Dopo il sorprendente trionfo agli Europei del 2016, il Portogallo si ritrova sospeso all’interno di una distinzione semantica. Esistono i favoritos e i candidatos, come ha sottolineato il commissario tecnico Fernando Santos, e il Portogallo fa parte della seconda categoria. Qualche giorno dopo gli ha fatto eco João Mário, utilizzando le stesse parole: «sognare è legittimo, ma non abbiamo la pressione di vincere».
La condizione in sé non sarebbe inusuale per i campioni d’Europa in carica - quattro anni fa la Spagna collassò al primo ostacolo, lo stesso fece la Francia nel 2002, nel 2006 la Grecia neanche si qualificò - se non fosse che sulla campagna di Russia portoghese aleggia uno spettro combattuto a forza di vasche criogeniche e ripetizioni addominali. Cristiano Ronaldo ha raggiunto i 33 anni, anche se ne conta 23 di età biologica, e quelli di Russia potrebbero essere i suoi ultimi Mondiali.
La storia recente del Portogallo ai Mondiali disegna un trend negativo, semifinali nel 2006, ottavi nel 2010, eliminazione ai gironi nel 2014. Cristiano ha partecipato a tutte e tre le edizioni, ha segnato soltanto tre gol, e il momento più iconico che è riuscito a produrre rimane un quinto rigore calciato contro l’Inghilterra nei quarti di finale. Ammesso che il Portogallo non senta la pressione di vincere i Mondiali, è impensabile che Cristiano non senta quella di un finale di carriera che deve essere all’altezza delle aspettative (le sue, prima di tutto).
La sua parte, per il momento, Cristiano l’ha fatta: ha trascinato il Portogallo oltre il girone di qualificazione, ricoprendo di gol (20 nelle ultime 15 partite, considerando anche le amichevoli) le inermi difese di Andorra, Lettonia e Isole Faroe. Fernando Santos, invece, sembra ancora alla ricerca di una consolidata identità di squadra - un po’ come alla vigilia degli ultimi Europei, che però terminarono nel migliore dei modi.
Diciamo però che anche se fa solo parte delle candidate a sollevare la Coppa del Mondo, il Portogallo si presenta come una di quelle più interessanti da seguire.
Il Portogallo conosce la ricetta per vincere.
Quanto è cambiata l’ossatura della squadra?
Di fronte al bivio del rinnovamento che affligge tutte le nazionali vincenti, il Portogallo ha optato per la transizione morbida. Nelle convocazioni ai Mondiali di Russia sono stati rimpiazzati 10 dei 23 campioni continentali, ma l’ossatura tattica è rimasta invariata: il 4-2-2-2, i terzini che spingono, i trequartisti che si muovono verso l’interno del campo, la doppia leadership di Pepe e Ronaldo ai due poli opposti del campo.
Tra gli esclusi, al di là di quei veterani arrivati ormai all’ultimo giro con la Nazionale, come Eduardo e Ricardo Carvalho, figurano per lo più giocatori di rotazione che hanno accusato un rendimento in calo durante la stagione: André Gomes, arrivato al punto più basso della sua involuzione, Renato Sanches, fondamentale durante gli Europei e irriconoscibile nell’ultimo biennio, Nani, mai veramente decisivo con la Lazio, Rafa Silva, nulla più che un’affidabile riserva nel Benfica, e Éder, eroe inatteso della finale di Parigi, vittima di un mondo senza riconoscenza.
L’unica assenza obbligata è stata quella di Danilo Pereira, che ad aprile si è rotto il tendine di Achille e ha lasciato Fernando Santos con un buco da colmare nella rosa: «non ho un altro giocatore che, pur essendo centrocampista, possa giocare da difensore centrale». A quel punto Santos ha scelto di convocare un quarto difensore centrale, il 21enne Ruben Dias. Quando ha diramato le convocazioni, Dias non aveva ancora mai giocato nella Nazionale maggiore. La sua ascesa nel corso di questa stagione è stata fulminante: l’ha iniziata con la seconda squadra del Benfica, l’ha chiusa con 24 presenze in Primeira Liga.
Dias è un difensore agile nonostante l’altezza (187 centimetri), elegante nelle movenze ma molto deciso nei contrasti. Quando tra qualche anno saremo in grado di classificare con maggiore precisione questa specie emergente di difensori unicorni, dall’imponente stazza fisica e dall’invidiabile completezza tecnica - che va da Piqué e Boateng a Skriniar e Christensen - magari Ruben Dias avrà fatto abbastanza da poter essere considerato parte della genealogia. Nel frattempo, si diverte molto sotto l’ala protettiva di Pepe, schierato al suo fianco durante l’esordio con la Tunisia.
