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Marco D'Ottavi
La più grande rimonta in gara-7 di sempre
20 mag 2024
20 mag 2024
Come hanno fatto i Minnesota Timberwolves a rimontare da -20 e vincere gara-7 contro Denver.
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Marco D'Ottavi
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Gara-7, dice chi ci ha giocato, vive su un piano tutto suo. Il canestro diventa più piccolo, i contatti più duri, le gambe tremano. Il fattore casa si ingigantisce, il pubblico di casa spinge i suoi e respinge gli altri (e, secondo qualcuno, condiziona anche gli arbitri). Eppure tutto quello che sapevamo, o pensavamo di sapere, sulle gare-7 è crollato in una sera. Prima al Madison Square Garden, dove gli Indiana Pacers hanno tirato con percentuali bulgare (76.3% dal campo nel primo tempo, 67.1% alla fine, miglior prestazione di sempre al tiro nei playoff anche al di là delle gare-7) per vincere la prima partita della serie, e la serie, in trasferta contro dei New York Knicks forse troppo incerottati (OG Anunoby ha iniziato la partita in quintetto zoppicando, Jalen Brunson si è fratturato la mano, Josh Hart si muoveva a malapena). Poi a Denver dove è toccato a Minnesota sovvertire il pronostico, vincendo la terza partita della serie in trasferta, su un campo storicamente inespugnabile per via dell’altitudine a cui si gioca e che i Nuggets si scrivono anche sulla maglia (quel 5280, inteso come piedi sopra il livello del mare: al cambio fanno 1.609 metri). Già così per Anthony Edwards e compagni si tratterebbe di un’impresa ai limiti dello storico, ma - nel dettaglio - quello che hanno fatto nella notte è ancora più incredibile. Minnesota infatti era sotto di 15 all’intervallo, poi addirittura di 20 all’inizio del terzo quarto, mettendo in piedi da quel momento la più grande rimonta nella storia delle gare-7.Come ha fatto Minnesota a rientrare Fino a quel momento la partita era sembrata svolgersi nella maniera più probabile. Le due squadre avevano vissuto di parziali nel primo quarto, poi nel secondo Denver si era imposta, soprattutto approfittando delle difficoltà in attacco di Minnesota (Edwards appena 4 punti nel primo tempo) e dominando a rimbalzo (29 a 18) per avere seconde opportunità con cui allargare il distacco. Jamal Murray con 24 punti aveva punito tutte le attenzioni riservate a Jokic e, anche se gli altri non stavano tirando bene, dall’altra parte stavano tirando peggio e la difesa di Denver sembrava sufficientemente attiva per portare la partita a casa. Il canestro del -18, quello che inizia la rimonta, arriva con 9 minuti e 53 secondi sul cronometro del terzo quarto ed è un gioco a tre tra Mike Conley, Karl-Anthony Towns e Rudy Gobert, con Aaron Gordon che esce in ritardo su KAT e Jokic che si perde il taglio del francese, che può schiacciare facilmente. Minnesota non segnava da 4 minuti e 15 secondi, ma qui lo fa con una facilità disarmante.

Curiosamente è lo stesso identico gioco che nell’azione precedente Denver aveva difeso benissimo, forzando un airball di Towns. Riguardando ora la facilità con cui Gobert arriva al ferro, si può notare un primo segno della stanchezza che poi condizionerà il secondo tempo dei campioni in carica.

