
Nell’estremo sud della Svezia, a un’ora e mezza di macchina da Malmö, c’è una piccola penisola – Listerlandet – il cui nome sembra uscito da una fiaba. E a una fiaba somiglia molto anche la storia del Mjällby, squadra di riferimento della regione, capace di sbaragliare la concorrenza dei grandi club del Paese e aggiudicarsi, per la prima volta nella sua storia, il campionato svedese. L'ufficialità è arrivata ieri sera, dopo la vittoria per 0-2 sul Göteborg, fuori casa, che ha messo una distanza di ben 11 punti con l'Hammarby secondo in classifica a sole tre giornate dal termine.
«Non avrei mai pensato di poter vivere qualcosa di simile nella mia vita», ha dichiarato il centravanti del Mjällby, Jacob Bergström, dopo aver dato il primo vantaggio alla propria squadra in questa storica partita: «Sono incredibilmente grato di essere in questo gruppo: abbiamo dimostrato che credere in una squadra ti può portare più lontano di quanto immagini». Per dire dello stato di fiducia totale che sta vivendo questa squadra, basti pensare che Bergström, di cui parleremo meglio più avanti, ha segnato questo gol con una specie di rovesciata nell'area piccola, dopo averne segnati appena altri tre per tutto il resto del campionato.
È una storia che a molti ha ricordato quella del Leicester, in Premier League: il paragone regge fino a un certo punto, viste le disparità economiche che separano i due tornei, ma che non è del tutto peregrino, considerando il fatto che nessuno – a cominciare dai protagonisti – avrebbe mai scommesso una corona sulla vittoria della squadra giallonera.
A inizio campionato, i favori del pronostico erano tutti per il Malmö, la squadra più vincente del calcio svedese (24 titoli nazionali, di cui 4 negli ultimi 6 anni), la più ricca, grazie agli introiti accumulati con la partecipazione alle coppe europee, e quella con la rosa sulla carta più forte, con buona pace dei club di Stoccolma (AIK, Djurgården, Hammarby) e di Göteborg (IFK, GAIS e Häcken, l’ultima squadra capace, nel 2022, di interrompere l’egemonia degli Himmelsblått). Tra l'altro, una delle squadre tatticamente più interessanti in Europa negli ultimi anni.
Quello del Mjällby, però, è un successo costruito nel tempo, con una coerenza rara nel calcio di oggi. Dalla promozione in Allsvenskan del 2019, arrivata dopo un decennio di saliscendi tra prima e seconda divisione, il Mjällby ha scelto di crescere senza forzature, consolidando ogni passo e mantenendo un’identità riconoscibile.
Il club ha sede a Sölvesborg, nella penisola di Listerlandet, un territorio di fattorie e piccoli porti, dove la pesca e il lavoro nei campi convivono da sempre. Lo stadio Strandvallen sorge a Hällevik, ma il club rappresenta un’area più ampia, la comunità che ruota attorno a Sölvesborg e al vicino paese di Mjällby, da cui prende il nome. Solo dieci anni fa, nel 2015, la squadra era sprofondata in terza divisione dopo aver perso lo spareggio salvezza contro l’Örgryte. Una retrocessione dolorosa, seguita da stagioni difficili: nel 2017, ancora contro l’Örgryte, sfumò la promozione per un soffio. Il ritorno in Superettan arrivò solo nel 2018, ma già l’anno successivo, contro ogni pronostico, il Mjällby conquistò nuovamente un posto in Allsvenskan. Da lì ha iniziato un percorso di consolidamento che, passo dopo passo, lo ha portato fino alla vetta del calcio svedese.
I risultati di questi anni nascono da un modello gestionale improntato alla misura. Niente salti in avanti, nessuna corsa agli investimenti, ma una crescita paziente fondata sulla continuità. Come ha spiegato il presidente Magnus Emeus in un’intervista al magazine Offside, «dobbiamo migliorare costantemente: è grazie a ciò che abbiamo fatto, passo dopo passo, che siamo arrivati fin qui». Una filosofia che richiama il principio del kaizen, il miglioramento continuo, applicato a ogni ambito del club – dalla formazione dei giovani alla scelta degli allenatori.
A incarnare questa visione è soprattutto Hasse Larsson, ex attaccante e oggi direttore sportivo, figura centrale nella storia recente del Mjällby. Poco incline alle teorie manageriali, è descritto da chi lo conosce come un uomo pragmatico, abituato a decidere in fretta e a fidarsi dell’istinto. È lui a mantenere l’equilibrio del club, a garantire coerenza e senso di appartenenza, e a ricordare che l’obiettivo non è crescere ad ogni costo ma restare fedeli a un modo di fare calcio sempre più raro.
Anche per questo, dopo ogni buona stagione, il Mjällby ha resistito alla tentazione di stravolgere la squadra: ha preferito conservare l’ossatura, aggiungere pochi innesti mirati e puntare sul lavoro quotidiano. Alla base di tutto c’è la fiducia nell’allenatore Anders Torstensson, tornato più volte alla guida del gruppo e interprete ideale di questo approccio: discreto, metodico, più educatore che capo. La sua forza è nella semplicità, nell’idea che un’identità chiara conti più di qualsiasi ambizione.
