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Federico Principi
Da Maldini a Moneyball
07 giu 2023
07 giu 2023
Come cambiano le strategie di mercato del Milan con il licenziamento di Maldini.
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Federico Principi
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IMAGO / Gribaudi/ImagePhoto
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Il 27 maggio 2022, esattamente cinque giorni dopo la conquista dello Scudetto a Reggio Emilia, Paolo Maldini si era lanciato in una dichiarazione – col senno del poi avventata, per mille motivi – che ha ulteriormente fomentato l’entusiasmo dei tifosi rossoneri già ubriachi di festeggiamenti: «Con due o tre acquisti importanti, e il consolidamento dei giocatori che abbiamo, si può competere per qualcosa di più grande in Champions League». Aggiungendo poi, forse proprio con quel tono piuttosto autoritario che difficilmente è andato a genio alla società, che «questo è il momento in cui la proprietà capisca che strategia vuole per il futuro. Ci deve essere la volontà del club di aprire un ciclo». A questa sorta di richiesta, o ultimatum, a seconda dei punti di vista, la nuova proprietà RedBird, appena insediata, ha risposto temporeggiando il più possibile sul rinnovo dei contratti di Maldini e Massara, avvenuto proprio a poche ore dalla sua scadenza nello scorso 30 giugno. E proprio questo ritardo è alla base di due avvenimenti molto importanti, consequenziali tra loro: la programmazione confusa del mercato del Milan nell’estate del 2022 e la successiva scelta della proprietà americana, clamorosa fino a un certo punto, di allontanare proprio Maldini e Massara dalla dirigenza milanista proprio in questi giorni. È probabilmente sbagliato, quindi, sostenere che i due abbiano semplicemente pagato una stagione in cui il Milan non è praticamente riuscito a rafforzarsi nonostante i circa 50 milioni spesi sul mercato in estate. Certi malumori, soprattutto di Maldini, riguardanti la direzione del progetto erano già più che espliciti ben prima dell’arrivo – finora deludente – di Charles De Ketelaere (per intenderci). Ma tutta la gestione umana ed economica del mercato successivo allo Scudetto è stata piena di malumori finendo per diventare il pretesto per tagliare le due figure che ci avevano messo la faccia. In ogni caso, oltre il dolore dei tifosi per il licenziamento di Maldini, una bandiera di questo club che era riuscito a ritagliarsi un ruolo positivo anche fuori dal campo, e di Massara, che comunque è considerato da anni uno dei migliori in Italia nella gestione del mercato, è interessante analizzare cosa comporta per il futuro del Milan. Gli errori nel mercato estivo: la prima battuta d’arresto Il mercato dell’estate 2022 del Milan, come detto, è partito in ritardo e ciò ha fatto sì che i rossoneri si siano fatti sfuggire sia Sven Botman, con cui le trattative erano già ben avviate, che Renato Sanches, che avrebbe dovuto rappresentare il perfetto sostituto di Kessié sia in mediana che eventualmente, come più volte pianificato tatticamente da Pioli, come trequartista di incursione, di pressing e di rottura. A quel punto le prime mosse sono state quelle di far rientrare Adli, preso l’anno prima ma lasciato in prestito al Bordeaux, e su Origi, preso a parametro zero come attaccante di esperienza da affiancare a Giroud vista la lunga assenza di Ibrahimovic. Due operazioni a basso costo che hanno permesso di spostare le risorse sul miglioramento della trequarti, dove era evidente una carenza sia nel ruolo di trequartista che di ala destra. Il profilo scelto, lo sappiamo, è stato quello di de Kateleare, arrivato per una cifra vicina ai 35 milioni (il settimo giocatore più pagato della storia del Milan e addirittura la cessione più ricca di sempre di un club del campionato belga).

