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Andrea Cassini
Ai Mondiali di scacchi ha vinto l'imperfezione
02 mag 2023
02 mag 2023
La finale tra Ding Liren e Ian Nepomniachtchi è stata piena di errori e colpi di scena.
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Andrea Cassini
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IMAGO / SNA
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Cosa ne sarà degli scacchi dopo Magnus Carlsen? Era questa la domanda che aleggiava nella mente degli appassionati dopo il 21 luglio dell'anno scorso, quando il trentaduenne norvegese – miglior giocatore al mondo, forse il migliore di sempre – annunciava la rinuncia a difendere il titolo di campione del mondo FIDE, trofeo che deteneva ormai dal 2013 e che aveva difeso con successo in quattro occasioni, l'ultima nel 2021 contro il russo Ian Nepomniachtchi.

Questa domanda non è pienamente corretta, in realtà, perché dopo quell'annuncio Magnus Carlsen non è sparito, tutt'altro. Ha semplicemente deciso di reindirizzare la sua attività e i suoi interessi, di perseguire altri obiettivi e gestire in maniera più autonoma la sua immagine pubblica, come fanno quei campioni degli sport più popolari (un LeBron James o un Cristiano Ronaldo) il cui solo nome racchiude un intero business. Carlsen non si è ritirato, insomma. Continua a giocare e vincere tornei, forse meno noti al pubblico generalista ma non per questo meno importanti, e soprattutto continua a essere l'uomo-immagine degli scacchi con la sua sconfinata platea social, la costante presenza online su Twitch e le frequenti comparse in sfere tangenti a quella scacchistica. Recentemente Carlsen ha partecipato a un torneo di poker in Norvegia, dichiarando scherzosamente di preferire il Texas Hold'em agli scacchi, nonché a un'altra serata pokeristica di gala, seduto al tavolo verde insieme ad altre celebrità dello sport e del web, le cui clip già impazzano su YouTube.

L'esplosione di popolarità degli scacchi, che ancora cavalca l'onda d'interesse nata durante la pandemia, ha dato allo sport una patina moderna e sbarazzina: ci sono le divertenti dirette streaming di Hikaru Nakamura, delle sorelle Botez o dello stesso Carlsen; ci sono serie tv come la Regina degli Scacchi; c'è un fiorire di app per cellulare e un insistente strizzare l'occhio alla sfera dei videogiochi e dell'intrattenimento. La contraddizione fra questo aspetto inedito e la profonda storia di uno sport “nobile” è evidente e affascinante, soprattutto se aggiungiamo al mix il rapporto con le intelligenze artificiali: gli scacchi furono uno dei primi campi di prova per super-computer concettualmente simili alle IA oggi sulla bocca di tutti, e se ci sentiamo minacciati da ChatGPT e le sue potenzialità, beh, gli scacchisti ci sono già passati trent'anni fa.

In questo contesto è facile capire come i mondiali FIDE cominciassero a stare stretti per un personaggio come Magnus Carlsen, che può permettersi di operare come un libero professionista, moralmente svincolato da qualsiasi federazione. Basti vedere la fumosa ma intrigante querelle con Hans Niemann, accusato di barare. In molti in quel caso criticarono il norvegese per aver prevaricato l'autorità della federazione nel tentativo di farsi giustizia da solo. Questa volta Carlsen, però, ha rinunciato a difendere il titolo non in aperta polemica, come accaduto in passato con personaggi rancorosi quali Bobby Fischer, ma perché aveva motivazioni più interessanti da inseguire. Lo scacchista norvegese non ha più bisogno della FIDE; era piuttosto la FIDE ad avere bisogno di lui. Ed ecco che, nel vuoto lasciato da Carlsen, i Mondiali rischiavano di apparire come un fossile ormai lontano dalla vorticante evoluzione degli scacchi, con la loro formula fissa e lenta, una sfida logorante e imbalsamata, buona per un trafiletto di cronaca ma poco appassionante per i non addetti ai lavori.

