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Agonia rossonera
28 mag 2025
Breve storia della recente crisi del Milan.
(articolo)
15 min
(copertina)
IMAGO / Nicolo Campo
(copertina) IMAGO / Nicolo Campo
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Non è facile individuare il momento in cui tutto ha iniziato a girare male per il Milan, nei tre anni intercorsi tra la conquista del 19° Scudetto ed oggi. Chiedendo a 100 tifosi diversi, probabilmente si potrebbero ottenere 100 risposte diverse - forse è anche per questo che la tifoseria del Milan si è frammentata come in poche altre occasioni nella sua storia.

A naso, però, direi che molti risponderebbero: quando è stato cacciato Paolo Maldini, il 5 giugno del 2023. Il giorno dopo la fine del campionato, con l’emozione ancora fresca per il sorprendente addio al calcio di Zlatan Ibrahimovic, durante una colazione, il proprietario del Milan, Gerry Cardinale, comunicò il licenziamento di Maldini e del direttore sportivo Frederic Massara con effetto immediato. In un’intervista successiva rilasciata a La Repubblica, Maldini ha raccontato di essere stato licenziato «per i cattivi rapporti con Giorgio Furlani», amministratore delegato del club, ma anche di aver avuto l’impressione che «la decisione di licenziare me e Massara fosse stata presa molti mesi prima».

A riguardare quel momento con un attimo di freddezza, però, va detto che era stata l’intera annata 2022/23, l’ultima con Maldini e Massara alla guida, a nascere sotto le peggiori premesse. Dopo la conquista dello Scudetto, il rinnovo di contratto dei due principali dirigenti dell’area tecnica era stato procrastinato fino all’ultimo secondo utile, alle 22 del 30 giugno 2022. A incrinare i rapporti era stata anche un’intervista dello stesso Maldini con La Gazzetta dello Sport cinque giorni dopo la vittoria dello Scudetto, nella quale sosteneva che «con una visione strategica di alto livello il Milan può andare a competere il prossimo anno con le più grandi. Se invece si scegliesse una visione di mantenimento, senza investimenti, senza un'idea da Milan rimarremmo nel limbo tra le migliori sei o sette squadre in Italia per tentare di rivincere lo Scudetto e qualificarci per la Champions».

Per l’intera stagione successiva, culminata da una parte con la semifinale di Champions League e dall’altra con un quinto posto che valeva comunque la qualificazione alla massima competizione europea per il terzo anno consecutivo, le voci di screzi e di rotture tra l’area tecnica e quella della proprietà si sono rincorse ininterrottamente, fino a che non hanno preso vita.

Una parte del tifo milanista, e anche dello spogliatoio rossonero, dopo un addio del genere ha accusato il colpo. Maldini non era solamente il giocatore più importante nella storia del club, ma si era anche posto come una sorta di “garante del milanismo”, come a dire: fintanto che ci sono io il Milan è in buone mani, di me potete fidarvi. Altri, va detto, avevano invece fortemente contestato l’operato di Maldini, soprattutto per le perdite a contratto scaduto dei vari Donnarumma, Calhanoglu e Kessie, o le scelte di mercato sbagliate come Divock Origi e Charles De Ketelaere, quando ancora pensavamo lo fosse. Altri ancora, pur di non vedere di nuovo il Milan logorato e diviso in fazioni interne, erano disposti ad un’apertura di credito nei confronti del cosiddetto “gruppo di lavoro” formato da Furlani, il capo dell’area scouting promosso a direttore tecnico Geoffrey Moncada, e poi Zlatan Ibrahimovic a stagione in corso nel ruolo di “consulente” della proprietà Red Bird.

A due anni quasi esatti da quel giorno, quel credito è stato ridotto a zero.

