
Un monolite bianconero è tornato a dominare il calcio italiano, minacciando la possibilità per tutte le altre squadre di essere competitive. La Juventus è di nuovo un enigma insuperabile per le sue avversarie e l’Inter di queste ultime settimane non era probabilmente la squadra più adatta a trovarne la chiave.
Capita, allora, che la semifinale meno aperta di Coppa Italia non sia quella tra Milan e Alessandria, ma quella tra Juventus e Inter, due squadre che nonostante il sorpasso bianconero vengono considerate rivali per lo Scudetto. Eppure allo Juventus Stadium la differenza è parsa abissale: tutte le difficoltà nerazzurre si stanno concretizzando in questo difficile inizio di 2016, con solamente 2 vittorie nelle ultime 6 partite.
La Juve è troppo solida e sicura di sé per pensare che ci possa essere davvero una competizione alla pari: per ribaltare le gerarchie la squadra di Mancini avrebbe bisogno di risorse che per ora non ha e questa semifinale non ha detto solamente che la Juve è più forte, ma che tra le due squadre c’è una distanza troppo grande perché non venga fuori in una competizione lunga come il campionato.
Visioni comuni
Le scelte di Allegri e Mancini all'inizio sono simili. È vero che la Coppa Italia si presta sempre al turnover, ma è interessante notare come nessuno dei due abbia rinunciato ai propri pilastri difensivi. Allegri non risparmia Bonucci e del trio titolare manca solo Barzagli, rientrato da poco da un infortunio (al suo posto Cáceres). Mancini non rinuncia a nessuno del trio formato da Handanovic, Murillo e Miranda, su cui ha costruito le fondamenta della propria squadra.
A centrocampo e in attacco, invece, entrambi gli allenatori danno una possibilità a chi ha giocato meno ultimamente: Asamoah e Morata (in coppia con Mandzukic) da una parte; Kondogbia, Jovetic e Biabiany (a completare il tridente con Ljajic) dall'altra.
È difficile seguire il piano gara dell’Inter, che comincia aspettando la Juve nella propria metà campo in un 4-5-1 dalle linee poco compatte. I nerazzurri provano a togliere spazi alla manovra juventina, ma sono tutt’altro che impeccabili e lasciano dei buchi anche quando provano a difendere schierati.

Le linee nerazzurre sono piuttosto larghe. Per Bonucci è facile trovare Pogba alle spalle del centrocampo interista.
È un atteggiamento che dura poco: una costante del primo quarto della partita è Medel che si gira a urlare i compagni per farli uscire in pressione. È difficile stabilire se sia un ordine di Mancini eseguito dal cileno o se semplicemente Medel veda la squadra troppo piatta e passiva e provi a svegliarla con la sua grinta. Fatto sta che l’Inter non aspetta più la Juve, ma prova ad attaccarla fin dall’inizio azione.
Anche i tentativi di pressing alto, però, sono poco organizzati. Medel in pratica inizia a correre dietro a Bonucci e Chiellini, che cominciano il giro palla juventino, ma alle sue spalle i compagni si muovono con scarsa coordinazione per coprire la sua uscita e rendere efficaci i tentativi di recuperare in zone alte il pallone. A fine partita le riconquiste nella metà campo bianconera saranno appena 5.

Asamoah potrebbe essere potenzialmente circondato, ma i tempi di uscita dei giocatori nerazzurri sono sbagliati, le distanze sono grandi e il ghanese avrebbe la possibilità di girare subito il pallone in campo aperto a Evra. In realtà Asamoah perde un tempo di gioco e finisce col tornare indietro.
L’Inter viene salvata dalle imprecisioni tecniche e dalla scarsa visione di gioco della catena di sinistra della Juve, indebolita dallo spostamento a destra di Pogba e dalla presenza di Asamoah. I bianconeri non sembrano particolarmente interessati a sfruttare questo punto debole della squadra di Mancini, ma si accontentano di saltare il pressing nerazzurro cercando direttamente i due attaccanti, sia con palle alte che con verticalizzazioni a terra, servendo soprattutto i tagli verso sinistra di Morata, confidando nella sua forza fisica e in quella di Mandzukic. L’alternativa è il cambio di gioco verso Cuadrado, per sfruttarne le qualità nell’uno contro uno: il colombiano chiuderà la partita con 3 dribbling riusciti, più di tutti nella sua squadra.
La fatica di risalire il campo
L’Inter, da parte sua, non riesce a uscire dal pressing della Juve: con il tridente Jovetic-Ljajic-Biabiany è obbligata a costruire le proprie azioni palla a terra, ma le idee su come portare il pallone sui piedi dei tre attaccanti sono davvero poche.
Kondogbia si abbassa a inizio azione, non tanto per la sua visione di gioco, ma perché è l’unico centrocampista, per caratteristiche fisiche e tecniche, in grado di far guadagnare campo alla squadra avanzando palla al piede. Né Melo né Medel, però, compensano il suo movimento alzandosi alle spalle del centrocampo juventino (e verrebbe da chiedersi quanto sarebbero pericolosi anche se facessero quel movimento con continuità), mentre Ljajic e Jovetic si muovono sempre incontro al pallone, spesso nella stessa posizione.
Il risultato è che le possibilità di risalire con la Juve schierata sono ridotte al minimo e legate indissolubilmente alle iniziative personali di Ljajic e Jovetic (il primo è il giocatore nerazzurro che ha creato più occasioni, 2, mentre il secondo è stato più efficace nei dribbling, 3 riusciti sui 5 tentati, ma ha perso 16 palloni).