Oggi che il Mondiale è appena finito, invece, possiamo confermare che questi timori sono stati ampiamente sbugiardati. Nonostante l'equilibrio che è ormai consuetudine negli iper-ottimizzati scacchi di alto livello (il cinese Ding Liren ha trionfato al primo round di spareggi dopo che le quattordici partite classiche si erano concluse in parità), la sfida per il titolo mondiale è stata trascinante ed emozionante, ricca di colpi di scena e ribaltamenti a metà fra la tragedia e l'epica, fitta di sottotrame, dettagli, linee narrative, come l'intreccio di un grande romanzo. I mondiali FIDE edizione 2023 sono riusciti a “bucare” la bolla degli addetti ai lavori facendo parlare di sé anche su palcoscenici più ampi, con un picco di oltre quattrocentomila spettatori sulla piattaforma Chess.com e una pioggia di commenti sui social network. Il giornalista Philippe Auclair la descrive così su Twitter: “Nel calcio si usa spesso dire è come una partita a scacchi quando sul campo sta accadendo poco o nulla. Nepo e Ding Liren non sono per niente d'accordo”.

Lo scarso appeal dei protagonisti, se paragonato a personaggi più accattivanti come Magnus Carlsen o Fabiano Caruana, non si è rivelato un ostacolo, anzi. Il Carlsen sulla scacchiera era molto meno avvincente di quello in versione social: il suo stile asfissiante, impeccabile, prudente, aveva portato gli scacchi verso una dimensione più fredda, vicina a quella delle intelligenze artificiali, suggerendo al tempo stesso che chiunque volesse ambire a batterlo dovesse diventare ancora più perfetto e glaciale di lui. Il mondiale fra Nepomniachtchi e Liren, invece, ci restituisce un'immagine degli scacchi più umana, in cui è più facile riconoscersi. Ci sono stati grandi azzardi, come quello che ha portato Liren alla vittoria, e grandi errori (in relazione al livello di gioco stratosferico, s'intende). Momenti di debolezza, di coraggio e di emozione. Lo sport, quando è al suo meglio, è in grado di fare esattamente questo: è il gioco che forgia i suoi personaggi, raccontando le loro storie individuali e intrecciandole in una narrazione epica. E gli scacchi, come diceva Anatoly Karpov, sono tutto: arte, scienza e sport al tempo stesso.

Quando si parla di scacchi e sport simili, una delle immagini più forti nella memoria recente è quella di Lee Sedol, campione coreano di go, che si dispera sull'orlo della sconfitta davanti alla sedia vuota del suo avversario, l'intelligenza artificiale AlphaGo. Era il ritratto di una sfida impari e disumana: all'epoca, si riteneva che i computer non fossero ancora in grado di battere i campioni umani in quella specifica disciplina. L'immagine dei mondiali di scacchi 2023, invece, è profondamente toccante e quindi umana. Con il cronometro della quarta partita di spareggio agli sgoccioli, Nepomniachtchi capisce di avere perso e giochicchia con i pezzi neri sottratti all'avversario; gli tremano a tal punto le mani che un pezzo gli cade dal tavolo. Fa una mossa, poi si arrende offrendo una velocissima stretta di mano a Liren e si alza, scosso. Liren ci mette qualche secondo a elaborare l'accaduto. Resta seduto, affonda la faccia nei palmi delle mani e si abbandona sulla scacchiera, come a diventare un tutt'uno con essa, spargendo in giro i pezzi. Poi, mentre Nepomniachtchi torna al tavolo per una stretta di mano più lucida e sincera, Liren rialza la testa e un addetto interviene per rimettere al loro posto i pezzi sparpagliati.

Un viaggio miracoloso

Storie personali, dicevamo, che si intrecciano con l'evento sportivo e diventano una storia più grande, persino un mito, se gli astri si allineano. In questo caso, con la sfida che si muove sull'asse Russia-Cina c'erano anche importanti connotazioni politiche, un gioco di equilibri geopolitici ancora più delicato di quello fra i pezzi sulla scacchiera.

