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Emanuele Mongiardo
Quando Quagliarella stava per diventare eroe nazionale
21 nov 2023
21 nov 2023
Ricordo del tragico Mondiale del 2010, in cui arrivò a un passo dal salvare l'Italia da solo.
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Emanuele Mongiardo
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IMAGO / Laci Perenyi
(foto) IMAGO / Laci Perenyi
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Due giorni fa, durante uno speciale di Sky Sport dedicato al Derby della Lanterna, Fabio Quagliarella ha annunciato il ritiro dal calcio giocato. Con le sue incredibili giocate, estratte dal cilindro nei momenti più inaspettati, Quagliarella è stato il protagonista di tanti momenti indimenticabili nascosti della storia recente della Serie A. Quagliarella è stato un attaccante ben più tecnico della media, capace di vincere trofei con la Juventus e di entrare, in modi diversi, nel cuore dei tifosi di Sampdoria e Napoli. Eppure quasi tutti lo ricorderemo solo per i suoi highlights: l’attaccante di Castellammare è stato una di quelle figure capaci di entrare nella memoria collettiva attraverso momenti di pura ispirazione trasformati in colpi di genio: i gol da centrocampo, le rovesciate, i gol di tacco, i tiri al volo. Gli attimi di meraviglia che ha regalato ai tifosi lo hanno trasformato in uno di quegli eroi minori necessari per la sopravvivenza di ogni campionato. Eppure, c’è stato un momento in cui Quagliarella ha avuto la chance di avvicinarsi ai grandi del calcio italiano, una di quelle partite dei Mondiali in cui si palesa l’occasione di mettere una firma nella storia del proprio Paese. Il 23 giugno 2010, alla fine del primo tempo dell’ultima partita della fase a gironi dei Mondiali, l’Italia sta perdendo per 1-0 contro la Slovacchia. La situazione è disperata, perché con quel risultato gli "azzurri", campioni del mondo in carica, verrebbero eliminati alla fase a gironi per la prima volta dopo 36 anni. Lippi si guarda intorno e per la prima volta dall’inizio del torneo manda in campo Fabio Quagliarella.

Il disastroso secondo Mondiale di Lippi L’allora attaccante del Napoli era stato l’ultimo a salire sull’aereo per il Sudafrica. Fino al giorno dell’annuncio dei convocati, Lippi lo aveva tenuto in ballottaggio con Giuseppe Rossi. "Pepito" era stato una delle rivelazioni della Liga e l’anno prima in Confederations Cup era stato l’unica nota lieta di una spedizione disastrosa. Alla fine, però, il CT lo aveva lasciato a casa. Secondo alcuni, Quagliarella era stato raccomandato a Lippi dal suo amico Fabio Cannavaro, capitano e comandante in capo di quella Nazionale. Quagliarella sarebbe stato preferito a Rossi per via della sua duttilità: poteva giocare punta, trequartista, ma anche ala su entrambi i lati. Nonostante la versatilità, però, si trattava di un’altra punta in una squadra infarcita di centravanti come Iaquinta, Gilardino e Pazzini. Un parco attaccanti del genere tradiva la confusione nelle scelte di Lippi. Il CT era rimasto fedele agli uomini di Germania 2006 e in una stagione pessima per la Juventus aveva comunque puntato sul blocco bianconero. Il tecnico che aveva saputo creare un gruppo inscalfibile quattro anni prima, stavolta aveva avvolto di negatività la spedizione azzurra sin dal ritiro tra le montagne del Sestriere. «Tutti vogliono dire la loro e che la dicano. Non ci scalfiscono […]. Se vinciamo il Mondiale questa volta non ce li faccio salire sul pullman a festeggiare. Non succederà, ma se dovesse succedere…», ripeteva erigendo una cortina di ferro intorno ad una Nazionale che, per gioco espresso e risultati, non incontrava di certo il favore del pubblico. Che Lippi non avesse chiare le idee, lo testimoniavano i troppi esperimenti alla vigilia del Mondiale. Sulla scia del successo dell’Inter di Mourinho, anche il CT si era convinto di dover passare al 4-2-3-1. Sudafrica 2010 è stato, in generale, il mondiale del 4-2-3-1. Sembrava si potesse giocare solo con quel modulo e l’Italia non poteva fare eccezione. Gli "azzurri", però, a parte un Camoranesi sul viale del tramonto e un Pepe con evidenti limiti a quei livelli, non aveva esterni all’altezza. Mourinho da ali aveva adattato due attaccanti come Eto’o e Pandev, perciò Lippi voleva proporre la stessa idea schierando larghe punte come Iaquinta, Di Natale e Quagliarella. Oltre alle ali, mancava anche un trequartista e in quella posizione era stato schierato per la prima volta in carriera Marchisio. L’esperimento 4-2-3-1 era durato il tempo di una partita, quella dell’esordio contro il Paraguay: un pareggio per 1-1 in cui l’Italia sembrava avere come unica arma i cross di Pepe dalla trequarti. Contro la Nuova Zelanda Lippi aveva scelto di passare ad un più classico 4-4-2, ma non era bastato ad evitare un altro agonico 1-1. Nonostante il pessimo inizio, comunque, nell’ultima gara del girone contro la Slovacchia sarebbe bastato un pareggio per passare da secondi nel girone materasso del Mondiale.