Tutte le difficoltà dell’Inter nel costruire l’azione. Biabiany ha appena ricevuto da Medel, Melo e Jovetic si muovono in appoggio, Kondogbia è fermo e Ljajic è sulla fascia opposta, fuori inquadratura. La trequarti bianconera è vuota e non c’è possibilità di guadagnare campo.
Le difficoltà nel costruire un’azione pulita palla a terra sono determinanti in occasione del rigore che sblocca la partita. Murillo prova a saltare il pressing bianconero con un lancio lungo sul quale Jovetic viene sovrastato da Bonucci. Pogba recupera il pallone dominando su Nagatomo e le distanze tra i giocatori interisti sono ancora una volta troppo ampie per andare immediatamente alla ricerca della riconquista della palla. Melo non attacca Cuadrado, Miranda non segue Morata, Murillo cerca di recuperare, ma finisce per commettere fallo e indirizzare la gara.
A quel punto la Juve, che già non era stata particolarmente aggressiva, si sistema tranquilla nella propria metà campo, limitando il pressing a particolari situazioni (rinvii dal fondo, quando la palla viene giocata sulla fascia), senza mai forzare i tentativi di recupero, ma aspettando semplicemente che l’Inter le consegni il pallone.
Una situazione che ha esaltato Cuadrado, che con molto spazio a disposizione è stato devastante e con le sue corse palla al piede ha determinato le due azioni decisive del secondo tempo, il 2-0 e l’espulsione di Murillo.
Il 3-0 ha messo ancora una volta a nudo i problemi dell’Inter nel fare un pressing organizzato, accentuati dall’inferiorità numerica.

Brozovic esce su Chiellini, ma non è coperto in maniera adeguata dai compagni. Asamoah ha spazio per ricevere e stavolta fa la cosa giusta, girandosi e servendo Dybala, che parte alle spalle di Medel e Kondogbia.
Dal derby contro il Torino le uniche due partite non vinte dalla Juventus sono state contro Borussia Mönchengladbach e Siviglia in Champions League. Anche contro l’Inter la Juventus ha vinto 3-0 tirando 4 volte in porta, lasciando il 57% del possesso palla a una squadra che aveva poche idee su cosa farsene. In Italia ai bianconeri basta fare il minimo indispensabile in fase offensiva per vincere, forti di una solidità difensiva invidiabile e di una combinazione di qualità e fisicità che non ha nessuno. E senza mettere in discussione il lavoro straordinario di Allegri e la rimonta eccezionale della Juventus, viene spontaneo chiedersi se l’abitudine al minimo sforzo non si rivelerà pericolosa contro avversari con mentalità e mezzi adatti per attaccare in maniera organizzata. Tipo il Bayern di Guardiola.
E in fondo qual è la differenza tra Juve e Inter? Che i bianconeri fanno meglio quello che vorrebbero fare i nerazzurri: difendersi in maniera compatta, non concedere spazi alla manovra avversaria, sfinire e innervosire i propri rivali e avere la pazienza di aspettare che il talento dei suoi giocatori di maggiore qualità si esprima. I movimenti sono organizzati, ci sono molti riferimenti di gioco, le transizioni sono ben coordinate. Insomma, la Juve è tornata la schiacciasassi del calcio italiano, dove il calcio reattivo, più che quello proattivo, sembra la strategia dominante per vincere le partite e, forse, i trofei. Napoli e Bayern permettendo.
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