Nepomniachtchi, russo, ha gareggiato sotto una bandiera neutrale, con la FIDE che ha seguito la decisione di molte altre federazioni sportive in seguito all'invasione dell'Ucraina. La Russia ha una tradizione fortissima nella disciplina, ne è forse il paese più rappresentativo, e le ramificazioni della guerra si fanno inevitabilmente sentire sulla scacchiera. Nepomniachtchi è stato tra i quarantaquattro giocatori russi firmatari di una lettera di condanna verso il conflitto, ma le cose, prevedibilmente, sono più complicate di così. Il presidente della FIDE, a sua volta russo, si chiama Arkady Dvorkovich e tra i suoi trascorsi ha un passato da vice primo ministro all'epoca di Dmitry Medvedev. Da marzo 2022 si è impegnato in un complesso gioco di cerchiobottismo: da un lato condannava a sua volta l'invasione dell'Ucraina, mentre dall'altro lodava pubblicamente “il coraggio dei nostri soldati russi” in risposta a chi lo accusava di tradimento, e per via del suo legame con la prestigiosa fondazione Skolkovo. Anche lo sponsor ufficiale dei campionati non è estraneo alle dinamiche del conflitto, e ha un ruolo nello scacchiere geopolitico: la banca Freedom Holding Corp è connessa al governo russo, con a capo l'imprenditore Timur Turlov attualmente sotto accusa governativa in Ucraina (e Turlov è stato persino invitato a fare la prima mossa, come da cerimoniale, nella seconda partita).

La Cina occupa una posizione critica, agendo da sponda del conflitto insieme agli Stati Uniti – che sono a loro volta un vertice del mondo scacchistico. E per quanto Ding Liren non abbia alcuna connessione personale con la politica, il governo cinese è notoriamente legato allo sport, ed è facile immaginare che qualcuno possa provare a strumentalizzare la sua vittoria. La storia, del resto, racconta che gli scacchi sono sempre stati più di un mero campo di battaglia, diventando a tratti autentiche armi politiche. La Russia sovietica li usò come propaganda ai tempi della Guerra Fredda, e la celebre sfida per il titolo mondiale del 1972 fra Boris Spassky, veterano campione sovietico, e Bobby Fischer, giovane prodigio americano, è diventata non a caso materiale da leggenda e da film.

Ma le parabole personali dei protagonisti sono ancora più interessanti dei contorni politici. L'ex campione del mondo indiano Viswanathan Anand ha definito quello di Ding Liren “un viaggio miracoloso”. Non tanto perché il cinese, che frequenta da anni i piani altissimi degli scacchi mondiali, non avesse il giusto curriculum, ma perché le recenti circostanze lo avevano portato lontano dall'obiettivo, costringendolo a una rincorsa improvvisata e rocambolesca. Proviamo a riassumerne le tappe. Tra l'estate 2021 e la primavera 2022, mentre il circuito mondiale riparte in seguito alla fase più acuta della pandemia, le rigide misure di contenimento cinesi non permettono a Ding Liren di spostarsi all'estero e disputare così i tornei che gli permetterebbero di qualificarsi al Torneo dei Candidati, l'anticamera da cui emergerà lo sfidante al titolo mondiale. A marzo 2022, però, si apre uno spiraglio: Sergey Karjakin, già qualificato per il Torneo dei Candidati, viene squalificato dalla commissione etica della FIDE e lascia vacante il proprio posto. Ding Liren ne approfitta, ma per farlo è costretto a giocare ventotto partite classiche in poco più di un mese, tutte in Cina, pur di raggiungere la soglia minima di trenta partite giocate in un anno. Il Torneo dei Candidati, disputatosi a luglio, verrà vinto per la seconda volta consecutiva da Nepomniachtchi, ma Ding Liren riuscirà a strappare il secondo posto sul filo di lana a Hikaru Nakamura, battendo lo stesso Nakamura nel confronto diretto all'ultimo turno. Sorpasso che si rivelerà decisivo: quando il 21 luglio Magnus Carlsen annuncia la sua rinuncia a difendere il titolo, viene ufficialmente sancita la sfida tra i primi due classificati al Torneo dei Candidati, Nepomniachtchi e Liren, per l'appunto.

