Milan Djuric si aggira per il campo coi suoi due metri, le spalle grandi, le gote rosse, i capelli lunghi lisci raccolti in un codino da samurai giapponese. La pelle tesa e gli occhi stretti gli danno un’aria orientale, dura e solenne. È un giocatore chiave per la Salernitana, per seguire il suo folle progetto di salvezza dopo un campionato passato in zona retrocessione, e lo è non per come gioca a pallone con i piedi ma come ci gioca con la testa.
C’è sempre qualcosa di potente e controintuitivo in un calciatore che gioca meglio con la testa che con i piedi. Qualcosa persino di controculturale, in un’epoca in cui l’efficientazione tattica e statistica ha dimostrato l’inutilità di giocare col pallone per aria. Gli stili di gioco possono cambiare, certo, e l’attuale Champions League ha dimostrato una varietà di ecosistemi sempre poco sottolineata (forse per un terrore non precisato per il pensiero unico calcistico guardiolista). Eppure, dopo decenni di evoluzione, siamo arrivati a qualche regola condivisa: il calcio si gioca palla a terra, passandosi la palla con la massima precisione possibile. Con la palla a terra si può provare a esercitare il controllo, l’eliminazione delle variabili della dimensione aleatoria, che è la grande chimera inseguita dal calcio contemporaneo.
Alzare la palla in cielo, al contrario, è una specie di resa a queste variabili. Con la palla in area si rinuncia alla costruzione paziente e razionale di un’azione; si rinuncia all’idea di undici esseri umani che possono costruire con calma e coerenza una cosa bella e fatta bene. Alzando la palla si cerca una scorciatoia violenta e casuale alla porta avversaria, una scorciatoia affidata alla capacità di un uomo di saltare più di un altro – di prendere posizione, allargare le braccia, colpire con la testa, cioè una parte del corpo che ha ancora meno sensibilità dei piedi. Si accettano il caos delle seconde palle, dei rimpalli, dei palloni senza padrone.
Non sono solo gli allenatori a dirci che bisognerebbe colpire meno di testa, ma anche la scienza medica. Ogni colpo di testa è un trauma alla scatola cranica, una “concussion”, che i giocatori dovrebbero evitare. Quest’anno in Premier League sono state introdotte delle linee guida in cui si chiedeva esplicitamente ai giocatori di Premier di limitare a massimo dieci i colpi di testa in allenamento. Non tutti i colpi di testa, in realtà, ma quelli che vengono definiti “higher-force header”, e cioè quei colpi di testa che seguono passaggi di più di trenta metri. A ottobre si è giocata la prima partita in cui sono stati vietati i colpi di testa.
Arriveremo probabilmente a un’epoca in cui il colpo di testa nel calcio sarà direttamente vietato, si giocherà con palle a rimbalzo controllato impossibili da alzare in aria, cercando la trama di passaggi più fitta per arrivare a tirare solo dentro l’area piccola. Ricapitolando: colpire di testa è inutile, pericoloso e contrario a tutte le idee più avanzate che abbiamo sviluppato nel calcio contemporaneo e nella medicina sportiva.
Eppure Milan Djuric se ne frega di tutto questo e ogni domenica domina i cieli di ogni stadio d’Italia. È uno degli ultimi della sua stirpe, e vale la pena celebrarlo raccontando i suoi migliori colpi di testa.