Al di là dell’occasione mancata di prendere Dybala a parametro zero (su cui si può discutere, lo stesso Maldini ha confermato che «non era giusto per noi»), l’arrivo di De Ketelaere per una cifra alta ha mostrato un po’ l’ansia dei dirigenti sul mercato. Davvero non si poteva prendere a meno o con un pagamento dilazionato così da avere altri soldi da spendere per puntellare una rosa che doveva difendere il primo posto in campionato con giocatori di esperienza? E davvero è stato giusto mettere un giocatore così giovane in un reparto affollato, sicuri che – pur arrivando da un campionato molto diverso – sarebbe stato dal primo giorno un upgrade rispetto a Brahim Diaz e Messias? Il suo arrivo, poi, ha tolto spazio anche ad Adli, finendo per trovarti con due giocatori poco impiegati e buchi di rosa in altri ruoli. Anche sulla scelta di Origi ci sarebbe da dire: il belga nelle due stagioni precedenti aveva messo insieme appena 16 partite e 3 gol in Premier League e 11 partite con 1 gol in Champions League e in generale non ha mai segnato molto. È vero che, tolto dal contesto della Premier League e del Liverpool, forse, si poteva pensare che il suo rendimento potesse migliorare, ma le incognite erano tante per puntarci a occhi chiusi come hanno fatto i rossoneri. L’errore però più gigantesco, anche se probabilmente quello più sottovalutato dall’opinione pubblica, la dirigenza milanista l’ha commesso inoltre nella gestione delle liste UEFA. Al momento di presentare la lista Champions della prima metà di stagione sono state fatte delle scelte che hanno rivelato enormi lacune di programmazione, che a sua volta hanno denotato una certa confusione probabilmente dovuta al tardivo rinnovo di Maldini e Massara. La mancanza di italiani in rosa ha costretto il club a inserire Florenzi nonostante un infortunio già rimediato e che lo avrebbe sicuramente tenuto fuori almeno fino a febbraio; contemporaneamente sono stati esclusi praticamente tutti i giovani nuovi arrivati – Adli, Thiaw e Vranckx – oltre, e questa è stata la cosa più clamorosa, al secondo portiere Tatarusanu. Il Milan ha quindi puntato su delle scommesse a cui ha però subito tolto la possibilità di sfoggiare il proprio valore in Europa, e si è poi messo nella condizione – non corretta neanche con il mercato di gennaio – di avere come portiere di riserva in Champions quello che è in realtà il terzo, Mirante, che non giocava una partita dal 6 maggio del 2021. Solo la prognosi dell’infortunio lungo di Maignan ha “salvato” i rossoneri permettendo loro di sostituire in lista il francese con Tatarusanu. Ma qualsiasi indisponibilità di Maignan a partita in corso o una sua eventuale espulsione, anche per tutte le partite a eliminazione diretta dagli ottavi di ritorno col Tottenham fino ai due euro-derby compresi, avrebbero costretto Pioli a schierare Mirante. Il mancato mercato a gennaio: un segnale importante Molti degli errori di pianificazione del mercato rossonero dell’estate del 2022, in ogni caso, rientrano in una macro-valutazione che poi si è rivelata errata, almeno in parte: e cioè quella di considerare la rosa Campione d’Italia nel 2021-22 come perfettamente in grado di ripetere la stessa impresa. Maldini stesso, durante il ritiro pre-campionato, aveva apertamente parlato di «obiettivo seconda stella». Ed è vero che qualsiasi rosa vincente non deve essere rivoluzionata, ma è altrettanto vero che diversi giocatori – Calabria, Tomori, Kalulu, Tonali – non sono riusciti a replicare, per diversi motivi, lo stesso rendimento della stagione precedente, per cui è sembrato evidente già in autunno che il mercato estivo del Milan fosse quantomeno incompleto e che i dirigenti abbiano sottovalutato una certa overperformance della stagione precedente. Quando la situazione si è fatta più delicata, nel mese di gennaio, la dirigenza milanista ha risposto con un solo acquisto: il portiere colombiano Devis Vasquez, 24 anni, proveniente dal campionato paraguayano per circa 500mila euro. Il Milan avrebbe potuto tappare il buco lasciato dall’infortunio di Maignan e dalle difficoltà di Tatarusanu con l’arrivo di un portiere, magari in prestito e magari italiano da poter inserire poi come secondo nelle liste – Cragno? Gollini? – ma ha ancora una volta investito su una – stavolta improbabile? – scommessa. Questo immobilismo dei rossoneri a gennaio ha rischiato di mettere a repentaglio la qualificazione alla prossima Champions, traguardo che del resto non è stato poi conquistato sul campo ma grazie alla penalizzazione della Juventus.

