Solo un paio di stagioni fa, giocatori come Danny Green e DeMarre Carroll erano ai margini della NBA. Il primo luglio della scorsa estate, invece, entrambi hanno firmato entrambi dei quadriennali per un totale combinato di 105 milioni di dollari. Nella lega dei Daryl Morey, dei Gregg Popovich e degli Steve Kerr, i 3&D — che un tempo erano relegati come ruolo e salario a “role players” — stanno rapidamente raggiungendo i piani più alti della gerarchia. Oltre ai loro innegabili miglioramenti, nel frattempo la lega ha capito che alcune caratteristiche che prima venivano snobbate sono adesso diventate delle chiavi indispensabili per arrivare alle vittorie.
Capire il gioco in modo diverso da come lo si è sempre pensato porta a cambiare il modo in cui esso viene giocato e, di conseguenza, come i suoi interpreti vengono pagati. Se vogliamo fare un po’ di dietrologia, possiamo renderci conto di come per molti anni numerosi giocatori hanno ricevuto enormi meriti (magari perfino superiori a quelli reali) a causa delle voci che esistevano sul referto di fine gara: punti, rimbalzi, assist, rubate, perse. Sono dati estremamente rapidi da registrare e vengono usati fin dalla notte dei tempi nei vari tabellini a causa della loro semplicità di raccoglimento. Ma calibrando la valutazione su essi, si abbassa tremendamente la capacità di analisi su dei dati che sono, per loro natura, semplicizzati per una tabella.
Prendiamo questa azione: tutto ciò che rimane nel tabellino classico è che Kent Bazemore ha segnato su assist di Paul Millsap. Eppure gran parte del merito sarebbe da attribuire a Kyle Korver. Goran Dragic, in marcatura su Bazemore, gira la testa verso destra perché si aspetta un blocco dal lato debole, ma Korver lo porta con estrema sapienza: non costeggiando la linea dei tre punti (dove sarebbe facilmente visibile), ma facendo prima qualche passo verso il pitturato e poi, una volta sparito dal campo visivo dello sloveno, avvicinandosi e posizionandosi esattamente nel momento in cui Bazemore inizia a tagliare. In questo modo Dragic perde il suo uomo che, ricevuto il passaggio, può segnare un canestro elementare.
Prendiamo di contro quest’altra azione: nel tabellino rimarrebbe solo il tiro sbagliato da Bobby Portis (nemmeno il passaggio di Butler verrebbe contato), ma se l’azione è stata un colossale disastro lo si deve in gran parte ai blocchi di Mirotic. Per ben due volte i blocchi avvengono lontani dal giocatore e gran parte del corpo è spostata verso l’area, pronta a “rollare” a canestro. In questo caso il blocco non è servito a creare spazio o avvantaggiare il proprio attacco, ma solo a portare un uomo in più nella zona di Butler — creandogli inoltre, al momento del roll, ulteriori difficoltà andando a far coprire alla difesa la zona di passaggio centrale.
I blocchi sono forse l’evento che per eccellenza nel basket è definito come “intangibles”, ovvero che non può essere registrato ma solo percepito come determinante. In realtà ci sono persone che registrano e studiano questo genere di eventi, e non sorprendetevi se nel giro di poche stagioni i giocatori verranno pagati anche in base a come portano i blocchi o come sfruttano gli stessi. Per certi versi, nelle squadre pro succede già: vi ricordate il contratto strappato da Kendrick Perkins a OKC nonostante non sapesse fare nulla con un pallone tra le mani? Ecco.
Nelle ultime settimane, tramite ChartSide, abbiamo collaborato con Vantage Sports per studiare e rendere più fruibili i dati raccolti sui blocchi e, con un gioco di parole, rendere così tangibile un dato che da sempre non lo è.
