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Dario Saltari
8 minuti di ordinaria follia
11 mag 2023
11 mag 2023
I minuti che hanno deciso il derby di Milano.
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Dario Saltari
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Foto di Luca Rossini / Imago
(foto) Foto di Luca Rossini / Imago
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«Fino al settimo minuto l’Inter non era ancora entrata nella nostra area, poi al primo calcio d’angolo ha fatto gol». Dopo la partita Stefano Pioli sembra scosso, per i primi 15 terrificanti minuti del Milan dà una di quelle spiegazioni che sembrano poter esistere solo nella testa degli allenatori italiani - campioni di fuga dalle propria responsabilità e di corsa verso alibi improbabili. Non a caso viene ripresa da molti tifosi interisti dopo la partita su Twitter, sembra esprimere la disperazione di un allenatore alle corde, come Mazzarri che diede la colpa alla pioggia o come Sarri che una volta per una prestazione negativa se la prese con il pallone invernale della Serie A.

Si è arrivati a questo euroderby dopo una Champions League in controtendenza. Se gli ultimi anni ci avevano abituato alla strana verità per cui nessun risultato fosse davvero al sicuro, quest’anno le squadre si sono fatte più prudenti, attente a controllare che le variabili non iniziassero a schizzare in maniera incontrollata. Martedì abbiamo visto le due squadre dal più alto tasso tecnico al mondo guardarsi da lontano, evitare i dribbling per minimizzare il rischio di perdere palla, dare vita a una partita scialba se non fosse stato per i due poderosi tiri da lontano di Vinicius e De Bruyne. E non ci aspettavamo nulla di diverso da questa partita, da due squadre italiane che non vedevano l’ora di non far succedere nulla. Forse solo molta tensione in più.

Allora forse Pioli stava solo cercando goffamente di razionalizzare l’inaspettato, perché effettivamente a rivedere a mente fredda quei primi 15 minuti oggi è difficile capire da dove siano usciti. D’altra parte, il calcio alla sua massima espressione sembra ricordarci che il tempo può espandersi e comprimersi a piacimento, anche se non in maniera casuale come fanno il resto delle cose, ma seguendo delle fratture emotive che aprono e richiudono portali attraverso cui può entrare di tutto.

Quello che da cui è entrato l’incubo dei tifosi milanisti si è aperto dopo cinque minuti e quaranta secondi. Fino a quel momento Milan-Inter era stata esattamente la partita che ci aspettavamo. Facce contorte dalla tensione, sguardi belligeranti dopo spallate dure, recriminazioni. Soprattutto quella paura che ingessa le gambe e dà vita a errori incomprensibili: un facile appoggio orizzontale di Darmian per Calhanoglu sbagliato di un paio di metri e finito pigramente in fallo laterale, un lancio di Kjaer con la punta diventato un campanile dentro l’area vuota di Onana.

Dell'euroderby di ieri abbiamo parlato anche nel nostro daily podcast, Ultimi Fuochi.

È stato il talento da alchimista di Dzeko a cambiare le cose. Bastoni disegna una palla liftata con cui trova il suo numero 9 poco oltre la linea di centrocampo e l’attaccante bosniaco la trasforma in oro. La sgonfia con la coscia per lanciarsi in corsa sulla fascia sinistra, poi con un semplice tocco di interno sinistro riesce ad anticipare l’intervento di Tomori, che non aveva fatto i conti con la furbizia di questa vecchia volpe. Il difensore inglese pensava di entrare netto sul pallone e invece trova le due grosse gambe di Dzeko, che guadagna il suo primo punto del suo instancabile lavoro di corpo e cervello dentro il ring di San Siro. È comunque una di quelle punizioni dalla trequarti che sembrano impossibile da poter trasformare in qualcosa, e infatti il cross teso di Dimarco esce troppo corto. Acerbi da appena fuori l’area di rigore non può far altro che sporcare la palla di testa, con la fortuna di trovare la deviazione di Tonali.

È l’incipit nascosto del gran gol di Dzeko, che ieri ha fatto vedere tutto lo spettro del suo talento indisponente ma affascinante. «Con Edin Dzeko non puoi mai sapere quando la palla entrerà in porta. Nel bene e nel male. Può inventarsi un gesto tecnico geniale e a suo modo elegante o sbagliare una palla facile come se quella fosse la prima palla che calcia in vita sua, come se non sapesse di cosa è fatta la palla, quanto pesa, quanto è dura», ha scritto Daniele Manusia qualche mese fa, dopo un altro bellissimo gol al volo, contro il Bologna. A Roma - anche nei suoi momenti migliori, anche quando con Spalletti rompeva i suoi record realizzativi stagionali ed entrava nella top 3 dei marcatori più prolifici della storia del club giallorosso - si diceva che dovesse sbagliare almeno due gol prima di metterne uno in porta. Ma il calcio è uno sport di momenti e ieri ha fatto il contrario. Perché è tra l’ottavo minuto e il sedicesimo che ieri si è decisa la partita, e quando al 53' ha avuto l’occasione di chiuderla definitivamente, girando intorno a Tomori e ritrovandosi a tu per tu per Maignan, improvvisamente la palla si è fatta di burro. Il primo controllo di destro è uscito troppo corto, Theo Hernandez è riuscito a mettergli la pressione giusta, e il suo tiro di sinistro è uscito stitico, impennandosi sopra la traversa più per l’elettricità dei riflessi di Maignan che per la forza che era riuscito a imprimerci.