La sicurezza con la palla di Ruben Dias concede al Portogallo una soluzione in più contro le difese schierate a protezione della propria metà campo.
Per il resto, Fernando Santos non si è fidato particolarmente dei giovani. Ha rinunciato a Semedo e Cancelo, sulla carta due dei migliori terzini destri al mondo per i prossimi dieci anni, un gradino indietro nelle gerarchie rispetto a Cédric e a Ricardo Pereira. Ha escluso all’ultimo anche Ruben Neves, reduce da una stagione da dominatore della Championship, e Rony Lopes, 10 gol in 10 partite tra febbraio e aprile in Ligue 1.
Eppure i volti nuovi non mancano. I giocatori di rotazione sono stati sostituiti con altri giocatori di rotazione, apparsi più in forma nell’ultimo periodo: uno di questi è Mário Rui, che ha preso il posto dell’infortunato Coentrão come vice Guerreiro. Un altro elemento interessante è “il russo” Manuel Fernandes, che ha vinto il campionato con il Lokomotiv Mosca. È un centrocampista polivalente - ha usato lui stesso l'incisiva definizione - che può occupare qualunque posizione sulla trequarti. Non è un atleta eccezionale ma può giocare a diversi ritmi, coniugando le qualità da passatore con l’inclinazione a trattenere il pallone e tentare il dribbling.
In quota giovani, nell’ultimo biennio sono stati inseriti André Silva (9 gol nel girone di qualificazioni) Gonçalo Guedes, esploso nel Valencia di Marcelino, e i due punti fermi dello Sporting di Jorge Jesus, Bruno Fernandes e Gelson Martins, rispettivamente primo per occasioni create e primo per dribbling completati tra i giocatori portoghesi in Primeira Liga. È un dato che riflette bene le caratteristiche dei due giocatori: B. Fernandes è un regista offensivo ad alti ritmi, mentre Martins è un’ala diversa dal prototipo di ala portoghese moderna: è molto veloce, ha il passo ubriacante, un po’ confusionario, ma molto divertente da guardare.
Entrambi sono utilizzati per lo più al centro, dove Santos preferisce schierare giocatori diretti, con istinto per la porta. Le altre opzioni sulla trequarti sono rappresentate da João Mário e Bernardo Silva, che invece rispecchiano perfettamente il prototipo di ala portoghese moderna, impeccabili nel primo controllo, nella conduzione, nel ricamare il gioco, solitamente schierati larghi a piede invertito, perché è sulle fasce che il Portogallo preferisce costruire la manovra, creare i presupposti per la conclusione.
Dovrebbero avere entrambi la certezza di un posto da titolare, con Quaresma che contenderebbe ad André Silva l’ultima maglia, nel caso in cui Fernando Santos scegliesse di giocare con tre trequartisti e di riportare João Mário al centro. In tutto, tra centrocampo e attacco, otto giocatori ruoteranno per occupare i tre posti disponibili intorno a Ronaldo, assecondando l’idea di Fernando Santos di una squadra che cambia pelle a seconda degli interpreti in campo.
La pass-map della partita di ritorno contro la Svizzera, decisiva per la qualificazione: Cristiano Ronaldo svaria e dialoga con tutti, André Silva agisce da puro finalizzatore.
Quanto preoccupa la tenuta difensiva?
Il girone di qualificazione del Portogallo, come detto, è stato condizionato da un sorteggio assai benevolo. I lusitani sono arrivati primi con ventisette punti, figli di nove vittorie e una sconfitta, piazzando due giocatori (Ronaldo e André Silva) tra i primi cinque nella classifica capocannonieri delle qualificazioni europee, e registrando la terza miglior difesa sotto la lente dei gol concessi (4) a pari merito con Croazia e Germania.
Sull’attendibilità di questa marcia trionfale, le amichevoli disputate in seguito hanno sollevato qualche dubbio. Prima di riuscire a fermare sullo 0-0 il Belgio, il Portogallo ha subito 7 gol contro avversari alla portata come Egitto, Stati Uniti, Olanda e Tunisia, portando Fernando Santos al limite dell’esasperazione: «sta diventando un problema, la squadra continua a subire gol, e questo non è normale. Sono stanco di ricordare l’importanza delle seconde palle. Oggi l’atteggiamento è stato buono, i giocatori danno sempre il massimo, non è questo il punto. Riguarda invece la struttura con cui ci posizioniamo nell’azione difensiva».
Le due linee di difesa del Portogallo si schiacciano in transizione e nessuno si ricorda di Salah, che segna con il mancino a giro, il suo marchio registrato.