La sua storia personale sembra riflettere quella del club: discreta, radicata nella quotidianità, lontana da ogni retorica eroica. Dopo aver guidato il Mjällby in diversi momenti, nel 2014 aveva lasciato la panchina per dedicarsi all’insegnamento e poi alla direzione di un istituto superiore, convinto di aver chiuso con il calcio professionistico. È stato richiamato solo nel 2023, quando la società ha cercato un profilo in grado di dare continuità e equilibrio dopo la partenza di Andreas Brännström.
Torstensson non si definisce un grande tattico. Dice di essere, piuttosto, un organizzatore, qualcuno che cerca di mettere le persone nelle condizioni migliori per lavorare. Dalla scuola ha portato un metodo basato sull’ascolto e sulla responsabilità: come un preside che coordina insegnanti, personale e studenti, allo stesso modo distribuisce ruoli e fiducia all’interno dello staff tecnico. «A scuola gli studenti sono il prodotto finale. Qui, sono i giocatori», ama ripetere, sintetizzando una filosofia che unisce rigore e pragmatismo. Il suo approccio si fonda su concetti semplici: chiarezza, disciplina, collaborazione. Pretende che ognuno sappia cosa fare, più che seguire alla lettera uno schema. Il Mjällby di Torstensson non gioca per stupire, ma per restare fedele a un principio di efficienza: usare al meglio ciò che si ha. Una squadra costruita sull’ordine, sulla fiducia reciproca e sulla consapevolezza dei propri limiti – e forse proprio per questo capace di superarli.
Una delle vittorie più significative di questa stagione: l'1-3 rifilato al Malmö a casa sua.
Il risultato è una squadra specchio del suo allenatore: concreta, ordinata, capace di adattarsi. Il Mjällby non impone il proprio ritmo, lo misura. E nel farlo, trova un equilibrio raro tra disciplina e intuizione, tra struttura e libertà. In porta c’è Noel Törnqvist, riconosciuto all’unanimità come il miglior portiere dell’Allsvenskan: alto (1,95) ma anche reattivo, sempre concentrato, lascerà la Svezia a gennaio per abbracciare il progetto Como, dove proverà a mettere pressione a Butez. Nonostante l’affare tra le due società sia stato ufficializzato ad agosto, Törnqvist ha scelto di restare fino al termine della stagione svedese (novembre) al Mjällby con la formula del prestito.
Scelta opposta a quella di Nicklas Røjkjær, trasferitosi in estate al Nordsjaelland per poco più di un milione e mezzo di euro, cifra comunque consistente per i parametri del Mjällby. Il centrocampista danese, leader tecnico della squadra per un anno e mezzo, ha preferito cogliere l’opportunità di tornare in patria in un club dove intravedeva prospettive migliori, ma in una recente intervista ha detto di continuare a seguire con grande trasporto i suoi ex compagni, convinto – a ragione – di essere stato uno dei protagonisti dell’ascesa del club.
Il suo posto in mezzo al campo è stato preso da Ludwig Thorell, classe 2005, visto recentemente contro l’Italia nelle qualificazioni dell’Europeo Under 21. Brevilineo, tecnico, dotato di grande visione di gioco, non ha fatto rimpiangere il danese, imponendosi con personalità accanto all’esperto Jesper “Jeppe” Gustavsson, capitano e leader dello spogliatoio. Al Mjällby dal 2013, era in campo anche il 5 novembre 2016 a Malmö contro il Prespa Birlik, nel punto più basso della storia recente del club: una sconfitta avrebbe condannato la squadra alla retrocessione in quarta divisione, ma il Mjällby reagì con un perentorio 3-0, ponendo la prima pietra per la ripartenza della società.
Altra figura di culto è Jacob Bergström, centravanti vecchia scuola alla sua terza esperienza in giallonero. Anche lui trentenne, non è più titolare fisso, ma si alterna con il gambiano Abdoulie Manneh – una delle rivelazioni della stagione – e l’esperto Alexander Johansson, arrivato nel 2023 dal Varberg. La fascia destra è territorio di caccia di Herman Johansson, altro giocatore-simbolo della squadra, specializzata nel valorizzare giocatori provenienti dalle serie minori snobbati dai grandi club.
Non fa eccezione Elliot Stroud, arrivato anch’egli nel 2023 dall’Oddevold. Mancino, potente e duttile, abile sui calci piazzati, è dato partente da almeno tre sessioni di mercato, ma per il momento la società ha fatto lo sforzo di trattenerlo, venendo ripagata con prestazioni sempre più convincenti.
In difesa il trio titolare è composto dal pakistano Abdullah Iqbal, raro caso di braccetto mancino che gioca prevalentemente a destra, Alex Noren, principale innesto del mercato invernale, arrivato a parametro zero dal GAIS, e Tom Pettersson, 35enne ex Göteborg e Östersund, mancino con la passione per la musica. Una dozzina di anni fa, quando militava nell’Åtvidaberg, compose una canzone diventata di culto in cui prendeva bonariamente in giro squadre e giocatori avversari.
Lo spirito di quel gruppo ricorda un po’ quello del Mjällby, e Pettersson è il perfetto punto di riferimento per i compagni, con la sua attitudine sempre positiva e ottimista. E forse è questo il segreto del Mjällby: continuare a credere in se stessi, anche quando tutto intorno sembra dire il contrario.