Ma, come detto, all’ottavo minuto Milan-Inter era una partita completamente diversa, e Dzeko ha segnato al primo tiro avuto a disposizione. Chi ha vissuto l’attesa di una partita decisiva, a qualsiasi livello, sa che gran parte della paura delle ore precedenti consiste nel mandare a loop nella propria testa tutte le cose che possono andare storte durante la partita. E quando Dzeko ha iniziato a danzare al centro dell’area con Calabria, utilizzandolo come un palo da pole dance prima di avvolgerci intorno la gamba sinistra e indirizzare il pallone con il piatto sotto il sette alla destra di Maignan, ecco dopo tutto questo per otto lunghissimi minuti tutti quegli incubi preventivi sono sembrati poter diventare realtà. Anzi, sono diventati realtà.

Una manciata di secondi dopo la fine delle celebrazioni dell’Inter per il primo gol, Giroud ha provato a controllare un pallone con il petto dentro il cerchio di centrocampo ma è stato mangiato da Acerbi alle sue spalle, uno dei tanti giocatori dell’Inter che pensavamo finiti già alcune stagioni fa e che invece sono tornati in questa edizione della Champions League come un’orda di zombie. Le difficoltà di Giroud nel controllare l’aggressività dei centrali dell’Inter ha mostrato in controluce il talento nel ripulire i palloni spalle alla porta di Dzeko, che forse anche a 70 anni riuscirà ancora a mettere giù di petto una palla alta e a girarvi intorno mentre voi ancora cercate di capire cosa sta succedendo. Su un lancio lungo di Maignan e su un altro duello aereo con Acerbi, invece, Giroud colpisce il pallone di testa in maniera sbilenca all’indietro e serve inavvertitamente Barella, innescando lo 0-2 dell’Inter.

A quel punto un domino di sfortunati eventi fa correre un brivido sulle schiene dei tifosi del Milan, confermandogli che tutto ciò che si erano immaginati nei giorni precedenti erano in realtà visioni premonitrici. Calabria cerca di accorciare in maniera aggressiva su Barella a centrocampo solo per accorgersi di essere troppo in ritardo e di aver aperto in questo modo lo spazio alle sue spalle per l’inserimento di Dimarco. Poi, mentre l’Inter scende a sinistra veloce come una valanga, Tonali commette forse l’unica leggerezza di tutta la sua partita e per un attimo sottovaluta l’inserimento di Mkhitaryan alle sue spalle. Nel frattempo Dimarco ha già scaricato la palla al centro per Lautaro, che ha l’idea geniale di lasciarla scorrere, impedendo a Kjaer di riposizionarsi e dando gli ultimi decisivi metri di vantaggio al suo compagno sulla rincorsa vana di Tonali. Alla fine il dettaglio forse più diabolico di tutti. Perché mentre Kjaer viene congelato dal velo di Lautaro e Tomori viene fregato per un'altra volta da Dzeko, che se lo trascina dietro allontanandosi dal centro dell’area, teoricamente ci sarebbe ancora Theo a mettere una toppa sull’irreparabile. E Theo vorrebbe, ma quando mette il peso sulla gamba destra per scattare verso Mkhitaryan gli cede quella destra ed è costretto a inchinarsi per non finire faccia a terra di fronte al tiro furbo del numero 22 dell’Inter.

Dopo lo 0-2 la regia mostra un replay della panchina nerazzurra in cui si vede Bellanova coprirsi gli occhi dall’incredulità. Anche i tifosi dell’Inter non possono credere ai propri occhi. Seguono quattro minuti in cui sembra che qualsiasi risultato immaginabile a favore della squadra di Inzaghi sia possibile. Al 13esimo Bennacer inizia a zoppicare. Prima della partita il Milan era stato già trafitto al cuore dall’assenza dell’ultimo minuto di Leao, e arrivati a meno di un quarto del primo tempo deve dire addio a un altro pezzo fondamentale della sua rosa. Il giocatore il cui spostamento sulla trequarti ha permesso a Pioli di ricostruire il Milan nella seconda metà di stagione.