Fa strano che a pronunciare queste parole sia l’allenatore della squadra che ha vinto gli ultimi Europei senza concedere neanche un gol nelle fasi finali, passando attraverso tre partite finite oltre il centoventesimo minuto. Nel frattempo non è cambiata la strategia difensiva, che punta su un baricentro medio-basso, con una linea difensiva a quattro e i terzini sempre molto stretti in fase di non possesso, per invitare gli avversari ad attaccare per vie laterali. È però generalmente peggiorata la qualità dell’esecuzione.
La difesa titolare dovrebbe essere la stessa che ha vinto gli Europei, almeno per quattro quinti: Rui Patricio in porta, Cédric a destra, Pepe al centro, Guerreiro a sinistra. L’unico insicuro di conservare il suo posto è José Fonte, che negli ultimi due anni ha subito una rapida involuzione ed è scivolato ai margini della Premier League. A febbraio si è trasferito nel campionato cinese. Non è invecchiato meglio Bruno Alves, che a 36 anni rappresenta poco più che una solida presenza in spogliatoio per questa selezione. Fernando Santos potrebbe allora decidere di dare una chance al giovane Ruben Dias. Le difficoltà, però, non affondano le radici soltanto nello stato di forma dei giocatori.
Per evitare di soffrire l’inferiorità numerica a centrocampo, il Portogallo preferisce attendere lo sviluppo della manovra nella propria metà campo, concedendosi rari momenti di pressing. Nella recente amichevole contro il Belgio, Fernando Santos si era dato la priorità di ritrovare la compattezza difensiva, allora il Portogallo ha abbassato il proprio raggio di azione registrando un’altezza media di recupero palla estremamente bassa (27.3 metri). La strategia ha funzionato: la partita è finita 0-0, e il Belgio ha tirato in porta solo tre volte.
Nonostante le accortezze, però, il Portogallo finisce spesso per riscoprirsi fragile sulle transizioni rapide, e più in generale nelle fasi fluide di gioco, in cui la squadra non riesce a recuperare rapidamente lo schieramento originale. Alla base c’è un problema strutturale: tutte le squadre di punta di questi Mondiali dovrebbero giocare con un centrocampo a tre, una disposizione che permette numerosi riferimenti sui canali di fascia e lo sviluppo immediato di triangoli laterali. In questa situazione di inferiorità numerica la mediana portoghese fatica a trovare in tempo i riferimenti in marcatura, soprattutto quando al fianco di William Carvalho agisce un giocatore poco dinamico come Moutinho.
Il Portogallo fa fatica nella copertura dei mezzi spazi. Qui McKennie, la mezzala degli Stati Uniti, si inserisce alle spalle di Guedes dopo un cambio di gioco e va a segnare un gran gol.
Anche il Belgio, pur non riuscendo a segnare, ha trovato con facilità Hazard lungo il canale sinistro del campo, creando in più di un’occasione i presupposti per arrivare al gol. Al termine della partita, Santos ha detto di aver lavorato molto con i suoi esterni proprio per difendere meglio le combinazioni sulla fascia. Proprio lo spirito di sacrificio degli esterni, chiamati a ripiegare, a stringere il più possibile la posizione e ad accompagnare i movimenti delle mezzali avversarie, si rivelerà l’ago della bilancia per l’efficacia difensiva del Portogallo.
In generale, il 4-4-2 è un modulo che in fase difensiva garantisce un’ottimale copertura del centro, e semplifica l’intesa tra i giocatori in campo, ma non è sufficientemente flessibile alla copertura degli scambi e degli inserimenti avversari. Perché risulti efficace, va interpretato con l’intensità e un’armonia difficilmente replicabile in un torneo per nazioni. Di sicuro non lo sono nelle amichevoli di preparazione, dove il Portogallo ha iniziato a palesare difficoltà.
Non serve necessariamente la mezzala di grande passo per sfruttare lo spazio concesso dal Portogallo nei canali interni. Qui è De Ligt, il terzino, a ricevere in area dopo una sovrapposizione interna e a servire l’assist per il raddoppio dell’Olanda.
Il talento di Santos per i panchinari
Proprio questa capacità di cambiare marcia, di accendere all’improvviso il proverbiale interruttore, rende indecifrabile il Portogallo in questo momento. Secondo Mourinho «sarebbe impossibile vincere i Mondiali senza Ronaldo, ma con lui nulla è impossibile». È quello che credevano tutti prima che una falena si posasse sul suo naso, poi Éder ha segnato di collo da venticinque metri e il Portogallo ha vinto gli Europei. E al di là di un paio di gol memorabili di Ronaldo, quegli Europei saranno ricordati soprattutto per il contributo della panchina.
