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L'assurda serie di rigori tra Milan e Rio Ave
02 ott 2020
02 ott 2020
Ai rossoneri sono serviti 24 rigori per qualificarsi ai gironi di Europa League.
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Prima di una partita di rigori c’è stata una partita di calcio. Quella che, prima del regime del caos e del surreale, pensavamo fosse una

. Nell’epopea picaresca dell’Europa League, i preliminari sono l’anticamera pazza e stracciona. Per capire cosa intendo vale forse la pena che vediate il gol segnato ieri dal Rijeka contro il Copenhagen, scritto da Buster Keaton. Una matrioska di azioni finite male una dentro l’altra. Un piccolo trattato di disagio, sfortuna e precarietà dei destini umani: le metafore sul calcio che preferiamo.

 

https://youtu.be/yZad5nkMgF4

L’Europa League è una competizione di per sé lunga ed estenuante, e con i preliminari è come se volesse abituarti alla sua imprevedibilità - al suo regime dell’assurdo - facendoti giocare tantissimi turni preliminari che si allungano in modo kafkiano. Ogni volta che il Milan doveva giocare un’altra partita veniva da chiedersi: “Un’altra?!”.

 

Eppure questa partita tra Milan e Rio Ave non doveva avere storia: una delle squadre più in forma del campionato italiano contro la quinta classificata del campionato portoghese dello scorso anno, e che in questo veniva da due grigi pareggi. Una squadra la cui cosa più interessante è forse lo stemma, dove la caravella simboleggia la vocazione marinara di Vila do Conde, la città al nord del Portogallo che ospita il club. Sembrava persino la più comoda delle tre partite di preliminari: quella con lo Shamrock poteva presentare le insidie della prima partita, arrivata troppo presto per le gambe e per la testa; il Bodo/Glimt, lo sappiamo, è una delle squadre più interessanti d’Europa, una di quelle dal gioco più brillante. Sembrava difficile da affrontare e in effetti lo è stata. Al confronto il Rio Ave appariva come un ostacolo trasparente tra il Milan e l’Europa League.

 


Eppure questo esile fascio d’arcobaleno doveva forse suggerirci l’ingresso di un’altra dimensione.


 

Prima che il regime del surreale dominasse Rio Ave-Milan le due squadre si erano affrontate in una partita persino noiosa, almeno nel primo tempo. Al 50’ Saelemaekers ha segnato un gol banale, mettendo in porta una palla respinta dalla difesa dopo un calcio d’angolo. A quel punto sembrava tutto indirizzato; finché il Rio Ave, all’improvviso, non fa una grande azione che porta Geraldes e la sua faccia da navigatore del ‘500 a segnare il gol del pareggio. Mancano venti minuti ma non succede quasi niente, se non un tiro del difensore Aderlan Santos, che all’ultimo minuto, d’esterno, quasi non segna il gol qualificazione.

 

Nel calcio la stanchezza fa diventare le partite torbide e inspiegabili. Ai supplementari in effetti le cose cominciano a farsi strane, a cominciare dal gol con cui il Rio Ave li inaugura. Gelson Dala, con una carriera promettente inariditasi nel tempo, 50 gol ancora minorenne nel campionato angolano, segna in modo strano, ma veramente strano. Riceve palla nel mezzo spazio di sinistra, la porta con l’esterno destro, prova a scaricarla a un compagno ma Kessié è sulla sua traiettoria di corsa; il tocco del giocatore del Milan diventerà però un filtrante alle spalle di Kjaer, Dala la riprende e segna incrociando il sinistro sul secondo palo. La continuità del movimento dopo la sponda, senza un attimo di esitazione, ci fa quasi pensare che Dala l’abbia fatto apposta, che abbia provato un uno-due con Kessié usandolo come muretto.

 

Al 114’ la situazione emotiva del Milan è: tutti nell’area avversaria e palle benedette in mezzo. Su una di queste, respinta dalla difesa, si fionda Theo Hernandez che prova una bomba di sinistro. Uno di quei tiri presi

che finiscono centrali. A quel punto sembra tutto finito, ma al 120’ va in scena l’autosabotaggio del Rio Ave. Palla lunga, sponda di Colombo, Calhanoglu lotta con un difensore corpo a corpo, ma quello gli leva la palla con la mano. Ora, è chiaro che non ci fosse nessuna utilità nel toccarla di mano in quella situazione; Calhanoglu era chiuso, la palla da controllare difficile, il tempo scaduto. Il riflesso che porta il difensore Borevkovic a muovere il braccio verso la palla viene da una regione nascosta dell’essere umano che non vorremmo conoscere. Probabilmente pensava che Calhanoglu fosse solo, con un’occasione facile; cioè, non dico che lo pensava, ma che una parte nascosta nei suoi abissi interiori lo temeva, e quindi ha usato quella mano per opporre un rifiuto. È così che Borevkovic viene espulso e lascia il palcoscenico, difensore croato nato in Slavonia, chissà se lo rivedremo mai più. Di certo lo ricorderemo come colui che ci ha regalato una delle serie di rigori più assurde di sempre.

 

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