Ed è proprio a gennaio che si è venuta a creare, per poi espandersi sempre di più, una rottura che spiega praticamente tutti i motivi del successivo licenziamento di Maldini e Massara. Era stato proprio l’ex capitano rossonero a trattare personalmente con la Roma per Zaniolo, per provare a rinforzare la fascia destra in un momento sportivamente drammatico per il Milan. La proprietà però ha bloccato l’acquisto: forse per la fiducia venuta a mancare dopo gli investimenti estivi, forse perché Zaniolo non rientra in quei profili low cost à la Thiaw, Adli, Kalulu che tanto sono stati graditi a RedBird. Fatto sta che il Milan ha salvato la stagione con una coperta cortissima a livello di qualità dell’organico, elemento emerso con forza nelle partite di campionato con il turnover e negli euro-derby senza Leao e Bennacer. La mancata volontà di rinforzare la squadra a gennaio si era già vista nella stagione dello scudetto, quando era stato scelto di non sostituire Kjaer infortunato al crociato a dicembre 2021 e affidandosi poi nel finale alla miracolosa esplosione in extremis di Kalulu. Un altro segnale di quanto la proprietà, nel frattempo cambiata in alcuni profili ma non evidentemente nella filosofia generale, non abbia nei risultati sportivi a brevissimo termine una priorità assoluta nel decidere i propri investimenti. Ma insomma, qual è la visione di RedBird? O almeno questa è stata l’impressione, data forse anche dalle parole di Maldini prima della semifinale di andata di Champions contro l’Inter, quando ha sottolineato il suo impegno nel «spiegare alla proprietà l’importanza e la grandezza del Milan». Dello stesso avviso però, almeno a parole, sembra essere anche l’attuale amministratore delegato Giorgio Furlani, che si professa milanista fin dalla nascita: «La nostra priorità ora è rafforzare i progressi degli ultimi anni, la nostra ambizione è quella di essere competitivi ai vertici del calcio europeo», ha detto poche ore dopo il comunicato su Maldini. Aggiungendo: «Lo ripeto sempre, il primo elemento fondamentale della società è, e rimarrà sempre, il calcio». Qualche mese fa era stato lo stesso Furlani ad aver lasciato intendere come la visione di questa proprietà fosse chiaramente diversa da quella degli anni di Berlusconi: «Investire tutto sui giocatori crea una spirale negativa», aveva detto, «bisogna investire anche per aumentare i ricavi». Il che suggerisce implicitamente due cose: che forse Maldini avesse una filosofia societaria più vicina a quella del grande Milan in cui lui stesso giocò; e che, dall’altro lato «investire per aumentare i ricavi» sottintende la volontà di puntare, a volte perfino in modo bulimico, su giovani scommesse da poter rivalutare sul mercato. E forse il rimprovero che la società può fare a Maldini e Massara è quello di aver speso un po’ troppo per un giocatore, De Ketelaere, che ora fa fatica a rivalutarsi vista la cifra. Non è probabilmente diverso, quindi, l’obiettivo societario che aveva Maldini e che ha tuttora RedBird, cioè quello di far tornare grande il Milan principalmente sul campo, ma erano probabilmente i modi per farlo a non coincidere sia nella quantità di soldi da investire nel mercato, sia nel tipo di profili da seguire e sui criteri per sceglierli. È notizia di qualche ora fa, infatti, l’avvicinamento di Billy Beane al board rossonero composto ora da Furlani e da Geoffrey Moncada, promosso in pratica da capo dello scouting a DS. Billy Beane è un punto di riferimento assoluto nello sport americano nel cosiddetto “metodo Moneyball”, messo appunto quando era alla guida degli Oakland Athletics di baseball, un approccio statistico – raccontato nel film chiamato, appunto, Moneyball – attraverso il quale ha sostanzialmente iniziato a selezionare i giocatori attraverso un metodo scientifico accurato e non più, quindi, semplicemente attraverso l’occhio, il fiuto, l’esperienza dell’osservatore.

