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Il Mondiale dell'Inghilterra
12 giu 2018
12 giu 2018
L'Inghilterra ha un movimento in grande crescita e da questi Mondiali si aspetta delle risposte positive sul percorso degli ultimi anni.
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«Non posso star seduto qui di fronte a voi e dirvi che non vinceremo, perché credo che potremmo farlo. È solo la mia mentalità, io voglio vincere in tutto quello che faccio e so che molti miei compagni hanno la stessa attitudine. Quindi ci proveremo».

Ho riportato le dichiarazioni di Harry Kane, capitano ventiquattrenne di una delle nazionali più giovani che parteciperanno al Mondiale 2018, rilasciate il giorno in cui ha ricevuto la fascia dal CT Gareth Southgate, perché dichiarazioni del genere, in una nazione che ancora oggi rivendica di aver inventato il calcio e il cui inno è “Football’s coming home”, equivalgono a gettare benzina sul fuoco.

Eppure, nonostante la tendenza d’oltremanica di innescare cicli di illusione e delusione - e nonostante la relativa inesperienza di questa squadra: i 23 convocati hanno un’età media di 26,1, che è superiore solo a quella di Francia e Nigeria - qualcosa nel calcio inglese sta davvero cambiando.

La rivoluzione inglese

Più che dalle imprese della nazionale maggiore, l’anno premondiale è stato caratterizzato dalle vittorie delle rappresentative giovanili inglesi nei tornei in giro per il mondo. Quelle dell’Inghilterra Under 20 e Under 17 ai Mondiali di categoria, e quella dell’Inghilterra Under 19 all’Europeo, sono segnali di un cambiamento radicale in atto a tutti i livelli. La Football Association, l’organo federale che governa il calcio inglese, ha varato una serie di piani di cui si iniziano a vedere i primi frutti.

Il cambiamento è stato mosso partendo da due semplici ragionamenti, il primo dei quali riguarda il tempo speso dai professionisti nei raduni della nazionale maggiore. Cinquantacinque giorni l’anno di media sono un tempo risibile, nel quale è difficile imbastire un qualsiasi progetto tecnico/tattico. Per la maggior parte del loro tempo, i calciatori lavorano nei propri club secondo sistemi di allenamento differenti tra loro e imparano a muoversi in contesti tattici che spesso hanno poco in comune.

L’idea della FA è stata allora quella di stabilire, trasversalmente a tutte le squadre nazionali, un unico modo di giocare e di allenarsi, per ricreare anche in nazionale lo spirito delle Academy dove si coltivano i giovani talenti.

Questo substrato comune, su cui si poggia la crescita dei ragazzi, facilita il loro inserimento per i pochi giorni all’anno nei quali sono coinvolti nei programmi delle nazionali, proprio perché in tutte le rappresentative si parla una lingua comune, che i ragazzi imparano a conoscere anno dopo anno. È il succo di England DNA, un programma federale lanciato nel 2014 che mira ad ottenere un’identità tattica familiare, comune alle squadre di ogni età, e ottenuta attraverso alcuni macro-princìpi, che poi sono calati differentemente all’interno dei sistemi tattici.

Allenare per princìpi è più semplice e più redditizio. Non occorre avere a disposizione tanto tempo per ripassare i singoli meccanismi tattici di ogni situazione di gioco, e non si corre il rischio della ripetitività dell’azione. Basta dare un orientamento-guida, che permetta al calciatore di trovare in campo la sua personale soluzione. I sistemi sono diversi, i princìpi sono comuni. Così, tutti i calciatori inglesi del futuro condivideranno lo stesso DNA, a prescindere dalla propria esperienza nei club.

Il secondo ragionamento riguarda un indubbio vantaggio legato al campionato di casa. La Premier League è il campionato più ricco del mondo e, da qualche anno, è diventato anche un laboratorio tattico d’eccellenza. Anche la Championship sta crescendo nell’interesse dei media e sta attirando nuovi investitori. I giocatori inglesi crescono quindi in un contesto ricco di mezzi e sfidante dal punto di vista del gioco.

E i migliori tra loro confluiscono direttamente in nazionale: l’Inghilterra è l’unica nazione che si presenta al Mondiale russo con il 100% della rosa composta da giocatori che giocano in patria e alcuni di loro si sono fatti le ossa nella Football League.

