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Tommaso Clerici
Bellator è tornata in Italia
01 nov 2022
01 nov 2022
Com'è andato l'undicesimo evento italiano della prestigiosa promotion di MMA.
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Tommaso Clerici
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Foto di Maurizio Pavone – Warrior of Creativity
(foto) Foto di Maurizio Pavone – Warrior of Creativity
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È un venerdì, ora di pranzo. Arrivo all’hotel Sheraton di San Siro, un quattro stelle nel quartiere di Milano Ovest che separa la città dai primi comuni dell’hinterland. La promotion americana Bellator MMA, la seconda al mondo per importanza dopo UFC, ha convocato i giornalisti per la cerimonia del peso e il face to face tra gli atleti coinvolti nella card prevista per il giorno dopo nel capoluogo lombardo.

Bellator ha scelto l’Italia per l’undicesima volta nella sua storia, dopo il debutto a Torino nel 2016. Il Presidente Scott Coker si era espresso così: «L’Italia è un ottimo mercato per noi ed è parte centrale nel nostro piano di sviluppo a livello europeo. Le MMA stanno crescendo rapidamente qui. Ho la sensazione che abbiate appena iniziato a scoprire la bellezza e la potenzialità delle arti marziali miste: sempre più palestre stanno cominciando a insegnare questo sport con i suoi valori ai giovani. La preparazione media dei fighter migliora ogni volta che torniamo. Adoriamo venire in Italia».

I rituali del combattimento

Supero l’elegante ingresso e l’ampia hall dell’hotel ed entro nella sala adibita ai weigh ins. È uno di quegli spazi che gli alberghi utilizzano per conferenze o eventi aziendali: enorme, a tratti spoglio, ma luminoso grazie a una vetrata che dà sul cortile interno. Ha un soffitto alto su cui spiccano lampadari moderni che formano delle ellissi sospese, un pavimento di parquet, otto file di sedie, due tavoli su cui si sono accomodati i giornalisti, e una zona per le telecamere che riprendono la cerimonia per trasmetterla in live streaming. Spicca il palco su cui risaltano il logo della promotion e gli sponsor principali della serata.

I presenti, oltre agli addetti ai lavori, sono il personale di Bellator ma soprattutto i team dei fighter coinvolti: coach, altri atleti, familiari, un campionario umano piuttosto curioso. Il clima è disteso e rilassato, dato che i combattenti si sono pesati ufficialmente ore prima, e alcuni hanno già iniziato a recuperare i chili persi (nell’intervista con Dylan Hazan abbiamo approfondito l’argomento). Lo speaker comincia a chiamare i fighter, annunciandone il peso. Gli atleti sfilano sul palco, fanno un passaggio brevissimo sulla bilancia, flettono le braccia o tirano gli addominali, mettendosi in posa per i fotografi. Poi aspettano l’avversario, che compie lo stesso rituale, finché si trovano uno di fronte all’altro per qualche secondo: c’è chi si guarda in silenzio, chi si stringe la mano e sorride, mentre per un paio di sfidanti deve intervenire la security a placare gli animi. A quel punto i fighter si ricongiungono con i team e abbandonano la sala.

Prima di andarmene chiacchiero con Daniele Scatizzi, peso leggero, uno degli italiani impegnati nell’evento, che si presenta all’appuntamento con un record di 11 vittorie e 6 sconfitte (da qui in avanti riporto i record dei fighter senza contare il match in questione). Scatizzi a soli 29 anni è già un veterano delle MMA internazionali: sette anni fa ha perso la combattuta finale del torneo dell’organizzazione Venator FC contro Marvin Vettori, che da lì ha trovato lo slancio decisivo per approdare in UFC. Daniele ha combattuto in Medio Oriente e poi ha firmato con Bellator, dove ha disputato cinque match, vincendone tre. Alessio Di Chirico lo ha definito “il fighter più sottovalutato d’Italia”, perché Scatizzi ha sempre accettato incontri difficili contro avversari ostici, che forse ne hanno minato il potenziale.