A quel punto, però, gli azzurri avevano perso ogni certezza e anche la Slovacchia poteva diventare un ostacolo insormontabile. Nell’ultima gara del girone, Lippi aveva varato il terzo cambio di formazione su tre partite. Stavolta aveva adottato il 4-3-3 con dei nomi ancora più inspiegabili. Buffon aveva dato forfait alla fine del primo tempo col Paraguay, per cui in porta c’era Marchetti. A centrocampo Montolivo aveva preso il posto di Pirlo, mai disponibile fino a quel momento a causa di un problema al polpaccio. Vicino a lui e a De Rossi, Lippi aveva estratto dalla naftalina il trentaduenne Gattuso, riserva di Ambrosini nel Milan di Leonardo e reduce dalla peggior annata della sua carriera. In avanti il tridente era composto a destra da Pepe, unico sfogo offensivo nonostante i suoi limiti, Iaquinta, che aveva saltato quasi tutta la stagione a causa degli infortuni, e Di Natale, capocannoniere della Serie A giocando da centravanti o seconda punta e qui schierato da ala sinistra. Ancora una volta, l’Italia non aveva assolutamente idea di come stare in campo. E grazie a un passaggio impreciso di De Rossi, già al 25' la Slovacchia era riuscita a passare in vantaggio. Così, Lippi dopo l’intervallo decide di far entrare Maggio, tra i migliori laterali dell’ultima Serie A, e di sostituire Gattuso con Fabio Quagliarella, fino ad allora mai schierato, nemmeno a partita in corso. Bastano pochi palloni per capire come l’attaccante napoletano avesse qualcosa di diverso dai compagni e come, quel pomeriggio, avrebbe potuto trasformarsi in un eroe nazionale. Il secondo tempo di Quagliarella Quagliarella si posiziona da ala sinistra di un 4-2-3-1 con Di Natale trequartista, Pepe ala destra e Iaquinta punta. L’Italia, costretta ad attaccare, gioca in maniera farraginosa, difensori e centrocampisti lanciano in maniera disperata verso gli attaccanti senza ricavare nulla. La prima azione ragionata palla a terra arriva al 54’, proprio grazie a Quagliarella. L’attaccante del Napoli riceve una rimessa laterale spalle alla porta e con l’uomo addosso, ma col controllo orientato verso l’interno riesce a lasciarsi alle spalle il terzino. Così Quagliarella conduce e apre per Maggio sul lato opposto. La difesa slovacca è larga e il terzino può imbucare per Di Natale. Il passaggio è defilato, ma Di Natale ci ha abituati alle conclusioni più sorprendenti: l’attaccante dell’Udinese, però, colpisce solo di striscio il pallone e spreca la prima palla gol dell’Italia nella partita.

Da quel momento, Quagliarella si carica la squadra sulle spalle. L’Italia non ha movimenti offensivi, spesso non resta che giocare scomodi passaggi in verticale per le ali già marcate dai terzini. Quagliarella è l’unico degli azzurri che abbia la lucidità per anticipare le intenzioni dell’avversario, superarlo col controllo orientato e mettere i compagni nelle condizioni di attaccare in maniera assennata. È sempre stato un attaccante creativo nella definizione, non nel gioco e nella rifinitura. In una Nazionale tanto povera, però, è costretto ad assumersi anche quel tipo di responsabilità. Al 66’ riceve una verticalizzazione piuttosto scomoda di Chiellini sul centro sinistra e col primo controllo riesce per un attimo a staccarsi dal marcatore. Mentre alza la testa, sulla destra nota il taglio profondo di Pepe e lo serve in profondità con un filtrante geniale. Pepe, però, come in tutto il suo Mondiale va di fretta e crossa addosso al terzino.