Nel possesso successivo Michael Porter Jr. sbaglia un piazzato dall’altezza della lunetta, si va dall’altra parte e Jaden McDaniels segna una tripla dall’angolo su scarico di Edwards. Minnesota ci mette pochi secondi a mangiarsi 5 punti del suo scarto, ma non è una semplice fiammata. È infatti l'intera partita a essere cambiata, andando totalmente all’opposto della precedente: dalla schiacciata di Gobert alla sirena finale il parziale sarà di 60-32 Minnesota. Non è facile spiegare un ribaltone del genere, soprattutto se a subirlo è la squadra più esperta tra le due. C’entra sicuramente la capacità della miglior difesa della NBA di aggiustarsi: in alcuni possessi del terzo quarto sembravano semplicemente in sei. Sul 50-59 c’è un possesso in cui Towns tiene in post Jokic due volte, Gobert esce su Gordon costringendolo a scaricare di nuovo su Jokic, che a quel punto viene raddoppiato da McDaniels, lasciando solo MPJ. Sullo scarico, dal nulla compare Edwards che contesta la tripla del giocatore di Denver. Sul rimbalzo è Conley, nettamente il più piccolo e anziano in campo, ad arrivare prima di tutti. È solo un possesso, ma quasi tutti hanno uno di quegli elementi appena descritti. Quando non c’è la difesa collettiva c’è Gobert che stoppa al ferro Murray, Towns che toglie la palla dalle mani di Jokic (forse è il caso di dire che è il miglior difensore insieme a Zubac del serbo), Edwards che si infila in un gioco a due per rubare palla e volare in contropiede. Nei 10 minuti che chiudono il terzo quarto, Denver segnerà appena 9 punti, di cui 7 Jokic (tra cui 2 regalati da un goaltending di Naz Reid su un appoggio che sarebbe uscito) e 2 con Christian Braun.

Ovviamente non basta la difesa per recuperare uno scarto di 20 punti. Difendere bene, però, spesso vuol dire attaccare meglio. E se non basta questa frase fatta, riuscire a togliere palla dalle mani di Denver per Minnesota ha significato poter segnare qualche canestro facile per entrare in ritmo, soprattutto per Edwards. La passività difensiva di Denver ha però aiutato: McDaniels e Conley hanno potuto prendere triple dall’angolo totalmente liberi e le hanno segnate (fondamentale quella di Conley sulla sirena dei 24 per il -7). Towns poi si è ricordato che se ti mettono addosso Christian Braun devi fargliela pagare. Ma il canestro decisivo per ricucire lo strappo e arrivare all’ultimo quarto sotto solo di uno, cioè 19 punti in meno di 10 minuti prima, è stata questa tripla di Edwards - e non poteva essere altrimenti.

La freschezza di MinnesotaLo dice anche Michael Malone nella breve intervista che apre l’ultimo quarto: «Dobbiamo calmarci, eseguire in attacco e la difesa deve tornare quella del primo tempo». Sono le frasi di circostanza a cui sono costretti gli allenatori ai microfoni, ma sono banalmente vere. Purtroppo per Malone, mentre la sua faccia sfuma dal riquadro, Gobert segna i due punti del sorpasso, cambiando mano in aria e con l’aiuto del tabellone. In più subisce il fallo di Gordon. Non sarà neanche il canestro più assurdo del suo ultimo quarto.

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Minnesota segna con Naz Reid, McDaniels e Conley (tripla dopo aver mandato al bar Murray), dall’altra parte è Jokic a caricarsi il peso in attacco per rimanere in scia. La partita sembra sporcarsi, le difese prevalgono sugli attacchi. Sarebbe il momento in cui le guardie - Murray e Edwards - prendono in mano la partita, ma invece in attacco per Minnesota il fattore resta Gobert. Prima carica di falli Denver per entrare subito in bonus, poi, dopo la prima tripla a segno di Jokic su otto tentativi, segna il canestro che indirizza in maniera definitiva la partita. È un’azione indicativa di come più una stagione va avanti, più una serie si allunga, più una partita si avvicina alla fine, più essere la squadra fresca in campo è un vantaggio troppo importante. Denver difende benissimo per 20 secondi, MPJ chiude Alexander-Walker nell’angolo. Il canadese cascando indietro, coi piedi pericolosamente vicini alla linea laterale, gli tira il pallone addosso per guadagnare la rimessa. Sembra quasi che Malone voglia chiamare il challenge, ma alla fine rinuncia (dal replay non è chiarissimo, ma la chiamata sembra giusta). Sulla rimessa Gobert prima si vede chiusa la prima penetrazione e poi, tornando sui suoi passi con una virata, segna in fadeaway sulla sirena, qualcosa che pensavate di non vedere mai e che probabilmente non vedrete mai più. Jokic per un attimo vuole portarsi le mani tra i capelli, poi ci ripensa per non diventare un meme e si concentra sul possesso successivo. Peccato che dall’altra parte sempre Gobert stoppi al ferro Gordon nella giocata classica di Denver tra lui e Jokic, che è risultata immarcabile per tutte le altre difese NBA ma per quella di Minnesota no.