Scomporre il problema
Gli eventi che vengono registrati sul tabellino classico in genere hanno un unico output da valutare: ad esempio, il tiro può entrare oppure no. Non ci sono vie di mezzo. Ma non solo. Quei dati in genere hanno anche un unico fine: il tiro serve solo a segnare dei punti, la rubata solo a cambiare il possesso, il rimbalzo difensivo a concluderne uno e iniziarne uno nuovo ecc. I blocchi non possono essere studiati in modo così tradizionale: essi coinvolgono più di un giocatore, possono avere diversi scopi e diversi risultati.
Alcune squadre, come gli Hawks visti prima, usano i blocchi per liberare un giocatore senza palla e farlo posizionare senza diretta marcatura in una zona favorevole. I Blazers fanno una cosa simile: sfruttando due dei migliori tiratori dal palleggio (Lillard e McCollum) per generare punti portano molti blocchi su di loro mentre hanno la palla, per permettergli di creare separazione col difensore e prendere un tiro ad alto rendimento.
Gli Spurs sembrano seguire un piano tattico completamente diverso: i blocchi non servono per realizzare un canestro, ma per permettere a un giocatore di ricevere palla in una zona chiave del campo e offrire così agli altri il maggior numero di linee di passaggio. O ancora: Rick Carlisle coi Dallas Mavericks ha costruito una squadra da titolo facendo portare a Dirk Nowitzki dei blocchi in modo da impegnare il suo diretto marcatore in altri compiti difensivi, piuttosto che il solo sorvegliare il tedesco a vista.
Insomma: il problema è molto articolato e non lo si può affrontare come si sono affrontati molti altri. Al giorno d’oggi esistono due modi per tracciare i dati: o automaticamente, tramite le telecamere di SportVU installate in tutte le 29 arene NBA; o manualmente, come fanno Vantage, Synergy e altre compagnie.
I blocchi sono eventi facilmente rilevabili e comprensibili da un occhio umano, ma insegnare a una macchina cos’è un blocco richiede numerosi fattori (posizione, prossimità, tempo di attesa, distanza tra i giocatori prima e dopo il blocco) che rendono il compito più arduo ma non certamente irrisolvibile. Del blocco quindi proviamo a valutare sostanzialmente due aspetti: se quello portato è “buono” e qual è l’obiettivo degli stessi.
Solidità
Vantage traccia un dato abbastanza esaustivo per valutare la solidità del blocco: la solid screen%. La definizione è la seguente: percentuale di blocchi nei quali il bloccante (screen setter da ora in poi) crea contatto o re-indirizza il difensore.
Screen in inglese significa letteralmente “schermo”: lo scopo paradigmatico del blocco dovrebbe essere quello di “schermare” una zona del campo a un giocatore, costringendolo a perdere contatto o, quantomeno, di dover aggirare l’ostacolo per adempiere al suo ruolo. Nell’esempio precedente Korver porta un blocco solido, Dragic viene fermato sul posto e Bazemore riesce a creare abbastanza separazione per arrivare a segnare sotto canestro. Korver è il migliore dell’intera NBA per solid screen%, alcuni giocatori che eccellono nella categoria sono i seguenti:
Giocatore Solid Screen %
Kyle Korver 88.97%
Kyle Lowry 88.30%
Isaiah Thomas 87.76%
Kawhi Leonard 87.03%
Myles Turner 86.21%
DeMarcus Cousins 85.47%
Draymond Green 85.46%
Al contrario, i blocchi portati da Mirotic nell’esempio di prima non sono affatto solidi: Devin Harris in nessuno dei due casi deve cambiare traiettoria di movimento per restare in marcatura su Butler.
Alcuni dei peggiori giocatori per solidità dei blocchi portati sono i seguenti:
Giocatore Solid Screen %
Carmelo Anthony 71.99%
Kristaps Porzingis 72.96%
J.J. Hickson 73.05%
Pau Gasol 73.57%
Nikola Mirotic 74.29%
Hassan Whiteside 75.99%
Marc Gasol 76.24%
Come l’esperienza e il buonsenso possono certamente insegnare, non si può ridurre un problema a un singolo dato: balza subito all’occhio come le ali dei Knicks o come insospettabili tipo Marc Gasol possano figurare tra i peggiori in una statistica del genere. Il motivo è che portare un blocco solido non è correlato così direttamente con l’essere un buon bloccante: Gasol finta spesso il blocco per effettuare uno “slip” in posizione di tiro, perciò i suoi blocchi risultano meno “solidi”, ma non per questo meno efficaci.