Per la Cina è già un risultato storico. Ding Liren diventerà il primo campione mondiali di scacchi cinese, facendo il paio con l'attuale campionessa femminile, anch'essa cinese, Ju Wenjun. Un esito impensabile quando, ai tempi della Rivoluzione Culturale, il governo cinese bandì gli scacchi giudicandoli un gioco tipico del decadente mondo occidentale. Ding Liren è anche uno dei personaggi più stimati e apprezzati della comunità scacchistica, particolarmente amato dagli spettatori per il suo atteggiamento onesto e cordiale, per il carattere timido e talvolta impacciato.

Nepomniachtchi, nemmeno lui una stella sotto i riflettori, si avvicina maggiormente allo stereotipo dello scacchista tormentato dai demoni interiori, perfetto erede della severa tradizione russa secondo cui quella fra pezzi bianchi e neri è una battaglia, non un gioco. Ombroso, nervoso, perennemente sotto tensione e sull'orlo di una crisi di nervi, inizia tuttavia a suscitare una certa tenerezza da quando la comunità lo associa al ruolo di “eterno secondo”. Già battuto da Carlsen nei precedenti mondiali, Nepomniachtchi sembra avere la tendenza a sciogliersi sotto pressione, a dominare il gioco con le sue straordinarie capacità teoriche per poi compiere un immancabile errore al momento meno opportuno – nel commento live della partite del mondiale, i “Nepo blunder” (Nepo è il diminutivo con cui lo scacchista russo è conosciuto) erano diventati una sorta di meme fra gli spettatori della chat. È esattamente quello che accadrà nelle quattordici partite del campionato, più gli spareggi.

Immaginare di perdere

La sfida comincia il 7 aprile al St. Regis Hotel di Astana, in Kazakistan – la classica sede scintillante ma anonima che tanto piace a questo genere di eventi. Tra gli arbitri compare l'italiano Gerhard Bertagnolli.

Dopo una prima partita di studio, un pareggio, la sfida entra nel vivo già al secondo confronto. Ding Liren gioca con i pezzi bianchi, ma non si accontenta del vantaggio di partire per primo e prova un azzardo, suggerito probabilmente dal suo secondo, Richard Rapport, noto per lo stile originale e aggressivo, muovendosi già dalla quarta mossa su un terreno inedito. La scommessa non paga: Nepomniachtchi si stabilizza e conquista gradualmente vantaggio, mentre Ding Liren esaurisce il tempo a propria disposizione ed è costretto a un finale affrettato. In sole 29 mosse il russo vince con il nero, un successo preziosissimo che sposta l'equilibrio della serie. Ding pareggia i conti nella quarta partita, presentando altre scelte inedite ed evidenziando le prime lacune nella preparazione del russo, che genereranno i primi gravi errori sotto pressione.

Ma il punto forte di Nepo, forse proprio per compensare i cali di concentrazione al tavolo, è lontano dalla scacchiera. Si presenta alla quinta partita con una preparazione cristallina, dimostrando di aver già padroneggiato le invenzioni dell'avversario e vincendo una precisissima partita con i pezzi bianchi.

È a questo punto che la sfida per il titolo inizia a catturare l'interesse degli spettatori, ormai abituati allo stile difensivo, drawish (orientato al pareggio) imposto da Carlsen. Ding vince gara 6, Nepo risponde con un'altra vittoria in gara 7, e i due sembrano pugili che caricano i colpi e puntano al bersaglio grosso, anziché temporeggiare vicino alle corde. Anche i commentatori si sbizzarriscono in analogie sportive: Jonathan Rowson pensa ai film di Rocky Balboa, mentre Peter Heine Nielsen, storico secondo di Carlsen, chiama in causa la pallacanestro: “Siamo arrivati al punto in cui la preparazione e le tattiche non contano più, e il miglior giocatore della squadra dice: datemi la palla, m'inventerò qualcosa io”.