In occasione dell’ultima partita di campionato contro il Monza, la Curva Sud ha organizzato nelle ore precedenti al match una contestazione sotto Casa Milan alla quale hanno partecipato circa cinquemila tifosi rossoneri, non tutti legati alla curva. Se in altri contesti può essere considerato normale, per il Milan non lo è per niente: era probabilmente dai tempi della cessione di Kakà al Manchester City, ritrovandosi sotto casa del brasiliano in centro a Milano per spingerlo a rimanere, che non si assisteva a un raduno spontaneo del genere da parte del tifo milanista — che di solito ha limitato il proprio dissenso alle gare interne della squadra sugli spalti di San Siro, senza mai "uscire" dallo stadio. Al massimo, lo hanno fatto (in numeri decisamente inferiori) in occasione dell’ultima festa di Natale del club, durante la quale i dirigenti furono costretti a usare un’entrata di servizio per non subire gli insulti dei tifosi, mentre giocatori e allenatore venivano lasciati al loro destino.

Domenica scorsa i tifosi del Milan hanno fatto nomi e cognomi di tutti i principali membri della dirigenza, da Cardinale a Furlani, da Paolo Scaroni a Ibrahimovic, fino ad arrivare a Moncada e ovviamente Paul Singer, capo del fondo Elliott, che ha ceduto il Milan a Red Bird pur mantenendo una presenza significativa nel Consiglio di Amministrazione del club, con la presenza pressoché costante del figlio Gordon alle gare più importanti dei rossoneri. Lo stesso Furlani proviene dal fondo Elliott, di cui era portfolio manager prima di passare a occuparsi del Milan.

La contestazione dei tifosi si è poi trasferita allo stadio, dove il divieto di esporre striscioni ha portato i tifosi della Curva Sud a schierarsi sugli spalti formando la scritta “GO HOME” rivolto alla dirigenza, lasciando lo stadio dopo appena 15 minuti dal fischio di inizio. Un segnale forte che arriva al termine di una stagione in cui il coro “Cardinale devi vendere” è stato cantato e ribadito in innumerevoli occasioni, sia in casa che fuori, e in cui la contestazione è diventata pressoché perenne, specie dopo che il Milan è uscito dalla corsa Scudetto e dalla Champions League quando era ancora inverno. In più di un’occasione, dopo che per mesi quel nome non era stato evocato, i tifosi del Milan hanno cantato in favore di Paolo Maldini pressoché all’unanimità, lanciando un segnale chiaro alla dirigenza e alla proprietà.

UNA STAGIONE SCADENTE

I risultati sportivi, indiscutibilmente, hanno avuto un peso enorme. Pur avendo il terzo monte ingaggi più alto della Serie A (dati Capology), in campionato il Milan non è mai stato in corsa per lo Scudetto, è uscito molto presto anche da quella per la Champions League e ha finito all’ottavo posto in classifica, senza mai riuscire a vincere più di tre partite in fila per tutto l'anno e senza mai rientrare in zona europea dalla 9^ giornata in poi. In Champions, poi, ha buttato via la qualificazione diretta per gli ottavi di finale perdendo a Zagabria contro la Dinamo allenata da Fabio Cannavaro ed è stato successivamente sbattuto fuori da un Feyenoord in grande emergenza, a cui peraltro era stato prelevato il centravanti titolare Santiago Gimenez solo pochi giorni prima degli spareggi.

A fare da contraltare a questi due terribili risultati nelle due competizioni più importanti della stagione vi erano il successo in Supercoppa, vinta sorprendentemente con due rimonte ai danni di Juventus e Inter a inizio gennaio, e la finale di Coppa Italia, raggiunta dopo aver eliminato Roma e Inter: contro il Bologna, però, è arrivata una sconfitta in cui i rossonero non hanno dato nemmeno l'impressione di potersela giocare.

