di dubbio la miglior stagione della sua carriera. Il fatto che sia coincisa con una delle peggiori dell’intera storia del Milan potrebbe non essere del tutto un caso.

 



 





 

Febbraio 2006, Gonzalo Higuain realizza il suo primo gol con la maglia del River Plate, in una partita al Monumental di Buenos Aires contro il Banfield: in tv compare il suo nome in sovrimpressione con la scritta “mediocampista—18 años”.

 

Non era un errore, o almeno non del tutto: era un attaccante ma giocava spesso sulla fascia, e in prima squadra non era ancora troppo conosciuto; c’era Radamel Falcao in quel River, il vero centravanti classico, che però in quel Torneo Clausura era infortunato.

 

Quell’indecisione grafica ci dice molto anche sull’Higuain di oggi, e sul percorso tecnico che ha seguito: i sacrifici nel Real Madrid di Schuster per giocare ala destra, i movimenti ad allargarsi per creare spazio a Cristiano Ronaldo, tutto questo è servito a renderlo un giocatore completo, il primo vero numero 9 all-round.

 

Non c’è altro centravanti come lui in Serie A, anche se è solo quarto nella classifica cannonieri: i suoi 16 gol, combinati ai 7 assist decisivi, raccontano solo una parte della storia del Pipita nel Napoli.

 

La sua importanza nei movimenti offensivi di Benitez non è descritta bene neppure dalle 27 reti complessive in stagione, coppe comprese: Gonzalo allunga le difese avversarie per creare spazio alle tre mezzepunte e a volte si traveste da falso nove per attirare un avversario fuori posizione.

 

Forse Higuain non è il miglior giocatore della Serie A, e la sua squadra non vincerà lo scudetto, anzi: eppure è un MVP perché nessuno come lui fa giocare bene i compagni e incide nelle sorti della sua squadra.

 

Dategli un centrocampo di livello, che non lo costringa (come nel Napoli) a dettare sempre i tempi di gioco, i passaggi e i movimenti, e vi solleverà il campionato.

 

Nessuno è allo stesso tempo così egoista e così altruista; nessun centravanti disegna delle pennellate così da fuori area, eredità e trasposizione calcistica dei geni artistici della madre pittrice.

 

Higuain è l’MVP perché in uno sport dal punteggio mediamente basso, i suoi gol e il suo lavoro di squadra ti permettono di giocare con più sicurezza. Un MVP non molla mai, si lamenta sempre per le sostituzioni, non è mai contento, e non gli importa di aver segnato se la sua squadra non ha vinto.

 

Higuain è l’MVP della Serie A perché tutti i tifosi, i giocatori e gli allenatori lo vorrebbero nella propria squadra: un giocatore che viene dal futuro, quando i numeri 9 spazieranno su tutto il fronte d’attacco, segneranno gol in tutti i modi possibili, e sapranno giocare anche da ala e da trequartista.

 



 





 

A dispetto di quello che potreste pensare, una ragione per assegnare il premio di MVP a Mauro Icardi esiste ed è di natura politica.

 

Qui si rischia di scivolare nel paludoso terreno della retorica, ma nell’epoca dei falsi attaccanti e delle

, vedere Icardi galleggiare sornione sul fuorigioco avversario ha quasi un sapore vintage. L’Inter è l’unica tra le “grandi” ad aver costruito il proprio progetto tecnico attorno a un centravanti che interpreta il ruolo in modo old school—non la Juventus, che ha in Morata un attaccante veloce che ama allargarsi sulle fasce; non il Milan, che ha giocato l’intera stagione con Ménez falso nueve; non il Napoli, che ha in Gonzalo Higuain un panzer inumano in grado di essere incisivo da qualsiasi punto del fronte offensivo; di certo non la Roma, dove ormai da anni il centravanti è sinonimo di volgarità. Un progetto tecnico in parte fallimentare, ma non certo per colpa di Icardi, che in alcuni tratti della stagione ha retto la baracca quasi da solo, pur senza perdere eleganza (Icardi non sembra mai davvero affaticato, è questo uno dei motivi per cui la gente non lo sopporta?).

 

Icardi infatti non è solo un finalizzatore, ma un finalizzatore stupendo da vedere: la bellezza dei suoi gesti sta nella cura di dettagli, non sempre appariscenti, che lo rendono un attaccante sopra la media. Sono delle cose quasi da “amanti del genere”, simili alle rifiniture che rendono una

ma che sfuggono all’occhio di chi fuma solo sigarette.

 

Per esempio

con cui va a ricevere un filtrante aggirando Bonucci, e poi sfrutta difensore e portiere come coordinate spaziali per mettere il tiro in un corridoio complicato. Il

verso la porta nel momento della finta di tiro di Guarin (tra i giocatori che tira di più in Serie A). Il

per scappare alle spalle del difensore della Lazio. Piccole cose capaci di riassumere bene il talento istintivo di uno che del calcio, a quanto pare, non sa niente e

, al di là del gioco in sé.