Le mosse più azzardate si traducono anche in errori più frequenti, o in generale in un tasso di imprecisione maggiore, che fa storcere il naso ai super-computer ormai onnipresenti compagni di telecronaca sui canali specializzati. Commentando proprio l'alto numero di situazioni critiche in così poche partite, Ding Liren scherza in conferenza stampa: “Evidentemente, non siamo dei professionisti come Magnus”. Il russo, invece, come si conviene al suo personaggio, si immusonisce e rifiuta di rispondere.

Le imperfezioni, però, aprono anche spazio all'inventiva, alla bellezza. David Howell descriverà la combinazione impiegata da Ding per chiudere la sesta partita come “uno dei finali più belli nella storia delle partite dei mondiali”, e Viswanathan Anand parla già di “una sfida epocale” nonostante abbiamo appena scollinato oltre la metà del confronto e il bello, a posteriori, dovesse ancora venire.

Le due partite successive sono pareggi molto tesi, condizionati forse da una fuga di notizie, con alcuni dettagli sulla preparazione del cinese insieme al suo secondo Rapport che paiono trapelare sul web, rappresentando un possibile vantaggio, ma anche una pericolosa esca, per la squadra di Nepomniachtchi.

Altri pareggi fino a gara 11, con gli equilibri che non cambiano. Nepo, sempre in vantaggio grazie a quella vittoria strappata con i pezzi neri, inizia a giocare in maniera conservativa, sapendo che il cronometro dell'avversario corre più veloce, e dovrà essere il cinese a prendere l'iniziativa. Ma è la proverbiale quiete prima della tempesta, e sulla scacchiera compaiono già segni nefasti. La decima partita, un pareggio, si conclude con i due re solitari fra le caselle – è solo la seconda volta che accade nella storia dei Mondiali.

La dodicesima partita è quella in cui crolla ogni argine mentale. Un'imprecisione di Ding nel mediogioco dà il via a una sequenza di errori, un uragano nel quale i due giocatori riescono miracolosamente a ritrovare l'orientamento e l'equilibrio. Fabiano Caruana, in commento, dice: “Non è più una partita a scacchi, adesso, è solamente una battaglia di nervi”. Sono i nervi del russo a spezzarsi per primi. Alla trentaquattresima mossa, nell'errore che gli costerà la partita e probabilmente il titolo, si consegna all'avversario regalandogli un pedone e la vittoria. Stupito dalla sua stessa decisione, Nepomniachtchi si affossa improvvisamente sul tavolo, nascondendo la testa tra le mani. I sedici minuti che si prende per decidere la mossa successiva, dopo la risposta dell'avversario, somigliano più a un collasso fisico e mentale che a un intervallo di riflessione. Mentre Ding naviga sospettoso tra le acque pericolose del finale, su Twitter Anand sancisce: “È la maledizione di Ian, per l'ennesima volta. Sta giocando veloce e sicuro, e all'improvviso crolla tutto”. Chessbase.com la definisce “una tragedia scacchistica” – non c'è altro modo di descriverla.

Le ultime due partite sono due pareggi. Estenuanti ma per nulla attendisti, perché la quattordicesima sfida, con il risultato in parità, è a tutti gli effetti uno spareggio anticipato e i giocatori si trascinano fino alla novantesima mossa pur di non lasciare nulla di intentato.