I club non sono rimasti a guardare. Anzi, per una volta hanno addirittura anticipato le intenzioni della Federazione e nel 2012 hanno varato l’Elite Player Performance Plan, un programma volto alla creazione di talenti migliori, dai forti fondamentali tecnici, attraverso la omogeneizzazione dei tornei giovanili e, ove possibile, la condivisione dei metodi di allenamento per tutte le età.

Alla luce di quanto detto, la nomina di Southgate assume un senso diverso. Dopo tre anni passati alla guida della Under 21, Southgate è arrivato al soglio della nazionale maggiore solo dopo lo scandalo che ha provocato le dimissioni di Sam Allardyce. Se guardiamo a Southgate come un prodotto del sistema, allora può essere considerato come la punta dell’iceberg, l’anello di congiunzione dei due filoni nati nelle pance della FA e della Premier League.

L’affaire Allardyce non ha fatto altro che accelerare un processo che sarebbe arrivato comunque alla medesima conclusione. Anzi, è probabile che sempre più spesso, come accade in alcuni club, gli allenatori delle giovanili salgano i gradini verso la squadra A insieme ai loro migliori prospetti, per dare continuità al progetto.

Come gioca l’Inghilterra di Southgate?

Southgate aveva quindi la necessità di integrare nella sua squadra i princìpi guida federali. Ha potuto attingere a piene mani dalla Premier League, che negli ultimi anni è diventato un vero e proprio laboratorio tattico, grazie all’arrivo di alcuni dei migliori tecnici del continente europeo.

I princìpi base, come detto, li ha dettati la FA per tutte le squadre nazionali, come ha ben delineato già quattro anni fa Matt Crocker, passato al comando di England DNA dopo aver diretto a lungo la migliore Academy del paese, quella del Southampton.

Le rappresentative inglesi vogliono dominare gli avversari attraverso il possesso, con un controllo intelligente della palla che aspetti il momento giusto per far progredire il gioco verso la porta avversaria. I princìpi, astratti e generali, si concretizzano nella tattica. A partire dal primo bastione deputato all’inizio dell’azione, la difesa a 3, che permette un controllo più sicuro del pallone nelle zone basse del campo.

Southgate ha portato in nazionale un meccanismo ormai largamente diffuso in Premier League: Guardiola, Conte, ma anche Klopp, Mourinho, e persino il vecchio Allardyce, hanno tutti dato una chance al sistema con i tre uomini sull’ultima linea.

Quindi, da un lato, tanti calciatori conoscono il sistema, ormai consolidatosi in Premier League; dall’altro, il sistema della difesa a 3 è funzionale all’attuazione del principio generale. Ecco perché Southgate lo ha scelto, anche se era un sistema che lui stesso non conosceva e che non ha mai adottato nel suo triennio alla guida del Middlesbrough, né successivamente con l’Under 21.

I tre difensori centrali (nell’immagine Walker, Stones e Cahill) gestiscono il pallone fin dai limiti della propria area di rigore. Per la creazione della superiorità numerica utile alla progressione della palla, i tre uomini della linea difensiva ricevono l’appoggio del portiere alle loro spalle, e del vertice basso del triangolo di centrocampo davanti a loro, appena oltre la prima linea di pressione avversaria (Eric Dier in questo caso).

La circolazione è paziente finché non si apre un canale di passaggio in avanti: nell’esempio sopra, gli attaccanti nigeriani sono in inferiorità numerica, Cahill la passa a Dier che può girarsi e guadagnare metri.

I princìpi guidano la mano di Southgate anche circa le scelte dei singoli uomini a cui affidarsi. Non è un caso che John Stones e Kyle Walker compongano i due terzi della linea difensiva, dopo due anni spesi alla corte di Guardiola. E neanche è un caso che Harry Maguire sembri favorito sul più esperto Gary Cahill, proprio perché il primo ha una migliore cura del pallone.

Persino Pickford ha conquistato il posto tra i pali perché è anche più bravo coi piedi rispetto ai colleghi Butland e Pope.

Come detto, il possesso non è sterile ma è mirato alla ricerca di un’opportunità oltre la prima linea di pressione. I laterali a tutta fascia del 3-1-4-2 si alzano oltre la linea della palla per moltiplicare le possibili linee di passaggio dalla difesa e per allargare le maglie del centrocampo avversario (Trippier e Young, nella partita contro la Nigeria a cui si riferiscono le immagini sopra).