Oltre ai risultati, poi, è stato desolante anche il modo in cui sono arrivati. Il Milan ha giocato un calcio terribile sotto praticamente ogni aspetto, passando attraverso tantissimi interpreti diversi (cominciando la stagione con Alvaro Morata in attacco e chiudendola con Luka Jovic, fuori rosa a inizio anno) ma senza mai trovare una quadratura a una rosa allestita male e allenata peggio. Tolte sporadiche prestazioni come quella al Bernabeu contro il Real Madrid e i cinque derby stagionali contro l’Inter senza sconfitte, le partite anche solo sufficienti della squadra si contano sulle dita di una mano.

Tra tutte le competizioni il Milan è passato in svantaggio per 28 volte su 55 gare disputate, di cui 26 subendo il primo gol del match. In diverse occasioni, a partire dalle due in Supercoppa, è riuscito a raddrizzare la partita, ma è stato come se questa squadra avesse sempre bisogno di mettersi in una situazione di caos assoluto per permettere al proprio talento di esprimersi e di prendere il sopravvento.

Di piani partita preparati bene ed eseguiti con ordine dalla squadra, sia sotto la gestione di Paulo Fonseca che di Sergio Conceiçao, se ne ricordano davvero pochi. Così come non c’è mai stata traccia di un’organizzazione di gioco partendo dal basso o di pressing corale, esponendosi continuamente alle transizioni avversarie. Poche squadre finivano per “spaccarsi in due” come il Milan di questa stagione: troppo spesso alle squadre avversarie è bastato un singolo passaggio preciso per mandare in crisi l’intera struttura rossonera.

Un gol su tutti, quello di Ederson con cui l’Atalanta ha vinto a Milano: basta una pressione azzardata da parte di Reijnders e Fofana per far saltare tutto il castello, nonostante il passaggio alla difesa a 3 già attuato da qualche partita che avrebbe dovuto assicurare maggiori coperture.

UNA SQUADRA LASCIATA AL PROPRIO DESTINO

La stagione del Milan si è aperta immediatamente con un caso eclatante: il cooling break passato da Theo Hernandez e Rafael Leao lontano dagli altri compagni alla seconda gara stagionale contro la Lazio. Indipendentemente dalle colpe e dalle responsabilità dei singoli, è il modo in cui è stata gestita un’evidente spaccatura tra i due giocatori più rappresentativi della squadra e il resto del gruppo, a partire da Paulo Fonseca, che avrebbe dovuto far scattare un campanello d’allarme. La prima preoccupazione della dirigenza, invece, è stata quella di far notare come Ibrahimovic non fosse allo stadio perché “in vacanza” e, pochi giorni dopo, Furlani ha definito quanto accaduto “un non-evento”.

È stato solo il primo di innumerevoli casi in cui la comunicazione del Milan è stata scadente e scollegata dalla realtà. L'assenza nei momenti importanti è stata fin troppo palese per non essere voluta: in tantissime occasioni sia Fonseca che Conceiçao sono stati lasciati soli e senza sostegno pubblico, rilasciando dichiarazioni sempre prima delle partite (anche per obblighi contrattuali) e in rarissime occasioni dopo i risultati dei match. Tra i tifosi del Milan è diventato quasi un meme il ruolo di Matteo Gabbia, sempre chiamato a parlare ai microfoni dopo le peggiori sconfitte di questa stagione per rispondere alle domande sia a nome della squadra che dell’intera società in generale, prendendosi responsabilità che non gli appartenevano.

Il modo in cui è avvenuto il cambio in panchina, di fatto facendo trapelare di aver già chiuso l’accordo con Conceiçao durante la sfida interna contro la Roma e senza nemmeno risparmiare a Fonseca una serie di interviste da “dead man walking” (cosa di cui persino uno come Ibrahimovic si è scusato) è da manuale di come non ci si dovrebbe comportare. La scena in cui Fonseca annuncia lui stesso l’esonero, prima dei comunicati ufficiali, rimane uno dei punti più bassi di una stagione che ne ha avuti davvero molti.