Sul successivo calcio d’angolo il portiere slovacco esce fuori tempo e sfiora appena il pallone, che rimbalza vicino a Quagliarella sul secondo palo. In un battito di ciglia, l’attaccante azzurro, nonostante la concitazione, smorza di petto e calcia al volo. Quagliarella, anche allora, aveva pochi eguali a livello balistico. Uno con quel talento nei tiri avrebbe trovato la coordinazione per colpire anche uno strumento infido come il Jabulani. La palla passa in mezzo a tre slovacchi: il difensore Durica, il portiere Mucha e un giovane Juraj Kucka. Poco oltre la linea, però, Martin Škrtel riesce a metterci il ginocchio e ad evitare il gol.

Il cunicolo in cui si infila il tiro di Quagliarella.

Non è mai stato chiaro se la palla fosse entrata o meno. Non esisteva ancora la Goal Line Technology e, per quel poco che valessero, non c’erano nemmeno i giudici di linea. Quagliarella porta le mani dietro la nuca, impreca e accenna quasi un sorriso: si sente caldo e sa di poter decidere la partita. Nel frattempo entra anche Pirlo e il giocatore del Napoli trova finalmente un alleato con cui provare a ribaltare l’esito. A Pirlo la palla nei piedi non scotta. Quagliarella, dal canto suo, continua ad ispirare gli attacchi dell’Italia grazie alla sua capacità di smarcarsi col primo controllo e di cogliere di sorpresa difensori e centrocampisti slovacchi. Il problema, per Pirlo e Quagliarella, è che si ritrovano soli in mezzo alla tempesta. Tutti i passaggi per i compagni sono palloni sprecati, tutti gli altri azzurri sono inibiti dalla paura. Ogni volta che Quagliarella riesce a insinuarsi tra le linee e a ribaltare il campo verso destra, Pepe finisce per mandare tutto alle ortiche con cross sbilenchi dalla trequarti invece di aspettare la sovrapposizione di Maggio. Mentre Quagliarella prova a tenere in vita l’Italia, tra gli spettatori il pensiero va alle scelte di Lippi e a come, per quanto i calciatori italiani non fossero allo stesso livello di quelli del 2006, la Nazionale avrebbe potuto affrontare il Mondiale con tutt’altro spirito. Sudafrica 2010 è un’occasione mancata per tutti quei giocatori che forse non saranno stati dei fuoriclasse ma che in Serie A avevano dimostrato di poter dire la loro. Milan e Juventus annaspavano, Totti si era ritirato dalla Nazionale e Del Piero non veniva preso in considerazione per via del brutto momento della Juventus. Eppure, squadre di media-alta classifica della Serie A avevano saputo esprimere seconde punte e trequartisti di ottimo livello, che forse con la propria inventiva avrebbero potuto risolvere i problemi di una nazionale senza idee: oltre a Di Natale e Quagliarella, già convocati, i vari Giuseppe Rossi, Miccoli e Cossu. Senza considerare il miglior giocatore italiano di quel momento, Antonio Cassano, che forse per dissidi personali era stato emarginato da Lippi. Tutti eroi minori, protagonisti della Diretta Gol di Sky quando ancora aveva senso di esistere, che avevano definito l'estetica della Serie A di quel periodo rinverdendo la tradizione italiana del grande numero 10 di provincia. Il finale tragico Quando l’Italia sembrava poter seriamente ambire al pareggio, però, ecco la doccia fredda. Su un calcio d’angolo ribattuto, Hamšík, capitano ventitreenne della Slovacchia, rimette in mezzo un cross rasoterra. Chiellini non si accorge di avere il centravanti Vittek alle spalle, che gli sfila davanti e appoggia in rete per il 2-0. Sembra tutto finito. Quagliarella, però, si rifiuta di tornare a casa e da solo inventa l’azione del 2-1. Sugli sviluppi di un contropiede riceve a destra e punta il difensore convergendo verso il centro. Dopo aver saltato il primo uomo, Kucka gli si fa sotto e lo evita con una sorta di croqueta. Giunto sul limite dell’ara, Quagliarella appoggia a Iaquinta e si muove in avanti per farsi restituire il pallone. L’attaccante calabrese chiude il triangolo con un colpo di tacco e Quagliarella può andare al tiro. Il portiere riesce a respingere, ma sulla ribattuta Di Natale accorcia le distanze.