Anche a centrocampo le scelte di Southgate sono state orientate alla ricerca di giocatori in grado di avvantaggiarsi degli spazi creati tra le maglie avversarie, dotati di un ottimo primo controllo e capaci di aggredire lo spazio in velocità una volta fronte alla porta.

Lingard e Alli sono stati scelti per le loro qualità tecniche, nonostante non siano due mezze ali di ruolo (Lingard è un’ala che ha giocato anche da trequartista; Alli gioca da qualche stagione sotto punta). Nell’esempio dell’immagine i nigeriani provano a tagliare fuori le opzioni di passaggio per Dier, che avanza palla al piede: Obi è attratto da Lingard, Onazi è portato fuori da Alli. Nella zona così liberata riceverà il pallone Sterling, che potrà controllare e puntare la difesa.

Quando non ha avuto un giocatore come Alli in campo, in movimento perpetuo tra le maglie avversarie, l’Inghilterra ha trovato sfogo alla manovra orizzontale più facilmente sulle fasce che al centro, altrimenti ha riciclato spesso il pallone all’indietro verso il portiere. Ma non ha mai buttato via un pallone, a costo di rischi enormi, soprattutto per via di un John Stones fin troppo sicuro dei suoi mezzi tecnici.

I movimenti di Lingard e Alli ad entrare nei mezzi spazi per ricevere il pallone, quelli alternati incontro e in profondità di Kane e Sterling, sono trappole disseminate da Southgate tra le linee avversarie.

Nell’azione qui sopra Sterling ha saltato il primo uomo, ma viene fronteggiato da un secondo; sceglie quindi l’opzione meno rischiosa e sempre disponibile, lo scarico laterale su Young, e le consegne a questo punto sono chiare: Sterling e Alli convergono verso Young per cercare la combinazione palla a terra in superiorità numerica e penetrare così in area di rigore, mentre Kane ha il compito di riempire l’area attaccando il primo palo, mentre la mezzala opposta Lingard si dirige nella zona del secondo.

Harry Kane è il vertice della piramide inglese, un attaccante che ha la potenza fisica e la rapacità sotto porta del numero nove, e contemporaneamente la tecnica, la visione di gioco, la capacità di svariare sul fronte offensivo di un dieci. Le sue qualità uniche si sposano bene con quelle di Alli e di Sterling, due giocatori che attaccano bene la profondità senza palla.

Prudenza senza palla

In fase di non possesso l’Inghilterra si difende con un ortodosso 5-3-2. La strategia primaria è proteggere il centro del campo, concedendo agli avversari al massimo lo sfogo laterale. La pressione in avanti è sporadica e legata a specifici trigger (come è ad esempio un passaggio veloce difficile da controllare per il terzino).

Anche l’esecuzione del pressing segue l’indirizzo strategico generale: gli attaccanti orientano la propria corsa per oscurare al portatore di palla tutte le opzioni verso l’interno del campo, invitandoli a scegliere una traiettoria di corsa o di passaggio più innocua verso la fascia laterale.

L’Inghilterra prova a mantenere le linee compatte verticalmente, con la difesa che resta alta sul campo, per comprimere gli spazi tra le linee e per tenere gli avversari lontani dalla propria area di rigore. Ma la compattezza del blocco centrale, a volte, è messa a repentaglio dalle scelte dei singoli.

Lingard e Alli, col primo più in difficoltà del secondo, non hanno l’applicazione mentale necessaria per posizionarsi sempre correttamente senza la palla o uscire sul portatore sempre con i tempi giusti, come farebbero due mezzali di ruolo e di livello. Se le uscite non sono corrette, o se gli scivolamenti laterali sul giro palla sono pigri, l’Inghilterra rischia di aprire varchi per delle pericolose imbucate verticali.

Allo stesso modo gli attaccanti - Sterling più di Kane - sono lassisti circa i loro doveri nella schermatura del portatore di palla avversario. Il risultato è che, con palla scoperta, gli avversari degli inglesi tentano l’imbucata alle spalle della difesa con un lancio lungo. Al di là delle caratteristiche di cui è dotato quando ha la palla, la scelta di un giocatore veloce come Kyle Walker, nominalmente un terzino ma impiegato da centrale esterno, è dovuto proprio alla sua capacità di recuperare lo spazio tra l’avversario e la porta. Affidarsi però sempre alle capacità di recupero in campo aperto dei suoi uomini più veloci è una roulette russa con la quale è meglio non scherzare.