 

https://www.youtube.com/watch?v=Q6FBNG7e_gk

Il gol alla Juve è il mio preferito perché è quello che riassume meglio il modo in cui Icardi può risultare decisivo.



 

Si muove così bene che la sua costruzione del gol è quasi sempre minimale:

, come se fosse dotato di un particolare tipo di freddezza che gli fa capire qual è il tiro migliore “da prendersi”

, anche in

. Icardi ha, non a caso, uno dei migliori rapporti tra numero di tiri e gol: ha bisogno di 5 tiri e mezzo per segnare, solo Tévez ha fatto meglio in Serie A.

 

Definire Icardi un “centravanti di mestiere” sarebbe irrispettoso, è piuttosto un artista del ruolo. Assegnarli il premio di MVP sarebbe abbastanza ingiusto, ma sarebbe se non altro una scelta politica forte.

 

Premiare il migliore in un ruolo sempre più raro significherebbe sposare un modello di calcio fondato sugli specialisti e non sui giocatori “totali”; più filosoficamente: il modello rigido a quello liquido, la stabilità alla flessibilità; rifiutare un calcio in cui la seconda in classifica ha in Adem Ljajic il suo miglior marcatore.

 



 





 

Non c’è contesa, l’MVP della Serie A è Paul Pogba. Io interpreto l’acronimo in maniera letterale: Most Valuable Player, il giocatore più prezioso. Pogba oggi vale più di un

, ogni giorno i quotidiani danno un aggiornamento sull’asta che coinvolge tutte le grandi d’Europa, nessuno esclusa. Ancora un po’ e in Corso Ferraris a Torino monteranno un totalizzatore. È arrivato a parametro zero dal Manchester United ed è destinato a far segnare la più grossa plusvalenza del calcio nostrano.

 

Pogba è l’MVP perché ha messo in campo risorse fisiche e tecniche straripanti, irraggiungibili per chiunque altro. Dal suo arrivo a Torino, nell’estate 2012, è cresciuto di livello a ogni stagione. Ha iniziato da numero 4, è esploso definitivamente da numero 8, ha nel destino e nei piedi un futuro da numero 10. Ha il fisico, ha il dribbling nello stretto, ha la progressione in campo aperto, ha il tiro da fuori con entrambi i piedi, ha senso tattico, ha tecnica, ha spirito di sacrificio. È un dominante alla Ibrahimovic, è il maschio alfa di centrocampo.

 

Ho capito che a fine campionato Pogba sarebbe stato l’MVP già nel mese di novembre quando, nel primo match dentro o fuori della stagione, contro l’Olympiakos, decise la partita con un suo gol. Non è solo per la rete in sé, ma per come ci arriva: pressa a centrocampo il terzino avversario, che finisce per perdere palla; gli restituiscono palla al limite dell’area, lui la protegge col corpo dall’attacco di due difensori; quindi prova a servire l’inserimento di Tévez con uno scavetto, sulla respinta colpisce al volo di destro in girata. Quindici giorni dopo demolì la Lazio, con due gol che sono lì a testimoniare uno strapotere arrogante e inarrivabile. E quella traversa nella stessa partita, dalla mattonella di Del Piero, che ancora grida vendetta.

 

https://www.youtube.com/watch?v=xP5HoKpnIrI

La partita di un MVP.



 

Nessuno oggi può intravedere il limite della crescita di Paul Pogba. Quando fa qualcosa di importante in campo, o anche solo qualcosa di tecnicamente abbagliante, o di fisicamente abbagliate, su Twitter compare puntuale il solito tweet: “Attention people, he’s still 22”. Ha ancora 22 anni. Chi ama il calcio muore dalla voglia di capire cosa potrà ancora fare Pogba per il

. Zidane arrivò alla Juventus dal Bordeaux, all’epoca fresco ventiquattrenne, e probabilmente non era forte quanto il Pogba di oggi.

 

Vedrete: presto allo Juventus Stadium sostituiranno l’inno di Paolo Belli con "

" dei Pink Floyd.

 



 





 

Salah sembra fuori posto in Serie A. È arrivato per caso, infilato nello scambio che ha privato la Fiorentina e il campionato di Cuadrado, che a questo punto della stagione sarebbe stato senz'altro tra i possibili MVP, se fosse un premio vero. Sembra anche che sia qui di passaggio. “(...) Con possibilità di estensione per la stagione 2015-2016 e successivamente possibilità di esercitare il diritto di opzione per l'acquisizione definitiva”. Il messaggio con cui la Fiorentina lo ha presentato non è chiaro, non ci sono le cifre, non si parla di un possibile contro-riscatto del Chelsea (e mi stupirei se non ci fosse).