Il face to face tra Davy Gallon e Daniele Scatizzi (a destra) (foto Bellator MMA).

La sfida che lo attende il giorno successivo non fa eccezione: «Devo ancora capire se mi danno questi match perché non vedono l’ora di farmi fuori, oppure perché credono nelle mie capacità», scherza lui. «Se mi sento sottovalutato? Sì, in Italia non si parla quanto si dovrebbe non solo di me, ma di tutti i miei colleghi, del fighting in generale». Gli chiedo com’è andata la preparazione e come giudica il francese Davy Gallon (ha uno score di 21 vittorie e 7 sconfitte), con cui incrocerà i guantini nell’ottagono: «È un atleta esperto, preparato in tutti gli ambiti del combattimento. Viene dal judo e ha un forte background nella lotta, perciò penso che proverà a proiettarmi al suolo per vincere, ma è proprio a terra che mi sento migliore di lui. Dal vivo me lo aspettavo più alto… Come sempre sono volato a Dublino per gli ultimi due mesi del camp, alla SBG Ireland, lo stesso team di Conor McGregor. È la mia seconda casa, è quasi una decina d’anni che combatto per loro. Ho l’alloggio direttamente in palestra, hanno ricavato delle stanze nella struttura, quindi esco solo per andare a fare la spesa. Per me è meglio, così resto concentrato, tanto a Dublino non c’è molto da fare… Piove sempre. Oggi mi raggiungono mia moglie e mia figlia, non le vedo da tanto, così passiamo le ultime ore prima del match in famiglia». Scatizzi è un ragazzo estroverso, socievole, sorride sempre e sembra non sentire la pressione. Per lui combattere è un divertimento, è la vita che si è scelto, quindi affronta questi momenti con serietà ma anche con la giusta dose di leggerezza.

Ultimi preparativi

Rientro a casa e nel pomeriggio mi chiama Samuele Sanna, storico manager di MMA che assiste Simon Biyong, fighter camerunese ma con un lungo trascorso in Italia come abbiamo già raccontato tempo fa, in scena anche lui nella card Bellator. Mi invita a cena con Simon e il suo team; accetto, ed eccomi in un ristorante sui Navigli. Mi presento all’Head Coach Ivan Hippolyte, leggenda della Muay thai e della kickboxing, di cui è stato campione mondiale, e al coach di brazilian jiu-jitsu Leozada Nogueira, brasiliano, fighter di MMA, veterano del wrestling e campione del mondo di grappling. Entrambi rappresentano l’UFD Gym di Dusseldorf, la palestra in cui Biyong si è trasferito di recente, pur continuando a vivere a Genova, salvo per i periodi di training camp. Simon mi ha spiegato che il suo ex coach italiano ha vissuto la sua scelta, dovuta a un desiderio di crescita che una realtà piccola come quella ligure non poteva dargli, come un tradimento, e le ripercussioni sono state pesanti. L’avversario che lo attende è il kickboxer Dragos Zubco, di stanza in Liguria, in passato sparring partner di Biyong e che al suo angolo avrà proprio il vecchio allenatore di Simon, desideroso di rivalsa, anzi, proprio di vendetta.

Il faccia a faccia tra Biyong (a sinistra) e Zubco. (foto Bellator MMA)

Sembra la trama di un film ma è la realtà: «Non devo farmi distrarre dalle dinamiche personali, mi sono preparato al meglio e sono pronto a chiudere il match prima del limite» mi spiega Biyong. «Tante persone hanno cercato di ferirmi in questi mesi, mi hanno definito un infame perché ho preso una decisione necessaria per la mia carriera. Io non ho mai replicato, preferisco essere discreto. Ci penserà la gabbia». Con Simon parliamo di tutto. Del suo arrivo in Italia come studente dal Camerun, del razzismo subito: «A volte salivo sull’autobus e la gente si spostava. Vedono un africano e pensano sia arrivato con il barcone, ma io sono venuto qui in aereo, con il visto e i documenti in regola». Ma anche della grande solidarietà ricevuta: «Prima del contratto con Bellator avevo problemi economici, in tanti ci hanno aiutato regalandoci vestiti per i miei figli». E ancora, del tema dell’immigrazione: «Certo, con gli sbarchi incontrollati si infiltrano assassini, criminali, che rovinano l’immagine degli stranieri in Italia. Ma gli immigrati partono desiderosi di cambiare la loro vita, pronti a dare un contributo, purtroppo non hanno gli strumenti per farlo e a volte si ritrovano sbattuti in strada, in una realtà che non si sarebbero mai aspettati, e rimpiangono di aver lasciato il loro Paese di origine».