Ma era scritto che, dopo un simile percorso, il campionato dovesse concludersi con il finale più teatrale. Si passa alle partite di gioco rapido, quattro, da giocare una dietro l'altra nella giornata del 30 aprile, seguite poi, se necessario, da due partite in stile blitz e da un'ultima sfida secca. Non ci sarà bisogno di arrivare a tanto. Dopo tre pareggi, dove i giocatori si mostrano brillanti – per quanto possibile – ma anche un po' attendisti, nella quarta partita si mollano subito gli ormeggi e si gioca per vincere. Non è l'habitat ideale di Nepomniachtchi, che accumula imprecisioni man mano che la partita si avventura in territori sconosciuti. Si raggiunge uno stallo, e il russo offre un pareggio all'avversario, ma Ding, percependo forse l'insicurezza dell'avversario, rifiuta e reagisce con una mossa straordinariamente audace, di quelle che meritano un paio di punti esclamativi, inchiodando un suo stesso pezzo per evitare lo scacco e ripartire all'attacco, con coraggio e idee chiarissime. Sarà la mossa decisiva della partita, quella più iconica dell'intero campionato: “Self-pinning for immortality” (pinning si riferisce all'inchiodatura, appunto, cioè bloccare la strada a un pezzo) commenterà Magnus Carlsen in diretta, lodando l'audacia di Ding Liren. Con il cronometro agli sgoccioli, i computer suggeriscono un'unica mossa con cui Nepomniachtchi potrebbe restare aggrappato al pareggio, ma come nota in sede di commento Rafael Leitao, è una mossa “impossibile per un essere umano”.

E così siamo ai titoli di coda, a quella scena da film – che probabilmente finirà davvero in un film, perché in Cina Ding Liren sta diventando un eroe nazionale. Le mani tremanti dei due giocatori che lasciano cadere i pezzi dal tavolo, li abbattono sulla scacchiera in un gesto a metà fra amore e rabbia, e poi si stringono. L'idea che Nepomniachtchi debba convivere per l'ennesima volta con il prezzo delle sue debolezze, con la fame insaziabile dei suoi demoni, e che Ding debba portare sulle spalle l'eredità di Carlsen e l'ancora più ingombrante carico di aspettative del paese più popoloso del mondo.

In conferenza stampa, con la purezza a metà tra il sollievo e la disperazione che sboccia alla fine di eventi sportivi così tesi, i due giocatori si scambiano commenti esausti ma non banali. “Penso di aver avuto ogni occasione per vincere” riflette il russo “e avrei dovuto chiudere i conti nelle partite classiche. Lo spareggio è sempre una sorta di lotteria, ma era difficile immaginare di poter perdere”.

Forse sta proprio qui la differenza. Ding Liren è stato il giocatore più creativo e d'immaginazione, capace di visualizzare sia la vittoria sia la sconfitta. “Non sempre i pezzi bianchi sono un vantaggio” ha commentato, quasi a rintuzzare le parole del rivale. “A volte diventi troppo ottimista e finisci per perdere”.

E poi Ding ha ripercorso con parole sincere e toccanti il suo viaggio sulla scacchiera, cominciato a quattro anni, e regalandoci la citazione più poetica dell'intero confronto, una dichiarazione d'amore per gli scacchi che è al tempo stesso una delle migliori descrizioni della disciplina: “Questa partita è stata il riflesso più profondo della mia anima. Ho passato ventisei anni della mia vita a giocare a scacchi, e credo di aver fatto ogni cosa che era possibile. Certe volte ho pensato che gli scacchi fossero come una droga, perché senza poter giocare tornei mi sentivo infelice. Certe volte ho fatto fatica a trovare altre attività che mi rendessero felice”.

L'impressione è che Nepomniachtchi sia stato il giocatore migliore e più preparato, quello con più occasioni per portare a casa il confronto, ma che non le abbia sapute sfruttare a dovere. Viene da chiedersi, come ha fatto la giocatrice e commentatrice indonesiana Irene Sukandar, se Nepo resterà per sempre in quel limbo di giocatori straordinari ma imperfetti, come Keres, Rubinstein o Korchnoi, mai in grado di vincere il titolo più ambito, o se riuscirà un giorno a liberarsi da questa maledizione. Quel che è certo è che gli scacchi, nonostante l'era di Magnus Carlsen come campione del mondo sia apparentemente finita, si presentano al futuro in ottima salute.

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