In generale lo scopo del sistema difensivo inglese, dell’orientamento della circolazione avversaria verso le fasce, si sposa bene con una squadra ben strutturata fisicamente, che difficilmente soffrirà dai cross, e che per lo stesso motivo avrà poche difficoltà a proteggersi dai calci piazzati. Quello che si è notato però, anche nelle ultime amichevoli, è una certa abitudine dei difensori inglesi nel respingere la palla fuori area centralmente, e non lateralmente nella direzione da cui arriva il traversone, come vuole l’ortodossia difensiva.

Accoppiata con una certa lentezza nell’uscire dall’area, questo tipo di azione può esporre a dei rischi la difesa inglese. Potrebbero sembrare dei piccoli particolari, forse, ma che possono però fare la differenza negli scontri ad eliminazione diretta più tirati.

Dove può arrivare?

L’adozione del modulo con la difesa a 3 è stato per Southgate un approdo recente. Il sistema attualmente in uso ha debuttato solo nell’ultima partita del girone di qualificazione, appena lo scorso ottobre e col biglietto per Russia 2018 già staccato.

All’inizio della sua esperienza, Southgate ha dovuto indossare i panni del traghettatore rassicurante e poco dopo ha dovuto affrontare il “parricidio” di Wayne Rooney, per altro agevolato dallo stesso calciatore. L’attaccante più prolifico della storia della nazionale inglese aveva annunciato il proprio ritiro dall’international duty pochi giorni prima di centrare un altro record: la 116ma presenza che ha fatto di Rooney il giocatore di movimento più presente nella storia della nazionale (il portiere Peter Shilton chiuse la carriera con 125 caps).

Southgate ha prima provato Rooney in un nuovo ruolo da mezzala di possesso nelle sue prime tre panchine inglesi, ma poi ha smesso di convocarlo del tutto da marzo 2017.

Gli inglesi sono comunque arrivati al Mondiale russo col vento in poppa di una qualificazione conquistata senza patemi, in un girone più che abbordabile (la Slovacchia di Hamsik era la seconda forza) nel quale l’Inghilterra è finita imbattuta. Anche se per gli uomini con la croce di San Giorgio non è stata una novità, visto che non perdono una partita nelle qualificazioni di un Europeo o di un Mondiale addirittura dal 10 ottobre 2009 (1-0 a Dnipro contro l’Ucraina di Shevchenko), e non è certo garanzia di successo nel torneo vero e proprio.

Le roboanti premesse delle qualificazioni quasi mai hanno portato a risultati di prestigio: il miglior risultato degli ultimi 10 anni per l’Inghilterra è stato un’uscita ai quarti di finale dell’Europeo di Polonia e Ucraina.

Un po’ di sale al gruppo F, nel quale l’Inghilterra ha trovato la qualificazione, è riuscito a metterlo solo il meraviglioso finale di partita con la Scozia.

Quest’anno però si respira un’aria diversa. Per la prima volta l’Inghilterra fa parlare di sé per la sua identità tattica ben definita, e non tanto per i nomi più o meno altisonanti dei convocati.

Per la Football Association questo Mondiale è solo un ponte verso traguardi molto più ambiziosi. Nel 2013 il presidente della FA, poco prima del varo di England DNA, dichiarò che l’Inghilterra avrebbe dovuto puntare alla vittoria nell’edizione 2022 della Coppa del Mondo. Pochi giorni fa, il capo esecutivo della FA ha stabilito in un quarto di finale l’obiettivo minimo di questa spedizione.

Se l’obiettivo dichiarato sembra alla portata, anche per il livello degli avversari del Gruppo H che l’Inghilterra incrocerebbe agli ottavi, sarà difficile che ai quarti questa squadra possa impensierire Germania o Brasile, due tra le favorite alla vittoria finale. Ma al di là del conseguimento dell’obiettivo immediato - che in un torneo così breve dipende anche dallo stato di forma dei singoli nelle partite importanti - all’Inghilterra serve un feedback tangibile circa la bontà della rotta stabilita più di quattro anni fa. I risultati raccolti dalle rappresentative giovanili lo scorso anno suggeriscono che la migliore Inghilterra possibile deve ancora arrivare.

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