
Con il 3-1 di martedì al Club Brugge, il Milan ha finalmente conquistato la prima vittoria in Champions League della stagione. Quando si affronta l’inizio di un nuovo progetto, le vittorie servono soprattutto a guadagnare il tempo per potersi migliorare sul lungo periodo e Fonseca aveva bisogno come l’aria di quella tregua che avrebbero potuto garantirgli solo i tre punti contro Udinese e Brugge.
Nonostante il Milan abbia compiuto il suo dovere, però, per Fonseca continua ad esserci una questione assillante, che probabilmente lo seguirà anche qualora la stagione dovesse volgere per il meglio: la gestione di Rafa Leão.
Lasciato in panchina lungo tutti i 90 minuti contro l’Udinese, in una gara giocata per più di un’ora in inferiorità numerica, il portoghese ha disputato una discreta prestazione contro il Brugge; fatalmente, però, la sua uscita ha coinciso con lo spunto del suo sostituto, Okafor, che ha portato al 2-1. Vista una concomitanza del genere, per stampa e tifosi è stato impossibile non chiedersi se, a questo punto, il Milan non possa fare a meno di lui.
Che Fonseca voglia rendere la squadra meno dipendente da Leão rispetto al passato, ormai, è chiaro a tutti. Il tecnico lo ha ripetuto più volte negli ultimi giorni, sia dopo l’Udinese sia dopo il Brugge, anche se non bisogna commettere l'errore di etichettare troppo facilmente le panchine e le sostituzioni come un castigo. Come ha detto Fonseca ai microfoni di Sky Sport, «non c’è nessun problema specifico con Rafa, non è stata una punizione». Per il tecnico, c’era semplicemente bisogno dell’energia di Chukwueze e Okafor per dare una scossa alla partita. «Dobbiamo vedere questo come la normalità, anche Rafa lo deve vedere la normalità e lavorare per aiutare la squadra come tutti i giocatori».
Sono dichiarazioni piuttosto sensate, e per la moderazione con cui si esprime Fonseca è difficile pensare che le abbia pronunciate per ingraziarsi tutta quella parte di pubblico insofferente nei confronti Leão. La gestione umana di uno spogliatoio, da fuori, è uno degli aspetti più difficili da valutare, perché non conosciamo davvero il carattere dei protagonisti. Ci sono stati casi in cui tentativi di “democratizzazione” come quello di Fonseca hanno avuto successo ed altri in cui, invece, si sono rivelati meno efficaci, proprio perché alcuni giocatori hanno bisogno di un occhio di riguardo rispetto ad altri. Solo a posteriori sapremo quali saranno i frutti di queste scelte di Fonseca.
Già da ora, però, possiamo dare una prima valutazione di cosa stiamo vedendo in campo, dove Fonseca, proprio come nello spogliatoio, sta provando a temperare l’influenza di Leão: un cambio di paradigma notevole se si considera quanto il Milan dipendesse dal portoghese fino allo scorso anno. Ciò che è cambiato, innanzitutto, è il modo in cui viene usato, e a questo punto vale la pena interrogarsi sulla loro compatibilità e chiedersi dove potrebbero trovare un punto di incontro.
Le idee di Fonseca
Le difficoltà del numero dieci rossonero, in realtà, sono solo una parte dei problemi del Milan. Per quanto riguarda i minuti disputati senza Leão, Fonseca si è dichiarato soddisfatto sia della prova contro l’Udinese, sia della mezz’ora contro il Brugge con Okafor sulla sinistra. La realtà, però, è che il Milan non è stato troppo brillante nemmeno senza Leão e, a dire il vero, non è parso così convincente nemmeno in fase di non possesso, ciò per cui il portoghese viene maggiormente criticato.
Ad eccezione del derby con l’Inter, ancora non è arrivata una partita che il Milan abbia superato a pieni voti. È ancora ottobre, certo, ma inizia ad essere chiaro come la rosa non sia troppo coerente con le idee di Fonseca, qualcosa che si poteva intuire già al momento dell’arrivo dell’ex tecnico della Roma.
Fonseca è sempre stato legato a determinati principi, vicini alla scuola del gioco di posizione. In particolare, le sue squadre hanno funzionato quando hanno saputo sviluppare gioco in zone interne di campo: lo hanno fatto grazie alla competenza di Fonseca, certo, ma anche grazie alle caratteristiche che l’allenatore ha privilegiato. Sia Shakhtar che Lille erano pieni di centrocampisti, mezzepunte e ali di grande tecnica nello stretto, capaci di entrare dentro al campo, saltare l’uomo e non perdere mai la palla, caratteristiche irrinunciabili per costruire nei corridoi interni: Marlos, Alan Patrick, Taison, Cabella, Angel Gomes, Haraldsson, nessuno di loro sarà stato un fuoriclasse, ma erano tutti giocatori funzionali a quell’idea.