Come accennato prima, Nowitzki ha vinto un anello grazie al suo pick & pop, ma occorre distinguere solidità da efficacia: Dirk è 14° nella sua squadra per solidità di blocchi (77.09%), ma è secondo di un’incollatura dietro Zaza Pachulia per punti generati per ogni blocco — e il dato fa ancora più impressione considerando che a volte è proprio Pachulia a portare i blocchi su cui segna Dirk.
Un altro modo per valutare la solidità dei blocchi può essere quella di considerare quelli per cui il beneficiario del blocco è libero, riceve palla o meno senza pressione del marcatore o riesce a prendere un tiro con spazio.
Le dimensioni dei quadrati rappresentano il numero di blocchi effettuati nella zona, il colore rappresenta l’efficacia a seconda dell’esito oggetto di studio. In questo caso, sono i blocchi lontano dalla palla che porta Detroit con l’esito di liberare chi riceve il blocco.
Si può capire immediatamente dove i Pistons siano soliti portare più spesso i blocchi lontano dalla palla e come questi siano fenomenali nel liberare i giocatori, specie nei pin down sotto canestro per i lunghi. Di contro, si capisce come i Suns portino numerosi blocchi dai gomiti, senza riuscire però a liberare nessuno.
Efficienza
Come accennato prima non è possibile studiare l’efficienza degli screen senza distinguere per quale fine essi vengono portati. Inoltre, per meglio analizzare il problema, occorre far notare che l’esito del blocco dipende sia da chi lo porta che da chi lo sfrutta. Tuttavia questo non è limitante più di qualunque altro dato che viene e verrà sempre influenzato dal contesto di gioco: squadra, compagni, avversari ecc…
Parlando di singole statistiche si può studiare la Set Screen Outcome Efficiency (SSOE), definita come la percentuale dei blocchi che portano ad un canestro segnato, tiro con spazio, shooting foul, assist o passaggi per tiri con spazio. In altre parole, è un modo per vedere quanti blocchi portino ad un evento “positivo” in termini di realizzazione per la propria squadra. Alcuni interpreti di eccellenza:
Giocatore SSOE
DeAndre Jordan 22.42
DeMarcus Cousins 20.90
Steven Adams 20.34
Anthony Davis 19.98
Enes Kanter 19.03
Andrew Bogut 18.77
Karl-Anthony Towns 18.24
Anche qui occorre non considerare completamente esaustivo il dato: Steven Adams è un portatore di blocchi fenomenale, ma in un’altra squadra senza Westbrook e Durant questo suo numero sarebbe molto inferiore — e non è un caso che anche il suo compagno di squadra Enes Kanter viaggi su cifre non così distanti. Davis invece andrebbe ben più esaltato, visto che la gran parte dei blocchi che porta vengono poi utilizzati per fargli arrivare palla per un tiro in sospensione o per una preghiera che lui deve convertire in alley-oop. Se diamo invece un occhio a chi se la passa peggio…
Giocatore SSOE
Matt Barnes 5.41
Jeff Green 6.26
Tobias Harris 7.84
Danilo Gallinari 8.60
Carmelo Anthony 8.87
Boris Diaw 9.64
Anche qui occorre non fermarsi alla prima occhiata: Diaw porta blocchi che raramente finiscono in un tiro o nella parte finale dell’azione (una prerogativa degli Spurs); magari da quello che porta Boris al tiro vero e proprio ci passano nel mezzo altri due-tre blocchi per azione, e il suo numero ne risente. D’altro canto, Carmelo rientra anche in questa statistica tra i peggiori in assoluto, segno che la sua capacità di portare i blocchi è quantomeno sospetta.
La mappa dei blocchi senza palla degli Warriors è spaventosa per SSOE: si nota molto bene anche come gomiti e ali siano ampiamente sfruttate per gli Splash Brothers.