LO SMANTELLAMENTO DELLA SQUADRA SCUDETTO

Lo Scudetto del 2022 è così amato dai tifosi del Milan non solo perché è arrivato dopo 11 anni di magrissime soddisfazioni o perché è stato vinto dopo un lungo testa a testa con l’Inter, ma anche perché a molti di quei protagonisti ci si era genuinamente affezionati, vedendoli crescere anno dopo anno fino ad affermarsi in quel finale di stagione memorabile. È un sentimento comune un po’ a tutti i tifosi di qualsiasi sport, ma quelli del Milan vogliono riconoscersi nei giocatori che vanno in campo, vogliono creare un legame con loro, e, una volta che viene creato, lo mantengono in vita anche dopo che è finito. Osservate gli occhi di un milanista che vi parla di Jon Dahl Tomasson e capirete a cosa mi riferisco. Avere successo nel Milan è per sempre.

Invece la prima mossa che è stata fatta dalla nuova dirigenza è stata quella di cedere Sandro Tonali, capitano di fatto seppur non di fascia della squadra, davanti ad un’offerta sicuramente alta (58.9 milioni di euro da bilancio) ma lontana dalle prime che erano state fatte circolare (tra i 70 e gli 80). Al di là dei soldi e di quanto accaduto dopo con la squalifica, è l’idea stessa di cedere il giocatore maggiormente rappresentativo per i tifosi a essere sbagliata, peraltro a meno di un mese dai licenziamenti di Maldini e Massara. Con quella cessione il Milan ha ceduto parte della sua anima, un calciatore che incarnava "il milanismo" e che aveva ricoperto un ruolo fondamentale per la conquista dello Scudetto.

La cessione di Tonali è stata solo la prima di una lunga serie di operazioni che hanno portato allo smantellamento della squadra dello Scudetto, quasi come se l’unico filo rosso che lega tutte le operazioni di mercato fatte negli ultimi due anni fosse l’obiettivo di cancellare quanto fatto da Maldini e Massara. Di quella rosa sono rimasti solamente Mike Maignan, Rafa Leao, Theo Hernandez, Fikayo Tomori e Alessandro Florenzi, più Matteo Gabbia che era stato ceduto in prestito e poi richiamato alla base dopo sei mesi. Cinque/sei giocatori sui 33 ufficialmente presenti in rosa per quell’annata storica e che avrebbe dovuto porre le basi per gli anni a venire, e che invece è stata sistematicamente distrutta un pezzo dopo l’altro nel giro di due anni. Anche i pochi che sono rimasti, infatti, sono finiti in discussione (Maignan dopo qualche errore durante questa stagione, Leao come ormai è di prassi da quando è arrivato in Italia), sono stati attivamente messi sul mercato (Theo Hernandez per cui si era aperto alla cessione al Como lo scorso gennaio, Tomori a lungo in procinto di andarsene prima di essere trattenuto per mancanza di alternative) oppure sono stati ininfluenti (Florenzi per via del pesante infortunio subito in tournée estiva, peraltro senza prendere nessun giocatore di esperienza che potesse aiutarlo nella gestione dello spogliatoio, aspetto nel quale è stato fondamentale durante la vittoria dello Scudetto).

La rosa del Milan è stata gestita come un’enorme partita a Football Manager in cui l’aspetto umano non conta, e sono invece solo le qualità tecnico-tattiche dei giocatori a contare — anche quando non si incastrano le une con le altre come ha dimostrato quest’ultima stagione. Affrontare un biennio intero senza un direttore sportivo che gestisse e supervisionasse la quotidianità a Milanello, ritenendo che il suo unico compito fosse quello di “fare mercato” e che quindi il gruppo di lavoro potesse occuparsene da solo, è stato un errore che denota tutta la scarsissima comprensione di come funziona una società di calcio da parte della dirigenza. D’altronde Furlani, Moncada e Ibrahimovic sono tutti alla prima esperienza nel ruolo che hanno deciso di ricoprire - il che non sarebbe di per sé un problema, se di mezzo non ci fosse il Milan.