E nel Milan? Quanti giocatori ci sono con caratteristiche del genere? Quanti capaci di far fluire il gioco in zone interne? Reijnders forse, ma è anche l’unico capace di dare ordine al centrocampo; Morata può farlo con le sponde, ma in questo modo non può dare profondità da punta; Pulisic ha il talento per muoversi dentro al campo, e Fonseca stesso dopo il Brugge ha affermato che preferirebbe accentrare l’americano piuttosto che lasciarlo sulla fascia. Per il resto, però, il Milan non sembra avere quelle caratteristiche.
Di sicuro Fonseca pensa che non le abbia Leão, che infatti passa la quasi totalità delle sue partite con i piedi sulla linea laterale. C'è da dire, però, che anche lo scorso anno il portoghese tendeva a rimanere quasi sempre aperto per ricevere sui piedi. Perché allora oggi non riesce più esprimersi ai massimi livelli nel Milan?
È una questione di meccanismi collettivi innanzitutto. Fonseca vuole praticare un calcio diverso da quello di Pioli, più cadenzato con la palla. Non è un caso che i giocatori più sofferenti, in questi primi mesi del nuovo corso, siano quelli abituati a sprigionare la propria potenza in lunghe conduzioni palla al piede: Leão appunto, ma anche Loftus-Cheek e Theo.
Proprio i nuovi compiti di Theo sono tra i motivi per cui Leão non è più protagonista della manovra. A Fonseca, come detto, interessa occupare con tanti uomini i corridoi centrali. Il fatto che Leão debba rimanere aperto a sinistra comporta che qualcun altro debba stringere nel mezzo spazio. E quel qualcuno, per forza di cose, spesso è Theo.
Anche con Pioli il francese entrava dentro al campo, negli ultimi periodi in maniera improduttiva: lo faceva, però, da mediano, con la possibilità di vedere il gioco frontale. Fonseca, invece, spesso lo fa alzare da trequartista e spalle alla porta, situazione in cui Theo, ad oggi, non ha proprio idea di cosa fare. Soprattutto, far accentrare Theo da trequartista significa rinunciare alle combinazioni ala-terzino che il francese e Leão sviluppavano in maniera naturale, senza troppi impulsi.
Anche quando Theo rimane in fascia, comunque, la loro relazione è cambiata. Mentre negli scorsi anni Leão poteva abbassarsi leggermente per andare incontro alla palla, Fonseca invece lo fa rimanere alto ad aspettare: il giocatore in ampiezza, più che a ricevere palla, serve ad allargare la difesa avversaria, per questo Leão deve aspettare in posizione avanzata.
Questo potrebbe anche far crescere Leao in alcuni aspetti. Per esempio sollecitandolo ad attaccare la profondità senza palla. Se il portoghese imparasse a tagliare alle spalle della difesa, con le doti atletiche che si ritrova potrebbe sorprendere qualsiasi terzino e aumenterebbe il volume dei suoi ingressi in area. Fonseca, peraltro, ha bisogno di qualcuno che minacci la profondità, o per ricevere direttamente o comunque per allungare gli avversari. Non è ancora un movimento che appartiene al repertorio di Leão, ma contro il Brugge si sono visti un paio di tagli interessanti dalla fascia, con cui ha dettato il filtrante in profondità.
L’altro vantaggio determinato dal nuovo modo di stare in campo, il più evidente, è che, aspettando alto, Leão dovrebbe ricevere in condizioni più vantaggiose per affrontare l’uno contro uno. Qui si palesa un grave problema di fondo, che si tende a sottovalutare rispetto ad altre lacune di Leão come i tiri o i cross: il primo controllo.
Leão non ha un brutto primo controllo in assoluto, ma quando deve ricevere alto e in ampiezza non è perfetto. Leão riceve spesso nelle condizioni per cercare l’uno contro uno, ma di quel potenziale vantaggio non approfitta mai. Perde sempre dei tempi di gioco al momento del controllo, e non solo per sensibilità tecnica, ma perché sembra non pensare a ciò che vuole fare con il tocco successivo. Spesso la palla gli resta sotto, dando così agli avversari il tempo di rientrare e togliendosi la possibilità di andare in isolamento col terzino.
Più che il tocco, quindi, c'entrano il suo pensiero (o comunque il suo istinto) su come indirizzare l'azione, ma anche la postura, con il modo in cui orienta il corpo che di certo non agevola il primo tocco. Ma c’entra anche la paura di giocare col piede debole, il sinistro, che gli permetterebbe di orientare più facilmente il tocco per l’uno contro uno. Il colmo di questa situazione lo abbiamo visto martedì contro il Brugge: Tomori lo ha pescato con un preciso cambio gioco, lui era alto e aperto, se avesse eseguito un buon primo controllo avrebbe avuto spazio per puntare il terzino verso il lato corto dell’area, dove più fa male. Invece di provare a orientare il tocco col sinistro o in qualche altro modo, però, Leão ha preferito controllare sul posto con l’esterno destro ed eseguire un paio di palleggi del tutto estemporanei. Il Brugge è rientrato, Leão è tornato indietro da Tomori e l’abbrivio dell’azione è finito lì.