Nei momenti decisivi, Fernando Santos è sempre riuscito a pescare una carta vincente dal mazzo: Renato Sanches con i break che spezzavano le partite, Quaresma con il gol della vittoria contro la Croazia e il rigore decisivo contro la Polonia, lo stesso Éder, con quel gol che forse neanche cercava. Poi la magia si è dissolta e tutto è ritornato alla normalità. Cristiano ha ripreso a segnare sempre, André Silva gli ha fatto da spalla, e tutto il talento offensivo alle loro spalle è rimasto confinato ad un ruolo marginale.
A marzo il Portogallo ha affrontato l’Egitto in amichevole e ne ha ricavato una vittoria sofferta (al 92’, l’Egitto conduceva 1-0). Il commento di Fernando Santos è stato: «mi sono reso conto che abbiamo una squadra che non accetta la sconfitta». Non sarà sfuggito a Ronaldo, che quella partita l’ha capovolta da solo con due colpi di testa nei minuti di recupero, e dà l’idea di apprezzare particolarmente le sovrapposizioni figurative tra la squadra e sé stesso.
Il Portogallo ha poi avuto occasione di misurarsi con l’assenza del suo capitano, trattenutosi in vacanza con un permesso speciale dopo la finale di Champions. Le risposte sono state contrastanti: per descrivere il pareggio contro la Tunisia, capace di rimontare due gol di svantaggio, il quotidiano Record ha utilizzato l’espressione «dichiarazione di dipendenza». Questo nonostante i quattro giocatori davanti (Bernardo, André, João Mário e Quaresma) avessero giocato bene, creato occasioni pericolose, regalato momenti di grande raffinatezza calcistica. Il risultato finale, però, ha provato come la sola presenza in campo di Ronaldo basti a rendere il Portogallo una squadra più compatta, più aggressiva senza palla, più solida nella gestione delle energie.
Qui un attacco elementare del Portogallo diventa un gol. Le Isole Faroe confidano di poter difendere Ronaldo per mezzo della sola forza di volontà, non finisce benissimo.
La presenza di Ronaldo semplifica numerosi aspetti della gestione di una partita, in chiave tattica oltre che emotiva. Il Portogallo ha numerose opzioni per risalire il campo, può appoggiarsi alle reti di passaggi sulle fasce, oppure affidarsi alla capacità di conduzione di Moutinho, João Mário, Bernardo Silva, quando arretrano per aumentare la densità centrale. Contro il pressing avversario, però, i difensori centrali si riservano sempre l’opzione di lanciare lungo verso la testa di Ronaldo, defilato sulla fascia sinistra, (ancora) fisicamente dominante contro qualunque terzino.
La presenza di Ronaldo, soprattutto, semplifica quello che succede negli ultimi trenta metri. Il Portogallo ha un’identità di gioco peculiare, che poggia su equilibri molto delicati: ha molti palleggiatori ma fatica ad alzare il ritmo di gioco, ha spesso il controllo del pallone ma raramente cerca di strapparlo agli avversari. Così le azioni offensive che nascono lente tendono a declinare in cross dalla trequarti dei terzini, che in condizioni normali sarebbero di facile lettura per la difesa, ma non quando il Portogallo occupa tutta l’area di rigore in ampiezza con gli attaccanti e sul secondo palo c’è Cristiano che conta i passi per il terzo tempo.
«Solo Cristiano Ronaldo è indiscutibile», ha esclamato Fernando Santos al giornalista di Record che gli chiedeva di anticipare eventuali sorprese nelle convocazioni (e lo ha fatto sbattendo un pugno sul tavolo, per aggiungerci un tocco di teatralità). Non è esattamente così, perché alle sue spalle il Portogallo può contare su giocatori di grande qualità, che sarebbero stati convocati in ogni altra selezione. Al momento di spingere la palla dentro la porta, però, nessuno è migliore di Ronaldo - probabilmente al mondo, di sicuro in Portogallo, dove sui numeri nove si è abbattuta una maledizione che si trascina da decenni.
Cristiano Ronaldo è ancora il centro di gravità delle fortune di questa Nazionale, intorno al quale ruotano satelliti di potenziale inespresso. Ma lo era anche agli Europei, e potrebbe esserlo per altri dieci anni se davvero crede di sentirsene ventitré. In Francia, questa condizione di dipendenza non schiacciò di responsabilità il supporting cast, anzi rappresentò la scintilla che alimentò la magia. Allora la distinzione semantica si consuma tutta in questo dubbio, che probabilmente scioglieremo già il 15 giugno, giorno dell’esordio contro la Spagna: quella magia è ancora viva?