LA SCOMPARSA DEL "MILANISMO"

Un’altra cosa che viene contestata alla dirigenza e alla proprietà è la scomparsa del "milanismo". È davvero difficile trovare qualcosa per cui ci si possa ancora immedesimare con questa società che non sembra conoscere la propria storia («Una cosa che mi ha sorpreso è che il Milan è il secondo club più vincente nella storia della Champions League dietro al Real Madrid, non lo sapevo», ha detto Cardinale a marzo del 2023), né soprattutto intende rispettarla («Le parole di Boban? Si figuri se sto ad ascoltarle», ha detto invece Scaroni pochi giorni fa). Neanche la presenza di un totem come Ibrahimovic ormai smuove nulla agli occhi dei tifosi, anzi, con questa sua esperienza dirigenziale rischia anche di incrinare un’immagine rossonera che invece aveva cementificato con il suo ruolo da mentore della squadra tornata a vincere lo Scudetto.

Intendiamoci: se il Milan fosse riuscito ad avere successo negli ultimi due anni e a costruire un progetto sportivo solido anche senza una forte componente casciavit all’interno della dirigenza, sarebbe andata bene ugualmente. Ma se ai tremendi risultati ottenuti e la gestione sbagliata di praticamente tutte le questioni di campo ed extra campo (tra cui l’enorme pasticcio legato allo stadio a San Donato e il progetto fallimentare di Milan Futuro) si unisce anche questa noncuranza nei confronti della storia del club che si è chiamati a gestire, dando pochissima importanza alla voce dei tifosi (anche con politiche di biglietti digerite male), è inevitabile che ci siano delle conseguenze se le cose precipitano.

Un’altra cosa che non è digeribile per la tifoseria è la mancanza di ripercussioni. Dopo un’annata come quella che si è appena conclusa fuori dalle coppe europee per la prima volta dopo nove anni (se non per la squalifica nel 2018/19) ci si aspetterebbe che i responsabili di questa stagione disastrosa vengano messi davanti alle proprie colpe e che ne paghino le conseguenze. Maldini e Massara, dopotutto, sono stati licenziati all'indomani di una semifinale di Champions che non si disputava dal 2007. Invece il prossimo anno si prefigura esattamente come gli ultimi due passati, con le uniche novità rappresentate da Igli Tare (assunto come direttore sportivo, ma sottolineando nella prima riga del comunicato stampa che “riporterà all'Amministratore Delegato del Club, Giorgio Furlani”) e, eventualmente, dal nuovo allenatore al posto di Conceiçao, oltre all’ennesima rivoluzione nella rosa sul mercato. E quindi chi paga per quello che è successo e per le decisioni sbagliate che sono state prese?

A far imbestialire è poi il fatto di non sentirsi ascoltati. La scorsa estate il tifo milanista, a cui la conquista dello Scudetto della seconda stella da parte dell’Inter in casa propria ha lasciato ferite molto più profonde di quelle mostrate dalla società, si era spesa tantissimo per il nome di Antonio Conte come nuovo allenatore del Milan. I dirigenti invece hanno platealmente bypassato l’idea di prendere un allenatore di peso per il campionato italiano trovando un accordo prima con Julen Lopetegui (di fatto bocciato da un comunicato della Curva Sud) e poi firmando Paulo Fonseca, ritenendo gli altri troppo ingombranti e poco gestibili dal punto di vista della comunicazione.

I risultati del Napoli di Conte e dell’Inter in Champions hanno certamente acuito un malcontento che ci sarebbe stato in ogni caso, ma magari non arrivando a definire questo periodo come “un’agonia”.

Uscendo dall’incontro con Cardinale nel quale gli era stato comunicato il licenziamento, Maldini disse ai presenti: «Oggi comandate voi, ma per favore rispettate la storia del Milan». Quello che oggi fa più male al tifoso milanista non è che i dirigenti e la proprietà non lo abbiano ascoltato — è che non abbiano proprio capito a cosa si stesse riferendo.

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