Il vantaggio di Minnesota è di +4, ma sembra più ampio. Denver è troppo fallosa in difesa e i T’Wolves possono approfittare dei viaggi in lunetta, da dove segneranno 12 dei 32 punti del quarto (contro gli appena 2 di Denver). Con Towns in panchina per falli è Naz Reid a fare il Towns, segnando 8 punti e stampando due stoppate su Jokic. Non è una novità una grande partita di Reid, ma è indicativo di come nel momento più difficile, quando le energie erano al minimo, da una parte a fare le giocate decisive c’era il Sesto Uomo dell’Anno mentre dall’altra Malone era costretto a spremere i titolari che non ne avevano più. A tre minuti dalla fine arriva il +10 con una tripla di Edwards dopo un’altra rubata di Conley che tende un'imboscata a Murray sempre più in difficoltà sulla pressione a tutto campo. Edwards non ha giocato una grande partita in attacco, ma ha segnato le due triple della staffa, quella per chiudere la rimonta e quella per sigillare la fuga chiudendo un parziale che in quel momento era di 54-24. Magari è ancora un giocatore ondivago in attacco per essere considerato tra i migliori della lega, ma certamente è già uno capace di scegliere quando essere decisivo. Negli ultimi tre minuti Denver non ha neanche le forze per provare a rientrare, nonostante un paio di distrazioni di Minnesota. Si finisce con Edwards col pallone tra le mani che saluta il pubblico di Denver, a cui l’aveva promessa. Si finisce soprattutto con la squadra campione in carica, quella che sembrava la più accreditata ad arrivare alle Finals, che spreca un vantaggio di 20 punti in gara-7 davanti al proprio pubblico, perdendo la terza partita su quattro in casa dopo gli interi playoff dello scorso anno in cui ne hanno persa una per caso in gara-2 alle Finals. I Nuggets hanno incontrato la squadra peggiore che potesse capitargli: grandi, grossi e soprattutto tanti, mentre loro erano pochi e un filo più acciaccati. Jokic, che di solito regge meglio degli altri sui 48 minuti, è apparso stanchissimo nel finale, con il peso di tutte le sette partite addosso; Murray, non al meglio, è durato un tempo (6 punti dalla tripla del +20 in poi); MPJ non è stato un fattore e Gordon non può essere sempre l'uomo decisivo. Era il tema da inizio stagione: con la perdita di Bruce Brown quanto otterranno dalla panchina? Nel momento decisivo la risposta è stata: troppo poco.Nel primo quarto coach Malone ha tenuto sempre i titolari in campo, tolti due minuti concessi a Justin Holiday. Peyton Watson era sparito dai radar da un po’, Reggie Jackson è apparso disastroso negli appena 5 minuti e spicci in campo. L’unico ad aver contribuito un po’ è stato Braun e anzi col senno di poi, forse, Malone poteva avere il coraggio di concedergli più spazio, anche a discapito di MPJ che non stava giocando bene. Non che Braun potesse cambiare da solo una gara-7, ma sembrava l’unico in grado di pareggiare l’energia di Minnesota. Sarà in ogni caso il tema della off-season: come allungare le rotazioni, dare a Jokic e Murray più uomini su cui contare. Denver è uscita male nel finale, ma rimane una squadra fortissima, come ci ha fatto vedere anche ieri nel primo tempo andando sul +20. Forse con Murray sano nelle prime due gare della serie avrebbero vinto loro. Minnesota invece è semplicemente la storia più incredibile di questa stagione NBA. Una squadra che fino a pochi anni fa sembrava non allenabile, con Towns perso nei suoi pensieri e Edwards troppo acerbo. Quella che, scambiando tutto quello che aveva per Gobert, era diventata lo zimbello della lega. Oggi invece possono mandare sei uomini in doppia cifra in una gara-7 fuori casa contro i campioni in carica, e non hanno bisogno di eroi improvvisati perché chi scende in campo ha il talento e la fiducia per fare giocate decisive, in attacco e in difesa. Ora contro Dallas avrà anche il fattore campo dalla sua. Forse arriveranno un po’ stanchi visto che è stata una serie massacrante anche per loro, ma di certo è difficile non considerarli favoriti per accedere alle Finals. Pensarci anche solo due anni fa era semplicemente impossibile.

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