La rapidità nel muovere il pallone è fondamentale per attaccare come piacerebbe a Fonseca. Fare tanto possesso sotto ritmo è la prima cosa da evitare in un sistema di gioco di quel tipo e Leão, con le sue caratteristiche attuali, di certo non aiuta.
È un bel problema se le idee dell’allenatore cozzano con le qualità del singolo con più potenziale. A questo punto, però, viene da chiedersi quanto ci sia di inespresso nel potenziale di Leão.
Arrivato a 25 anni, alla sua sesta stagione in Italia, il suo repertorio è ancora pieno di zone d’ombra ed è difficile stabilire se una parte del suo talento sia rimasta inesplorata per colpa sua o se invece siano stati gli allenatori ad adagiarsi sulle sue qualità più evidenti. A un certo punto Leão ha mostrato di essere così più forte dei terzini della Serie A che è come se non fosse stato più necessario provare a farlo migliorare.
E così arriviamo ad oggi, con Fonseca che prova a trovare un compromesso tra le sue idee e le sue caratteristiche lasciandolo largo ad aspettare le palla. Il risultato, per ora, è che l’influenza di Leão si è ridotta di parecchio, lui spreca buona parte dei suoi possessi ed è tornato ad essere messo in discussione come accadeva nei primi anni di Milan.
Posto che è difficile immaginare che Fonseca stravolga i suoi principi per creare un sistema a immagine e somiglianza di Leão – come era quello di Pioli nei momenti migliori – è possibile immaginare un impiego diverso nel nuovo Milan?
È difficile pensare che il tecnico possa spostarlo dalla fascia, visto che sul numero dieci pesa questo pregiudizio per cui non potrebbe giocare in zone più interne. Quanto c’è di vero? Di certo Leão non è una mezzapunta associativa come piace a Fonseca, ma non è detto che non abbia tecnica e controllo del corpo a sufficienza per giocare un po’ più accentrato. Anzi, riguardo ai controlli di cui parlavamo prima, il primo tocco di Leão migliora sensibilmente quando si trova di spalle o quando può abbassarsi incontro al pallone, perché con la sollecitazione degli avversari che gli stanno addosso non perde ritmo.
Si è visto anche contro il Club Brugge. C’è stata un’azione in cui si è piazzato nel mezzo spazio di sinistra, ha fatto un paio di passi verso Tomori e gli ha dettato la verticalizzazione. Sulla ricezione, con l’uomo che arrivava da dietro, ha controllato con l’interno del destro e poi, senza soluzione di continuità, ha eseguito un paio di tocchi con l’esterno con cui si è girato ed è passato tra il centrale e il terzino, mostrando, come già gli era capitato, una rapidità nei movimenti di bacino senza senso se rapportata all’altezza. In questo modo Leão è entrato facilmente in area, ma è stata una situazione isolata all’interno della partita, uno dei pochi casi in cui ha ricevuto il passaggio al centro.
Così come è stata isolata l’azione in cui, posizionandosi sempre nel mezzo spazio sinistro mentre Reijnders portava palla, si è mosso in profondità tra terzino e centrale per raccogliere il suggerimento dell’olandese. Leão così ha ricevuto in area e in movimento, ha messo a sedere il centrale ma poi ha sbagliato il passaggio a rimorchio per Loftus-Cheek. In ogni caso, è stata un’azione che ha dimostrato come forse, facendolo partire da una posizione meno decentrata, sarebbe più facile innescarlo in profondità.
Sono tutti suggerimenti del campo che Fonseca potrebbe prendere in considerazione. Di certo qualcosa deve cambiare se si vuole valorizzare quello che, nonostante tutto, rimane il patrimonio più grande del Milan.
Altrimenti, se così non fosse, bisognerà prendere decisioni drastiche. Chissà, magari nel giro di qualche settimana inizierà davvero a giocare titolare Okafor sulla sinistra. Lo svizzero è chiamato a svolgere gli stessi compiti di Leão: aspettare alto e aperto ed eventualmente puntare l’uomo. Non può essere minaccioso come il portoghese, ma di certo è più efficiente in fase difensiva, dove si apre un altro capitolo delle debolezze del numero dieci.
Okafor pressa con più intensità, con gli angoli e i tempi giusti, e quando tiene la posizione copre meglio le linee di passaggio. In più, è anche predisposto a rientrare. La lentezza con cui Leao rincula in fase di non possesso, invece, sta risaltando ancora di più in un sistema che difende a zona come quello di Fonseca, dove mantenere la struttura posizionale è molto importante.
Siamo solo ad ottobre, ma si sono già letti tanti giudizi definitivi su Leão. Nel bene o nel male, potremmo essere giunti a un momento di svolta della sua esperienza al Milan.