 

In compenso su transfermarkt.com si parla di eventuali “1-2 milioni di euro” per prolungare di un anno il prestito. Siamo abituati a pensare alla Serie A come un campionato in decadenza e, sempre su transfermarkt.com, Salah valeva 13 mln appena arrivato a Londra e trasferendosi a Firenze si è svalutato fino a 10 mln. Poi, grazie all'impatto che ha avuto sul campionato italiano (6 gol e 1 assist nelle prime 6 partite) è risalito, ma solo fino a 12 mln. Il valore di Salah, in sostanza, dipende dal giudizio di Mourinho: se vale davvero qualcosa Mourinho lo rivorrà indietro, se invece ce lo lascia significa che Salah non è un campione. Mourinho lo ha mandato in Serie A a farsi le ossa come un tempo dalla Serie A si mandavano i giovani in Serie B o C. Il nostro campionato è il suo Purgatorio. Salah è un rifugiato politico come lo era Tévez quando è arrivato alla Juventus. Come Gervinho ripudiato da Wenger. Come Higuain scartato per Benzema, come Shaqiri e Podolski, come Ménez, come Perotti.

 

C'è una zona neutra che separa i giocatori davvero unici da quelli semplicemente strani, e Salah è ancora lì. Con un'elettricità rara (intesa come grande tecnica più grande intensità) e l'anarchia di chi non ha mai dovuto pianificare il proprio gioco. Non è un giocatore futile, di quelli che sembrano guidati da un quindicenne con il joypad in mano. Il joypad di Salah ce l'ha in mano lui, solo che ha il tasto R1 incastrato, sarebbe stato il giocatore perfetto per i vecchi PES in cui si poteva sprintare in mezzo agli avversari. Può correre cento metri toccando la palla il minor numero possibile di volte per cambiare direzione, con un controllo che hanno in pochi. Ma a calcio si gioca in undici e a volte dopo aver saltato due, tre avversari, lo ferma il quarto. In realtà Salah può giocare in qualsiasi modo purché ci sia abbastanza intensità, può triangolare in un fazzoletto e servire un compagno sulla corsa con un tunnel sul suo avversario diretto (è successo contro l'Empoli), può sterzare sul posto finché al suo marcatore vengono le vertigini, può giocare a due tocchi.

 

Magari non è la Serie A, o la Fiorentina, il contesto adatto per Salah, ma se a lui andasse di restare, e se Mourinho ce lo lasciasse, potrebbe diventare un giocatore completo, seguire l'esempio di Tévez: se nessuno sa gestirti diventa te il leader. Se il campionato in cui giochi non può permettersi Neymar, pensaci te a non farlo rimpiangere. Questi, secondo me, sono i giocatori di maggior valore.

 



 





 

Carlitos Tévez è “El jugador del pueblo” non solo per Fuerte Apache, l’infanzia complicata, l’amico ucciso dalla polizia, ma per come gioca a calcio, che è uguale a come ha imparato a fare per le strade di Fuerte Apache. Tra gli attaccanti che giocano in Serie A Tévez non è il più veloce. Non è quello che tocca con più sensibilità il pallone. Non è quello che ha il tiro più forte o preciso. Non è quello con più forza fisica. Non è quello che salta più in alto di tutti. Però, è il più forte di tutti. O meglio, da due anni è il più forte di tutti nella squadra più forte di tutte. Il migliore del gruppo, ma non così tanto più forte degli altri, non uno di quelli baciati in fronte dal talento. Semmai è quello che ha imparato tutti i trucchi che servono per vincere le sfide contro gli altri ragazzi del quartiere: lo smarcamento non è qualcosa che gli è stato spiegato in termini di spazio e tempo, ma una necessità affinata per potere ricevere il pallone contro quelli più alti e grossi di lui. La determinazione non viene da discorsi motivazionali, ma è un elemento fondamentale per vincere le partite nel barrio. Il suo gioco non è mai barocco o didascalico, ma diretto ed efficace come il calcio della strada.

 

https://www.youtube.com/watch?v=sBuNVUOFScg

29 gol e 9 assist in stagione. And counting…



 

Chi si occupa della formazione dei giovani calciatori parla della carenza di giocatori di puro talento venuti fuori negli ultimi tempi in Italia, indicando in quella di Baggio, Totti e Del Piero l’ultima generazione d’oro del calcio di casa nostra. Non a caso, si dice, l’ultima generazione che ha giocato per strada o all’oratorio. Ci sono le scuole calcio, ma forse è vero che manca, o è minore rispetto a un tempo, la possibilità di toccare la palla ogni giorno, sviluppando le capacità coordinative giocando liberamente, affinando istintivamente la tecnica con palloni e superfici sempre diversi e quasi mai ortodossi, migliorando la comprensione individuale del gioco esponendosi continuamente a situazioni diverse e non standardizzate, aumentando l’abilità nella competizione che il gioco non mediato da adulti ti fornisce. Si fa un gran parlare di come ricreare il calcio da strada per produrre nuovamente campioni e non so quanto di vero ci sia in queste considerazioni, ma è bello veder giocare Tévez e vedere i segni evidenti di una maniera antica di imparare il gioco del pallone. Oltre che per tutto il resto, anche per questo Carlitos è il mio MVP.

 



 
 

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