Non è ancora pronto il cambio, però, e l’Inter con un’altra palla lunga e di nuovo nella trequarti rossonera. Pioli nel post-partita si lamenterà della mollezza dei suoi sulle seconde palle, e quando lo ha detto penso avesse in mente proprio questa palla rimessa da Calabria sulla mediana su cui Lautaro brucia Tonali per rigiocarla all’indietro per Mkhitaryan. Il centrocampista armeno ha un primo controllo troppo lungo ma siamo ancora nella fase in cui qualsiasi cosa possa andare a favore dell’Inter va effettivamente a favore dell’Inter e il pallone diventa inavvertitamente un appoggio per il rimorchio di Calhanoglu, che sta arrivando da dietro con le idee molto chiare. La casualità crudele è che forse quello spazio si è aperto proprio per l’assenza di Bennacer e adesso il centrocampo del Milan è troppo largo per controllare sia le due mezzali avversarie che l’inserimento centrale di Calhanoglu. Ma il trequartista turco non è arrivato fin là per inserirsi in area, ma per tirare di prima intenzione.

In altri tempi concedere quel tipo di tiro a Calhanoglu avrebbe significato prendere gol quasi sicuramente. Al Bayer Leverkusen il trequartista turco si era fatto notare proprio per le sue qualità balistiche, con cui era diventato uno specialista dei calci di punizione e riusciva a dare traiettorie illeggibili al pallone. «Calhanoglu è attualmente uno dei migliori calciatori di punizioni in Europa: dice di ispirarsi a Juninho Pernambucano, e infatti molti dei suoi gol sono arrivati imprimendo al pallone una balistica obliqua e indecifrabile». O ancora: «Lasciargli tempo e spazio dal limite equivale a concedergli un calcio di rigore». Così scriveva Emanuele Atturo ormai otto anni fa, quando gli dedicò il suo Preferiti. Da quando è arrivato in Italia, però, Calhanoglu sembra aver perso i suoi poteri. I gol su punizione si sono diradati, quelli con tiri dalla distanza preziose eccezioni che ci ricordano del passato dorato che ci siamo messi alle spalle. Con gli specialisti delle punizioni o dei tiri dalla distanza d’altra parte sembra funzionare molto spesso così. Per un certo periodo si segna a quasi ogni occasione finché a un certo punto non si segna più. Sembra una di quelle dinamiche inspiegabili del calcio che non si può far altro che osservare affascinati. Come prendere gol al primo calcio d’angolo senza aver mai concesso prima nemmeno un tocco in area di rigore all’avversario.

L’inspiegabile degli otto minuti di ieri, quindi, è anche Calhanoglu che, a una settimana dal suo incredibile gol dalla distanza a Verona, colpisce il pallone così bene da non lasciare adito ad altre aspettative se non il gol. La palla colpita di mezzo esterno, il giro che sembra fatto apposta per sfuggire al tuffo in piena estensione di Maignan. Sembra non esserci scampo, e invece la partita ricomincia nell’esatto istante in cui sembra che stia per finire. Con un palo. L’Inter dopo avrà altre occasioni per passare allo 0-3 che con ogni probabilità avrebbe significato la fine del confronto. Dzeko al 53' nel modo che abbiamo già raccontato. Poi Gagliardini che all’83' viene messo in porta da un’invenzione di Barella ma sul più bello si allarga goffamente sul destro e viene recuperato da Thiaw. Nessuno di questi due possibili gol avrebbe avuto però l’effetto di un gol di Calhanoglu al 16', dopo otto minuti che erano sembrati otto scalini per scendere fino al punto più basso dell’inferno. Che il portale attraverso cui era entrato questo incubo si sia richiuso con il palo di Calhanoglu lo si capisce pochi istanti dopo, perché l'Inter ha immediatamente l'occasione per ribattere in porta ma Mkhitaryan, trovato dentro l'area di rigore da un'altra invenzione di Barella, tira in maniera debole e centrale, e Maignan può respingere piegando un ginocchio.

Ciò che rimane, quindi, è il palo di Calhanoglu. Calhanoglu l’ex più discusso di questo derby, che a gennaio dopo la vittoria della Supercoppa per 3-0 aveva parlato di karma per gli insulti ricevuti dopo il suo addio al Milan. Calhanoglu che era stato messo in mezzo al centrocampo dell’Inter a sorpresa da Simone Inzaghi, che sembrava seguire la pista esoterica dei due precedenti derby, entrambi vinti con il trequartista turco a fare da regista. A settembre, nell’unico derby perso finora dall’Inter in questa stagione, a fare il regista c’era Brozovic e ieri Brozovic è partito dalla panchina.

Se sarà la mossa che ha deciso il derby lo sapremo solo tra sei giorni. Nel frattempo il Milan, esangue come la Montagna di Game of Thrones, si aggrappa a questo momento. E se sarà questa l’unica grande rimonta di questa Champions spenta, be’, allora questo rimarrà nella storia come il derby del palo di Calhanoglu.

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