Mancano dieci minuti al 90’ e Quagliarella, più che l’Italia, sembra convinto di poterla pareggiare. E così sarebbe stato, se solo all’84’ non si fosse messo di traverso il guardalinee. Su un contropiede dell’Italia, Pepe scocca l’ennesimo cross dalla trequarti del suo Mondiale senza alcuna pretesa. La respinta della difesa slovacca però è inaspettatamente corta, sul secondo palo, e può essere giocata nuovamente dalla Nazionale di Lippi. Di Natale riesce a ricavarsi lo spazio per il cross basso. Quagliarella anticipa il difensore e segna cadendo, come tante volte gli abbiamo visto fare in campionato. Il guardalinee, però, alza la bandierina. A giudicare dalle immagini, il piede del difensore sembra tenerlo in gioco.

È il turning point della gara, perché l’Italia non era mai stata così vicina a qualificarsi. Gli azzurri non sanno come attaccare, Quagliarella sembra aver dato tutto. Invece del pari, al 90’ arriva il 3-1. Su rimessa laterale Cannavaro inspiegabilmente si fa trovare fuori posizione. Kopunek, che da lì a poco si sarebbe trasferito al Bari, attacca lo spazio lasciato sguarnito dal difensore napoletano e supera con un pallonetto Marchetti, insicuro in uscita. Incredibilmente la partita non è ancora finito. Al 92’ De Rossi prova un’inutile conclusione dalla distanza, ribattuta dalla difesa. Il centrocampista della Roma non demorde, entra in scivolata per recuperare il possesso e la sfera rimbalza tra i piedi di Quagliarella ai venti metri. Non si sa con quale lucidità, forse in preda ad uno di quei momenti tipici del basket in cui a certi cestisti il canestro appare più grande di quanto non sia davvero, ma Quagliarella scorge il portiere leggermente fuori dai pali. Così, disegna un pallonetto di interno collo con pochissima parabola che si insacca all’incrocio del secondo palo, forse una conclusione favorita dall’imprevedibilità del Jabulani.

L’Italia si porta sul 3-2 e si guadagna anche un’ultima occasione. Chiellini mette in mezzo una rimessa laterale lunga, che viene risputata sul secondo palo. La palla finisce tra i piedi di Pepe che, purtroppo per l’Italia, invece di impattare col piattone destro o col mancino, prova inspiegabilmente a calciare di collo destro, con pochissima superficie. Pepe, suo malgrado, è stato vittima di una Nazionale piena di storture, che gli ha chiesto più di quanto fosse in grado di fornire. Il modo in cui cicca il pallone del pari è l’immagine finale del disastroso Lippi bis. Su Quagliarella, al contrario, il CT non ha mai puntato davvero, forse non si aspettava nemmeno quel tipo di prestazione quando lo ha inserito nel secondo tempo: la dimostrazione, una volta di più, di come certe convinzioni degli allenatori possano condizionare in negativo il percorso di una squadra. Quagliarella esce dal campo piangendo, consolato da Fabio Cannavaro. Un articolo della Gazzetta dello Sport paragona le sue lacrime a quelle di Baresi dopo la finale di USA ‘94 e a quelle di Cassano dopo il biscotto di Euro 2004. L’Italia è un Paese ossessionato dal risultato, e forse non potrebbe essere altrimenti con la sua storia sportiva. Eppure, è nobile che il pubblico, spesso, si riconosca nel momento catartico del pianto e nella fragilità dei suoi campioni. Quagliarella non è stato a livello dei più grandi, nemmeno in Serie A, ma gli appassionati hanno saputo empatizzare con lui, arrivato dal nulla in Serie A ed esploso a suon di gol spettacolari domenica dopo domenica. Più dei gol e del talento, però, sono stati gli snodi tragici della sua carriera ad averlo messo in contatto con il pubblico, anche oltre queste lacrime contro la Slovacchia. L’infortunio al crociato che lo ha fermato nel momento migliore della carriera, alla Juventus, quando sembrava finalmente sulla cresta dell’onda; la storia dello stalking subito a Napoli; e infine la rinascita alla Samp nell’ultimo tornante della carriera. Tutto questo lo ha reso una delle figure più amate della Serie A, nonostante i ripetuti cambi di maglia. Chissà, magari se fosse riuscito a trascinare l’Italia agli ottavi di finale di quel Mondiale, Quagliarella avrebbe goduto di più considerazione anche dopo il grave infortunio al ginocchio che l'avrebbe fermato solo pochi mesi dopo.

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