D’altro canto i Jazz non sono nemmeno lontanamente sullo stesso livello di efficienza: senza palla portano blocchi in una zona nevralgica, ma non riescono a generare da questi un attacco prolifico o scorrevole. Gordon Hayward e Rodney Hood sono giocatori che lavorano meglio in uno contro uno e nessuno tra Gobert e Favors è un tiratore da pick&pop degno di essere ricordato.
La differenza di risultati tra Warriors e Jazz è dovuta al diverso talento offensivo tra le due squadre, ovviamente, ma anche alla varietà delle azioni. Notoriamente i blocchi portati dai piccoli lontano dalla palla sono più imprevedibili e più difficili da leggere: se vedi Curry scattare in una direzione immediatamente pensi che qualcuno gli porterà un blocco per farlo tirare, ma in realtà Curry e tutte le guardie dei Warriors sono molto attive nel portare blocchi, mentre i Jazz sono ancora ancorati ad un modello di attacco più tradizionale. Golden State fa portare blocchi alle sue guardie circa una volta ogni 6 azioni; i Jazz una volta ogni 142.
La chimica perfetta per il tanking la si costruisce anche con uno dei peggiori pick&roll della lega: nonostante Ish Smith abbia leggermente migliorato le cose nell’ultimo periodo, il P&R centrale di Phila è facilmente disinnescabile.
Il secondo attacco migliore della lega invece è merito di Durant e Westbrook, che quando ricevono i blocchi dei propri compagni possono arrivare con pochissime falcate al ferro o distribuire per i tiratori. Inoltre si nota come i blocchi portati da OKC siano baricentricamente più spostati verso la metà campo, in modo da allargare ancora di più lo spazio dentro area. A dimostrazione che non sempre un blocco solido è sinonimo di un’azione vincente, basti pensare che i Thunder sono ultimi NBA per blocchi solidi portati con 627, i 76ers ne hanno portati invece 862, il 30% in più. Nonostante tutto la differenza di rendimento in attacco è abissale.
Se volessimo invece studiare esiti e finalità singoli potremmo anche qui utilizzare delle mappe per verificare quali squadre sono migliori nello sfruttare i blocchi per segnare, quali per fare altro e quali semplicemente non sono brave e basta. Per essere più rigorosi, è bene distinguere blocchi sulla palla e blocchi senza palla. Ad esempio, le mappe di Suns e Pistons qui sopra servivano a verificare quando dopo il blocco il giocatore era libero, le ultime 4 invece servono a valutare l’efficienza offensiva tramite SSOE.
È un gioco che cambia
Si parla molto di come i big data possano rivoluzionare il basket, ma fino ad ora la rivoluzione è stata soprattutto offensiva, perché l’attacco è divertente e in genere è più facile da misurare e quantificare. I dati sulle cosiddette intangibles invece sono ancora talmente oscuri da essere quasi completamente esclusi dalle discussioni, da quelle sui forum a quelle per negoziare un contratto di gioco. Con l’avanzare dell’era delle analytics tutto ciò cambierà, ma sfortunatamente molte delle ricerche che ogni squadra NBA effettua sull’argomento non sono di dominio pubblico, e molte altre squadre invece non hanno mezzi e risorse per affrontare in nessun modo questi ambiti.
Questo tipo di ricerca non cambierà radicalmente il modo in cui si gioca a basket, ma può essere un importante passo in avanti nella comprensione del gioco, per quanto ci siano ancora numerose valutazioni da fare per capire a pieno la questione dei blocchi. La NBA sta attraversando un periodo di forte crescita per popolarità e sempre più fan sono interessati a studiare tutto ciò che c’è da capire sul gioco e sui loro giocatori preferiti. Sfortunatamente, anche se si analizzano tutte le statistiche del caso, è difficile apprezzare la grandezza di un giocatore sotto tutti gli aspetti del gioco. Magari questo lavoro può essere un suggerimento per apprezzarne alcuni meno evidenti.
Ringraziamo per i dati Vantage Sports (che potete anche seguire su Facebook e Twitter)