Mi dice che i primi tempi a Genova sono stati duri, viveva nei vicoli del centro storico tra spacciatori ed eroinomani insieme a sua moglie, che ha conosciuto su Facebook tramite amici in comune. Si sono scritti per mesi, si sono visti e lei ha deciso di lasciare la Germania, dove viveva e lavorava, per trasferirsi da lui, che era ancora studente, senza nessuna garanzia. Lo ha sempre appoggiato, anche nel percorso sportivo, e quando ne parla si capisce che Simon nutre una stima immensa nei suoi confronti. Adesso riescono a mantenersi grazie alle MMA, dato che Biyong ha firmato un contratto molto vantaggioso con Bellator; dovesse vincere contro Zubco guadagnerebbe una cifra importante, che in parte userebbe per cambiare casa. Conclude raccontandomi del training camp, del fatto che a due mesi da ogni incontro si trasferisce a Dusseldorf, alloggiando in una stanza condivisa sopra la palestra, da cui esce raramente. Mi spiega che all’inizio gli allenamenti sono sfiancanti e lo lasciano senza energie, ma appena prende il ritmo comincia a sentire nostalgia di casa, e allora basta vedere una foto dei suoi figli (di uno e quattro anni) a farlo scoppiare a piangere.

Hippolyte dispensa aneddoti sulla sua vita, dai ring di tutto il mondo, Nogueira ha 38 anni e ci spiega di essere appena diventato nonno. Simon mangia un antipasto di pesce (evitando quello crudo), un piatto di pasta con vongole e bottarga, un sorbetto al limone e un tiramisù. Beve acqua naturale. Sulla bilancia ufficiale era 93 chili, il limite di categoria per i pesi massimi leggeri, ma mi spiega che entrerà in gabbia a 100 chili circa. Il giorno dopo è quello del match, si sveglierà presto, farà una camminata, poi un pisolino, colazione, risveglio muscolare, pranzo leggero e via verso il palazzetto. Quando ci salutiamo ci ringrazia per avergli fatto passare qualche ora tra amici, così si è distratto, staccando mentalmente dall’impegno che lo attende.

Sipario: si va in scena

Incontro di nuovo Biyong negli spogliatoi dell’arena, la sera dell’evento. Mancano due match al suo. Lo trovo sereno, concentrato, determinato: «Andrà come deve, siamo pronti». Il suo manager gli aveva detto: «Lo sai, devi vincerlo bene questo incontro, prima del limite, nei round iniziali».

Lo sguardo di Simon quando mancano due incontri al suo. “Hemlè” è il suo soprannome, significa “cuore di leone” (foto di Maurizio Pavone / Warrior of Creativity).

La scenografia di Bellator è spettacolare: la gabbia troneggia al centro del palazzetto, sotto le luci dei riflettori. Il pubblico è variegato, con una buona percentuale di fan delle MMA e di fighter: incontro Carlo Pedersoli Jr, Micol Di Segni, Danilo Belluardo, Wisem Hammami, tra gli altri. Poi ci sono praticanti, addetti ai lavori, lo zoccolo duro di appuntamenti di questo tipo.

Conosco un gruppo di ragazzi, è la loro prima volta a un evento di arti marziali miste. Gli chiedo cosa li colpisce in particolare. Mi rispondono che il tifo è familiare, le persone dagli spalti chiamano i fighter per nome, urlando consigli (“portalo a terra, vai con il destro”, eccetera), come se i combattenti potessero sentirli. Il rumore dei colpi sui corpi non si sente, ma impressiona il suono dell’impatto degli atleti con il tappeto dell’ottagono quando vengono proiettati a terra: mi dicono che fa percepire la fisicità, il dolore che provano, l’intensità dello scontro.