Gerry Cardinale aveva dichiarato qualche tempo fa di voler portare questo metodo nel calcio europeo e di averlo già fatto, con successo, nel Tolosa attraverso la Zelus Analytics guidata da Luke Bornn: «Billy Beane è stato nel calcio europeo per 20 anni e mi ha detto che non stavo guardando le cose nel modo giusto, è stato l’uomo che mi ha “educato”», ha detto Cardinale lo scorso marzo. «Al Tolosa la squadra è stata costruita solo basandosi sull’analisi dei dati, senza scouting. Era un esperimento, ma dopo un anno siamo stati promossi in Ligue 1. Penso che i dati giochino un ruolo importante, ma in particolare nelle grandi squadre c’è bisogno di un modello ibrido tra i dati e l’occhio umano». È proprio da quest’ultima frase, quindi, che possiamo leggere qual è la visione di RedBird nella selezione dei profili sul mercato del Milan, ed è proprio lì che con ogni probabilità sorgono le più ampie divergenze con la visione di Maldini. Del resto, andando a ritroso nella storia del mercato del Milan, è molto probabile che diverse delle scommesse fatte dai rossoneri siano state selezionate proprio attraverso i dati: almeno secondo quelli di Wyscout. Tomori, ad esempio, nella Premier 2019-20 era stato quinto assoluto – dietro van Djik, Christensen e Stones – e primo under-23 per successo nei duelli difensivi (72,92%) e primo under-23 per successo nei duelli aerei (65,15%). Ma anche nella Championship 2018-19, giocata con il Derby County, era stato sempre il miglior under-23 per successo nei duelli difensivi (73,81%). Ma al tempo stesso con l’approccio statistico si può spiegare anche l’arrivo piuttosto clamoroso di Vasquez, che nel campionato paraguayano 2022 è stato – almeno secondo Wyscout – nettamente miglior portiere per percentuale di parate “con riflessi”, di parate impegnative insomma: 70,24%, una percentuale che lo collocherebbe in top 10 nei 5 migliori campionati europei nel 2022-23. Eppure la presenza di Terracciano, Audero e Sepe tra i primi 10 ci suggerisce quanto certe statistiche, almeno sui portieri, non siano ancora molto indicative. Si può certamente discutere su quanto le statistiche abbiano realmente impatto sul calcio, e anche noi lo abbiamo fatto di recente. Integrare un approccio sempre più sofisticato, basato sui numeri, all’osservazione e alla sensibilità umana è certamente un’operazione che, se ben condotta, può portare a un progresso nell’accuratezza della valutazione delle potenzialità dei giocatori. Dall’altra parte, e forse questa era la perplessità maggiore di Maldini, quello delle statistiche è un approccio tipicamente americano in una cultura dove gli sport che vanno per la maggiore – basket, baseball e NFL – sono certamente più basati sulle percentuali di quanto non lo sia il calcio, che resta uno sport praticato con i piedi, a punteggio bassissimo, dove i singoli episodi contano di più e dove maggiore è l’incidenza di quelli che proprio nello sport americano vengono definiti intangibles: elementi come l’adattamento del giocatore al contesto, la sua capacità mentale di salire di livello nei momenti importanti, eccetera. Il caso di Vasquez ne è un esempio importante: il giocatore ha avuto un rendimento di alto livello in un contesto decisamente diverso da quello della Serie A e difatti, appena arrivato a Milano, è subito stato definito «non pronto» da Pioli e mandato in Primavera, non sempre con risultati brillanti oltretutto. Non si può certo dire che sia per il suo arrivo che il rapporto tra Maldini e la proprietà si sia incrinato, ma dalle parole più volte pronunciate dall’ex capitano rossonero si è potuto facilmente constatare come non avesse lo stesso approccio di una società con una mentalità meno settata alla Serie A e più internazionale: del resto in difesa e a centrocampo l’Inter ha preso Acerbi e Mikhitaryan, il Milan invece Thiaw e Vranckx, per sostituire rispettivamente Romagnoli e Kessié. È più che comprensibile la delusione dei tifosi del Milan per l’addio di Maldini, frutto di una visione romantica del calcio, ma soltanto il tempo dirà quanto lungimiranti siano stati alcuni investimenti della nuova proprietà, anche in ottica stadio. È vero che un fondo di investimento non può ragionare come un privato imprenditore, ed è legittimo che i tifosi rossoneri abbiano timore che la loro squadra possa diventare una sorta di Lipsia o di Borussia Dortmund. Finora, però, non c’è stato il player trading aggressivo che ha caratterizzato altre società, nonostante le occasioni di poterlo fare con tantissimi profili il cui valore è esploso in questi anni, segno che effettivamente c’è l’attenzione a costruire un ciclo vincente, per venire incontro a una tifoseria abituata a voler vincere e non a essere una succursale. Forse quello del Milan è davvero un esperimento in questo momento unico al mondo, e come tale comporta dei rischi molto elevati, senza un modello storico precedente affine da cui prendere spunto, perché non è certo paragonando il Milan al Tolosa che si possono ottenere le coordinate giuste per riportare al successo con costanza uno dei club più blasonati al mondo. La scelta di privarsi del più grande simbolo, fondamentale anche nel rapporto quotidiano con i giocatori nello spogliatoio, appare proprio uno dei rischi maggiori di questa proprietà, che ora si è messa in una posizione scomodissima con i tifosi. Ma come al solito saranno il tempo e il campo gli unici giudici inappellabili.

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