L’atmosfera si scalda durante i match di Nicolò Solli (peso welter che registra 4 vittorie e 1 sconfitta), talento molto interessante che vanta una tifoseria organizzata in stile curva calcistica, uscito vincitore per split decision da un match equilibrato contro il francese Bourama Camara, e di Daniele Scatizzi, capace di sfoderare una grande performance che gli permette di vincere ai punti su Gallon. Una conferma delle impressioni che Daniele mi aveva riferito alla cerimonia del peso, dato che la lotta è stata la chiave del combattimento. Scatizzi spiega ai microfoni di Mola Tv subito dopo il successo: «Combattere in casa è fantastico, è stata un’emozione unica. Vorrei tornare in azione a febbraio, nell’evento Bellator di Dublino, la mia seconda casa». Solli e Scatizzi sono compagni di team e amici intimi: «Nicolò stasera era al mio angolo subito dopo aver combattuto. Abbiamo un legame fortissimo, difficile da spiegare. Ci sosteniamo sempre e quando capita che siamo entrambi impegnati nella stessa serata è sia una grande motivazione, sia impegnativo a livello emotivo».

Scatizzi festeggia la vittoria, il pubblico è in visibilio (foto di Maurizio Pavone / Warrior of Creativity).

Quando arriva il momento di Biyong, l’incontro non inizia come ci si aspettava. Zubco in piedi è incisivo e pizzica il mento di Simon con un paio di colpi potenti, sorprendendolo. Come sempre, le MMA sono imprevedibili. Biyong mi aveva spiegato di non sentirsi inferiore all’avversario nello striking, per cui non avrebbe cercato subito la proiezione a terra. Ma alla luce di un inizio in salita i piani cambiano e quando Biyong riesce a portare al suolo Zubco l’inerzia della sfida si inverte. L’avversario riesce a sopravvivere al primo round, ma capitola al secondo, quando Biyong scatena un ground and pound devastante su cui l’arbitro interviene con ritardo a interrompere le ostilità. Il filmato che mostra la fine dell’incontro è impressionante. Con Simon in piena trance agonistica che colpisce e urla: «Devo vincere! Devo vincere!».

Poi si alza, dice qualcosa al suo ex coach che ribatte, lo staff di Bellator riporta la calma e Biyong può festeggiare dopo un lungo abbraccio con Zubco. Intervistato nel post match, Simon dichiara: «Tecnicamente non sono soddisfatto della mia performance, sono sempre molto duro con me stesso. Mi sono allenato al massimo perché Zubco mi conosce bene, siamo stati sparring partner per quasi un anno. Anche lui si è preparato con grande serietà, anzi si è proprio superato sia nel camp che nel match. Spero di aver offerto un bello spettacolo al pubblico».

Il devastante ground and pound con cui Biyong chiude il match (foto Maurizio Pavone / Warrior of Creativity).

Ma ora è il turno dell’unico match femminile della serata, il derby nei pesi paglia tra le italiane Chiara Penco (7 vittorie e 3 sconfitte) e Manuela Marconetto (con record di 3 successi e una disfatta). La spunta Penco per split decision, un verdetto contestato dall’arena ed effettivamente controverso. «Mi aspettavo di combattere meglio, non sono riuscita a trovare la distanza e a esprimere quello che avrei voluto, ma sono contenta del risultato», le impressioni di Penco. «È la mia quarta vittoria consecutiva in Bellator, spero di poter combattere presto per la cintura».

Un’ora dopo esco dal palazzetto, attraverso la strada ed entro nel pub in cui Biyong sta festeggiando la vittoria. Mi congratulo con lui, ci abbracciamo. Vuole scattare una foto ricordo con il libro che ho scritto sulle storie dei fighter italiani. Un capitolo racconta la sua.

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